I
giardini di marzo
Le siepi ai lati del
viale d’ingresso di Villa Malfoy conducevano il suo incedere tranquillo, nell’ordine
geometrico di incantesimi da giardinaggio ben congegnati. Il rigore esistito in
quella dimora sopravviveva nelle foglie di un verde brillante, incastrate
nell’inaspettata calura di un marzo odoroso. Lo sguardo, lontano, abbracciava chiome
altissime, sullo sfondo della campagna inglese.
Harry procedeva
lasciandosi alle spalle la casa che era stata nascondiglio di efferatezza e covo
oscuro. Dell’ultima volta che ci era stato, un anno prima, ricordava il timore
per l’amica che aveva vissuto la sorte peggiore, su un tappeto imbrattato di
sangue sotto la furia di una strega folle; non aveva mai voluto che qualcuno
soffrisse o morisse per lui, e molti l’avevano fatto, e lui era sopravvissuto.
Allora, in quel marzo, i giardini erano di un’eleganza spettrale e non era
stato un coetaneo ospitale ad accogliere il loro arrivo.
Quando aveva accettato
quella missione, un pensiero era volato a Hermione, al sicuro nel caldo
abbraccio di una scuola ricostruita dalle macerie, la sua amica che non aveva
seguito lo stesso percorso e perciò non si sarebbe ritrovata intrappolata in un
carcere di memorie. La sua uniforme da apprendista Auror, tessuto chiaro e
ruvido, rifletteva i pallidi raggi di sole come le divise scolastiche non
avevano mai fatto, e lui aveva smesso di portarne una prematuramente.
Al suo fianco, il padrone
di casa lo accompagnava verso il confine della proprietà dei Malfoy. Anche lui
era finito prima del previsto in un ruolo adulto, ma non aveva scelto: con
Lucius Malfoy condannato alla reclusione ad Azkaban, suo figlio Draco doveva
amministrare una casa persino troppo grande per il vuoto che Harry aveva spiato
in quelle stanze buie.
«Non riceverai altre
ispezioni dal Ministero» si sentì in dovere di dirgli, come a scusarsi per aver
invaso la sacralità della sua solitudine. In quelle precedenti, in cui Harry
aveva accompagnato i propri superiori, nessuno l’aveva fatto; nell’ultima, una
semplice formalità che era possibile affidare pure a un allievo, era solo con
lui.
Draco Malfoy si fermò,
con le mani nelle tasche e i piedi sul grigio della pietra. Quello delle sue iridi
era macchiato di stanchezza, ma le occhiaie che le contornavano non erano
profonde come quelle spiate nel bagno di Mirtilla Malcontenta. Anche lui si
stava riprendendo dalla guerra, benché avesse sofferto meno di altri. Harry, che
pure aveva ottenuto tristi primati, non cercava mai competizioni sul dolore, ma
solo nello sport, e quelle più entusiasmanti erano state con lui.
«Non sono state le visite
più spiacevoli alla mia casa negli ultimi tempi.»
«La mia, almeno, è stata
più rapida di quelle di Voldemort» commentò, per tentare di sciogliere con la
leggerezza l’intreccio dei suoi umori. Non c’era mai stata audacia nelle azioni
dell’intera famiglia Malfoy, si erano limitati ad accogliere entrambi i tipi di
visita, piegandosi alle circostanze. L’unico sprazzo di ribellione, ineffabile
e infinitesimale, era esistito nelle parole incerte del compagno di scuola che
non si era detto sicuro di riconoscerli.
La mascella di Malfoy si
irrigidì per un singolo istante, nell’udire il nome che era il “Signore Oscuro”
nella sua mente e nelle sue colpe, lo stesso che aveva usato nel parlare
davanti a una giuria in un’aula di tribunale, mentre Harry era lì ad assistere.
Poi il giovane ribatté, simulando insofferenza: «Intendi impormi ancora a lungo
la tua presenza?» Se quella fosse stata reale, non era nella posizione di
renderla palese, per i suoi conti appena riparati con la giustizia, e allora
doveva essere fittizia, la fioca irritazione che accese le sue parole. Harry si
domandò se, nel profondo, Draco avesse trovato la sua presenza non del tutto
intollerabile. Una volta, Draco Malfoy avrebbe affidato le provocazioni a un
tono insinuante e un ghigno esasperante, ma in un mondo nuovo le sue labbra
esitavano a compiere movimenti più che accennati. Harry ne seguì con gli occhi,
per un istante, la piega di carne sul viso pallidissimo.
Se avesse avuto il
coraggio di imitare spettacoli adolescenziali che aveva scrutato con avido
interesse, avrebbe atteggiato la bocca in una linea ammiccante e insinuato “Ti
dispiace?”. Invece si limitava, sconfitto, a giocare con i tarli nella sua
mente e disse solo: «Non ho trovato nessun manufatto illegale durante l’ultima
perquisizione e il tuo caso è stato chiuso dal Wizengamot. Sei un uomo libero,
Malfoy.»
E sei un uomo,
ma questo Harry non l’avrebbe rilevato a voce alta, dolorosamente consapevole
del colore impossibile dei suoi capelli corti, del torace piatto che rammentava
con vivida chiarezza a cavallo di una scopa, i muscoli che la impugnavano con
la stessa forza che lui, forse, avrebbe riservato al corpo di un amante.
Il giovane si guardò
intorno, seguendo i confini della proprietà come se fossero la rappresentazione
tangibile di un mondo troppo vasto, per uno che aveva creduto di poterlo
dominare e calpestare, ed era stato dominato e calpestato. «Cosa fare di tutta
questa libertà.»
Di nuovo, Harry avrebbe
voluto saper implicare occupazioni insospettabili, tra loro due, nella libertà
di tocchi non più offerti per colpire. Invece rispose: «Non posso dirtelo io,
né tu vorresti che sia proprio io a dirtelo.»
Malfoy socchiuse gli
occhi e prese un labbro tra i denti per un secondo. Harry si chiese se si
stesse mordendo la lingua per non rivolgergli una battuta equivocabile come
offensiva. Perché Malfoy non aveva mai voluto niente da lui, se non il
prestigio che Harry non aveva cercato. Si domandò se sentisse l’obbligo di
frenarsi unicamente per rispetto – dovuto o reale, non l’avrebbe mai saputo –
della divisa che vestiva.
“Però sarei disposto ad
approfondire questo tema, o quello che vuoi”, gli avrebbe detto, se il coraggio
di Grifondoro non si fosse limitato a scontri mortali: svaniva di fronte a
interazioni innocue, qualunque risultato avessero.
L’intenzione scomparve
persino più rapida di quanto avesse preventivato, perché il senso di allarme
prevalse. Un movimento alle sue spalle, il fruscio delle foglie smosse da un
tocco più forte di un alito di vento, passi rapidi e leggeri sul suolo. Harry
si voltò di scatto e si ritrasse immediatamente, non riuscendo a controllare il
gridolino che lasciò la sua bocca.
Finì addosso a Malfoy, la
schiena si scontrò con il suo petto e gli calpestò la punta di una scarpa.
«Scusa!»
«Potter! Che diavolo
fai?»
L’uomo aveva allungato le
mani per sorreggerlo e bloccarlo, così Harry si trovava ostacolato nel portare
a compimento la fuga che gli suggerivano istinti incontrollabili e, a mente
fredda, irrazionali.
Altri istinti gli
impedivano di sottrarsi ai palmi fermi di Malfoy sui vestiti. Si limitò a
tenere d’occhio il pavone bianco che era sbucato da una siepe e non osò
distogliere gli occhi, che inseguivano la sua passeggiata tranquilla sull’erba.
Avrebbe giurato che l’animale lo tenesse di mira quanto lui, pronto a colpire.
Harry gli rispose senza
accennare a modificare le loro rispettive posizioni. Neanche lui aveva ritratto
le mani, nell’attimo trascorso da quando Harry si era accorto del volatile e la
sua mente aveva concepito una replica. «L’animale.»
Draco Malfoy rise e il
suono lo raggiunse strisciando, lungo la schiena, sulla pelle del collo, dietro
le orecchie. «Hai una fobia degli uccelli, Potter?»
Sempre senza perdere di
vista quello che procedeva a qualche metro da lui, Harry rispose: «Non tutti.»
Arrossì violentemente, maledicendo la sua bocca così inesperta davanti all’attrazione,
e Draco scelse proprio quel momento per lasciarlo andare. Si spostò per farsi
di fronte, così che fosse lui a dare le spalle all’animale, con noncuranza. Lo
guardò in viso, considerando con un’espressione ilare il panico con cui
straparlava, che gli macchiava le guance.
«I piccioni e, a quanto
pare, anche i pavoni» aggiunse Harry, in un tentativo maldestro di argomentare.
«Mi stai dicendo che,
invece di una Maledizione Senza Perdono fallimentare, sarebbe bastato uno
stormo?»
Harry si sentiva a
disagio, con Draco che lo scrutava attentamente considerandolo uno sciocco e lui
che scrutava attentamente un uccello che non aveva mosso neanche un passo verso
di loro.
Il mago azzardò due dita
per costringerlo a girare il viso verso di lui e Harry si concesse di ubbidire
solo per un istante, ammirando le iridi lucide di gaiezza e scrollando le
spalle, consapevole dell’inevitabilità della sua reazione di fronte a una
fobia. Subito dopo, aveva ripreso a fissare l’animale.
Malfoy lasciò andare
un’altra risata, mormorata, poi invase il suo campo visivo con la prepotenza
delle proprie fattezze, camminando verso il pavone.
Seguì il movimento con
cui estrasse la bacchetta dalla tasca posteriore dei pantaloni, la sollevò
oltre i fianchi e la puntò verso un angolo lontano del giardino. Fu il suo
incantesimo non verbale, oppure il tocco rigido del padrone a cui l’uccello non
si ribellò, ad attrarlo verso un luogo distante da loro e dalle paure di Harry.
«Grazie» gli disse,
mentre l’ultimo accenno di tensione lasciava la sua voce.
Draco si voltò di nuovo
verso di lui.
«Il Ministero tornerebbe a
tormentarmi se l’acquisto più celebre del Quartier Generale degli Auror morisse
di paura in casa mia.»
Mentre lo raggiungeva il
tono fu modulato a un sussurro, dal momento che non aveva più necessità di
alzarlo per farsi udire, sul sottofondo placido di suoni naturali.
Harry alzò gli occhi al
cielo. «Malfoy, io non muoio di paura.»
Lui gli prese un polso,
vi schiacciò due dita e Harry non poté evitargli la constatazione del suo cuore
affrettato. Per la paura dell’animale, non altro.
Draco inarcò un sopracciglio
e il ghigno con cui parlò era quanto di più familiare Harry avesse visto sul
suo volto, nei mesi che erano occorsi dalla battaglia di Hogwarts per il
processo in cui era stato assolto e le periodiche perquisizioni. «Sicuro?»
«Ti piacerebbe» lo sfidò,
come era sempre stato bravo a fare, l’unico contatto in cui loro due esistevano
a una distanza meno che estrema. Strattonò l’arto dalla sua stretta – e si
pentì immediatamente dopo, di aver relegato il tepore dei suoi polpastrelli a
una mera ombra sulle vene del polso.
«Non lo sai» commentò in
tono leggero e un’espressione neutra.
Non lo sapeva, e avrebbe
voluto sapere quello e altro. Magari Draco Malfoy era stanco della paura,
evocata o subita. Non l’avrebbe saputo.
Se Harry avesse avuto più
coraggio in imprese che di bellico avevano solo la violenza degli impulsi
intimi, gli avrebbe detto che voleva rivederlo ancora, pur non avendo più
alcuna incombenza ministeriale da disbrigare in sua presenza. Invece si
limitava, sconfitto, a giocare con i tarli nella sua mente: se ne erano
aggiunti altri, perché Malfoy l’aveva sfiorato di sua iniziativa, più di una
volta, e Harry avrebbe indagato, successivamente, ogni movimento e ogni
intenzione. Rimuginare e fantasticare, nel segreto di un materasso vuoto e lenzuola
umide.
Lasciò correre e si
schermò di convenevoli, per congedarsi e dare tregua alla propria confusione.
Con un palmo rassettò le
pieghe impercettibili che l’altro aveva prodotto sulla sua uniforme e, quando
alzò gli occhi, lo sorprese che inseguiva i suoi gesti – le forme del suo corpo
sotto i vestiti, avrebbe voluto poter credere.
Gli porse la mano destra e
lui non esitò a stringerla – congedandosi e dando tregua alla sua confusione. Mentre
si separavano, le dita scivolarono appena sul palmo. Harry deglutì il disordine
di un pensiero, un addio che non voleva, perché in quali altre occasioni, in
futuro, la sua strada e quella di Draco Malfoy avrebbero potuto incrociarsi, se
nessuno dei due deviava il percorso?
L’altro sorrideva. Senza
alcuna implicazione: sorrideva come si conveniva nei contesti sociali. Harry
non avrebbe voluto che si spogliasse di quel sorriso, ma continuò a camminare
lasciandolo nella sua mente attore di ieri, di un passato in cui quella smorfia
gentile non esisteva. Era più facile così.
La sua insicurezza
correva su prati immensi. Minuscole macchie colorate spuntavano dalle siepi, i
fiori che Harry non aveva mai visto perché l’anno prima la primavera era giunta
in ritardo. Ma i giardini di marzo si erano vestiti di nuovi colori e Draco
Malfoy vestiva un sorriso nuovo. Avrebbe voluto vederlo ancora.
Così, prese un profondo
respiro e inseguì le parole incastrate da qualche parte nelle viscere. Si voltò,
il sorriso era ancora lì.
«Malfoy… Draco, che cosa
fai domani sera?»
Note:
Il titolo della one-shot
viene dalla canzone omonima di Lucio Battisti. Dalla canzone derivano anche le
citazioni “i giardini di marzo si vestono di nuovi colori” e “continuai a
camminare lasciandoti attrice di ieri”, entrambe adattate al testo.
Rispetto all’ultima volta
che Harry è stato a Villa Malfoy, è passato un anno: da allora la guerra è
continuata, poi finita e ci sono stati i processi, Draco è stato assolto e ci
sono state alcune perquisizioni della sua casa per sequestrare gli oggetti
oscuri del padre. Perciò la storia è ambientata a marzo: mi piaceva l’idea del
confronto tra l’immagine dei giardini a un anno di distanza, a inizio e fine
one-shot. Tuttavia potrei aver piegato la cronologia di Harry Potter per farlo:
dal canon sappiamo che Draco era a casa per le vacanze di Pasqua, quando Harry,
Ron e Hermione vengono catturati, ma Pasqua può essere a marzo come ad aprile,
non avendo una data fissa.
Come rivelato in Harry
Potter e la Maledizione dell’Erede, Harry ha la fobia dei piccioni. In
questa storia l’ho estesa a un altro volatile.
La replica di Harry “Ti
piacerebbe” ricalca la scena iconica di Harry Potter e la Camera dei Segreti
con gli stessi protagonisti.
Chiunque mi conosca, sa che
io non shippo Drarry. Però, negli ultimi tempi e sempre, love is love e
allora anche io dovevo provare a scrivere qualcosa, almeno una volta, sulla
ship slash più famosa del fandom.
Se tutto ciò ha senso oppure
è inconcepibile, spero me lo diciate voi, che sicuramente leggete più Drarry di
me.
Grazie per la lettura!
Legar