Nella GIF, tratta dal film “Il club del libro e della
torta di bucce di patata di Guernsey”, come immagino Sarah e Matteo in luna di
miele a Ischia.
Capitolo 51
Come suo padre
“Il processo di filiazione contiene questo paradosso:
la vita umana è attraversata dalla vita dell’Altro, porta dentro di sé non solo
un patrimonio genetico come marca biologica della sua provenienza, ma anche le
parole, le leggende, i fantasmi, le colpe e le gioie delle generazioni che
l’hanno preceduta. È fatta, costituita interamente, dalle tracce dell’Altro.”
Massimo Recalcati, Il segreto del figlio
Matteo
In
malo modo, aveva mandato via il giovane aiutante, retribuendogli le ore di
lavoro perdute, per restare da solo con se stesso, in mezzo al mare, sulla
barca che portava il nome di sua moglie, mentre la notte incombeva a schiarire
i pensieri.
Non
s’adoperò nel pescare, ma, sdraiato nell’imbarcazione, con le braccia
incrociate dietro la testa e l’espressione arcigna che andava via via
mitigandosi col dondolio lento delle onde, fissò gli occhi verso il cielo
stellato per un tempo indefinito.
Guardandosi
dentro, comprese che, senza accorgersene, in balia della volontà altrui,
intrappolato nello sforzo di essere come gli altri volevano, stava diventando
come suo padre e quegli uomini che, sin da piccolo, aveva rifiutato di prendere
come modello di riferimento nella sua vita, e in quella matrimoniale in
particolare.
Aveva
lasciato che l’istinto della violenza prendesse il sopravvento, sotto la spinta
delle proprie frustrazioni e l’influenza di una mentalità patriarcale
retrograda, rozza e si angustiava per la fatica a imboccare la strada del
pentimento e nel rendere più vivida alla memoria l’immagine del viso arrossato
di Sarah, del suo naso sanguinante.
Essendone
il primogenito, ricordava sua madre nei primi anni di matrimonio, l’ardore e la
giovialità della sua giovinezza piegati dalle male parole e dalle mazzate di
suo padre, il precoce sfiorire della sua bellezza coi tratti delicati del viso
e del carattere che s’indurivano con la fatica del lavoro domestico e delle
gravidanze e con gli stenti che una prole numerosa, inevitabilmente,
comportava. A questa vita stava condannando Sarah e se stesso.
Ponendo
nella dimenticanza gli eventi a cui aveva assistito da bambino, s’era precluso
di essi l’elaborazione, ma, assorbiti inconsciamente, ne aveva accolto il
retaggio. La catena non si sarebbe spezzata.
Un
fulmine sull’isola d’Ischia, dov’erano depositati i bei momenti della luna di
miele, precedé il lampo che gli restituì alla memoria un ricordo più lontano
nel tempo.
Si
rivide ragazzino, mentre, nascosto e accucciato nello sgabuzzino in cucina,
guardava attraverso una fessura della porticina la lite fra i suoi genitori, i
ripetuti tentativi di sua madre di sottrarre suo fratello a una punizione
troppo dura per la marachella compiuta che spettava anche a lui, essendone
complice.
Non
ricordava esattamente che cosa avessero combinato per suscitare una reazione
tanto iraconda, ma rammentò alla perfezione sua madre strattonata per i capelli
e scaraventata contro il tavolo, le sue braccia protese istintivamente in
avanti per proteggere dall’urto il ventre gravido, sul quale, ritrovato
l’equilibrio, adagiò poi una mano con espressione sofferente e rassegnata.
Fu in quel momento che, con un linguaggio da bambino, aveva
pregato dentro di sé la Madonna, affinché non diventasse come suo padre, ma, se
tale eventualità ci fosse stata, di non permettergli di avere figli.
Una preghiera che somigliava più a un giuramento, frutto di
un pensiero troppo maturo per la sua età che non riuscì a metabolizzare,
obliato al dolore fisico ed emotivo della severa e ingiusta punizione paterna.
L’onnisciente Provvidenza e non il peccato di concupiscenza
che, talora, ipotizzava avesse commesso Sarah con l’ufficiale tedesco impediva
loro di procreare. L’esaudimento di una preghiera e non l’espiazione di una
colpa. Il lato oscuro di sé e non l’ombra di un fantasma. Lui stesso e non
quell’Hermann. Poiché sarebbe diventato come suo padre, anzi già lo era.
Fra le dita, come se fosse una sensazione reale, poté
avvertire l’intrecciarsi dei capelli di Sarah, mentre, sul pianerottolo della
casa che avrebbero abitato, glieli tirava, in preda alle suggestioni della
gelosia, condizionato dalle opinioni altrui. Riguardando a tale evento, ne
riconobbe l’inconscia emulazione e, in lui, rivide suo padre, in Sarah, sua
madre nella scena del litigio a cui aveva nascostamente presenziato da
ragazzino. E volle ritornare in quell’angusto sgabuzzino per poter meglio
delineare, col medesimo lampo di discernimento d’allora, la verità su se stesso,
guardando da una fessura, ovverosia come spettatore, alla propria vita.
Comprese il vero motivo della sua profonda avversione verso
Davide per il quale avrebbe dovuto provare soltanto compatimento, dato il
tragico vissuto ad Auschwitz e, prima ancora, a causa delle leggi razziali,
scoprendosi completamente indifferente rispetto alla scelta di prendere in
sposa una donna più giovane e solo in minima parte geloso del rapporto amicale
con sua moglie.
Colto e dai modi raffinati, sensibile e dalle ampie vedute,
in lui vedeva il padre che avrebbe voluto per se stesso e l’uomo che sapeva non
sarebbe mai diventato. Frustrazioni queste dalle quali originava l’invidia che,
alimentando la propria disistima, s’esplicitava attraverso un più ammissibile,
onorevole sentimento di gelosia.
Sarebbe rimasto fermo sulla sua posizione, ma non avrebbe
impedito a Sarah di partecipare alle nozze, usandole violenza, come lei gli
aveva lasciato intendere di credere.
Si tormentò nel pensare a quale idea sbagliata si fosse fatta
su di lui, poi un altro pensiero abitò la sua mente. Riconobbe di non voler
ascoltare la verità sulla relazione di sua moglie con l’ufficiale tedesco per
evitare di affrontare il confronto che, indubbiamente, avrebbe retto, se questi
fosse restato un nazista stupratore.
Non si accorse del chiarore purpureo apparso nel cielo ad
annunziare il sorgere del sole e il suo mancato rientro a casa diede adito al fraintendimento,
interpretato, infatti, da Sarah come un abbandono.
“Così son diventato mio padre,
ucciso in un sogno precedente.
Il tribunale mi ha dato fiducia,
assoluzione e delitto lo stesso movente.”
Fabrizio De André, La canzone del padre