Guardo in alto. Faccio fatica persino a riconoscere il colore delle nuvole. Bianco sporco, grigio o č solo l'ombra della notte a imbrunirle?
Tutto mi pare fragorosamente confuso, miscelato, infetto.
Silenzio intorno, tuttavia dentro me suona un'orchestra, va avanti per automatismo, non vi č nulla di sonoro o vagamente gentile per le orecchie.
Č come se ci fosse qualcosa di macchiato, lo so, qualcosa, oserei, di malato. Impuro.
Percorro la salita di questo triste viale, eppure mi sembra di metterci il doppio della fatica. Il respiro ansante, le gambe stroncate.
Impuro. Perché doveva inequivocabilmente esserci una spiegazione a cotanta ambiguitį.
Facevo forse solo fatica ad ammetterlo?
Una volta qualcuno mi ha detto che non esistono persone confuse ma solo persone che non hanno volontį.
Accenno ad un ghigno, in tutta onestį non saprei dire se per la stanchezza o per il mio flusso di coscienza, mentre i lampioni illuminano sempre pił il biondo scuro dei miei capelli.
Che malinconia trasmettono queste luci fiacche, seguono il loro doveroso compito senza nemmeno domandarsi a che scopo. Questo breve excursus mi concede di realizzare quanto siamo simili, tutti noi, piccole lucciole smarrite in un universo troppo vasto per essere abbracciato e compreso. E sbattiamo l'una contro l'altra, a volte, pur di fuggire dall'immensa e vuota oscuritį, scappiamo per giungere poi chissį dove, non lo sappiamo, ma basta avanzare, dimenticare. Egoisticamente cancellare, se necessario, il bagliore altrui, senza renderci conto che il destino dell'altro č il nostro.
Arranco ancora, stessa anima in un corpo diverso, forse nell'accettazione, nella metabolizzazione.
Eppure mi domando...
quelle nuvole, lģ sospese, di che colore sono?