Red Room Blue Room

di daffodil_damask
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Now tell me: how did all my dreams turn to nightmares?

How did I lose it when I was right there?

Now I'm so far that it feels like it's all gone to pieces

Tell me why the world never fights fair

I'm trying to find-

 

 

 

 

Stazione Spaziale Demos, sezione Ovest, 2963 Lake Avenue. All'ottavo piano di una palazzina con l'intonaco macchiato dalla pioggia, interno 34, un campanello reca il nome solitario di "Emerson, Catherine". È un appartamento spoglio, affittato da poco: gli arredi stonano tra loro, sembrano i resti di chi aveva abitato lì in precedenza. Non c'è molto che racconti la personalità di chi ci vive adesso.

A Carven, in fondo, va bene così. Un appartamento anonimo e assurdamente normale è quello che ci vuole per iniziare una nuova vita. Un cellulare, un portatile e l'ologramma di un fiore blu elettrico sono le uniche cose che la ragazza ha voluto portare con sé. I vestiti sono tutti nuovi, così come la carta d'identità e la carta di credito; almeno i vestiti non sono contraffatti.

Tutto il Clan del Re Scorpione era stato avvertito della decisione della ragazza. Non tutti erano d'accordo ma, saggiamente, nessuno si era permesso di obiettare. Nichrom era scettico ma aveva rispettato la sua scelta; le aveva solamente chiesto un ultimo bacio profondo e mozzafiato, che lei gli aveva dato con non poco entusiasmo. Salutare Argon era stata la parte peggiore e le aveva quasi fatto cambiare idea sui suoi propositi, ma ormai era fatta. Avrebbe provato a tagliare i ponti con tutto ciò che riguardava il Clan, le lotte clandestine, la malavita, per tornare ad una vita "normale".

 

Erano passate poco più di due settimane. Prendere il cellulare in mano le sembra l'azione più naturale del mondo. Le sue dita trovano il numero di Argon in automatico.

La prima chiamata cade nel vuoto, nessuno risponde. Dopo un altro paio di squilli si sente un «Huh? Carven?» dall'altro capo del telefono. Il familiare borbottio fa sorridere la ragazza per la prima volta dopo giorni.

Sospira. «Hey, 'Gon. Non ce la faccio più.» Non vorrebbe, eppure non riesce a non sentirsi sollevata. Dire la verità la fa stare meglio. «Avevi ragione. Mi sto decomponendo. Questa vita non fa più per me. …Passi a prendermi?» chiede infine, incrociando le dita della mano libera.

Un attimo di silenzio, poi un basso gorgoglio che sembra una risata. «Dove ti trovi?»

La ragazza rimane a bocca aperta, lo sguardo perso nel vuoto. Vorrebbe scattare in piedi ed esultare, ma rimanda tutto a dopo. «Ho affittato un monolocale all'angolo tra la 92esima e la Lake. Se hai ancora quel programma che ti avevo installato sul cellulare, dovresti riuscire a localizzarmi.»

«Certo che ce l'ho, non ho mica buttato niente. La tua roba è ancora qui.»

 

Nonostante gli avesse detto chiaramente che non si sarebbero più rivisti e gli avesse dato il permesso di liberarsi di tutto ciò che Carven non si era presa con sé, Argon aveva conservato le sue cose. Forse non aveva nemmeno creduto alle parole di addio di lei eppure non l'aveva trattenuta, anzi l'aveva riaccompagnata a Demos di persona. Si era solo permesso di darle un nuovo numero da chiamare, nel caso avesse avuto bisogno di lui. Oh, cazzo, aveva intuito tutto fin dall'inizio.

Incapace di rispondere qualcosa di più intelligente, Carven balbetta infine: «Vega come sta?». La memoria riportò in superficie tutti i dettagli di quella navicella spaziale modesta ma accogliente, con quel sistema operativo dal sapore vintage e il secondo motore di destra che aveva sempre bisogno di attenzioni. Riusciva ancora a ricordare gli adesivi che lei aveva attaccato sopra alla plancia e l'espressione confusa di Argon quando li aveva visti, perché Carven ma come fai a non ricordarti la differenza tra carrello e alettoni?

«Fa le fusa come un gattino. Però in effetti avrebbe bisogno di un po' di manutenzione, sai com'è, le solite cose. Serve qualcuno che sappia come aggiornare i computer di bordo senza fare danni.» 

Carven sente che Argon sta sorridendo, e non può non sorridere a sua volta. «Cinque minuti e sono pronta. Promesso.» Conclude, scattando in piedi e cominciando a radunare le proprie cose con una mano sola.

«Muoviti, sono quasi sotto casa tua,» ridacchia Argon, prima di chiudere la chiamata.

 

Carven getta dentro lo zaino tutto quello che può essere utile, dal cibo confezionato ai travestimenti più disparati a tutto ciò che potrebbe essere in qualche modo sospetto. Va talmente di fretta che dimentica perfino di aderire alla propria identità fittizia, indossando vestiti sportivi e lasciando la parrucca di Catherine Emerson sul fondo dello zaino. Sbatte la porta dietro di sé e lascia la chiave sotto lo zerbino, volando giù per le scale mentre scrive una mail all'affittuario per interrompere in anticipo il contratto. Garantisce che pagherà la rata corrente e che ha lasciato tutto in ordine, adesso non è davvero ora di perdersi in discorsi inutili.

Una volta fuori, ansimando un po' per tutte le rampe di scale percorse, non fa in tempo a controllare di aver chiuso bene lo zaino che un famigliare sibilo attira la sua attenzione. Gli occhi le brillano quando rivede Argon, riparato tra le mura di una strada laterale per non attirare troppo l'attenzione.

 

Lo zaino le scivola dalla spalla ma non importa; la corsa di Carven termina con un balzo e le sue braccia si stringono al collo dell'androide. Lui fa appena in tempo ad accorgersene e a stringerla per non farla cadere, riuscendo a sorreggerla nonostante la sorpresa. «... Non ti sembra un po' esagerato?» Ride lui, dandole qualche amichevole pacca sulla schiena.

Carven scuote con decisione la testa, senza accennare ad allentare la presa. La verità è che sta per piangere e spera di calmarsi prima di farsi vedere in viso da Argon. «Grazie,» sussurra soltanto, con un filo di voce.

A quella parola l'androide aspetta pazientemente, in silenzio, tenendo la mano posata sulla schiena di lei. È confortante venire capiti all'istante. Basta questo per convincerla di aver fatto la scelta giusta.

 

Argon la posa a terra solo quando sente l'abbraccio allentarsi. Carven ha un sorriso euforico stampato in viso e gli occhi lucidi; non taglia i capelli dall'ultima volta che si sono visti e indossa vestiti trasandati, ma tutto sbiadisce davanti alla felicità che irradia, così intensa, così pura. «Prendi il tuo zaino, torniamo a casa,» la incoraggia Argon.

La ragazza annuisce energicamente, si volta e cerca di asciugare di nascosto la lacrima che è sfuggita al suo controllo; l'androide fa finta di non accorgersene. «Sì. Torniamo a casa,» ripete Carven con voce esile, incamminandosi fianco a fianco con Argon.

 

 

 

 

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A place where I can go

To take this off my shoulders

Someone take me home





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