Il
cielo notturno di Mompracem, libero da nubi, era incrostato di
stelle, che irradiavano d’argento il mare, scosso da una lieve
brezza.
L’aria
risuonava dei fruscii degli alberi, che ondeggiavano, ora a destra,
ora a sinistra e riempiva l’isola di un olezzo aspro e
pungente.
Seduto
a poca distanza dalla sua capanna, la testa alta, Sandokan fissava il
firmamento, gli occhi velati di lacrime. La notte era calma sulla sua
isola e sembrava invitare all’abbandono del sonno.
Eppure,
lui, principe privo di trono, non riusciva a dormire.
La
sua capanna, di solito accogliente, gli pareva una prigione
soffocante.
Sospirò
e scosse la testa. Lui conosceva la ragione del suo sentimento
d'angoscia.
La
sua mente, crudele, si tormentava e rievocava le vivide immagini
della distruzione della sua famiglia.
Il
clima di Mompracem era fresco e gradevole, quasi mediterraneo, eppure
poteva sentire sulle sue carni il calore del fuoco, che, in poche
ore, implacabile, aveva condannato le persone a lui care ad una morte
atroce e insensata.
Il
trauma, per lui, era stato tanto forte da sigillare la sua memoria
per dieci, lunghi anni.
Forse,
erano stati gli anni più felici della sua vita.
Ma
la sua mente, con la morte del suo tutore, Macassar, aveva ritrovato
quei ricordi e la pena era ritornata e si era mescolata alla rabbia e
al rimorso.
Perché
Brooke aveva deciso di macchiarsi di un atto così turpe, che
perfino gli europei avrebbero disprezzato?
A
tale punto poteva giungere l'avidità di potere di un uomo pur
realizzato e ricco?
Si
massaggiò le tempie coi polpastrelli, cercando di attenuare il
pulsare del sangue. Aveva giurato vendetta contro il governatore di
Labuan ed era sua intenzione mantenere tale proposito.
Tale
sua giusta risoluzione non avrebbe mutato la realtà.
Il
rimorso non avrebbe mai abbandonato il suo cuore.
Sarebbe
stato un debole balsamo al suo tormento.
– Finirò
per impazzire... – mormorò. Cercava di negare a se
stesso tale verità, ma il suo animo e la sua mente erano
spazzati dal vento del rimorso.
Non
accettava di essere sopravvissuto ai suoi genitori e ai suoi
famigliari.
Perché
era stato benedetto da una simile fortuna? Era per caso più
degno?
No,
non era certo diverso rispetto a loro.
Sconfortato,
chiuse gli occhi e lacrime silenziose bagnarono le sue guance. In
quell'istante, poteva posare la sua maschera di forza e risolutezza.
Solo
la natura avrebbe veduto la sua sofferenza.
Un
braccio, fermo, seppur gentile, circondò le sue spalle.
Sandokan
si scosse dai suoi pensieri, girò la testa e i suoi occhi si
specchiarono nello sguardo ceruleo di Yanez, seduto accanto a lui.
– Che
succede? – chiese il portoghese, preoccupato. Poche ore prima,
aveva sentito il suo amico svegliarsi e uscire dalla capanna.
Il
suo passo non era calmo e Sandokan pareva un'anima infernale,
condannata ad una pena eterna.
Turbato
da una simile, travolgente angoscia, si era alzato e lo aveva
seguito.
La
sua preoccupazione si era accresciuta. Sandokan non era così
ingenuo.
Eppure,
non si avvedeva del rumore dei suoi passi.
Quale
pena straziava il suo animo, di solito forte e deciso?
Giunto
a poca distanza da lui, aveva sentito il suo cuore spaccarsi. Gli
occhi del suo migliore amico erano lucidi di lacrime.
Incapace
di sopportare quel suo viso sofferente, lo aveva abbracciato.
Sandokan,
con un sospiro, appoggiò la testa bruna contro la spalla
dell'amico. Si sentiva bene, stretto tra le sue braccia.
Quel
contatto donava sicurezza al suo cuore turbato.
Pur
non essendo legati dal sangue, lui e Yanez erano legati da una
profonda affinità di vedute e di ideali.
– Sto
bene. Sono solo un po' stanco. – spiegò, lo sguardo
fisso su un punto indefinito davanti a sé.
Il
portoghese accennò ad un sorriso.
– Fratellino,
mi ritieni così stupido? – chiese, d'impulso.
Si
pentì quasi subito delle sue parole e si schiaffeggiò
la fronte con la mano. Perché la sua lingua si muoveva prima
di formulare una frase corretta?
Avrebbe
voluto staccarsi la testa e cambiarsi il cervello.
La
sua stupidità, a volte, raggiungeva vette imbarazzanti. Non
poteva criticare Sandokan per la sua ritrosia, perché anche
lui era poco incline a rivelare le sue debolezze e fragilità.
Gli
procurava fastidio mostrare la sua malinconia e non poteva criticare
il suo amico per il medesimo comportamento.
– Se
non vuoi, non sei obbligato a dirmi nulla. Ma resterò con te.
– si scusò, il volto percorso da un tenue rossore.
Il
principe malese rimase immobile, silenzioso. Sentiva l'imbarazzo
nelle scuse concitate del portoghese e ne era intenerito.
Yanez
aveva pronunciato quelle parole senza riflettere, ma non era stato
guidato da pessime intenzioni.
Era
preoccupato per lui e, per questo, aveva agito d’impeto.
Ma
aveva saputo capire le ragioni della sua tristezza e aveva fatto un
passo indietro, offrendogli un appoggio silenzioso.
– E'
accaduto oggi. – dichiarò Sandokan.
Yanez
tacque e aggrottò le sopracciglia. Quelle tre parole avevano
rivelato l'origine della melanconia del suo amico malese.
Ricordava
lo sterminio della sua famiglia e riviveva quell'orrido evento.
Irrigidì
la mascella e aumentò la stretta del suo braccio sulle spalle
del compagno, quasi volesse offrirgli un approdo. Le sobrie parole di
Sandokan gli avevano ricordato il suo passato di umiliazioni e
dolore, a causa delle sue origini illegittime.
Si
era sentito vicino a lui, che, bambino, era stato costretto ad
assistere ad uno spettacolo crudele, in nome della fame di ricchezza
e di potere del governatore di Labuan.
Erano
uniti dalla perdita, perché entrambi, per motivi differenti,
avevano perduto la famiglia.
Accennò
ad un sorriso. No, si sbagliava.
La
vita del suo fratellino malese era ben più triste della sua.
Sandokan
aveva perduto l'amore familiare e lo rimpiangeva, mentre lui aveva
sofferto per l'assenza di un simile calore.
Certo,
sua nonna gli aveva voluto bene, ma il suo affetto, per quanto
profondo, non poteva sostituire quello di una madre e di un padre.
Un
bagliore ironico balenò nelle iridi chiare dell'europeo. La
mancanza non poteva essere paragonata alla perdita.
Non
si poteva davvero rimpiangere quello che non si era mai conosciuto.
Sandokan
si scosse dai suoi pensieri e sollevò la testa. Perché,
ad un tratto, Yanez si era irrigidito?
Lanciò
un breve sguardo su di lui. Il suo sorriso non era svanito, ma, per
alcuni istanti, un lampo di malinconia era riverberato nei suoi occhi
cerulei.
Quali
ricordi avevano attraversato la sua mente?
Scosse
la testa. Qualsiasi fosse stato il suo pensiero, lo aveva allontanato
e si era preoccupato della sua tristezza.
La
sua impulsività, a volte irritante, era soverchiata dalla sua
generosità.
Nelle
sventure si vede l'amico., pensò. Tante volte,
Macassar gli aveva ripetuto quella frase.
E,
in quel momento, capiva la luminosa verità di
quell'affermazione.
Quel
giovane portoghese, pur di confortarlo, aveva posto in secondo piano
i suoi dispiaceri.
– Sandokan,
non sentirti in colpa. Tu sei stato vittima di una crudeltà
ingiustificabile, quando eri solo un bambino. Non hai niente di cui
accusarti. – dichiarò, ad un tratto, l'europeo, il tono
fermo e deciso. Il suo compagno non lo aveva detto, ma il suo istinto
aveva percepito l'orrenda pena di un sopravvissuto, che si incolpava
per essere scampato ad una devastante tragedia.
No,
non meritava il peso del rimorso, perché era stato più
fortunato.
Il
principe malese, sentendo quelle parole, accennò ad un
sorriso. Nessun lungo discorso era stato necessario.
Il
suo fratellino europeo aveva afferrato le ragioni della sua pena e,
con la sua presenza silenziosa, gli aveva offerto sostegno.
Gli
appoggiò la mano sulla sua, in un gesto di complicità,
poi la strinse.
– Ti
ringrazio, amico mio. –
|