Le solitudini elettive.

di coopercroft
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Chiusi il laboratorio e mi preparai per uscire, era già buio e faceva freddo. Camminai fino all’uscita e mi accorsi dell’arrivo di Albert.  Rimasi interdetta e aspettai che mi raggiungesse.

“Dottoressa salga, la accompagno dal signor Holmes.”  Lo guardai accigliata, non capivo cosa significasse quel cambiamento.

“Ma per quale motivo, Albert?” Ero sospettosa, visto che avevo cacciato Mycroft in malo modo un’ora prima.

“Non lo so, ma ho questo ordine.” Mi passai la mano sulla fronte cercando di raccogliere le poche certezze che avevo e capire cosa volesse ancora da me. Così feci una cosa infantile e mi rivolsi titubante ad Albert.

“Faccio bene ad accettare? Visto che abbiamo litigato poco fa.”

“Dottoressa la prego, salga, il signor Holmes avrà una ragione.  Io ho ricevuto questo incarico. Si fidi.”

“Sta bene andiamo, avverto Watson.”  Salii dietro, Albert chiuse la porta e andò a sedersi alla guida.

Rimasi silenziosa per tutto il viaggio mentre percorrevamo buona parte di Londra. Entrammo in un edificio imponente, chiuso da un cancello massiccio protetto da telecamere. All’interno, un giardino e un colonnato bianco, abbellivano un palazzo signorile. Notai che anche lì le telecamere erano posizionate ovunque. Albert mi avvisò che eravamo arrivati, mi augurò una buona serata, mentre vidi Anthea venirmi incontro.   Scesi innervosita guardandomi intorno.

“Ciao, che ci faccio qui? Non poteva aspettare domani?”  Scosse la testa e la massa dei capelli ramati.

“Non lo so Laura, ma è tornato piuttosto inquieto e ha deciso di farti portare qui. Sai che eseguo gli ordini, seguimi.”  Le trotterellai dietro, lei aveva un passo deciso. In breve accedemmo all'ascensore che ci portò ai piani interrati. Rabbrividii pensando come si potesse lavorare in un posto così buio, illuminato dalla luce artificiale. Passammo porte blindate e corridoi impersonali.  Finché mi lasciò davanti all'anticamera di uno studio, mi aprì la porta e con un cenno del capo si allontanò.

Mi ritrovai di fronte a Holmes.

“Gesù, ma lavori qui sotto?” Sbottai sconcertata dal sistema di protezione adottato per la sua incolumità. Lui era dietro alla scrivania più costosa che avessi mai visto, in ulivo massiccio. Appoggiò la penna e mi rivolse lo sguardo.

“Ho uffici migliori con finestre, ma oggi avevo da fare in questo.”  Mi osservai intorno, decisamente un posto poco colorato e ordinato in modo maniacale. Una libreria con i suoi romanzi preferiti, la scrivania con pochi essenziali oggetti, qualche quadro di valore alle pareti e due poltrone dall’aria scomoda. Tipico studio da Holmes. Lui mi esaminava, ci eravamo lasciati male e io ero poco propensa al perdono.

“Cosa vuoi, Mycroft? Volevi impressionarmi? Perché ci sei riuscito.”  Mi fece cenno di sedermi. Mi lasciai cadere sulla poltrona decisamente poco accogliente, come lui del resto.

“Ho pensato di doverti una spiegazione. In fondo ti ho messo già in pericolo, senza nemmeno riuscire a proteggerti.” La sua voce era incolore e questo mi fece già male. Tutto l’affetto che mi aveva dimostrato anche se raramente, era sparito. Fui sulla difensiva incapace di essere gentile.

“Vedo che hai un lavoro importante e complicato.”  Cominciai a capire quale personalità complessa avessi davanti. Solo ora percepivo la difficoltà del suo lavoro, tutto il peso di decisioni forse al limite della legalità. E quindi la solitudine di cui si era circondato, per non ferire le persone che amava.

“Ti sarai divertito con una ingenua come me, vero Mycroft? Ero facile da abbindolare!”

“Laura sei sempre polemica.”  Si avvicinò alla scrivania, piantò i gomiti e intrecciò le mani sotto al mento.

“Ti era sembrato che mi approfittassi di te?  Il mio comportamento non era studiato. Del resto tu non mi hai chiesto nulla del mio lavoro.” Fu ironico, mi sembrò di essere ritornata indietro di settimane, quando ci conoscevamo appena.

“Come avrei potuto, se eri sempre così misterioso e mi dicevi che era meglio non sapessi nulla. Razza di presuntuoso bugiardo.” Scoppiai, tutta la rabbia che non riuscivo più a controllare se ne uscì fuori. “Cercavo di mediare con te una parvenza di amicizia, ma non mi consideravi degna.” Lo fissai seccata, decisa ad andarmene via in fretta. “Ora dimmi perché mi hai trascinato qui!”

Aggrottò la fronte, mantenendo un distacco stoico nonostante lo avessi insultato, socchiudendo gli occhi allo stesso modo di come trattava le persone fastidiose che incontrava.

“Mi dispiace, ma la storia delle cartelle del San Bart ci è sfuggita di mano. Gwen era una nostra agente che doveva trovare una talpa all’interno del dipartimento. E sai come è finita.”

 Si fermò prendendo fiato, sembrava impietrito, consapevole dello sbaglio che aveva fatto.  “Ora sei coinvolta anche tu.  Sai di lei e soprattutto mi frequenti e questo ti mette in pericolo. Credimi, non ho potuto fare altrimenti.”

Gli risi in faccia piena di rancore e questo liberò i suoi freni inibitori. “Non lo prendere per un gioco, Lorenzi!” Mi ringhiò dietro.

“Lo so, che non è un gioco, maledizione! Ma io ero venuta a Londra per studiare, non per trovarmi coinvolta nei tuoi sporchi affari.” Lo sibilai al limite della sopportazione.

“Bada, Laura! Lavoro per la sicurezza tua e di tutta la nazione. Mi sottovaluti e di molto!” Si aggrappò ai braccioli della sua costosa poltrona e le mani gli divennero bianche, ma non si alzò.

“Bravo! Volevi farmi vedere quanto sei importante? Per dimostrarmi che fai un lavoro prestigioso! È per questo che mi hai trascinato qui, vero Mycroft? Non pensare di intimorirmi, con la tua ostentazione di potere.”

 Non riuscivo a riprendere la calma. Ero esasperata, mi sembrò un perfetto estraneo, mi spaventai. 

“Tirami fuori dai guai.”

Lui si accorse della mia paura, rimase sconcertato, annaspò aria e si ricompose appoggiandosi allo schienale.

 La mia voce si fece debole. “Lo sai cosa ho passato, non farmi pentire di avertelo confidato. Non sei “Friends” e nemmeno un uomo quando ti comporti così.”

Abbassai la testa, i capelli mi scivolarono sulla fronte, ma non gli avrei dato la soddisfazione di vedermi cedere.

Mi sollevai dalla sedia, lui teso e muto si era messo a guardare i fogli distesi sulla scrivania, cercava di recuperare. Gli girai le spalle e fui vicina alla porta.

“Fammi tornare a casa, non voglio rimanere un minuto di più.”

Sentii scorrere la poltrona e i suoi passi, avvertii la sua presenza dietro di me, il calore della sua mano sulla spalla.

“Laura, lasciami finire, so quanto ti costa. Volevo avvertirti che devo metterti sotto scorta, tu e Hooper.”  Si interruppe, ma la voce era cambiata, era…  leggera. “Lei lo sa dei pericoli che corre frequentando noi Holmes.”

 Non dissi nulla mi limitai ad ascoltare, lui mi premette la spalla e mi fece girare adagio e me lo trovai davanti con il volto addolorato, sembrava pentito. “Sarà una cosa discreta Laura. Ma ti prometto sarà per poco. Sto già studiando come porvi rimedio.”  Si era addolcito, ma era teso, forse troppo. Pensai a Gwen ed ebbi un fremito di paura, non sapevo più cosa fare.

“Sai Mycroft? Non ci credo poi molto alle tue promesse.” Mi tremava la voce, ma cercai di non cedere, tanta era la voglia di sentirlo vicino e abbracciarlo perché potesse rassicurarmi. Mycroft  lasciò scivolare la mano sul mio braccio, e lo percorse fino a raggiungere la mia e la trattenne per pochi secondi.

Era così vicino da sentirne il respiro, era perplesso ma fu gentile.

“Va bene, Laura hai tutte le ragioni per dubitare, ma l’importante è che tu sappia che farò di tutto per proteggerti.”

Si staccò e chiamò Anthea. La nostra conversazione rimase sospesa come il nostro malconcio rapporto.  Me ne tornai a Baker Street con il cuore spezzato, mentre i dubbi sui sentimenti di Mycroft mi stavano soffocando.

  

 

 

 

 

 

 

 

 





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