Il diario di Philipp Lloyd

di Lodd Fantasy Factory
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Tra passato e presente,

 

 

Fui certo sin dal principio che il lancio di quei dadi avrebbe di per certo coinciso con qualcosa di assurdo: da quando li avevo posseduti non era accaduto altro!

Mi ricordo di aver provato un strana sensazione di gelo, un tremito che mi attraversò l’intero corpo, prima di ritrovarmi di nuovo in quella stramaledetta grotta, esattamente dove il mio ricordo si era interrotto. Avorio sapeva quel che avrei dovuto fare, e Zhùt mi aveva anticipato che ci sarei dovuto ritornare per comprendere il passato.

Chi di voi, oltre me, odia quello Sciamano manipolatore?

Non tornerò a ripetere le sensazioni che mi diede quell’assurdo ritorno ai giorni dove il mio orrore aveva avuto inizio. Mi ritrovai al cospetto di quell’entità avvolta nell’oscurità. Sentii d nuovo quel suo commento pronunciato con voce gorgogliante: “Sapevo che saresti venuto. Ti stavo aspettando.”

Mi guardai attorno con sospetto; perché, mi capirete, avevo il terrore che il lancio di quei dadi mi avesse trasportato di nuovo all’interno dei sotterranei.

Le pareti attorno a me pulsavano di quelle venature verdi e violacee, bagnando la mia figura e quella dell’incappucciato con tonalità surreali. Cercai di ricordarmi che non si trattasse di un vero e proprio sogno: quello che stava accadendo era di per certo una proiezione della mia mente. Ma legata a che cosa? Questo non saprei proprio spiegarvelo. Razionalmente, se ci provo, mi viene da credere che possa esistere un luogo etereo ove le anime possano in qualche modo comunicare; lo so, questo pensiero è pura follia.

“Chi sei?” domandai timidamente, più per la sorpresa di essere di novo lì che per effettivo timore.

“Colui che ti ha indirizzato esattamente dove ti trovi. Il responsabile delle tue sciagure, timori, ansie, e ultime traumatiche esperienze. Di questo, comprenderai, me ne rammarico. Avrei preferito che potesse esserci un qualsiasi altro modo. Ma non c’era”, confessò, e la sua voce mi suonò improvvisamente reale, quasi tangibile.

“Philipp Lloyd”, mormorai. “Era scontato, sin dall’inizio. Come ho fatto a non capirlo: ‘Quanto il bene superiore può accettare un efferato susseguirsi di malignità? Io, quel che scelsi di fare, lo feci con la consapevolezza che questo male avrebbe gravato sulla mia coscienza. Lo avrei ricordato, ma non solo io. Non sono mai stato io il bersaglio delle mie azioni.’ Ero io, non è così?”

“I peccati dei padri ricadono sempre sulla prole”, ripeté un frase che avevo ormai finito per assimilare; suonò come un’ammissione di colpa. Ripensai a quando avevo trovato la forza di scherzare su quella sua definizione, in una citazione a Star Wars, ma mi resi conto di quanto certe informazioni riescano a sfuggire alla nostra comprensione. “Non è il perdono che cerco, ma la tua volontà. Sarai pronto a fare ciò che deve essere fatto?’

“Ho compreso di non avere alcuna scelta in questa faccenda. Avete deciso tutto voi, a tavolino, sin dall’inizio.”

“Tutti hanno avuto una scelta, prima di te. Non crederai davvero di essere l’unico, il prescelto? Ho avuto con molte altre questa conversazione. In un certo senso, tu sei il primo”, disse con una pacatezza che trovai snervante. “Vorrei avere più tempo, ma non ne hai abbastanza. Zhùt è il mio unico tramite: presto non avrà più le forze. Devo sapere che sei pronto: non ci sarà concessa altra possibilità. Non hai lasciato un erede, come tua madre prima di te.”

“Si tratta solo di questo, dunque? Che senso ha chiedermi se sono pronto? Una scia di morte mi segue fin dalla mia nascita; basta che la piantate con questa stronzata della possibilità di scelta! Farò ciò che volete: chiuderò questa storia una volte per tutte. C’è altro che devo sapere?” lo dissi con profondo rancore. Tutta la mia stima nei suoi confronti si era invece trasformata in rabbia.

“Io farò di tutto per ucciderti.”

Raggelai.

Avreste dovuto sentire la sua voce: non si trattava esattamente di un avviso, più di una costatazione.

Trovai il coraggio di ribattere, neanche io so bene da dove:

“Mi hai rubato le parole di bocca.”

La sua immagine svanì dalla mia vista, scomponendosi come fumo, ed istintivamente pensai a quale straordinario effetto speciale avesse messo in moto, come motore di difesa per non perdere la testa. Quella sua affermazione continuò a perseguitarmi anche quando decisi di avventurarmi dove le venature sulle pareti della grotta si facevano più intense di colore: era come vederle respirare!

Presi a scendere al piano inferiore, inseguendo il me che era svanito nei meandri di quel luogo dimenticato dall’umanità. Potei sentire l’eco dei miei stessi passi, quelli del vero me che si era già avviato per quelle scale naturali, inseguire quelle degli zoccoli.

In che modo fossi riuscito a passare inosservato, questo è il vero dilemma!

Prosegui sin quando la via non si biforcò: una proseguiva verso il basso, allargandosi, e l’altra, presentando delle ampie feritoie circolari, simili a finestre, proseguiva in una sorta di osservatorio. Voi, proprio come me in quel momento, di certo starete pensando alla medesima cosa, ed avete ragione: erano i posti in prima fila per la sala sottostante. Dai riflessi rossicci immaginai cosa avrei visto.

Ritrovai il me stesso che avevo abbandonato per parlare con Philipp Lloyd, come se il ricordo si fosse bloccato proprio per consentirmi di parlargli. Ricordai in quel momento dell’attimo di panico che avevo provato nel sentire il rumore di zoccoli tornare nella mia direzione. Mi ero paralizzato; ed ecco anche spiegato il motivo del mio ritrovamento. Il me stesso del passato avanzò verso gli spalti.

Lo vidi dapprima scrutare dall’alto quel che si trovava di sotto, e poi inciampare su qualcosa che era stata lasciata per terra. Non so se ricordate bene quanto vi dissi nella mia prima esperienza in questa forma, ma la mia visione al buio era pari a quella diurna. Inciampò in una borsa da tracolla in pelle, lercia come poche altre schifezze. Riuscii a sentire il suo fetore dal solo ricordo, e lo associai subito a qualcosa che poi mi era appartenuto, e per il quale avevo più volte rischiato la vita.

Vidi me stesso estrarlo dalla borsa, schiacciando poi col piede una di quelle grosse chiocciole che vi erano attaccate, riuscendo a strozzarle in gola un guaito di morte. Ne vennero fuori altre, e le mie gambe s’improvvisarono martelletti, dispensando morte. In tasca mi ritrovai qualcosa che non rammentavo di avere: un accendino antivento; la fiamma rivelò la natura di quegli esseri, oltre che il mio volto scuro della loro linfa putrescente. Avvicinai tanto la fiamma a quegli esseri che presero fuoco come gas, rilasciandone altro in risposta.

Strinsi al mio petto il Diario di Philipp Lloyd.

“Stupido…” mormorai in mia direzione, ed il me del passato diede quasi l’impressione di udirmi. Mi vidi indagare nell’oscurità con orrore.

“Vieni, ragazzo. Vieni da me”, ordinò una voce gorgogliante dal fondo della sala adiacente. Mi sporsi, e vidi Philipp Lloyd in tutto il suo abominevole aspetto. Vi era un salice, del tutto simile a quello descritto nei racconti, e la stanza era effettivamente di forma pentagonale. Vi erano quattro sacrifici pronti nelle alcove. La storia si stava ripetendo, anche se in luoghi del tutto diversi.

Mi vidi avventurarmi giù per le scale come uno zombie.

Raggiunsi Philipp Lloyd, e notai i miei occhi terrorizzati: ero conscio di quanto stesse accadendo, tuttavia senza poter fare niente per fermalo.

“Vieni, Enrico”, disse accompagnandomi alla mia postazione di morte. Le rampicanti si avvilupparono alle mie gambe. Il Diario mi scivolò in quel momento dalle mani, tornando in quelle del legittimo proprietario.

Da quel momento in poi iniziò un vero e proprio rituale, in una lingua sconosciuta. I sacrifici vennero compiuti uno dopo l’altro, e l’entità all’interno dell’ambra prese a poco a poco a risvegliarsi. Vidi schiudersi le sue ali.

Mi chiesi in quel momento se non avrei dovuto intervenire.

Philipp Lloyd accese una torcia, di quelle in stile antico, dotate di una fiamma intensa ed efficace. Diede un ultimo sguardo al proprio libro, pronto al passo più delicato del suo transito.

“Alla fine sei venuto, vecchio.”

Zhùt emerse dall’oscurità, silenzioso solo come sanno esserlo i gatti.

“Sai bene che non posso lasciartelo fare. Desisti. È stata una tua scelta: dimostra di esserne padrone. Accetta la tua fine!”, tuonò lo Sciamano.

“Hai perso tua figlia. Hai perso a Providence. Avresti potuto goderti la tua pseudo immortalità, vecchio gatto. Ora, invece, scegli la morte?”

Dalle aperture accanto alla mia estensione corporea – quella dalla quale stavo guardando la scena – balzarono giù tre gatti dal pelo infuocato e bianco, simili a piccole tigri. Vidi quel loro dono naturale mutare sotto i miei occhi: lo schiocco delle ossa, il ritrarsi del pelo e degli artigli, la carne viva del corpo umano ricoprirsi gradualmente dall’epidermide. A differenza di quel che avevo visto fare dallo Sciamano, i tre diedero impressione di essere piuttosto abituati a quel genere di metamorfosi. Si avventarono su Philipp Lloyd con delle pietre vagamente simili a quella brandita dall’indiano d’America. Il loro aspetto era tuttavia mediterraneo.

Non starò qui a descrivervi la follia di tutto quello scontro, ma posso dirvi che furono agguerriti: il primo mutaforma morì trafitto da un nugolo di quei vermi scagliati dall’entità all’interno dell’ambra. Lo divorarono avidamente, strappandogli dapprima tutti i tessuti molli, concedendogli il trauma di gridare al mondo tutto il suo dolore. Fu una scena raccapricciante!

Il secondo, prodigatosi nel liberarmi le gambe dalla presa delle rampicati, lottò sino allo stremo contro numerose di quelle teste infantili che io stesso avevo fronteggiato colmo di terrore; ma erano troppi, e i tentacoli dapprima lo immobilizzarono, divertendosi poi a sfilacciarne i tendini per renderlo innocuo. Il suo dolore arrivò dritto al mio cuore.

Il terzo, incaricato da Zhùt di portare via il mio corpo, mi prese in spalla e si allontanò con la stessa fiaccola accesa da Philipp Lloyd, bruciò tanti di quegli esseri lungo la strada che lo condusse alle scale, che i fumi lo assalirono privandolo della ragione. Ebbe la lucidità di adagiare il mio corpo prima di impazzire del tutto, trafiggendosi il cuore con la sua stessa pietra.

Zhùt, che invece aveva ingaggiato battaglia con Philipp Lloyd, riuscì a tenergli testa sino al suicidio del mio aiutante.

“Hai il dono della morte tanto quanto me, vecchio Sciamano. Tabaldak ha fallito, ti ha abbandonato! Quanti figli hai sacrificato sull’altare della guerra? Arrenditi. Non puoi più impedire il ritorno di Màlk-ar-Sùm!”

Lessi sul volto di Zhùt l’indelebile marchio della disfatta. Credette di poter mettere fine a quella storia una volta per tutte, e invece si ritrovò con l’impegnare tutte le sue risorse in quella folle impresa. Lo sciamano tornò allora nella sua forma animale, afferrando tra i denti il Diario di Philipp Lloyd.

Batté in ritirata.

Non potei credere al fatto che Zhùt potesse avermi abbandonato! Invece, quando spostai lo sguardo sul mio corpo, di me non vidi più alcuna traccia. Avevo sicuramente ripreso conoscenza e, preso dal panico, dovevo esser scappato via.

L’intera grotta prese a tremare.

Terminò la mia visione.

 

 

Quando tornai in me, notai l’espressione corrucciata sul viso di Gabriela.

“Stai bene? Sei rimasto in una specie di trance per una manciata di minuti. Hai parlato in modo strano.”

“Va alla grande…”, risposi con fare vago, dopo essermi schiarito la gola. “Ho giusto scoperto che Zhùt ha sacrificato tutta la sua famiglia per cercare di fermare Philipp Lloyd, e di salvare la mia vita. E, come se non bastasse, sono condannato dal solo fatto di non aver un erede su cui scaricare il barile. Mi toccherebbe comunque morire, da quanto mi è parso di capire”, tentai d’imitare il suo modo di fare, ma mi riuscii malissimo

Lei mi diede l’impressione di essersene accorta.

“Almeno in questo posso aiutarti”, disse poi all’improvviso, facendo scivolare la spallina della maglietta sul braccio amputato e aprendo teatralmente le gambe. “Sempre che una donna con un arto in meno riesca sempre a fartelo drizzare. Fammi sentire viva!”

La guardai a metà tra l’imbarazzo e lo sconcerto.

Scoppiammo entrambi a ridere. Mi ci voleva, ridere, tuttavia non potei che provare una nota di ribrezzo in fondo all’anima a quel pensiero. Probabilmente, prima di me, altri avevano avuto la stessa idea. Forse, senza andare troppo lontano, tutti tranne me.

“Come ricevuto, davvero”, le dissi con un grande sorriso.

Le raccontai poi quello che era accaduto.

Iniziai così a scrivere questo mio resoconto.

Poi, mi colpì all’improvviso una soluzione a tutto quel problema.

“Gabriela!” la chiamai, destandola dal suo sonno. Era ormai mezzanotte. “Forse puoi davvero aiutarmi.”

 

 

Aggiornerò,

 

 

Philipp Lloyd





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