Kintsugi

di Helliegoland
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Corse più veloce che potè fregandosene di sembrare un pazzo e di svegliare l’intero quartiere: Akane era in pericolo ed era colpa sua.
Ebbe la sensazione che il percorso tra Dojo e casa si allungasse invece di accorciarsi. Forse perché contava i secondi in cui Akane rimaneva in quelle condizioni, forse perché il tempo sembrava essersi fermato andando contro ogni sua volontà. Si sentiva in colpa, un mostro.

Varcò la soglia d'ingresso e cominciò a chiamare isterico Kasumi e sua madre, correndo di qua e di la sentendosi disorientato e sempre più agitato. Le sensazioni che aveva avuto nel dojo di rabbia, frustrazione e rancore lo avevano completamente abbandonato lasciando che in lui regnasse la paura più pura, animale. Non voleva perderla. Anche se lo avesse odiato per sempre non DOVEVA perderla.

Dalle scale scese in vestaglia sua madre con aria assonnata che gli intimò di calmarsi e che qualunque cosa fosse successa non doveva coinvolgere i Tendo. Perché quell'affermazione? Naturalmente se ne fregò sgattaiolando tra il corrimano e Nodoka andando dritto in camera di Kasumi che trovò sveglia, a trafficare nella cassetta del pronto soccorso.

"Dov'è?", chiese freddissima la giovane donna.

"Il dojo, non voleva andarsene...Kasumi ho paura".

Col viso pieno di lacrime l'accompagnò, seguito da Nodoka.

"Non entrare", gli intimò Nabiki spuntata da chissà dove parandosi tra lui e le due donne, intente a scoprire in che stato fosse la ragazza. Lo scrutava dalla testa ai piedi, come se guardandolo riuscisse a capire il danno inflitto alla sorella minore, poi uscì sua madre lasciando entrare la mezzana. 

"Corro a chiamare il dottor Tofu", affermò congedandosi triste.

Ranma si volse per vedere dentro la palestra e gli parve di sentire dei singhiozzi, non capendo da chi venissero. 
Dal buio uscì Nabiki inviperita al punto che Ranma non poté fare a meno di pararsi agli schiaffi che lei gli diede. Non credeva sapesse essere tanto forte.

"Come hai potuto ridurla così, maledetto bastardo?! Cosa ti dice la testa?! Capisco tuo padre ma lei!? Che ti ha fatto per farti essere tanto animale?".

Piangeva, forte. 
Non ricordava di averla mai vista tanto sconvolta. 
Immobile prese tutte le botte dalla cognata finché stanca, si arrese. Avrebbe preferito che lo pugnalasse al cuore per farlo smettere di soffrire tanto e di far soffrire gli altri. 
Nabiki si poggiò sulle ginocchia a terra lasciando fluire un pianto disperato senza vergogna alcuna.
Si alzò poco dopo asciugando le lacrime con la mano, prese un respiro profondo e aprì gli occhi fissandolo seria. Un brivido non poté fare a meno di percorrergli la spina dorsale per tutta la sua lunghezza.

"Vattene ora, non farti vedere mai più da queste parti".

"Ma io...".

"Vattene ho detto! Sparisci! Non hai portato che guai in questa casa e sofferenza nel cuore di nostra sorella!".

Ranma insistette per vedere almeno un'ultima volta la sua fidanzata prima di sparire come ordinato. Fu allora che incrociò gli occhi di Kasumi: vi era una delusione tale da sotterrarlo dopo essere stato picchiato con una mazza chiodata. Le parole erano futili adesso, così come anche i gesti, a parte uno: andarsene con la coda fra le gambe senza rendersi conto che aveva cominciato a piovere.

 
§
 


"La situazione non è delle migliori: una delle fratture ha perforato una vena ed ha un emorragia al braccio. Devo farle delle trasfusioni. Informatemi quando vorrà parlare. Adesso è in stato di shock e sono preoccupato per la guarigione: mente e corpo sono un'unica cosa".

"Ci fidiamo di lei dottor Tofu".

Dalla corsa in barella in ospedale riusciva a captare qualche conversazione qua e la senza riconoscere nessuno. Tutto appariva sfocato e traballante: probabilmente le avevano dato un anestetico per alleviare il dolore. In effetti non sentiva nulla a parte un leggero intorpidimento. Era confusa e disorientata, anche mentre le toglievano le stecche provvisoriamente messe dalla sorella maggiore. Dovettero chiamarla più e più volte per attirare la sua attenzione: le voci apparivano ovattate, come se le parlassero da sott'acqua. Si dovette sforzare parecchio per comprendere ciò che il medico le diceva. Si arrese all'ennesimo tentativo e cominciò a rispondere a monosillabi a qualunque cosa o abbassando poco il capo in segno di assenso.
Quando la lasciarono sola si guardò i polsi, le gambe e il ventre lenta come un bradipo. Aveva garze e fasciature ma pur sforzandosi non sentiva nulla. 
Era come uscita fuori dal corpo, in una dimensione opposta. L'unico pensiero che si formulò dentro la testa fu "non è successo a me". Chiuse gli occhi e fredda come il ghiaccio si estraniò ancora di più.


 
§


 

Non sapeva da quanto camminava, non contava più il tempo. Non contava più nulla. Voleva essere certo di non aver esagerato, di non averle fatto troppo male. Era già stato un duro colpo ridurre il suo vecchio ad un inutile ammasso di carne, quale pensava fosse. L'ennesimo scontro verbale gli fece completamente perdere la testa. Da un po’ di tempo non era più se stesso. Ogni reazione era mille volte amplificata e tremava al solo ricordo di cosa aveva fatto: suo padre si burlava di lui per come lo aveva ritrovato in bagno, quella mattina, dopo aver sistemato il casino che aveva fatto. Il vecchio non smetteva di stargli addosso vomitandogli insulti umilianti che proprio non aveva bisogno di ricevere. Il vaso della sua pazienza si riempì fino a traboccare, non di acqua ma di lava: il suo corpo ribolliva di ira ed era pronto ad esplodere.
Esplose eccome.
Gli saltò addosso in corridoio rompendo le assi di legno, premendo le mani sulla testa facendolo urlare; Lo prese per la gola strozzandolo e da quella bocca uscì un suono gutturale orribile. Pur di farlo smettere cominciò a prenderlo a pugni continuando a stare su di lui. Non rispondeva più, ma non ne aveva abbastanza: si alzò e lo prese a calci nelle anche più forte che poteva riducendo il bacino di suo padre in poltiglia. 
Arrivò col fiatone il signor Tendo che lo prese di spalle incastrando le braccia fra le sue tirandolo via dal padre.

"Kami ragazzo! Ma che diavolo stai facendo?!".

Cercava di liberarsi da quella morsa infernale finché non arrivò con un balzo il vecchio Happosai che gli premette uno tsubo nella nuca facendolo svenire all'istante.

"Dobbiamo tenerlo a bada finché non passa l'effetto del sapone".

"Quale sapone, maestro?".

"Quello che quest'idiota ha finito stamane facendo il bagno".

Soun lo guardò fisso mentre il vecchio maestro teneva le braccia incrociate al petto ad occhi chiusi. Non era mai stato tanto serio e capì che ne aveva motivo guardando il suo amico: il bacino aveva una forma impossibile. Respirava a mala pena, dovevano sbrigarsi ad aiutarlo.
Happosai si avvicinò a Ranma che giaceva svenuto a terra, sperando che non si svegliasse troppo presto.

"Kami. E' così forte il rancore verso tuo padre?"

Il giorno dopo Ranma si ritrovò chiuso nel dojo legato come un salame, per di più imbavagliato. Le ante si mossero lasciando entrare un fioco raggio di luce da dove ne uscì il vecchiaccio. S'incamminava a passo sicuro nella sua direzione con le mani giunte dietro la schiena e un aria saggia, poi si accomodò di fronte tirando fuori la sua amata pipa. 

"Ragazzo, sei ammalato: il tuo Qi è pervaso da troppa energia e potenza che ti ha reso un mostro senza controllo, dico bene?".

Ranma in tutta risposta lo osservò con tanto d occhi.

"Ascolta: non devi ASSOLUTAMENTE lasciare questo posto. Sfogati allenandoti più che puoi perché potresti fare del male anche alle ragazze, e sai meglio di me cosa potrebbe succedere se ciò accadesse". Fece una pausa aspirando profondamente il fumo dalla pipa.

"Ti insegnerò degli Tsubo da stimolare quando sarai troppo agitato".

Ranma abbassò lo sguardo ricordando l'ultima cosa che avesse fatto. Incrociò di nuovo gli occhi con il vecchio maestro che lo informò sulla condizione fisica del padre. Prima di congedarsi, prese un altro profondo respiro dalla pipa, gettò la cenere per terra e alzandosi andò via, lasciandolo con le sue ansie.
Suo padre era paralizzato a causa sua? Kami, non credeva di avergli fatto tanto male. Cercò di mordersi la lingua e si accorse di essere imbavagliato oltre che legato. Era diventato così pericoloso?
 
I primi giorni furono interminabili, ma per lo meno poteva distrarsi dai sensi di colpa. In poche ore aveva imparato a premere correttamente gli Tsubo che gli insegnava il maestro, anche se, nel contempo, aveva sviluppato un ossessione morbosa per Akane. Che la malattia lo portasse anche a questo? Pensarla giorno e notte non aiutava a calmarlo. Cercava di debellarla dalla sua mente usando sotterfugi per smettere di immaginarla.
A questo punto Happosai lo introdusse nella meditazione profonda al solo scopo di controllare i suoi impulsi.
Poi il vecchio sparì per due giorni. Quarantotto ore che pesarono su di lui come un macigno, anche se non si aspettava di riuscire più o meno a cavarsela: i kata erano più potenti, l'amaguriken più veloce e preciso, il mokotakabisha pressocché perfetto quasi ai livelli dello shishi hoko dan di Ryoga. Ma lei... lei si insinuava sempre di più nei suoi pensieri fino a stordirlo. Così, per contrastare, tutto il giorno non fece altro che allenarsi fino a morire di fatica. Poi eccola... entra nel dojo con un vassoio e...


"Lanma, finalmente io tlovato te".

"Shan pu? ma dove.. ".

Si guardò attorno e notò alberi, siepi, panchine e prati verdi. Perso nei ricordi era arrivato al parco  e aveva pure smesso di piovere. Guardò le stelle: l'alba non si sarebbe fatta attendere ancora per molto.

"Shan pu pleoccupata pelchè non vedele Lanma da molto tempo. Io avele legalo pel te".

"No ti prego, lasciami in pace. Ne ho abbastanza di...".

Le parole gli morirono in gola quando vide la sensuale ragazza avvicinarsi a lui ondeggiando, portava addosso una gonna cortissima e una maglietta striminzita che lasciava ben poco all'immaginazione.

"Tu non volele mio regalo? Io studiato tanto pel occasione. Noi essele soli adesso".

Era vicina, pericolosamente vicina. Una mano esperta frugò all'interno della tuta del codinato e la reazione fu immediata.

"Bene, io sapele che velità è che a Lanma piacele Shan Pu".

Le prese le spalle scuotendola forte. 

"La verità? vuoi la verità? BENISSIMO!".

La spinse a terra senza curarsi di farle del male, le strappò la maglietta riducendola a brandelli: ora se ne stava a petto nudo davanti a lui con occhi sgranati ma allo stesso tempo con accenni di malizia. Non si ribellò come Akane, stava lì inerme a cogliere l'occasione come una manna dal cielo. Non le bastava? Ottimo. 
Stavolta non gli importava minimamente se avesse ferito chi gli stava davanti, voleva solo sfogare tutta la frustrazione che aveva in corpo.


 
§
 



L'alba era sorta da poco e Obaba sapeva di doversi dare molto da fare. Era il giorno di pienone al ristorante e non poteva permettersi di perdere un secondo di tempo. Tra l'altro doveva controllare in che stato si trovasse Mousse, magari era riuscito a smaltire quella porcheria che poco intelligentemente aveva comprato dal venditore cinese, che tanto si proclamava onesto ma che era stato capace di procurare più danni che altro.
Da un po' di tempo a Nerima accadevano strani avvenimenti: c'erano stati ritrovamenti di donne ridotte alla stregua delle forze, zoppicanti e piene di lividi nei luoghi più disparati. Aveva deciso di indagare lei stessa dal momento che Mousse aveva cercato di molestare Shan Pu con esito drammatico, per lui.
Inoltre, cosa assai poco chiara, prima dell'aggressione li aveva sentiti bisbigliare giorni prima senza riuscire a decifrare una sola parola.
Era chiaro ormai che la veneranda età le giocasse brutti scherzi: i sensi non erano più quelli di una volta. 
Scendendo le scale arrivò di fronte lo sgabuzzino in cui lo aveva prontamente rinchiuso, non provando un minimo di senso di colpa. Quel ragazzo aveva esagerato.
Aprì la porta e la investì un odore nauseabondo: niente di ciò che aveva lasciato era in ordine o intero ma perlomeno Mousse se ne stava svenuto in un angolo, ancora nella sua versione maledetta. L'intruglio doveva aver funzionato. Certo, era messo male ma aveva potuto scaricare l'effetto di quella dannata polvere più in fretta. 
Forse era arrivato il momento di dargli un pò di tregua, dato che era rimasto lì tre giorni e tre notti senza mangiare. L'umiliazione subita dalla nipote, nonostante non fosse arrivato neanche a torcerle un capello, doveva pagarla. Le regole del villaggio imponevano che se un'uomo avesse osato mettere le mani addosso ad una sua abitante, costui meritava il bacio della morte. Eppure non vide la nipote darglielo...
Un rumore sordo la fece trasalire. Era l'alba, chi poteva mai essere a quell'ora?
Si diresse all'ingresso sul retro, non prima di aver preso di nuovo le precauzioni necessarie a tenere il papero ingabbiato. 
Oltre la porta vi trovò Shan Pu zoppicante, coi vestiti laceri e piena di ferite. Il viso era sconvolto e stanco, come se avesse lottato contro cento avversari.

"Nainai, qing rang women hui jia ba. (ti prego nonna, torniamo a casa)".

Queste furono le parole che uscirono dalla bocca della nipote prima di scoppiare in un pianto convulsivo.
Di fronte a quella scena inizialmente non seppe cosa fare, poi si riprese e l'aiutò a distendersi sul futòn al piano di sopra. 

"Parleremo di quanto è successo bambina mia, adesso riposa". 

Le disse con una carezza prima di uscire dalla stanza buia.
A quel punto ShanPu poté liberare un sorriso compiaciuto.






Ed eccomi tornata! Ho deciso di riscrivere la ff per cui ho creduto di essermi impegnata terribilmente, invece il risultato era na schifezza. 
Alcune parti saranno totalmente riscritte, altre corrette e ripostare perché, parliamoci chiaro: non si capiva niente XD 
Non ho idea di ogni quanto tempo pubblicherò, però mi impegnerò a farlo a cadenza regolare. Inoltre ho salvato tutti i vecchi commenti che, dopo anni, mi hanno spinta a credere di nuovo in questa storia :.D 
Grazie grazie grazieeeeee!!!!!!!


 




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