Storielle che non servono a niente

di GiveMeAPen_
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Numero Uno: Sciarpa


Giuro che non me lo ricordavo. Mi avevi aiutata a liberarmi da quell’orribile sciarpa a scacchi che si era attorcigliata attorno al mio braccio. «Che scema» mi avevi detto, prima di alzarti dalla panchina dura e fredda della stazione. Ci sedevamo sempre lì, tutte le mattine, prima di andare all’università. Un rituale sacro, un’abitudine che mi faceva sentire a casa. Osservavamo i passanti senza mai commentarli, come se dire una parola su di loro avesse potuto significare invadere la loro privacy, cercare di aprire uno spiraglio sulla loro vita senza chiedergli il permesso. Ci limitavamo ad osservarli, a farci cullare dai rumori dei loro passi, da quello delle rotelle dei trolley che sobbalzavano sulle mattonelle del marciapiede, e dalle chiacchiere in lontananza degli studenti in piedi davanti al bar.
Dopo avermi dato della scema, mi aveva guardata in modo strano, con le guance lievemente gonfie d’aria e l’espressione contorta di chi stava cercando di trattenere una risata.

«Cosa?» ti avevo chiesto io, guardando prima il mio giubbotto, poi i jeans, ed infine le scarpe. Forse mi ero sporcata con il caffè della macchinetta, come succedeva spesso.
«Te l’ho regalata io quella sciarpa.»
Quella rivelazione mi aveva colta alla sprovvista. Qualcosa, negli anni, mi aveva convinta che mi fosse stata regalata da un qualche compagno delle medie, uno di quelli con cui non parlavo mai e che non aveva la più pallida idea di quali fossero i miei gusti in fatto di vestiario. Per anni, avevo segretamente odiato quel compagno delle medie dal volto indefinito e mi divertivo ad insultarlo scherzosamente tra me e me ogni volta che mi avvolgevo la sciarpa intorno alle spalle. Ad essere sincera, anche se era davvero brutta, mi teneva al caldo come nessun’altra sciarpa aveva mai fatto. Mi ci ero affezionata come ci si affeziona a quel film terribile ma divertente che però, a forza di guardarlo, ti entra nel cuore.
«Sì, lo sapevo.» mentii.
«Dai, lo so che ti fa schifo. L’avevi guardata con orrore anche quando te l’avevo regalata, me lo ricordo ancora. Sono passati… otto, nove anni? Puoi smettere di metterla, giuro che non mi offendo.»
Ci eravamo lasciate scappare una risata, all’unisono, attirando l’attenzione dei passanti. Per una volta erano loro ad osservare noi.
«Non la metto mica per farti un piacere. E poi è bella.» avevo detto io, mentre me la rigiravo tra le mani.
«Non piace nemmeno a me, dai.» E poi me l'avevi rubata all'improvviso, per ispezionarla più approfonditamente.
Alla fine, anche se mi avevi proposto di buttarla nel cestino, io ero riuscita a convincerti a lasciarla sulla panchina. Di sicuro qualcuno l'avrebbe presa con sè, quella sciarpa orribile.
 

***

 

Bene gente, lo dico sinceramente: questa storiella non ha senso. È il frutto di uno sforzo mentale minimo, volto semplicemente a rimettere in moto quella parte del mio cervello che sa(peva) scrivere e che soprattutto, voleva scrivere. E niente, questa è la prima di una serie di storielle senza pretese, almeno spero. Perché la costanza non è mai stata il mio forte. Detto ciò, se questa cosa vi è piaciuta, alla prossima. :)
 




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