Capitolo
VII: Dall’ombra ti presi e ti trassi alla luce
“Proprio
così, Ino. È l’Assalto al Villaggio
della Foglia.”
Temari
soggiunse in suo aiuto, continuando a sorvolare il panorama di
distruzione che,
un tempo, il Suono e la Sabbia avevano inferto sul villaggio natio
della
giovane. Lei osservò con un nodo alla gola le abitazioni,
così familiari,
sbriciolate dagli attacchi dei nemici, in una dimostrazione di violenza
che non
rammentava d’aver intravisto all’epoca.
Cosa…
Chi ha fatto tutto questo?
Si
sarebbe fatta beffe della sua ingenuità, se soltanto ne
avesse avuto la
possibilità: il suo cuore ferito frenò ogni
sarcasmo, per quanto patetico
fosse. Sotto quel cielo rosso e nero per via del fumo degli incendi, in
quell’aria pesante nei polmoni, Ino riconobbe
l’incubo di quei giorni lontani,
eppure attuale nella memoria del Kazekage.
“Ti
prego Temari… dobbiamo trovarlo”
disse la kunoichi della Foglia con tono
dimesso, percependo la debolezza del suo spirito. Si sentiva piccola, impotente,
scorgendo ricordi di persone indistinte, che appartenevano a tutti i
popoli
conosciuti dal giovane leader della Sabbia, e da cui era plasmata una
folla
dove passato e presente si sovrapponevano fra loro.
C’era
la gente di Konoha che battagliava contro gli shinobi del Suono.
C’erano
persino gli abitanti di Iwa che piangevano agli angoli delle strade,
pregando
il cielo di risparmiarli. Nelle ombre, Ino riconosceva i ninja di Kiri
per via
del coprifronte, i quali perlustravano le macerie con sguardi pieni di
malinconia.
Dov’è…
dov’è il tuo popolo, Gaara?
L’alleata
della Sabbia rispose alla sua preghiera: planò velocemente,
seguendo le correnti
verso una massa enorme, i cui contorni erano confusi dal fumo e dalla
lontananza. Poi, quando ormai l’avevano raggiunta,
l’erede del clan Yamanaka
capì quale fosse il motivo di un aspetto tanto informe: la
creatura, simile a
un animale dalla coda lunghissima, era completamente sovrastata dalla
sabbia.
La
ragazza impallidì, deglutendo a vuoto. Comprese anche la
ragione per cui non
avesse notato gli abitanti della Sabbia nel precedente panorama di
devastazione: erano intrappolati fra la sabbia e la pelliccia
dell’essere. I
loro visi terrorizzati erano trasformati in statue viventi.
Questa
è la Bestia a Una Coda… Shukaku!
La
giovane kunoichi non aveva memoria di quella creatura, se non quella
legata
alla Quarta Guerra Mondiale dei Ninja. Come molti altri suoi coetanei,
all’epoca dell’Assalto alla Foglia, era stata
vittima di un genjutsu che le
aveva indotto un sonno profondo, impedendole di partecipare alla difesa
del suo
villaggio, al fianco del padre e di Shikamaru.
Impedendomi
di proteggere il Terzo Hokage…
Ino
percepì lo spettro di lacrime di cui aveva già
asciugato il segno da tanti
anni. Aveva considerato quel vecchio capo villaggio come un matusa a
cui
sarebbe mancata la volontà di fronte al pericolo. Invece,
l’aveva smentita nel
modo più assoluto. Un altro Kage si era guadagnato lo stesso
tipo stupore da
parte di chi l’aveva conosciuto in tenera età.
Dove
sei, Quinto Kazekage del Villaggio della Sabbia?
L’erede
del clan Yamanaka setacciò le pieghe della pelle della
bestia con lo sguardo, cercando
fra i volti insozzati dalla sabbia quello del loro leader. Fu la
sorella di
quest’ultimo, infine, a indirizzarla per la strada giusta,
rammentandole i
particolari di un hiden di cui aveva solo sentito
parlare.
“L’Ospite…
riposa sempre sulla testa.”
Allora,
Ino lo vide. Riconobbe quel suo corpo inerte, racchiuso per
metà dentro un
involucro di pelle e sabbia. I suoi occhi erano chiusi e
l’espressione appariva
stanca persino quando era incosciente.
Gaara…
Un
pensiero che era poco meno di una supplica, già esasperata
da quella situazione
paradossale, da quel ragazzo che si rifiutava d’uscire dal
suo dolore. Ino
strinse i bordi affilati del ventaglio fra le dita. La ferirono, ma
furono un
aiuto in mezzo a tanta, penosa frustrazione.
“Temari…
come lo raggiungiamo?” chiese con la voce tremante. Il tanuki
non offriva,
infatti, una zona d’atterraggio semplice: aizzava la sabbia
di cui era
rivestito ovunque, sfaldando le abitazioni del villaggio e la foresta
vicina
quasi fossero trascinate da una marea di fango. Il suo capo zigzagava a
destra
e a sinistra, alla ricerca di prede per la sua furia a cui rivolgeva
zampate
capaci di sconquassare la terra. Quando Ino rialzò gli
occhi, Temari le
sorrideva.
“Mi
hai chiamata per un motivo, amica mia… distrarremo
il suo gelosissimo
custode.”
La
donna le rispose in un unico sospiro. Appena ne produsse un secondo, il
suo
corpo etereo baluginò nell’oscurità
d’un cielo fumoso e di fiamme acri. Un
barlume di speranza in mezzo al buio. Al terzo sospiro, la volta
celeste si
cosparse di punti luminosi. Guizzavano in ogni direzione, simili a
stelle
cadenti che volessero esaudire un desiderio.
“I
kamatari!” Ino spalancò gli occhi. Le
creature evocate da Temari si
riunirono in formazione e, con una spinta compiuta
all’unisono, volarono verso
il muso di Shukaku, distogliendolo dalla sua rabbia senza un obiettivo
preciso.
Gli esseri simili a donnole lo perseguitavano schizzando da una parte
all’altra
del suo campo visivo, ottenendo tutta la sua attenzione. Fu sufficiente
perché
le due kunoichi potessero avvicinarsi al Monocoda fino a balzare
indisturbate
sopra la sua testa.
“Coraggio
Ino…. Non abbiamo molto tempo prima che
spariscano” l’amica annuì seguendola
verso la sommità del capo dove Gaara riposava.
Quando
la ragazza scorse la sua schiena immobile, le sue
spalle cadenti,
le sue braccia inerti, non le sembrò che
dormisse. Le ricordò un ninja
nemico sconfitto, che attendesse rassegnato la sua sorte. Un singhiozzo
le
sfuggì dalle labbra. In fretta, si portò di
fronte al Kazekage appoggiando le
mani sul suo volto.
“Ti
prego… svegliati” l’implorazione cadde
vana su quel volto di cera, una maschera
da sepoltura ideale per un defunto dal passato illustre.
L’idea l’atterrì. Le
sue dita strisciavano su una pelle liscissima, priva
d’imperfezioni.
“Siamo
arrivate tardi” un sibilo che aveva sconfinato
oltre le sue barriere
mentali per concretizzarsi nel mondo costruito dalle scelte del
Kazekage, palesando
la paura più grande della giovane Yamanaka. Talmente si
sentiva responsabile di
quello spettacolo macabro che l’aria le abbandonò
i polmoni.
Un’ancora
di salvezza le agganciò una spalla, salvandola da un mare di
disperazione.
Temari sorrideva ancora. Era più effimera di un sogno a
occhi aperti. “Sono qui
per questo, Ino… lascia fare a me.”
Sotto
gli occhi attoniti dell’amica, la donna
s’accovacciò di fianco al fratello premendo
la fronte contro la sua. Aveva allungato una mano avvolta dalla luce
per
circondargli le spalle, stringendolo in un abbraccio dal vago sentore
d’un
desiderio che quei due fratelli condividevano in segreto. Temari aveva
uno
sguardo talmente dolce che Ino avvertì l’impulso
d’allontanarsi, provando la
vergogna di disturbare un momento di cui non doveva essere spettatrice.
Ma la
kunoichi della Sabbia la trattenne, afferrandole una mano.
“Va
bene così, amica mia… non posso restare a
lungo”
Condusse
le sue dita verso la fronte di Gaara, irrorandole della stessa luce
che,
lentamente, consumava la sua figura fiera anche in quei frangenti di
tenerezza.
“L’ultima cosa che posso fare… è
aiutarvi.”
Un
sussurro leggero, come ogni cosa divenne dopo quelle parole. Ino
rimirò il
bagliore che da Temari si spandeva sommergendoli in un tepore
confortevole.
Leniva il dolore e la paura. Un abbraccio pari a quello che la donna
aveva
donato al fratello.
In
mezzo a tutto quel chiarore, a Ino parve di rivederlo, ma questa volta
messo in
atto da due ragazzi più piccoli, appena ritrovatisi dopo uno
scontro da cui
entrambi avevano rischiato di non ritornare. Ino lo sapeva, anche se
non era
stata presente nel momento in cui Naruto aveva sconfitto Gaara,
salvandoli.
Temari
sosteneva il futuro Kazekage del villaggio aiutandolo a camminare e
Kankurō
faceva altrettanto al fianco opposto. Ma la sua versione dei fatti non
era
parte di quanto la kunoichi della Foglia osservava.
Era
il battito di cuore della sorella di Gaara che percepiva come se fosse
il suo.
Era il suo respiro, gravato dagli ansimi, che le
saliva su per le
narici. Erano le sue lacrime che le scendevano
lungo le guance,
inducendo il suo corpo a sussultare affranto. Poi, udì
quelle parole che
avevano scosso Temari, pronunciate in un tono trascinato da una
stanchezza che
riguardava tutto quanto quel fratellino aveva sofferto in una vita
così breve.
“Temari,
Kankurō… perdonatemi.”
Allo
stesso modo di come li aveva inglobati in essa, la luce
svanì. Lo spirito della
kunoichi della Sabbia non c’era più. Ma le ciglia
del fratello vibrarono.
“Gaara…”
Ino mormorò accostandosi a lui, appoggiando le mani sulle
sue spalle ora
sostenute da un ritrovato stato di veglia. La ragazza
percepì il calore
dell’amica che l’abbandonava, pur offrendole
un’eredità importante. Un’ultima
raccomandazione prima di sparire definitivamente.
Ino…
te lo affido.
Alla
fine, Gaara aprì gli occhi. La kunoichi lo fissò
mentre il suo sguardo azzurro
metteva a fuoco il resto di quel mondo personale da cui era circondato
e notava
il suo volto solcato di lacrime. Avvertì le sue spalle
irrigidirsi sotto le
dita, il suo respiro che fuoriusciva affrettato dalla bocca.
“Ino…”
sussurrò alzando le mani sulle sue guance, asciugandole.
Aveva una delicatezza
tale da farla sentire la più giovane dei due. Eppure era lei
la più grande,
colei a cui era stato dato il compito di liberare Gaara da quel carcere
a cui
si era condannato spontaneamente. Perciò parlò
con voce ferma, sebbene carica
di emozione per quanto aveva assistito. Era consapevole che anche quel
leader
tanto giovane ne era stato colpito in egual misura.
“Tua
sorella… ti vuole davvero bene.”
Era
una considerazione semplice, eppure le appariva così
straordinaria. Persino
lei, Shikamaru e Chōji avevano avuto più
possibilità di formare un legame
solido come quello di una famiglia. Dalle chiacchierate con Temari e
Kankurō,
sapeva che entrambi provavano dispiacere per questo. Era certa che
anche il
ragazzo di fronte a lei serbasse lo stesso sentimento nel suo cuore.
Lui
si limitò a fissarla. Le sue dita erano un po’
più calde. Il suo sguardo aveva
una vena di rimpianto che luccicava a ogni battito di ciglia.
“Ormai… non ha
più importanza… non c’è
nulla che possa essere fatto per me” la kunoichi scosse
la testa vigorosamente udendo il fatalismo da cui era permeata la
replica del
Kazekage. Gli prese i polsi distogliendolo dal tentativo
d’arginare le sue
lacrime, in modo che l’ascoltasse per davvero.
“Gaara…
c’è ancora tanto che può essere
fatto… ti sei lasciato un sacco di cose alle
spalle” la sua voce riverberava tutt’attorno a
loro. L’Assalto al Villaggio
della Foglia si stava lentamente dissolvendo, lasciando solo un vago
rumore di
sottofondo e una luce che derivava dagli ultimi rimasugli
dell’energia di
Temari. Il bianco del nulla si stava chiudendo su di loro,
scarcerandoli da una
parte del dolore provato da Gaara.
“Hai…
hai chiesto perdono per tutto quello che hai fatto… hai
offerto la tua vita al
villaggio e hai rischiato di perderla per proteggerlo”
quell’affermazione formò
un’ombra nello sguardo del giovane, ma Ino non se ne
curò. La sua voce era
sospinta dalla bramosia di dirgli cosa credeva potesse soccorrerlo da
sé
stesso.
“E…
durante la guerra, chiunque ha avuto modo di capire cosa ti
fosse stato
fatto.”
In
quel momento, anche l’ultimo scorcio del ricordo
svanì. Restarono loro due, la
luce candida e il silenzio. Ino deglutì, un fremito la
percosse come uno
schiaffo. Gaara aveva le mani ferme in alto, tenute per i polsi da lei.
Tuttavia, il suo sguardo bruciava come se tutto il fuoco e la rabbia
dell’evento passato si fossero riversati nel suo cielo
cristallino.
“Davvero?
E cosa mi sarebbe stato fatto, esattamente?”
la ragazza spalancò gli occhi,
trasalendo. Non si era neppure resa conto che era stato il giovane a
pronunciare la domanda, talmente le era arrivata affilata quanto il
lancio di
un kunai.
“Gaara…
ti hanno manipolato come se fossi un giocattolo”
poco prima che
concludesse la sua replica, il Kazekage strattonò i polsi
dalla sua presa. Fu
un movimento rapido, netto. L’erede del clan Yamanaka
percepì le dita frustate
con violenza. Si afferrò le mani una alla volta, inspirando
a denti stretti: la
pelle avvampava per il male.
“Così
le mie colpe sarebbero giustificate
perché qualche idiota pensava fossi
un esperimento divertente?” Ino fu ferita
da quella domanda, fredda nel
tono come le notti del deserto. Rialzò gli occhi dalle sue
mani per incrociare
lo sfarfallio delle fiamme in quello sguardo gemello al suo nella
sfumatura,
sebbene fosse molto più crudele.
Rabbrividì. In un istante provò
un’enorme vergogna.
“No
Gaara… non volevo dire questo.”
Quanto
sono patetiche le mie difese…
Ino
si sbugiardava già nel suo animo, aprendo la strada a
quell’espressione gelida
che si avvicinava piano al suo viso, impartendogli il silenzioso ordine
di
restare immobile. Non reagì nemmeno quando la mano di Gaara
salì alla sua nuca,
agguantandole la pelle con forza. Trasalì, gemendo dal
dolore.
Davvero…
nella tua mente le cose feriscono come nella vita reale.
Le
sue riflessioni amare trovavano verità in quegli occhi che
era costretta a fissare.
Le occhiaie di Gaara non erano altro che il limitare d’un
cerchio di fuoco. “Hai
una vaga idea di quanto piacere provassi
nell’uccidere? Nell’annullare
completamente un avversario fino a quando non restava altro che un mucchio
di carne e ossa?”
Le
iridi della giovane vibrarono, ma non potevano in alcun modo piangere.
Il cuore
le batteva all’impazzata, l’istinto le intimava di
muoversi mentre la paura la
frenava, mentre Gaara si accostava al suo orecchio soffiando una
sentenza che
dava nome alla più tremenda delle torture.
“Vorresti
provare queste emozioni sulla tua pelle?”
“No!”
La
voce di Ino le morì in gola. Ebbe giusto il tempo di
afferrargli le spalle,
prima d’esalare un gemito di dolore. Strinse
l’immagine del leader della Sabbia
che spariva. L’ultima sensazione tangibile a cui
poté aggrapparsi era la mano
del ragazzo ben salda sulla sua nuca, da cui era costretta a
precipitare nel
vuoto, dentro un universo estremamente pericoloso.
Sono
in balia dei pensieri di Gaara...
Come
lo pensò, sapendo bene di mostrare le sue riflessioni al
ragazzo che aveva
preso il controllo della sua percezione delle cose, la voce del giovane
la
circondò, conducendola in un panorama buio.
“Vorresti
vedere i miei primi omicidi dopo la morte di Yashamaru?”
La
voce di Gaara era cortese oltre ogni dire, eppure Ino ne avvertiva il veleno
addosso. Era una macchia scura che scivolava via da lei per plasmare
gli attori
di quello spettacolo imposto, le facce terrorizzate dei ninja della
Sabbia che
imploravano pietà e, in cambio, ricevevano il fracasso delle
loro ossa che si
spezzavano a causa della sabbia. La giovane Yamanaka
sospirò, alzando una
barriera difensiva contro quelle sensazioni dei ricordi, eppure ne
venne
investita comunque, quasi fosse un naufrago alla mercè del
mare.
Un
violento piacere l’assalì,
tramutandosi in un sospiro crudele, persino
dolce, da cui i suoi polmoni furono spinti ad allargarsi fino
al limite,
come se quelle morti improvvise avessero aumentato il suo spazio
vitale. Ino
singhiozzò, percependo quel suo corpo fluttuante, privo di
sostanza,
abbandonarsi verso quegli stralci di passato da cui era avviluppata. La
sua
vista perdeva contatto con la sua volontà e riproduceva
qualunque cosa Gaara
volesse mostrarle, senza celare nulla.
Così
tanta rabbia… così tanta sofferenza.
I
pensieri della kunoichi vorticarono pieni di tristezza. Parve che il
buio si
stringesse, opprimendola.
“Forse
non è abbastanza, in fin dei conti mi stavo semplicemente
difendendo… Vorresti
rivivere le morti dei genin durante l’esame di selezione dei
chūnin? La mia
indifferenza alle loro grida?”
Ti
prego Gaara… fermati.
La
sua richiesta era priva d’energia e lui non
l’ascoltò. Il buio diffuse le urla
strazianti dei ragazzini contro cui si erano sfidati nella Foresta
della Morte.
Genin che non aveva mai incontrato per pura fatalità e che,
ora, ritornavano in
vita soltanto per morirle di fronte con i loro pianti, con la sabbia
che li
annientava dentro i suoi sarcofagi. Un’altra ondata di
appagamento, questa
volta più fredda, la travolse al punto da svuotarla delle
sue emozioni.
Era
ciò che sentivi, Gaara?
Lui
non le rispose. Non l’apostrofò con quelle sue
domande garbate e altere. Le
spalancò la porta a una nuova scena del passato, non
soddisfatto delle sue
reazioni, del fatto che si fosse lasciata incatenare in quella prigione
di
incubi senza opporre molta resistenza. Così la
colpì usando l’unica arma
davvero efficace: i suoi legami.
L’oscurità
disvelò l’ultimo atto di una sceneggiata senza
capo, né coda: modellò il volto
impaurito di Temari mentre veniva attaccata da un arto di sabbia,
deformato in
una sembianza animalesca. I ricordi di Gaara le diedero tutte le
informazioni
sul contesto, relativo a quell’infruttuoso Assalto al
Villaggio della Foglia.
Ma quanto vedeva non faceva parte dei piani del Suono e della Sabbia.
Era uno
sfogo inaspettato. Il capriccio di un bambino.
Non
andare oltre…
Ino
rabbrividiva e scompariva in quella visione, nel gusto
vendicativo a cui
quel Gaara si era abbandonato colpendo la sorella. La ragazza era
talmente
provata da non percepire altro di sé stessa, se non quella
richiesta lieve che
tentava di articolare con la mente.
Non
ferirci entrambi in questo modo…
In
un baleno, quella visione cambiò obiettivo per prendersi
gioco della sua
ritrosia, per ottenere quella reazione disperatamente ricercata dal suo
carceriere. I sensi della giovane, completamente in simbiosi con quelli
del
Kazekage, balzarono su Sakura.
S’interessarono
di quella sua posa difensiva inutile, ancor prima di combattere. Vide
il kunai
alzato dell’amica. Fremeva insieme alle sue spalle, insieme
all’animo di Ino.
La sabbia deforme la raggiungeva. Il cuore di quel ragazzo antico
batteva
all’impazzata.
“Basta!”
Ino
tuonò con la paura di morire per
l’intensità della sua emozione. Aveva
squarciato il velo d’ombra credendo di gettarsi a proteggere
l’amica. Invece,
era di nuovo in quello spazio luminoso, di fronte a Gaara. Le mani
della
kunoichi tremavano aggrappate alle sue spalle. La sua vista era
proiettata
verso il basso, ma non c’era la patina lucida delle lacrime a
offuscarla. Aveva
due occhi vuoti. Un animo vuoto.
Il
Kazekage colse il brivido di quel suo corpo apparente.
Appoggiò le mani sulle
sue spalle chine, contenendo in parte il tramortimento che impediva
alla
kunoichi di concentrarsi, di riprendere contatto con la situazione in
cui lei
si trovava. Eppure, la voce del ragazzo non fu magnanima come il suo
gesto.
“Questo
è solo un assaggio… Yamanaka Ino.”
Aveva
la voce ferrea di quando l’aveva trascinata in quel viaggio
degli orrori. Il
respiro di Ino continuava a essere lento e carico di ansimi.
“Non
ti trovi di fronte a un giocattolo… ma a
un mostro.”
Ino
sbuffò. Il suo corpo s’allargava e si comprimeva.
La ragazza si percepiva un
po’ meglio, anche se era instabile, sul punto di distaccarsi
dalla mente del
Kazekage per colpa di un peso da cui era schiacciata.
“Vattene
da qui, prima che diventi il tuo peggior incubo.”
A
quel punto, un moto improvviso la scrollò, ma era
completamente diverso da
quanto aveva sperimentato. I suoi muscoli si contrassero attorno allo
stomaco,
spingendola a sospirare una risata flebile come riflesso del gesto. Con
lentezza, Ino rialzò gli occhi su Gaara osservando la sua
espressione
interdetta, sebbene fosse dotata di uno sguardo sempre battagliero.
Glielo
puntava addosso minacciandola, però era un tentativo vano. Lei
aveva capito.
Stirò
la bocca in un sorriso con cui sforzò i suoi muscoli
facciali al limite. Ogni
movimento, per quanto minuscolo, era una sfida contro la sua paura, la
sua
fragilità, il suo desiderio di andarsene. Con delicatezza
sollevò una mano sul
viso di Gaara, sfiorandogli la guancia. Toccò quella pelle
sempre priva
d’imperfezioni.
Il
silenzio regnava sulle mille domande che il ragazzo avrebbe voluto
soddisfare.
Fissava lo sguardo di Ino, ancora parzialmente vinto da quanto aveva
vissuto. In
esso, s’agitava una fiammella arrivata alla fine della sua
miccia, ma che non
rinunciava a lottare. Ino ignorava il suo stato prossimo
all’evanescenza
soltanto per palesare una serenità di cui non
c’era traccia in entrambi e che,
tuttavia, presentava lo stesso come se fosse l’unica emozione
che risiedesse
nel suo animo.
Per
chi lo fai, Yamanaka Ino?
Il
pensiero di Gaara aleggiò in entrambe le loro menti quale
un’illusione sottile.
La voce di Ino era più concreta.
“Kazekage…
Gaara” il suo tono divenne più
dolce scegliendo di chiamarlo per nome.
Il ragazzo era intimorito e il suo cuore sbraitava al posto di quella
sua
figura immobile. Le dita della giovane scesero dal volto fino alla base
del collo,
lisciando la nuca.
“Per
quanto tu possa sforzarti… per quanto tu possa ferirmi o
spaventarmi… non
potrai mai essere il mio peggiore incubo.”
Un
soffio che alimentò un altro tipo di fuoco nello spirito di
quel leader
giovane. Le sue guance arsero al posto degli occhi, dove
l’incendio di poco
prime s’era estinto. La kunoichi raggiunse con la mano i suoi
capelli, procurandogli
un brivido da cui era impaurito e catturato al tempo stesso.
“Vorresti
scoprirne il motivo?”
In
quell’istante, fu il turno del Kazekage di vagare nel cuore
di Ino. Tuttavia,
la presa della kunoichi era gentile. La pressione della sua mano sul
collo se
ne sarebbe andata alla minima ritrosia di chi era guidato fra quelle
visioni.
Pareva sussurrare: “Se non vuoi restare, non ti
tratterrò.”
Tuttavia,
lui si abbandonò a quel buio dove l’erede degli
Yamanaka lo guidava con la poca
energia di cui disponeva. Per questa ragione, ciò che il
giovane rimirò nel
palcoscenico creato dall’ombra era filtrato da un velo,
eppure egli non poté
fare a meno di restarne avvinto.
Era
Ino mentre ascoltava il pianto di sua madre dall’altra parte
di una porta
chiusa, subito il dopo il funerale del padre. Era lei, oppressa
dall’impotenza,
quando appoggiava mazzi di fiori, pesanti come macigni, sulle tombe di
Inoichi
e del padre di Shikamaru. Aveva il sapore salato delle sue
lacrime sulla
lingua dopo una notte d’incubo, dove gli amici della giovane
erano morti per
mano di ninja nemici senza una forma precisa. Gaara si accorse che
stavano
volgendo il tempo all’indietro, perché visse una
rabbia crudele, vendicativa,
udendo la notizia che colui che aveva ucciso Asuma era sepolto, in
pezzi,
nella proprietà dei Nara.
Quella
furia, un fuoco di paglia, si dileguò nel ricordo di una
visita fatta assieme
ai compagni di team all’ennesima tomba, quella del maestro.
Le sue emozioni
si venarono di biasimo mediante il suono di una conversazione fra lei e
Shikamaru.
“Se
fossi stata più forte… il nostro maestro sarebbe
ancora qui” una
scrollata di spalle del
compagno di team accompagnò una replica laconica, la quale
celava in malo modo
un’identica vergogna.
“Non
possiamo essere tutti Naruto, o Sakura.”
L’immagine
dell’amica di Ino si materializzò di fronte a lui
e sentiva che lei la scrutava
con amore e un profondo senso di colpa. Sakura era ben vestita, bella
negli
abiti mondani con cui aspettava un assente seduta a una panchina. Gaara
comprese di essere tornato in un tempo recente, in cui la voce di
Sakura
fuoriusciva adulta dalla bocca piegata in basso: “Me
lo dovevo aspettare…
Lui non viene mai quando c’è il
sole.”
Il cuore di Ino si stringeva
attorno a quell’immagine
del passato, eppure attuale a ogni nuovo incontro con l’amica
di sempre. Rivisse
con lui tutte le giornate passate a vedere Sakura che aspettava un
ragazzo di
cui non c’era traccia. Condivise con lui la frustrazione per
quel ninja che
anche lei aveva amato e di cui intravedeva il profilo nelle ombre. I
suoi lineamenti
mutarono nel viso altrettanto pallido di un altro ninja della Foglia,
di cui
Gaara apprese il nome grazie al sussurro che percepì nel
cuore di Ino e che
strinse il suo in una morsa.
“Sakura…
Sai… perché non potete essere felici?”
In
quell’ultimo turbinio di sensazioni, sempre più
deboli, il Kazekage riemerse
dall’oscurità per tornare alla luce. Ino lo
fissava di nuovo sorridendo. La sua
presenza era più distante e inafferrabile. Lui la scorgeva a
malapena dietro un
velo che si scioglieva sulle sue guance. Quelle emozioni, quei
sentimenti e
ricordi l’avevano investito in pieno, pur col loro flebile
tocco.
La
kunoichi spostò le dita dalla sua nuca. Ne
avvertì l’assenza tramite un brivido
di freddo.
“Pensavi
che avrei avuto paura nel mostrarti tutto questo? Che avrei provato
imbarazzo
per tutte le mie stupide preoccupazioni?”
No
Ino…
Quel
pensiero incerto pareva una scusa sussurrata vergognosamente. Gaara le
teneva
ancora una spalla. L’altra mano era andata ad asciugare il
pianto sul suo viso.
Con un gesto delle dita, Ino sollevò con dolcezza il mento
di Gaara perché la
guardasse. Era eterea, sfuggente come un miraggio. “In un
certo senso… sono
contenta” la sua voce e il suo sorriso perdevano
consistenza. La spalla
della kunoichi scivolava dalla presa del ragazzo.
“Persino
una kunoichi inutile come me… ha tanti scheletri
nell’armadio.”
Un’ultima,
faticosa, ammissione. Ino sentì la propria mente cedere
definitivamente. Cadde
all’indietro, perdendo contatto con il mondo di Gaara.
Probabilmente, sarebbe
piombata in uno stato d’incoscienza da cui, poi, si sarebbe
risvegliata
soltanto una volta raggiunto il suo corpo reale, impedendole di portare
a
termine la sua missione. La tristezza che avvertiva nel suo cuore era
tutta per
quel fallimento grandissimo: non sarebbe stata in grado di salvare
Gaara.
Perdonami
per la mia debolezza…
Il
suo pensiero spirò da lei raggiungendo colui che la stava
afferrando prima che
crollasse nel vuoto. La trasse di nuovo a sedere, fra braccia piene di
calore da
cui traspariva ancora il vago odore della brezza marina, di fiori
appena
sbocciati alla luce del sole. La ragazza si appoggiò al
petto di quel compagno
di vicissitudini, riacquistando il respiro al ritmo del cuore che
batteva piano
sul suo orecchio. Esalò un sospiro languido. Le mani del suo
salvatore le
sorreggevano la schiena, evitando che ricascasse.
“Ino…
sono io a doverti chiedere perdono.”
Gaara
le mormorò all’orecchio suscitandole uno
sfarfallio in tutta la sua presenza.
Era piacevole come una giacca appoggiata sulle sue spalle per
proteggerla dal
sole. Lei sorrise. La fatica e quella miscela di sensazioni non le
concedevano
di riaprire gli occhi.
“Non
c’è nulla che debba perdonarti,
Kazekage” rispose in un unico fiato. L’evanescenza
della sua voce spinse il ragazzo a portare una mano sul suo capo,
offrendole
una sensazione di tepore ristoratore. La kunoichi si rese conto che
soltanto il
tocco del leader della Sabbia la serbava da un freddo glaciale, da cui
sarebbe
stata costretta ad andarsene perché intorpidiva la sua
volontà.
“Sono
io l’intrusa in questo mondo… mio padre mi ha
insegnato che, nella mente,
sentimenti ed emozioni sono vissute con
un’intensità maggiore di quanto appaia
esternamente…
se avessi voluto farmi davvero del male, invece che spaventarmi, l’avresti
fatto.”
Alla
fine di quella spiegazione, lei riuscì a sollevare il viso,
aprendo piano gli
occhi sulla faccia arrossita del Kazekage. La sua espressione era tesa,
persino
preoccupata, eppure lei non ne era toccata. Si sentiva… felice,
in balia
di una marea da cui era trasportata a riva.
Anche
se non volevi, Kazekage… alla fine ti ho capito.
Risistemò
il volto sull’incavo del collo del ragazzo, già
allo stremo delle proprie
forze.
“Ino…
come stai? Riesci a muoverti?” lei sbuffò esalando
una risata effimera quanto
le sue energie. “Sento che potrei precipitare da un momento
all’altro… anche se
non vorrei” il Kazekage s’irrigidì
mentre la stringeva di più, riversando sul
suo spirito un calore gentile tramite cui mitigava i suoi brividi.
“Allora…
lascia che mi prenda cura di te.”
In
un baleno, un nuovo vigore l’avvolse. Aveva lo stesso calore
di cui Gaara le
aveva donato un accenno con il suo abbraccio. Mutava rapidamente per
diventare
una parte di lei: la sensazione si adeguò al suo fiato,
alleggerendone il peso
a ciascun movimento delle spalle. Il battito del cuore
echeggiò placido, sanato
dalla fragilità causatagli dal freddo.
La
kunoichi si sentiva meglio alimentandosi di quell’energia
curativa, ma poi
accadde qualcosa. La sua mente tornò lucida, partecipe di
quanto viveva in
quello spazio a immagine del Kazekage. A quel punto, lottando contro il
tepore
e il suo stesso spirito di sopravvivenza, la giovane Yamanaka
alzò il viso dall’abbraccio
di Gaara. Cercò a tentoni la sua mano, siccome la vista
tardava a riappropriarsi
del suo compito.
Con
una fatica immane, spostò le dita del leader della Sabbia
dai suoi capelli
mentre le sue palpebre sbattevano sopra i suoi occhi, su cui si
rifletteva il
viso sfuocato e sorridente di Gaara.
“Cosa
sta succedendo?” chiese. Lui non rispose a parole. Come
trattenuto da una
grande stanchezza, il suo pensiero le giunse alla mente. Sto
solo cercando
di rimandarti indietro… erede degli Yamanaka.
La
sua risposta difficoltosa le indusse l’urgenza di riottenere
il controllo della
situazione. La giovane Yamanaka inspirò profondamente,
scuotendo via gli ultimi
rimasugli dei brividi da cui la sua percezione era stata turbata. Si
concentrò
su quel flusso d’energia che proveniva dal Kazekage e lo
arrestò.
Lei
era concreta come se si trovasse nella vita di tutti i giorni, ma Gaara
restava
effimero, la sua presenza sempre più labile quasi fosse un
pensiero che la
kunoichi volesse visualizzare a tutti i costi. In preda alla
preoccupazione, la
ragazza combatté contro sé stessa e contro
l’altro per redistribuire quella
forza vitale da cui lui si stava separando, ma dovette faticare
parecchio per
vincere la sua volontà d’acciaio.
Così
tanta fatica per costringerti a sopravvivere… e dovresti
essere tu il mostro?
Quella
riflessione, da cui si distese un ghigno a denti stretti sulla bocca di
Ino, fu
in grado di soverchiare la ribellione del Kazekage. L’aveva
udita, siccome entrambi
non riuscivano a ripristinare del tutto il controllo sulle loro
coscienze,
talmente erano spossati da tutto.
La
sua resistenza svanì, conquistata dalla determinazione di
Ino, la quale si
espanse in quell’immenso bianco plasmando un ambiente
familiare su cui lei
potesse sviluppare le proprie abilità innate:
sull’orizzonte si delinearono le
forme delicate dei fiori, contornate dall’architettura
geometrica della serra
posta dietro il negozio di famiglia. Il profumo delle piante promanava
intenso,
con il medesimo effetto di un toccasana. Il sole sfiorava le loro
schiene,
sebbene fosse filtrato dalla stoffa bianca della struttura. Ma il
sudore che
entrambi avvertivano sulle loro schiene non era dovuto alla calura del
sole.
Gaara lo sapeva bene.
Per
questo, il suo volto ora nitido, così come il resto della
sua immagine
corporea, palesava disappunto e tristezza. Non vi era traccia di rabbia
in lui,
ma quell’emozione si era impressa nel suo animo esasperandone
la voce.
“Ino…
se non lascerai che io ti doni la mia energia… morirai”
la kunoichi
trasalì spontaneamente a quella sentenza di morte. Una
reazione comprensibile a
una prospettiva così misera. Ma non se ne curò,
identificando la preoccupazione
dell’altro come uno stratagemma per raggirarla.
“Risparmiami
il teatrino, Kazekage… ti sono grata per avermi curata, ma
non c’è bisogno che nessuno
di noi due muoia: posso tornare indietro quando voglio per recuperare
le forze…
non c’è alcun bisogno che tu compia un sacrificio
eroico” il leader
della Sabbia fu colto di sorpresa. La fissò intensamente,
poggiandole una mano
sulla guancia per girarle il viso verso il suo. Ino sostenne quello
strano
esame non abbassando mai gli occhi, nonostante sentisse le guance calde.
“Quindi
non lo sai… credevo avessi percepito il cambiamento, ma
forse non ne hai avuto
modo per via di tutto quello che è
successo…” il ragazzo ponderava ad alta
voce, manifestando un’abitudine che la giovane Yamanaka
trovava simile a quella
dell’Hokage di ragionare fra sé e sé
anche in presenza degli altri. In entrambi
i casi, lei soffriva un identico tipo di nervosismo.
“Insomma,
Kazekage! Hai intenzione di dirmi cos’è che sai,
una volta per tutte!?” sbottò
liberandosi dalla sua presa gentile. Al seguito del suo animo
frustrato, i
fiori della visione sfarfallarono senza che il vento li avesse
sfiorati, frusciando
in un mormorio di foglie e petali. La terra sotto le loro ginocchia
divenne più
fredda e persino Gaara le apparve più altero, mantenendo la
mano a mezz’aria
per un lungo istante, quasi avesse perso qualcosa che non credeva gli
sarebbe
sfuggito.
Solo
quando rimise la mano sopra il ginocchio, tastandosi il polso per
controllare
la stabilità della sua presenza in quella visione, decise di
parlare usando un
tono meno esasperato. Sembrava un’inutile difesa contro una
tempesta.
“D’accordo,
Yamanaka… ti dirò tutto”
si schiarì la voce e, per una frazione di
secondo, la ragazza si dispiacque di aver fatto trapelare la sua
stanchezza,
mettendo a rischio quel fragile equilibrio in cui condividevano un
flusso vitale
di cui avrebbero fatto volentieri dono l’uno
all’altro. Ma lei aveva creato
quello spazio affine alla sua memoria proprio per evitare che il
ragazzo
potesse dissipare la propria presenza a piacimento. Si
mostrò tranquilla, pur
col cuore che rintoccava pesante, attendendo quelle parole che, una
volta
udite, avrebbero spezzato il suo spirito.
Il
sole pareva offuscato da una nube passeggera. Ino comprese da quale
giornata
avesse raccolto la serra in cui passava molto del suo tempo libero.
Udì all’esterno
un certo vociare indistinto, affrettato dalla cadenza di passi rapidi e
dal
clangore degli attrezzi di giardinaggio spostati in modo sbrigativo.
Un
tuono distante rimbombò nelle loro casse toraciche.
L’ultimo cinguettio d’un
uccellino coraggioso sfidò il maltempo, mentre il primo
picchiettio della
pioggia si tuffava sul materiale idrofobo sopra le loro teste. Gaara
riprese a
parlare una manciata di secondi dopo, allineandosi ai lampi del
temporale.
“Non
riesco più a svegliarmi.”
All’inizio,
la kunoichi non capì esattamente cosa Gaara le stesse
rivelando. Lo fissò
pensando che aveva un aspetto nostalgico in quell’angolo
delle sue memorie. Le
appariva una sorta di giardiniere a cui la pioggia evocasse le
preoccupazioni
dell’autunno e dell’inverno. Ino ci
rimuginò sopra talmente tanto, senza che il
ragazzo la interrompesse, da accorgersi solo in quegli istanti della
mancanza
di qualcosa in quella figura baciata da un sole
che s’insinuava fra le
nubi leggere.
L’assenza
dell’ideogramma amore la colpì
meglio di quanto le parole del Kazekage
non avessero ottenuto. La ragazza ritornò indietro, al
momento in cui aveva scorto
il giovane da solo, nel deserto, rinchiuso nel suo elemento prediletto.
Anche
allora, rammentò, non aveva visto quella parola sulla sua
fronte a cui il
leader della Sabbia s’affidava, facendo sì che lo
rappresentasse prima della
sua voce, simile nell’impatto ai suoi capelli rossi. Non
sapeva perché non ci
fosse, né riusciva a chiederlo al suo portatore.
Semplicemente,
sfiorò con la mano il suo viso, sempre così privo
d’imperfezioni e, ora, di
calore. “Gaara…”
ripeté il suo nome come se potesse cancellare la loro
angoscia.
Strisciava le dita sulla guancia del ragazzo accarezzandone lo zigomo,
anche se
non c’erano lacrime a bagnarli il viso. Gli ultimi segni di
quel gesto inusuale
per lui erano sepolti nel suo animo.
“L’ho
cancellata stanotte… poco prima che andassi sul terrazzo
della Residenza” Gaara
spiegò, in preda a un desiderio di non lasciare nulla di non
detto. Lui, che
parlava raramente, lo faceva per sormontare il senso di colpa che Ino
provava.
“Non
mi ricordo perché l’ho fatto… non so
neanche se avesse senso quello che avevo
pensato… non riesco a togliermi dalla testa che doveva
essere un esame che ho
fallito” lentamente, per non interrompere quel corso di
pensieri, Ino raggiunse
la fronte tratteggiando con l’indice le linee del kanji
sparito dalla realtà e
dalla mente.
Gaara
s’abbandonò contro il palmo della sua mano
causandole un fremito lungo la
schiena, una stretta allo stomaco a cui non poteva dare un nome
soltanto per
paura. La ragazza la negò, sigillando le sue emozioni dentro
una barriera
impenetrabile anche per il ninja di fronte a lei.
Non
è la mia storia ad avere importanza.
Si
scambiarono uno sguardo. Il Kazekage le sorrise, dimenticando per un
istante il
peso del suo discorso.
“Quella
creatura che tu conosci con il nome di Nocnitsa…
me lo ha rinfacciato una
volta che mi ha imprigionato qui. Continuavo a sentire la mia voce da
bambino
che mi puniva per le mie scelte… sentivo un odore
nauseabondo… vedevo occhi
rossi dappertutto” il giovane leader deglutì
prendendo fiato. Un movimento
impercettibile gli scuoteva le spalle, qualcosa che si stava impegnando
a
mantenere sotto controllo.
“Ho
cominciato a vedere il passato… tutto il male che
ho causato… fino a
quando non sono più riuscito a separarmene” la
pioggia era insistente. Si
accompagnava ai rombi di tuono e al luccichio dei lampi.
Un’aria fresca
penetrava dall’ingresso della serra. Cominciò a
spazzare via i colori di quella
scena, riportandoli al bianco. Ino era stanca, per quanto cercasse di
respingere
la sua spossatezza, le restavano poche energie.
Gaara
le afferrò il polso che sosteneva la sua mano intenta a
sfiorargli la fronte.
Il cuore della kunoichi palpitava contro i polpastrelli del giovane,
ricordandole quanto poco tempo restasse a entrambi.
Dov’è
il tuo cuore, Kazekage?
Lui
non ribatté a quel pensiero che frullò fino alla
sua coscienza. L’attirò a sé
mentre il ricordo di Ino perdeva consistenza, lasciando soltanto
l’odore umido
d’una tempesta lontana.
Gaara
le riprese il viso con la mano. Erano di nuovo nella situazione di
prima, come
se lui non avesse detto nulla. Lei gli strinse le spalle
istintivamente, sincerandosi
che nessuno dei due sparisse nel vuoto.
“Ho
cercato di dimenticare quanto potevo, sperando di salvarmi da me
stesso… ma
poi sei arrivata tu a ricordarmi che cosa mi stesse
succedendo… Sei così
ostinata, Yamanaka Ino…”
Come
un cactus in mezzo al deserto…
Il
pensiero del Kazekage evase il suo controllo giungendo alla mente della
kunoichi. Lei arrossì, cercando di evitare che lui se ne
accorgesse, ma non
poteva più distogliere il viso dal suo. Era intrappolata,
eppure… qualcosa la induceva
a ritrarsi. La vergogna la stava spingendo lontano
da quel volto dagli
occhi socchiusi, la cui bocca rappresentava un desiderio inespresso.
“Avrei
voluto risparmiarti qualunque delusione.”
Quella
frase la fece reagire: in essa si celava il motivo della fretta del
ragazzo,
del modo in cui l’aveva avvicinata al suo volto sperando di
annullare le sue
ultime resistenze. Ma Ino si ribellò spingendolo piano,
evitando che tutto
potesse chiudersi in quel modo.
“Ti
prego Gaara… aspetta” la voce
della kunoichi era fragile, anche se
cercava di conservare un tono dignitoso, da ninja del clan Yamanaka
quale lei era
e quale lo stesso leader della Sabbia l’aveva chiamata. Lui
sospirò, consapevole
di quanto sarebbe capitato.
Perché
Ino? Perché vuoi che ti faccia ancora del male?
La
giovane non l’ascoltò. Proseguì:
“Continui a insistere che l’unica soluzione
sia sacrificarti… ma ti ho già spiegato che non
è l’unica strada percorribile.”
Non
hai finito di dirmi tutto, Kazekage…
La
voce e i ragionamenti di Ino si miscelarono, mostrando di nuovo le
altre
soluzioni possibili. Gaara sapeva tutto del piano, del fatto che sua
sorella e
Shikamaru stessero setacciando il Villaggio della Sabbia alla ricerca
di chi lo
aveva imprigionato in quello stato. Era certa che ci fosse un modo per
cancellare
gli effetti della tecnica che lo stava bloccando dentro la sua mente,
così come
era sicura che lui sapesse della presenza dei ninja medico, di suo
fratello e
dell’Hokage al di fuori, pronti a sostenerli nel caso in cui
le loro energie
vitali fossero venute meno. Eppure, lui si rifiutava di prendere in
considerazione
tutti quei dettagli di fondamentale importanza… per
quale motivo?
Infine,
Gaara esaudì la sua richiesta. Non la guardava
più, ma per Ino fu quasi meglio:
l’umiliazione aveva iniziato a stringerle il petto e a
colorarle le guance.
“Ino…
la strega ha preso il controllo del tuo corpo…
lei e il me stesso del
passato stanno attaccando mio fratello e gli altri… Ho
intravisto il piano di
quella creatura prima che la scacciassi da te.”
A
quella rivelazione finale, la kunoichi fu svuotata da ogni sentimento.
“Capisco…
quindi è per questo che volevi spaventarmi,
perché vuoi sacrificarti… non
volevi che soffrissi per la mia incapacità”
la sua voce usciva fredda.
Ripensò al ricordo del padre che l’aveva
incoraggiata quando s’era liberata dalla
sabbia del Kazekage che avrebbe dovuto rispedirla nel suo corpo. Le
parve così
effimera, così stupida, da percepire
qualcosa che si frantumava nel suo
animo, condannandola a una tortura pari alla carne dilaniata dalle
spine dei
cactus. Era stata un’ingenua… era…
Davvero
sono inutile…
Gaara
intervenne prima che la sofferenza la chiudesse completamente dentro
sé stessa.
“Ino… ho bisogno che tu rimanga
forte… posso chiederti questo favore, da
parigrado dell’Hokage?” la domanda aveva
la nota fresca della fronte del
ragazzo premuta contro la sua, delle sue dita che le sfioravano i
capelli. La
ragazza riprese un attimo il controllo per scorgere quello sguardo di
un cielo
sempre uguale a sé stesso. Lei deglutì. Il pianto
minacciava di rompere le sue
fragili barriere, ma lei non aveva più alcun diritto di
manifestarlo.
Come
vuoi, Kazekage… Pensò
consapevole d’essere una kunoichi ridicola persino
nell’eseguire una richiesta
semplice come quella. Prese un respiro profondo, incamerando nello
spirito quel
poco di energia che conservava nel fondo delle sue riserve. A Gaara
bastò, nonostante
sapesse che non sarebbe servito a placare la sua sofferenza.
“Ino…
ormai sono abituato all’idea del sacrificio: sarei dovuto
andarmene da questo
mondo già alla nascita.”
Kazekage…
perché devi essere così antipatico in un momento
come questo?
Un
singhiozzo le sfuggì, ma trattenne il resto del pianto in
sé stessa. Ardeva
ancora l’imbarazzo per essersi fatta beffare da una creatura
tanto ignobile. “Moltissime
persone hanno dato la loro vita per me… perché
non dovrei ricambiare il favore?”
Non
lo merito…
“Kazekage…
dovrei essere io a compiere questo gesto… sono io la
responsabile della fuga di
Nocnitsa e del fatto che abbia preso il controllo del mio
corpo… manipolare la
mente è la mia specialità… è
l’unico motivo per cui mi è stato chiesto di fare
questa missione” la kunoichi provò a
dissuaderlo con quella sua voce rotta
per colpa della sua stessa incompetenza. Ma nella risolutezza dello
sguardo del
ragazzo non c’era posto per quelle recriminazioni.
“Senza
di te, erede degli Yamanaka… non ci sarebbe nessuno che
possa salvare mio
fratello o gli altri… anche se mi donassi la tua vita, non
sarei comunque in
grado di svegliarmi” fu inutile arginare quel fiume che ormai
straripava sulle
sue guance. La consapevolezza che non vi fosse alternativa, distrusse
le ultime
difese di Ino. Pianse in silenzio, lasciando che le sue lacrime
parlassero più di
tutte le sue giustificazioni, dei suoi sensi di colpa.
Gaara
era stanco. La sua forma era inconsistente, quasi un miraggio in uno di
quegli
anfratti di deserto dove il sole s’abbatteva inclemente. Ogni
aspetto di quella
situazione paradossale, d’altronde, non li aveva risparmiati
da nessun tipo di dolore.
“Capisci
perché non avrei voluto dire nulla?” Gaara
sorrideva asciugando le sue lacrime
con la manica della tunica. Con l’altra mano le sostenne la
schiena, conscio
che sarebbe bastato una minima incertezza per farli cadere entrambi nel
vuoto.
“Non
volevo farti del male… non dopo tutto quello che
ti ho fatto passare qui.”
L’unica
mia fonte di sofferenza sono io Kazekage… tu non
c’entri nulla.
La
ragazza risparmiò loro il suono della sua voce incrinata.
Aveva le braccia
conserte, strette a mantenere quel poco di dignità di cui
poteva momentaneamente
rivestirsi. Era un bersaglio facile per l’ultimo desiderio
del Kazekage. Le
sollevò il mento per incrociare di nuovo i loro sguardi,
dopo che lei aveva
fissato ostinatamente le sue ginocchia.
Il
giovane non era toccato dalla durezza dei suoi pensieri. Voleva portare
a
termine il suo gesto disperato il prima possibile, perciò le
sue riflessioni
scappavano dai confini della sua mente affaticata dalla perdita delle
sue
ultime energie.
Senza
rendersene conto, fu la causa del fallimento dei suoi stessi piani. Da
quei
pensieri liberi d’ogni remora, la kunoichi trasse la forza di
coltivare una
ritrovata speranza.
All’inizio,
aveva inteso i pensieri di Gaara senza ponderarli troppo. Si
schiantavano
contro il suo animo congelato dall’umiliazione. Si era
lasciata sospingere
verso di lui, incapace di resistergli, percependo un fiotto di calore
da cui
era irrorata mediante l’abbraccio del Kazekage.
Poi,
un minuscolo pensiero, nascosto in mezzo agli altri frenetici da cui la
sua
mente era assediata, le apparve estraneo in mezzo a una strategia
infallibile.
Là dove Gaara demoliva il suo rifiuto ad accettare quel
sacrificio di cui si
riteneva immeritevole, quell’emanazione delle riflessioni del
Kazekage s’introdusse
lieve come una carezza.
Fra
tutti coloro che avrei potuto conoscere… sono felice che
l’ultima sia proprio
tu, Ino…
Quell’energia
tiepida, che si diffondeva dal Kazekage, si tramutò
d’improvviso in un fuoco
immenso. Dove il ragazzo aveva tentato di blandirla con la gentilezza,
Ino s’impose
premendo le dita sulle sue spalle. Il gesto faceva più male
a lei, la quale rinvigoriva
la presa sempre di più, eppure era il giovane leader della
Sabbia colui ad
esserne colpito maggiormente.
“Cosa…”
aveva cominciato a domandarle, ma la voce della kunoichi era
più chiara della
sua confusione. Nel nulla candido da cui erano avviluppati
tornò la pioggia, il
temporale, ma s’insinuò anche il profumo dei fiori
e la dolce apparizione del
sole fra le nubi.
“Kazekage,
ti chiedo un favore… guardami”
lui aveva smesso di farlo quando la
strana reazione della giovane l’aveva sorpreso. Ino si chiese
cosa stesse
scorgendo ora che rialzava lo sguardo dalle sue spalle afferrate con
forza sul
suo viso lavato dal pianto. Forse era pulito come uno specchio e lui
poteva
riflettersi in quelle iridi azzurre, di un cielo che celasse moltissime
sfumature oltre l’orizzonte. La kunoichi era consapevole che
anche lo sguardo
del giovane nascondeva troppe sfaccettature importanti per essere
perse. Perciò
sorrise, guadagnandosi una piccola manifestazione di quella aurora
nascosta, apparsa
con il rossore sulle sue guance.
Ino
s’avvicinò al suo viso, avvertendo calore e
freschezza nell’atmosfera di quel
temporale estivo. Permeava le loro fragili presenze create dalle loro
menti e
così segnava i loro animi avvinghiati da tante emozioni,
simili alla rabbia del
tuono e alla speranza del sole che faceva capolino fra le nuvole.
Gaara…
non tutto è perduto.
Nel
battito di ciglia che susseguì a quel pensiero
deliberatamente scappato dalla
mente della ragazza, nel sospiro stupito del leader della Sabbia, Ino
chiuse la
distanza lambita da entrambi premendo le labbra su quelle di Gaara.
Salì con le
braccia al suo collo, spingendolo ad abbandonarsi contro di lei.
Il
ragazzo sobbalzò e persino un gemito sorpreso
sfuggì dalla sua gola. Tuttavia,
non si ritrasse. Con lentezza, seguì la curva delle braccia
di Ino per cingerle
le spalle. Risalì al suo viso per sfiorarle le guance.
In
quei momenti brevi trascorse tutta una vita. Erano frammenti di
ciò che era
stato: era il ricordo d’un cespuglio di trifogli che nasceva
con la kunoichi e
buttava un nuovo germoglio con il crescere della sua controparte umana.
Le sue
fioriture e le sue momentanee perdite di freschezza erano in simbiosi
con le
conquiste e i fallimenti di Ino.
Era
cresciuto rigoglioso quando la kunoichi s’era affacciata per
la prima volta
nella vita di Sakura e aveva perso qualche foglia alla rottura del loro
legame quasi
fraterno. S’era rinvigorito quando avevano ritrovato la pace.
L’aveva consolata
quando l’aria si era impregnata di fumo acre, quando le
speranze s’erano assottigliate
all’inizio della guerra. Era il vero contrappunto di quella
kunoichi i cui
pensieri ora si tingevano di speranza.
Gaara…
La tua vita non è vana.
Solo
allora sentì l’animo del giovane davvero scosso.
In lui albergava un desiderio
che non osava disvelare e che pure lo spingeva ad aggrapparsi a lei
fino quasi
a unirsi alla sua mente. Aveva ancora un sacco di proteste e
preoccupazioni con
cui scacciava il piano che Ino gli stava mostrando, eppure le
rassicurazioni
della kunoichi erano più forti.
Il
Kazekage spariva per consolidarsi al fianco della giovane che
così insistentemente
gli prometteva l’alba dopo la notte.
Mi
fido di te, Ino.
Un’ultima
stretta da parte di quel corpo che più non esisteva. Era
l’accettazione di quella
soluzione disperata che entrambi potevano sostenere soltanto con tutte
le loro
forze.
Non
posso ordinarti nulla, ninja di Konoha… posso chiederti
soltanto un altro
favore: sopravvivi… te ne prego.
Lei
sorrise, ma anche la sua bocca spariva come il resto dei loro corpi.
Non le
sarebbe più appartenuta fino a quando non avesse portato a
termine quel
tentativo di mettere in salvo tutti coloro che amavano.
Vedrai…
ne usciremo insieme.
Così
rassicurandolo, salirono oltre il bianco della mente immacolata del
ragazzo,
perché avevano perso molte delle loro forze per ottenere
quel risultato. Le
loro volontà viaggiavano sempre più in alto, per
toccare la superficie di quel
mondo racchiuso dietro i confini d’una maschera di cera.
Fu
un risveglio più brutale di quanto Ino immaginasse. I suoi
nuovi occhi si
spalancarono sulla notte del deserto. Il suo respiro estraneo
riempì i polmoni
di un corpo che non le era familiare. Quando
s’issò a sedere, fissando a fatica
uno strano panorama dove la sabbia ondeggiava ovunque intrappolando i
ninja
della spedizione, un solo collega della Foglia s’accorse del
suo ritorno. La
chiamò con il nome che apparteneva a quella forma in cui ora
albergava.
“Kazekage!
Sei tornato!”
Continua
nel Capitolo VIII: T’amai
perché mi ricordasti la primavera
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