mastino
Le lancette di tutti gli orologi della
casa puntavano sulle dieci esatte quando Sebastian, con puntualità
impeccabile, bussò con garbo alla porta dello studio. - Padroncino?
-
Non ottenendo alcuna risposta
dall'interno, si permise di abbassare la maniglia ed entrare nella
stanza.
- Perdonatemi, padroncino, è ora di
prepararvi per la nott... Oh, cielo. -
Il conte sonnecchiava seduto alla
scrivania, la testa reclinata da un lato appoggiata sulle nocche e la
bocca leggermente dischiusa che emetteva un lieve sibilo ad ogni
respiro.
Sebastian scosse la testa, lo spirito
conteso tra il divertimento e l'esasperazione.
- Ma che visione incantevole. -
mormorò, ironico. - Povero me. Addormentarsi così sgraziatamente
ancora vestito di tutto punto e per di più proprio di fronte alla
finestra con il lume acceso accanto a sé. Il bersaglio ideale per
chiunque voglia attentare alla sua vita, e lo sa il diavolo in quanti
avrebbero valide ragioni per provarci. A volte il padroncino è così
sconsiderato. -
Il maggiordomo emise un sospiro di
rassegnazione, si avvicinò al ragazzino assopito e gli scosse
delicatamente una spalla. - Signorino? -
Ciel mugugnò qualcosa di
incomprensibile prima di sollevare la palpebra dell'occhio sinistro
rivelandone l'iride color acquamarina, offuscata dalla nebbia del
sonno breve in cui era caduto.
- Sebastian? -
Si guardò intorno con aria vagamente
spaesata, tentando di orientarsi. Il demone si affrettò a dissipare
la confusione dovuta al brusco risveglio, anticipando le sue domande.
- Sono le 10, padroncino. È ora di andare a letto e, considerando lo
stato deplorevole in cui vi ho appena trovato, direi che ne avete un
gran bisogno. -
L'aspra replica del conte sfumò
miseramente in uno sbadiglio. Ciel scostò la benda che occultava il
sigillo del contratto posto nell'occhio destro e si stropicciò il
volto con un sospiro stanco. - Sono quelle stupide lezioni di danza.
- borbottò, a mo' di giustificazione. - Mrs. Mayerl è un'insegnante
anche più esigente e severa di quanto lo sia tu. Non credevo fosse
possibile. -
La bocca di Sebastian prese una piega
beffarda. - Ah, capisco. Volete dire che il vostro fisico gracilino
non può reggere neppure qualche giro di valzer? Sarà difficile
spiegare a Lady Elizabeth che il suo promesso non potrà mai farle da
cavaliere a un ballo senza poi crollare addormentato ancora prima di
raggiungere il letto. -
Ciel gli rivolse uno sguardo truce. -
Tieni a freno la lingua, demone. -
- Oh, non temete, signorino. - lo
rassicurò il maggiordomo, senza smettere di ridacchiare e ammiccando
con furbizia. - Terrò per me questo piccolo segreto. La vostra
reputazione è al sicuro. -
Il conte sbuffò, infastidito
dall'ilarità irriverente del suo servo, che pure si fondava
nientemeno che sulla triste verità.
- Basta così. - tagliò corto, per
nulla intenzionato a subire altre frecciatine. - Sono stanco ed è
già piuttosto tardi. Andiamo. -
Sebastian chinò il capo. - Agli
ordini, my Lord. - gli concesse qualche istante di silenzio prima di
tornare a sogghignare, incapace di trattenersi. - Pensate di riuscire
a camminare fino alla vostra camera o preferite che vi porti in
braccio? -
Ciel si alzò, incenerendo il
maggiordomo con una nuova occhiataccia. - Vedo che sei di umore
particolarmente spiritoso questa sera. Buon per te, demonio. Ma vedi
di non esagerare. -
- Vi chiedo scusa, padroncino. -
rispose Sebastian, con un tono che di contrito non aveva proprio
nulla.
Una ventina di minuti più tardi, il
ragazzo giaceva nel grande letto a baldacchino tra una pila di
cuscini candidi e vaporosi. Sebastian gli rimboccò le coperte con
cura, rituale che, come maggiordomo, compiva ormai ogni sera da tre
anni a quella parte.
Stava per congedarsi e augurare la
buonanotte al padrone quando notò il suo sguardo vagare per la
stanza, come se fosse in cerca di un dettaglio mancante.
- Qualcosa non va? - indagò.
Ciel scosse la testa, sbuffando. - Non
è niente. Mi sono dimenticato lo Strand nello studio. -
spiegò. - È stato appena pubblicato il nuovo capitolo dell'ultima
storia del dottor Arthur. Pensavo di leggerlo prima di dormire. -
Sebastian annuì. - Capisco. Non
disturbatevi, padroncino. Vado subito a prenderlo. -
Il ragazzino assentì con un cenno
imperioso del capo e si lasciò andare contro i cuscini socchiudendo
le palpebre pesanti, in attesa del suo ritorno.
Quando il maggiordomo rientrò nella
camera reggendo il giornale, scoprì il giovane Ciel profondamente
addormentato, abbandonato tra le coltri. Pareva dormisse da ore
invece che da una manciata di minuti.
Sebastian scosse la testa e sospirò
nuovamente. Ancora una volta, si era dato da fare per nulla. Aveva
ormai perso il conto di tutte le occasioni in cui i suoi sforzi, per
quanto minimi, avevano finito per infrangersi contro il muro del
temperamento volubile, testardo, capriccioso (a volte anche sadico)
del suo attuale contraente. Anche se, in tutta franchezza, non poteva
riconoscergli alcuna colpa per essere stato vinto dal sonno e dalla
stanchezza dopo una lunga giornata scandita da impegni di studio e
incontri d'affari riguardanti la compagnia di cui era a capo
nonostante la giovanissima età.
Posò il candelabro sul comodino,
accanto alla benda e ai due anelli che durante il giorno adornavano
le dita del conte e simboleggiavano il suo status; sistemò meglio le
coperte che avvolgevano il signorino, dopodiché gettò un'occhiata
alla pagina della rivista occupata dall'ultima fatica letteraria di
Arthur Conan Doyle.
Dopo gli eventi eccezionali accaduti
durante il soggiorno alla residenza Phantomhive e la sconcertante
sequela di rivelazioni che l'avevano travolto in seguito, la penna
del dottor Doyle aveva ripreso a partorire storie su storie.
Sebastian sorrise con soddisfazione, lieto che il suo stratagemma
avesse dato i frutti sperati: era certo che scuotere un po' la mente
piatta del dottore con un piccolo shock lo avrebbe portato a
ritrovare la creatività, l'entusiasmo e la motivazione per dedicarsi
alla stesura di quei romanzi polizieschi che il padroncino trovava
così avvincenti. A differenza dei suoi coetanei, il ragazzo non
traeva diletto da molte attività, ma sembrava che la lettura di quei
racconti costituisse un diversivo efficace per distogliere almeno per
un po' la sua mente dal pensiero assillante della vendetta e dalle
preoccupazioni quotidiane.
La nuova avventura del formidabile
Sherlock Holmes si intitolava Il mastino dei Baskerville.
Il demone inclinò le labbra in un sorrisetto: era alquanto bizzarro
che proprio Lord Phantomhive, il Cane da Guardia della Regina,
leggesse uno scritto con quel titolo.
Per curiosità, scorse qualche riga del
capitolo e la sua attenzione venne catturata da un passaggio in
particolare:
“Ma se io possiedo una qualità
che sia una, questa consiste nel mio buonsenso, e nulla potrà
persuadermi a dar retta ad assurdità del genere. Se questo
accadesse, mi parrebbe di scendere al livello di questi poveri
zotici, che non solo credono fermamente in una bestia infernale ma
addirittura pretendono di descriverla e asseriscono di averla vista
sputar fuoco e fiamme dalla bocca e dagli occhi. Sherlock Holmes non
crederebbe certo a simili fandonie, e io non ci credo per sua
delega.”*
A Sebastian non
sfuggì l'ironia della situazione. Il dottor Doyle aveva infatti
investito il personaggio di John Watson di quella stessa arroganza
intellettuale tipica dell'uomo moderno di cui egli stesso aveva dato
prova di fronte alla straordinarietà dell'esperienza vissuta al
maniero dei Phantomhive. La verità dei fatti si era dispiegata come
un nastro davanti ai suoi occhi sempre più sbarrati, prendendo le
sembianze di un'evidenza terrificante, del tutto inconciliabile con
il razionalismo scientifico, eppure di una coerenza inoppugnabile.
Nel momento in cui aveva finalmente aperto la mente e colto un
barlume della sua vera natura, Sebastian aveva fugato ogni dubbio
residuo e gli si era mostrato per ciò che era in realtà,
spaventandolo a morte. Lo scetticismo iniziale del povero dottore si
era quindi tramutato in una sbigottita certezza, impossibile da
negare o razionalizzare. Impossibile da ricondurre a quei principi
che i suoi studi di uomo di scienza indicavano come leggi
fondamentali assolute sulle quali si reggeva il mondo e che, di
certo, non contemplavano l'intervento di entità demoniache nelle
faccende umane.
Al di là di ciò
che aveva presentato come l'opinione di Watson, il buon dottor Arthur
sapeva perfettamente che le bestie infernali esistevano eccome,
sebbene non sputassero fuoco e fiamme... non tutte, almeno. In
effetti, di recente, alcune se ne andavano in giro sotto le spoglie
di eleganti maggiordomi in frac...
Il demone ridacchiò
tra sé al pensiero appena formulato.
In ogni caso,
quelle che sempre più spesso venivano etichettate come superstizioni
e credenze “da zotici” corrispondevano al vero molto più di
quanto si potesse immaginare. Ma la boriosa superbia degli umani non
conosceva limiti e andava accrescendosi di pari passo con i progressi
delle scienze. Le nuove scoperte alimentavano la loro arroganza
piuttosto che farli riflettere su quanto ancora non conoscessero. Ma,
del resto, erano proprio queste contraddizioni a rendere gli esseri
umani così interessanti ai suoi occhi di demone.
Sebastian ripose la
rivista sul comodino e recuperò il candelabro.
- Bene, allora. Vi
auguro una buonanotte, padroncino. - sussurrò in direzione del
ragazzo addormentato prima di spegnere con un soffio le tre
fiammelle.
* A. C. Doyle, Il mastino dei
Baskerville, Cap. 10, pg. 112
Nota dell'autrice:
Mi sono presa la libertà di anticipare
di qualche anno la pubblicazione de Il mastino dei Baskerville,
romanzo a puntate che appare sullo Strand Magazine a partire
dall'agosto del 1901. La voglia di scrivere questa storia era troppo
forte per lasciarmi fermare da un'incoerenza temporale. E poi,
seriamente, vogliamo parlare del fatto che Yana Toboso ha inserito
nel manga telefoni, carri armati, dispositivi di rilevamento, boy
band e quant'altro? :D
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