E dei remi facemmo ali al folle volo VII

di sacrogral
(/viewuser.php?uid=49720)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Non vogliate negar l’esperienza

 

… in cui il marchese avrà una brutta sorpresa, André Grandier farà un grosso sforzo di autocontrollo, per madamigella Oscar, anche se non sarà protagonista,  si spalancheranno orizzonti nuovi e tutti avranno un bel po’ di certezze da rivedere.

E l’autore rivela qualcosa della trama, e forse si comincia a capire qualcosa, almeno per negazione, sul Maudit che finora aleggiava e questo era quanto.

 

Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi: ma in primo luogo, era molto affaticato; secondariamente aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina (1). Allo stesso modo il marchese de Sade stava dormendo come un bambino, da ben altre fatiche reduce, e se qualcuno avesse avuto adito ai suoi pensieri, avrebbe trovato la soddisfazione per le pagine scritte a lume di candela, volutamente con sforzo di luce flebile, e nel ricordo a breve termine della sensazione di piacere provata sentendo di violare la purezza; perché l’unica cosa che vale davvero la pena di violare è l’innocenza, aveva pensato, sorridendo, ormai (quasi) pronto a perdonare i due ragazzi che si erano sobbarcati un viaggio da Parigi giusto per venire a offenderlo in casa sua. Come se non ne avesse già abbastanza di detrattori, nemici, bigotti e baciapile che volevano bruciarlo sul rogo e in nome del buon Dio – che canaglia, la brava gente – e per tacer di sua suocera:  l’unico uomo al mondo senza una moglie ma con ancora una suocera a dirigere la sua vita. E pensare che quando aveva visto quei due, appunto, Oscar de Jarjayes e André Grandier, era venuto fuori quello che lui chiamava il suo “lato romantico”, la ragazzina tutta rossori che albergava in fondo alla sua anima, diceva lui, e aveva pensato che venissero –come si era ridotto! – a invitarlo al loro matrimonio. Perché pure a lui, e pure a un cieco, sarebbe stato limpido l’amore silente fra quei due. E si era visto nei suoi panni migliori, entrare in una chiesa senza temere il fulmine del Signore – che tanto, dato che il Signore non esisteva, il fulmine non sarebbe stato scagliato a incenerirlo – fra gli sguardi attoniti dell’aristocrazia francese, e tutti a mormorare “Madamigella Oscar non solo si sposa con un figlio del popolo, ma accoglie con tutti gli onori il marchese de Sade” “Al generale verrà un infarto. Stavolta quel pover’uomo ci lascia le penne, ve lo dico io” “Il generale, senza dubbio, sta per mettere il fucile a sinistra (2)” “Madamigella ha detto pure che il divin marchese è una brava persona” “È sempre stata così originale” “Le Loro Maestà e il marchese de Sade, insieme, sotto lo stesso tetto, legati da madamigella Oscar. Rabbrividisco” “Madame, ma se rabbrividite, perché siete venuta?” “Scherzate, monsieur? Non me lo sarei perso per niente al mondo!” e via, in questo tono, e lui a deliziarsi, consapevole pure di aver fatto agli sposi il dono più bello – e anche la sua opera omnia, avesse il giovanotto bisogno di qualche suggerimento, va’ a sapere. 

Un vecchio zio, s’era sentito, imbecille che altro non era. E si era pure visto a chiacchierare con questo fantomatico padre di Oscar, allo splendido ricevimento a seguire, un uomo con del potenziale, se aveva fatto, a ben pensarci, qualcosa di più scandaloso di quanto lui medesimo ritenesse di aver mai fatto; e dove c’erano pure quei simpatici ragazzi dei soldati di Oscar Françoise la luminosa, che all’inizio lo avrebbero tenuto a distanza, diffidenti, ma poi si sarebbero avvicinati, perché la gioventù è curiosa, a chiedere notizie, a ricordare la storia della Bestia di Parigi, povero fesso anche quello (3). 

Acquistare materiale sullo studio dell’uomo, ma soprattutto – per una volta, per una volta sola – sentirsi  accolto essere umano fra gli esseri umani; e quel giovanotto, quel soldato,  che aveva trattenuto la Bestia insieme a André Grandier: ”Signore, se posso permettermi, con le vostre opere, voi fate castelli in aria!” e lui: “Di più, amico mio: è l’uomo che li costruisce, io li abito” e giù, risate.  E poi sconvolgerli con qualche aforisma ben strutturato:  “Possedere in esclusiva una donna è tanto ingiusto quanto possedere degli schiavi” (4) per esempio, e vedere le facce divertite di quei figli del popolo alla perenne ricerca di uno straccio di fidanzata.

E poi, man mano che i due ragazzi raccontavano, si era reso conto che aveva preso un abbaglio, che si erano mossi per deriderlo, e per offenderlo, e chissà poi perché. Modo strano e strana storia, senza dubbio. Curiosa. Ma, per una volta che si era messo a fare qualcosa di socialmente accettabile, una cosa innocua, tutto sommato, produrre vino: era destino che su di lui soffiasse lo Spirito o, per dirla in altro modo, che non ne facesse una pulita;  chi aveva messo loro in testa che il Maudit fosse maledetto poi, restava un mistero. In quel discorso da bifolchi superstiziosi, sul suo vino che era responsabile di dolore e morte. Vino del demonio. Il suo vino. Nulla di più naturale che pensare che il demonio fosse lui. Idea originale,  come no. Chiedergli di ritirare il Maudit  dal mercato. E dire che aveva pensato di buttarsi anche sullo champagne

L’indomani avrebbe chiarito, dopo una notte di ubriacatura e pentimento per loro – vino giovane,  vino di un anno, il Maudit, alla sua seconda vendemmia in corso, ma un quattordici gradi, bello macerato; per lui e da lui solo roba forte, quello sì –  e c’era rimedio anche allo zigomo del ragazzo. E aver assaggiato il sapore fresco e giovane di lei – chissà in quanti se l’eran sognato – in fondo, cos’era? Donna abituata a rischiare la vita, lei; giovane educato alle armi, lui; in fondo, due come tutti – aveva pensato, con rancore – perché li aveva creduti diversi, capaci di vedere nel cuore – e si era vergognato con se stesso, pensando baggianate da educande – della gente, oltre la scrittura, oltre il romanzo, oltre quel suo nichilismo radicale e sbandierato, così sbandierato che ormai non si tornava indietro neppure volendo, e anche oltre quell’elogio della violenza sempre e solo scritto. Il pregiudizio che faceva girare il mondo, la gente incapace di leggere, di capire l’ovvio. Tollerabile nei suoi fittavoli, in quella brava gente che ignorava il benessere e la raffinatezza, e deprecabile in coloro che avevano avuto ogni possibilità di salire almeno uno scalino, a loro disposizione  gli scritti dell’insopportabile Voltaire o di quell’altro puro illuso di Rousseau, quello che voleva educare i bambini facendoli camminare a piedi nudi mentre guardavano nei muri le scritte dei filosofi antichi, o qualcosa di simile.

E infine, scrivendo cose che adesso l’autore di questa storia ben si guarda dal riportare, e inframezzandolo con azioni che a maggior ragione è bene tacere, lo stanco marchese si era addormentato, nel sonno dei giusti.

 

A buon titolo fu quindi brusco il risveglio, in piena notte e inaspettato:

“Aprite gli occhi, e per l’ultima volta” sentì dire, quasi sognando “State per morire”.

La voce era dura, era maschile, e non scherzava.

 

“Oh, il caro amico” disse il marchese, dandosi un tono con una velocità in verità ammirevole “Son lieto di vedervi, libero dai vostri sorveglianti e nelle mie stanze. Devo forse pensare…?”

Fu interrotto dal sentire quella che era senza dubbio alcuno una lama al collo. 

“Se credete in un qualunque Dio, raccomandategli la vostra anima nera. Io vi scanno come il maiale che siete” disse André Grandier, nell’ombra.

“Ecco, appunto” riprese il marchese de Sade “Magari questi cinque minuti, anziché a rivolgermi a entità ontologiche inesistenti, preferirei dedicarli ad ascoltare l’interessante storia di come siete giunto fin qui, eludendo pure la sorveglianza…”

Sentì il tocco e il freddo del coltello pericolosamente più vicino.

“Vi do una notizia, signore. Nessuno era di guardia alla mia porta. E forse i vostri servi non fanno sempre quel che dite voi. E, come m’insegnate, c’è sempre un modo di passare dalle porte chiuse (5)”

“Badate a quel che fate, amico mio. La morte di un nobile non è cosa da passare inosservata. E devo ancora dirvi delle cose sul Maudit” improvvisò Donathien Alphonse de Sade.

André Grandier, con un gesto brusco, lo fece volar sul pavimento.

“Se vi ammazzo mi danno una medaglia, signore. E voi non avete da dirmi nulla!” gridò “Adesso vestitevi e seguitemi. Dobbiamo trovare Oscar”.

“Ma mio giovane amico, se volete esser condotto nella stanza del comandante Jarjayes, è presto fatto”

André Grandier, che il marchese a terra vedeva controluce e gli appariva alto e incombente, sembrò infuriarsi ancora di più, e non era cosa buona.

“Se Oscar fosse in una delle vostre ignominiose stanze, l’avrei già presa e saremmo fuori dalla vostra pestilenziale vista. Ma non c’è. Alzatevi e rendetevi utile, ci metto un attimo a spaccarvi il cuore che non avete”.

“Questa poi” mormorò fra sé de Sade, vestendosi e ragionando in fretta “Questa poi”.

Quando fu presentabile, André gli disse:

“Solo un attimo, signore”

e con un cazzotto assestato bene spaccò il labbro inferiore del marchese.

“Questo è perché avete toccato Oscar. Poi penseremo al resto”.

Donatien Alphonse François de Sade, che non aveva emesso un fiato, si succhiò il sangue e chiuse gli occhi un momento.

“Vi prego, promettetemi che lo farete di nuovo”.

André alzò gli occhi al cielo.
 

 

Il disgusto per il sapore del vino bevuto a forza era stato pari a quello di essere stata toccata da quell’uomo, davanti a una decina di uomini e davanti ad André. Con un gesto istintivo si era sfregata il collo, la pelle sotto al collo, con ripugnanza, con ribrezzo. Alla testa, un dolore sordo. 
Il volto macchiato di vino, e l’odore del vino addosso.
Il ricordo sgradevole del vino mandato giù a forza, cercando lui e trovandolo sempre meno, sempre più sfocato. La soddisfazione amara di non aver tremato.
“Solo un attimo, per riprendere fiato, André. Solo un attimo e sono da te” mormorò alla stanza vuota, rimettendosi in piedi a fatica. Razionalizzò. Non era la prima la volta che buttava giù una bottiglia di rosso, anche se la tempistica, di solito, era diversa. Pensò che forse non era poi il caso di lamentarsi troppo quando si stava da soli nelle proprie stanze , a crogiolarsi nella propria eterna insoddisfazione, nelle proprie domande irrisolte; perché può sempre andare peggio e di solito di lì a poco peggio va. 

Ma ora, che andava peggio, solo il tempo di rimettersi in piedi, trasformare qualcosa in un’arma, prendere il coltello dallo stivale, abbattere la porta e sbarazzarsi dei tre uomini di guardia alla porta stessa, e poi cercare lui. Tutto molto semplice. 

Neanche per un istante, concentrata sulla situazione e su di lui com’era, pensò che quello che aveva bevuto era Maudit.

E si rese conto, e non per la prima volta, pensò, che se André fosse morto lei sarebbe stata sola. No – si disse – anche lei sarebbe morta. Adesso aveva detto la verità.

Ripercorse i momenti peggiori della sua vita, si accorse che erano stati quelli in cui aveva temuto di perderlo. E senza motivo reale, si rivide alla propria scrivania: “Se André volesse sposare tua sorella, Alain, non vedrei il problema. Può fare ciò che vuole”. Così aveva detto.

E il giovane soldato le aveva letto negli occhi, freddi, non nell’anima, nascosta. E si era infuriato; perché sapeva, perché intuiva, perché era pieno di solidarietà e di rabbia per motivi vari. 

André, invece, non aveva detto niente. Aveva pronunciato il nome di lei, e poi niente, il silenzio. Allora lei lo aveva guardato, e lui aveva abbassato gli occhi. Lì per lì neppure se ne era preoccupata – ricordava. Adesso vedeva i pensieri di lui schierati in fila – Pensi che lo farei? Perché mi spezzi il cuore? lo comprendo, non avresti potuto dire altro, davanti a un tuo soldato. Dimmi che non ti è indifferente, Oscar, solo questo: dimmi che per te non è la stessa cosa. Di nessun’altra, Oscar. Non fa differenza, per te, che sia vivo o morto? L’ho meritato, lo so, non merito altro.

Nelle ombre sotto le palpebre abbassate, André Grandier aveva avuto un flusso di pensieri, e neppure uno era stato di rabbia, o di disgusto verso di lei.

Era pensierosa, oltre che annebbiata.

“Non si confonde la gratitudine con l’amore” si disse, ma poco risoluta.

Quei baci non sarebbero più tornati, era impossibile, e neppure comprendeva perché ci pensava ancora, e spesso, che era impossibile che tornassero.

 

E d’improvviso la stanza sparì, tutto attorno a lei divenne verde e fresco e si trovò su una collina che conosceva benissimo e associava alla sua giovinezza, perché era lì che si fermavano, lei e André, dopo le lunghe cavalcate fatte solo per il gusto di farle. Risentì il vento fra i capelli come spirava solo lì. 

Ricordò che proprio lì avevano fatto a pugni una volta, poco più che ragazzi – lei aveva creduto che lui fosse solo una spia di suo padre, un leccapiedi e un passacarte della volontà del generale; lui a terra le aveva preso la mano e poi gridato di “diventare una donna”, senza tener conto della volontà di Augustin Reynier de Jarjayes evidentemente, sorvolando anche sullo sbaglio di natura

A volte c’era venuta da sola, su quella collina, a pensare. Dopo aver accompagnato la contessa du Barry in esilio –  l’arrampicatrice sociale, la Favorita –  e averne ascoltato le confessioni. Una vita di spregevoli azioni, di carriera in orizzontale, ma anche un inizio di disagio e disgrazia, la forza d’animo di un guerriero antico, in mezzo ai gioielli e alla mancanza di pudore. Contraddizione e dolore.

Niente aveva aggiunto, Oscar de Jarjayes, ma per la prima volta si era trovata a pensare al privilegio come concetto, come circostanza e non come volontà di Dio; e anche all’idea di colpa e redenzione, in un breve squarcio di ammirazione per una donna che era quanto di più diverso da quello che, da adulta, avrebbe voluto diventare. Ricordava di aver detto a se stessa da adulta, sorvolando anche lei sull’idea dello sbaglio di natura e pensando forse niente.

E d’improvviso risentì le risate. Quella sua e quella di André.

E con stupore li vide, se stessa e lui, nel fulgore di un’adolescenza ancora tutta da vivere e da decifrare. Ristette nel vedersi giovanissima, i capelli più corti e di un oro solare, col sorriso trasparente; e André con i capelli invece più lunghi, disciplinati, e gli occhi, entrambi, a riflettere i colori dell’erba, come i suoi riflettevano quelli del cielo. Ristette e non capì, ma si avvicinò, a guardarli e ascoltarli.

“… e allora madame la Frasséne ha raccontato di essere scesa nelle cucine, per la prima volta e di persona;  e quanto si è stupita di nel vedere che anche le sue cuoche, infino le lavandaie, hanno, come lei, cinque dita alle mani”.

La giovane Oscar e l’Oscar adulta risero entrambe; ricordava quella conversazione, e anche la sua risposta:

“Ma sicuramente non lo stesso cervello, André. Sfido chiunque ad averne di meno della marchesina” ripeté lei, mentre la ragazzina la pronunciava.

“Tu mi vuoi bene André?” chiese la giovane Oscar d’improvviso. 

Lei si stupì e si incupì. Questo non l’aveva detto. Non l’aveva mai chiesto.

“Certo, Oscar” rispose lui, con tranquillità.

“E mi ami, André?”

Il ragazzino si era alzato, serio.

Lei sbiancò. Questo davvero non l’aveva mai detto. Non pensava all’amore, in quel momento della sua vita, non lo conosceva e non le interessava. E neppure André ci pensava. O forse sì, chissà, ma in ogni caso non ne parlavano. 

“Sì, certo, Oscar” aveva detto, con semplicità e naturalezza. 

Lei per un attimo sentì una fitta al cuore, pensando a come era andata davvero, a come e quando lui aveva parlato.

“Allora faresti di tutto per me?” insisteva, la giovane Oscar.

“Sì, certo” ripeté lui, sempre con la serietà di un piccolo adulto.

“Dimostramelo” aveva detto la ragazza, e a Oscar sembrò che anche il cielo si fosse incupito, che la natura fosse diventata più opaca “Portami il cuore di tua nonna per i miei cani (6)” aveva concluso.

“Ma cosa dici, Oscar?” gridò il ragazzo, terrorizzato – ed era esattamente ciò che lei stessa pensava, che diavolo stava dicendo quella biondina che le somigliava?

“Voglio una prova del tuo amore, André. Hai detto che faresti di tutto per me. Allora strappa il cuore dal petto a tua nonna e portamelo, lo darò da mangiare ai miei cani da caccia. Così capirò che mi ami più di chiunque altro e potremo stare insieme per sempre”.

“Tu sei pazza!” gridò Oscar Françoise, senza che nessuno la sentisse, e vedendo il ragazzo, immobile, che forse ci stava pensando.

Poi André il giovane scosse la testa.

“No, Oscar, hai ragione, Non ti amo fino a questo punto. Ti amo perché non ho mai immaginato che tu potessi chiedermi qualcosa di simile a questo. Forse allora non ti amo”.

“Peccato, André. Stiamo bene insieme – e mentre parlava, Oscar vedeva gli occhi della ragazzina incupirsi, come prima si era incupito il cielo – se tu mi dimostrassi che sei mio, io sarei tua”.

Oscar vide André crescere sotto i suoi occhi – lo vide diventare più alto, più definito, vide i capelli sciogliersi e diventare più corti, e più scuri, mentre un ciuffo andava a coprirgli l’occhio sinistro e pure la sua postura cambiava; e l’uomo André, guardando – le parve – lei, senza esitazione disse:

“Se è questo che vuoi, se desideri un cuore per i tuoi cani, prendi il mio” 

E, con suo sommo orrore, vide André che si apriva la camicia, si infilava le mano destra nel petto – il sangue cominciava a sgorgare, la sua faccia si deformava nel dolore, mentre le dita sparivano nella carne, e ne uscivano chiuse a pugno, con in mano qualcosa di caldo e che ancora pulsava.

“Per te, Oscar” disse, a un soffio dalla morte, già morto, mentre la ragazzina rideva, e lui si abbatteva in ginocchio, lasciando cadere quel grumo sanguinante e viscido che fino allora gli aveva regolato il respiro.

 

Oscar Françoise de Jarjayes sentì che avrebbe dovuto comprendere qualcosa ma non capiva cosa; piena di disgusto e senza fiato, si ritrovò in una stanza sconosciuta, dov’era stata rinchiusa, mani e ginocchia a terra, a vomitare strana roba verde.

 

Era passata forse un’ora o forse dieci minuti quando sentì la porta che si apriva e, pallidissima e debole,  si mise in posizione di difesa. Entrarono i tre uomini cui il marchese aveva ordinato di far la guardia alla sua porta. 

“Vi ha mandato il Cielo” disse il più vecchio dei tre con, ci avrebbe giurato, le lacrime agli occhi.

 

(1)    Citazione diretta, famosissima, dal cap. II de I promessi sposi di Alessandro Manzoni. Solo per precisione ricordo a me stesso che la battaglia di Rocroi fu combattuta il 19 maggio 1643 tra Francesi e Spagnoli nell’ambito della Guerra dei Trent’anni. Le truppe francesi, vittoriose, erano guidate da Luigi II di Borbone- Condé. La battaglia inaugurò un lungo primato di supremazia militare francese, appunto, sullo scacchiere europeo.

(2)    Espressione del gergo militare, che equivale a “morire”.

(3)    Riferimento alla mia storia Per l’uomo non c’è altro inferno che la stupidità o la malvagità dei suoi simili (frase del marchese D.A.F. de Sade).

(4)    del marchese D.A.F. de Sade.

(5)    Riferimento a una battuta del marchese (personaggio) nella storia Sarebbe un pazzo colui che adottasse un modo di pensare solo per piacere agli altri  (frase del marchese D.A.F. de Sade).

(6)    Cfr. F. De André, La ballata dell’amore cieco





Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3977280