Mi sento di fare un piccolo incipit prima che la storia inizi. Questa
originale, come ho accennato, è il secondo capitolo di
"Splendida Follia", una storia che ho postato all'inizio del decennio e
che ho scritto quando ovviamente avevo un'età differente.
Per chiunque avesse
intenzione di incominciare a leggere questa nuova storia, consiglio di
leggere prima quella che ho menzionato semplicemente per avere le idee
più chiare e conoscere meglio i personaggi. Non vi
ruberà molto tempo, è una storia scorrevole e a
tratti divertente che, come ho spiegato nell'intro, ho corretto e
revisionato qualche tempo fa.
Si trova all'interno di
una serie chiamata "Ubi Maior Minor Cessat", dove potrete trovare
anche un missing moment tratto dalla
prima parte.
Non mi aspetto nulla da
questa nuova storia, solo ci tengo a postarla in quanto ho passato
diverso tempo a scriverla e in un certo senso in essa sono impressi
implicitamente ed esplicitamente tutti i miei anni da scrittrice.
La differenza di stile
che trapelerà sarà ovvia da capitolo a capitolo,
proprio perché include un lasso di tempo molto largo dove la
mia scrittura è andata perfezionandosi. Avrei potuto andare
a ristrutturare i primi capitoli rendendoli conformi al modo di
scrivere di adesso, ma la verità è che, a parte
l'aver apportato delle correzioni necessarie, non tutto è
stato lasciato lì per caso. Laddove le descrizioni
passeranno dall'essere più sintetiche a minuziose
sarà anche un modo per sottolineare la crescente
intensità psicologica e sentimentale dei protagonisti,
perciò una constatazione, una maturazione. Il modo di
scrivere sancirà proprio un passaggio, una scoperta di
sentimenti, sensazioni, dolore, rassegnazione.
Spero vi piaccia e
soprattutto che siate abituati ai cambiamenti perché questa
‘serie’ ne è piena.
Il freddo inverno bussava
alle porte, senza pietà. Valeryn si strinse di
più al suo maglione, guardando fuori dalla finestra.
Passanti frettolosi si accingevano a tornare a casa, speranzosi di non
andare incontro alla tempesta che da lì a pochi minuti si
sarebbe scatenata.
La castana
gettò un’ultima occhiata, per poi bere a piccoli
sorsi la sua cioccolata calda. Fece una piccola smorfia al contatto
della bevanda con la sua lingua, cosa estremamente strana dato che di
solito la gustava con piacere. Posò la tazza sopra il
lavandino e tornò a guardare fuori, malinconica, preoccupata.
D'istinto una
mano scivolò sopra la sua pancia piatta, in attesa di
qualcosa, magari un segno.
Poi si
ridestò, pensando che forse non era come credeva, che forse
si era sbagliata. La sua mente vagò fino ad una settimana
prima, quando lei e Maia si trovavano insieme in farmacia.
La farmacista aveva
guardato quest’ultima di traverso, stupita.
“Per te,
cara?” Maia sentì il cuore battere forte, dopo
sorrise falsamente.
“Ehm, no,
una... una parente lontana!” si giustificò, poi
afferrò l’acquisto posando i soldi sul bancone.
“Grazie tante e
arrivederci” Voltò le spalle alla donna, mentre
questa l’osservava andare allibita, chiedendosi se quella
ragazza superasse i diciotto o meno.
La riccia volse uno
sguardo interrogativo all’ amica, uscendo dal negozio con in
mano una bustina verde. Le due si fissarono per qualche secondo, dopo
imboccarono la strada di casa. Valeryn non aveva detto nulla
per tutto il resto del tragitto, e Maia era preoccupata.
Aveva incominciato a
piovigginare, così dovettero allungare il passo. Arrivarono
a destinazione. Si spogliarono dai cappotti, e si precipitarono in
bagno, un po’ speranzose, un po’ titubanti. Valeryn aveva il cuore in gola.
Maia aprì il sacchetto e ne estrasse fuori un piccolo
oggettino; la salvezza, la verità.
Lo porse alla castana,
che lo guardava impaurita.
“Forza, Vale,
ci siamo.”
Valeryn sentì un
brivido percorrerle la schiena. Non voleva utilizzare quel coso, no,
no! Maia continuava ad incoraggiarla, pur essendo consapevole di essere
finita nella tana del lupo.
Colta da un coraggio
improvviso, afferrò l’oggetto e si chiuse in
bagno. I minuti che trascorse lì dentro furono quasi
un’eternità. Maia guardava nervosamente la porta
in attesa che aprisse. Stava sudando freddo.
La castana
uscì d’un tratto. Si
guardarono.
“Allora?”
Valeryn negò con la
testa e fece cenno verso il bagno.
“E’
lì, ti prego, guarda tu.”
La supplica
dell’amica arrivò come un getto d’acqua
ghiacciata. Entrò in bagno, prendendo tra le mani
ciò che lei aveva lasciato sopra il water. Fece un lungo
respiro prima di guardare.
“Hai
visto?” chiese la castana arrivando da dietro.
Maia si voltò
in sua direzione senza parole. Si fissarono per secondi infiniti,
parlando con gli occhi. Poi Valeryn le scippò
dalle mani il test, con sgarbo.
Voleva farla finita.
Voleva vedere. Voleva sapere e basta, adesso. L’attesa le
procurava paura.
Rosso. Due linee rosse ben
visibili. Vide tutto rosso.
Si portò una
mano sul viso, sedendosi sopra la vasca, facendo scivolare per terra
quel dannato oggetto.
Maia le si
avvicinò, posandole una mano sulle spalle, scostandole i
capelli dal volto.
“Vale, mi
dispiace... io...”
Valeryn si divincolò
dal suo abbraccio, cercando di bloccare le lacrime che scorrevano a
fiumi dalle sue guance.
“Sono
incinta!” esclamò disperata, spaventata
“Io sono
incinta!”
La riccia la prese
nuovamente tra le sue braccia stringendola in un abbraccio confortante,
cercando di non piangere anche lei. Troppo tardi, ormai lo stava
già facendo.
Valeryn tornò al
presente sospirando e mordendosi il labbro. Ecco spiegati i suoi dubbi,
il suo ritardo di due settimane... Era incinta. Il test di gravidanza
parlava chiaro, rosso, positivo.
Lei, appena
diciassettenne, aspettava un bambino. Ancora non riusciva a crederci.
Voleva piangere, ma ormai l’aveva fatto per troppe volte in
quei giorni. Maia non sapeva più cosa fare per lei.
Nessuno sapeva niente,
nemmeno Miriana, nemmeno lui. Venne distratta dal
suono del suo cellulare. Pigiò il tasto verde senza vedere
chi era.
«Pronto?»
La sua voce suonava stanca. La riccia dall’altro capo se ne
accorse.
«Tesoro»
disse preoccupata «Come stai? Perché non sei
venuta a scuola oggi?»
Valeryn deglutì.
«Non mi
andava» mormorò.
«Avevi detto
che venivi» continuò Maia «Hai saltato
la festa dell’accoglienza. Sai, hanno fatto dei balletti
niente male, ma come il tuo dell’anno scorso nemmeno a
parlarne!»
Le piaceva il fatto che
l’incoraggiasse sempre e comunque. Per questo voleva bene a
Maia, si disse. Quella ragazza riusciva sempre a fare uscire in lei la
dolcezza, a farla sentire bene.
«Comunque se
stavi male hai fatto la miglior cosa» annuì la
mora, senza farla rispondere
«Sappi comunque
che... lui ti ha cercata»
Valeryn sentì i
battiti perdere il controllo. Era per quel motivo che non era andata a
scuola. Tecnicamente erano gli ultimi giorni prima delle vacanze
natalizie, quindi ciò si poteva benissimo collegare a
quello. In realtà non era così.
«Ha chiesto di
te» continuò l’amica «Io ho
fatto la vaga. Non volevo metterlo in allarme»
La castana si
attorcigliò una ciocca tra le dita.
«Grazie, Mai. Hai fatto
bene»
Sentì un
sospiro dall’altro capo.
«Quando glielo
dirai, Valeryn? E’ passata una settimana,
lui deve saperlo!»
La ragazza
guardò nuovamente fuori dalla finestra. Sapeva anche lei che
non poteva tenere nascosta la gravidanza ancora per molto; avrebbe
potuto farlo per giorni, magari settimane, poi la sua pancia avrebbe
svelato tutto.
Sospirò
gravemente.
«Lo
so» disse «Ma non mi va ancora. Voglio... aspettare
un altro po’... essere sicura...»
Maia sbottò
esasperata dall’altro telefono.
«Abbiamo fatto
quel test due volte, ormai sei sicurissima, Valeryn!»
«Lo
so»
«Perciò
mi sembra ora di dirglielo»
«Lo
so»
«Sai dire solo
questo?»
Si rendeva conto di
quanto poteva essere difficile per Maia quella situazione. Ma lo era
anche per lei, soprattutto per lei. D’un tratto la sua vita
aveva assunto una piega diversa, lei stessa si sentiva cambiata. Non
era più la Valeryn combattiva e determinata
di sempre: era diventata tetra, silenziosa, malinconica. Tutti avevano
notato questo suo repentino cambiamento d’umore, tutti
avevano fatto domande, nessuno sapeva la risposta. Solo lei sapeva.
Doveva ringraziarla.
«Mai, io... Ti chiedo scusa
se...se ti sto trascinando in...» Perché sentiva
sempre quelle maledette lacrime punzecchiarle gli occhi smeraldini? Era
diventata impotente, sensibile. Non stava bene.
«Non devi
scusarti con me, lo sai» troncò Maia
«Entrambe sappiamo ciò che devi fare. Devi farlo,
Vale, non starai più bene così. Oppure
c’è un altro modo, ma...»
«Non lo
farò mai!» esclamò la castana, quasi
urlando. Poi controllò che sua madre non ascoltasse
«Non
abortirò per nessuna cosa al mondo, questo è
certo!» abbassò di grado la voce.
La riccia
annuì dall’altro capo del telefono.
Sapeva che Valeryn non era contraria
all'aborto laddove le circostanze non permettevano una garanzia di vita
dignitosa o, soprattutto, nel caso di altre situazioni più
gravi, ma adesso che la questione la riguardava da vicino era diverso,
scattava subito sulla difensiva quando quella parola usciva fuori.
Aveva detto che nessuno
poteva contestare le scelte di nessuno, perciò non lo
avrebbe fatto nemmeno lei.
«Bene,
perciò parla chiaro» disse convinta. Poi
abbassò la voce anche lei «E’ il padre, Valeryn. Lui deve sapere. Ha
tutto il diritto!»
Sospirò
amaramente. Poi lo pensò.
Pensò alla sua reazione. Pensò se
l’avrebbe amata ancora.
«D’accordo,
adesso vado» disse secca «Non mi sento affatto
bene.»
«Mi
raccomando» fece l’amica premurosa «Se
stai male chiamami»
Valeryn annuì ed
attaccò subito dopo. Si sentiva incredibilmente stanca,
spossata, non aveva più voglia di far nulla. Solo chiudersi
nella sua stanza, sotto il piumone caldo del suo letto. Lontana da
tutti gli amici, dai genitori, da tutte quelle persone là
fuori. Da lui.
Quasi averlo chiamato, il
cellulare squillò nuovamente. Valeryn questa volta lesse il
display, per poi sospirare di tristezza. Lasciò che il
telefono squillasse a vuoto per una manciata di secondi che le
sembrarono un’eternità, poi si morse il labbro in
colpa.
Non era pronta per
rispondere ad una sua chiamata in
quel momento, non era pronta per sentire la sua voce.
Gettò la
cioccolata ormai fredda sul lavandino, poi lavò la tazza
pensierosa. Qualcosa dentro di sé la convinceva che Maia
aveva ragione, non poteva nascondere la gravidanza al suo ragazzo, non
poteva stare in silenzio e soffrire.
Pensò che in
fin dei conti avere un bambino non doveva essere così male.
Si tastò la pancia. D’un tratto la voce di sua
madre emerse da un’altra stanza, acuta e pungente.
Sospirò rassegnata.
Chissà
cos’avrebbero detto loro, invece. La sua
famiglia, sua madre, suo padre. La famiglia di lui.
Era incinta alla sua
età, non era ancora maggiorenne. Cristo, come avevano fatto
a sbagliare? Com’era potuto accadere? Così
sciocchi da aver lasciato che succedesse...
Basta, basta rimuginate,
si disse d’un tratto.
Doveva parlare con lui.
Assolutamente. Non c’era nessuna soluzione al problema,
avrebbe dovuto soltanto aprire quella dannata bocca e dirgli tutta la
verità.
Dire a Vittorio che
aspettavano un bambino.
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