Per una volta nella mia -vita? Non sono più sicuro di
poterla chiamare così, cioè tecnicamente sono
morto anche se mi sembra di fare più cose di quanto non lo
ero- esistenza penso di aver fatto la cosa giusta, ho detto una frase a
effetto. La cosa giusta non universalmente, quella che suggerivano i
miei sentimenti autentici.
"Ti piacciono i pancakes?" mi ha domandato Hansen.
Trovo ridicolo come io non sappia niente circa i miei gusti personali a
causa di mia madre -tornerò su questo punto in seguito- e
forse trovo anche più ridicolo che Evan continui a trattarmi
come se fossi un essere che può ancora mangiare.
"Non lo so, perché?" gli ho chiesto.
"Lascia stare, magari non succederà neanche" mi ha risposto.
Avrei voluto chiedergli di cosa si trattasse, ma il suo sguardo triste
mi ha ammutolito. Ho una capacità di consolare gli altri che
fa veramente pena, se Hansen mi avesse raccontato cosa provava in quel
momento probabilmente avrei messo del sale sulla ferita con qualcosa
tipo "beh che schifo essere te."
"E adesso come funziona?" mi ha chiesto. Ce lo stavamo domandando
entrambi probabilmente. Non so se sia il caso di dirgli che ho passato
la precedente notte a vagare per la sua stanza come un'anima in pena
-che effettivamente sono quindi il paragone calza- perché ho
paura che si spaventi di nuovo e onestamente l'ultima cosa che voglio
è creargli altri problemi.
"Credo che "vivrò" qui..."
L'espressione sul volto di Evan è indecifrabile, come se
stesse provando tutto e il contrario di tutto nello stesso momento.
"Beh almeno ci sarà qualcuno in casa" ha detto.
Di nuovo, non ho voluto chiedere altro, ma me ne sono stato in silenzio
a guardarmi intorno.
"Buonanotte, Connor" è arrivata quella frase all'improvviso.
Non ho fatto in tempo a dirgli che non deve sprecarsi ad augurarmi
niente perché non ho più bisogno di dormire.
Ho capito perché Hansen mi ha chiesto se mi piacessero i
pancakes nella giornata di ieri, è collegato alla nostra
attuale presenza Bell House.
Questa mattina Evan si è alzato presto, si è
guardato intorno e ci ho messo qualche secondo a realizzare che mi
stava cercando, si stava assicurando forse che non fosse stato tutto un
sogno o forse ancora era davvero preoccupato di dove fossi, che ci
fossi ancora.
"Buongiorno" mi ha detto guardandomi negli occhi.
"Giorno" ho replicato.
"Hai dormito bene?"
"Non ho chiuso occhio, Hansen. Volevo per l'appunto informarti che come
non ho bisogno di mangiare o bere non ho neanche bisogno di dormire."
C'è stato un silenzio tra noi prima che Evan si alzasse dal
letto e si portasse in bagno per prepararsi. Quando è
riemerso mi ha chiesto di nuovo se mi andasse i pancakes e prima che
potessi rispondere la mamma di Hansen ha detto che dovevano prepararsi
perché c'era una cascata di sciroppo d'acero che li
attendeva.
"Sei così lontano, mi sento come se dovessi sedermi dalla
tua parte" dice la mamma di Hansen, non so decifrare l'espressione sul
suo volto, forse è apprensione.
"No" ribatte Evan e ora che mi sono sintonizzato sui suoi pensieri so
anche il perché di tanta enfasi.
'Mi sento come se fossimo a un appuntamento. Mia madre si è
messa in tiro ed è imbarazzante.'
Hansen è strano, si fa problemi che neanche esistono. Voglio
dire, a chi importa se la propria madre si è vestita
giovanile e si sente figa? Non sta facendo niente per metterlo a
disagio. Heidi è una regina, Hansen, lo è per le
corsie come fuori ed è stanca di indossare sempre un camice
e mai qualcosa che la faccia sentire bella.
In tutta onestà non so da dove vengano questi pensieri, non
ero così empatico quando ero... insomma è chiaro
il concetto, no? O forse lo sono sempre stato, ma mi sono lasciato
convincere del contrario, del resto sono sempre gli animi
più sensibili a patire.
Vedo gli occhi di Heidi e leggo la stanchezza, non è dovuta
all'età, sono i segni della sofferenza dipinti in ogni
increspatura del suo volto. Sta facendo del suo meglio, è
questo che sta cercando di dirgli, ma Evan è cieco.
"Hey Hansen, tua madre si sta facendo un quattro per te e tu non glielo
riconosci" non so perché ma è questo che vorrei
urlargli. Come apro la bocca però mi restano incastrate come
insetti in una ragnatela e più cerco di sbrogliarle
più le vedo annodarsi tra loro.
Heidi non c'è più, ora c'è Cynthia al
suo posto.
"Sto facendo del mio meglio, Connor!" mi sta gridando addosso e io non
sono sicuro di crederle, ma sento il cuore pesante e le lacrime agli
occhi.
Bruciano ancora, fresche come il primo giorno.
"Quello che sto cercando di dire è che hai così
tante cose meravigliose davanti a te. Ricordalo e basta. La strada
verso la vetta è lunga, ma ne vale assolutamente la pena."
Non è più Cynthia, è di nuovo Heidi
che stringe le mani di Evan come se fosse paralizzata, lo sguardo fisso
sul cibo.
"Mamma" la chiama Evan. Heidi sobbalza. "Scusa" gli dice. Prende un
tovagliolo di carta, lo apre e lo posiziona nel colletto della maglia.
"Stavo solo pensando" mormora.
"A cosa?" domanda Evan, è indispettito dal suo atteggiamento.
"A quel ragazzo che..."
Un brivido dietro la schiena, la gente mi pensa, sono sulla bocca di
tutti. Ora che ci penso Heidi si è presa cura di me in
ospedale, sono sicuro di aver sentito la sua voce da qualche parte tra
la vita e la morte. Deve essere terrorizzata, io ed Evan abbiamo la
stessa età, forse ha paura che anche lui..
'Come ti sei ucciso?'
"Stai parlando con me, Hansen?" gli domando.
Evan sobbalza, non credo si sia abituato al fatto che esisto e gli
gravito intorno o qualcosa del genere.
'Tu... tu puoi sentire i miei pensieri?'
"Solo se mi ci focalizzo o se lo fai in maniera eccessiva. Quello che
c'è nella tua testa diventa ingombrante, non trova
più spazio e trova il modo di raggiungermi."
Evan se la sta facendo sotto, è bianco come un lenzuolo e la
sua fronte è sudata, penso sia preoccupato di non avere
più privacy e non so come fare a tranquillizzarlo
perché sono molto più corretto di quanto pensa e
anche meno interessato probabilmente.
Evan respira, a pieni polmoni, li riempie d'aria e li svuota lentamente.
'Lamette? Cappio? Monossido di carbonio? Pillole? La tua bara era
chiusa alla veglia funebre quindi forse hai usato una pistola? So per
certo che non sei saltato giù da un ponte
considerando le condizioni immacolate della mia lettera. Le persone
online continuano a dire che probabilmente è stata
un'overdose, il che sarebbe appropriato e indolore o forse no. Mi
chiedo se a un certo punto te ne sia pentito. Se c'è stato
un momento tra la decisione e la morte in cui hai cambiato idea.'
Hansen mi terrorizza, sta cercando davvero di capire come mi sono
suicidato, cosa ho provato e sentirgli elencare tutti quei metodi mi
distrugge perché li ho valutati tutti, uno per uno, nessuno
escluso. Non sono pronto a parlarne.
“Quei poveri genitori. Non riesco proprio a immaginare."
Sia io che Hansen riemergiamo dalla nostra non conversazione davanti
alle parole di Heidi ed entrambi pensiamo a Cynthia e Larry,
sicuramente in maniera differente.
Mi fa girare i coglioni che quando muore qualcuno, anche muore per la
propria volontà, il discorso verte attorno ai genitori di
quel qualcuno, intorno a chi è rimasto e non a chi se ne
è andato. Probabilmente nessuno immagina che potrebbe
rimanere lì, sentire ogni parola e odiare non poter
annullarne l'ascolto.
"Qualcuno vuole chiedersi perché mi sono suicidato io!"
'Te l'ho appena chiesto!'
Evan mi guarda e mi rendo conto di star fluttuando sopra la testa di
Heidi.
La mamma di Hansen ha detto qualcos'altro, ma non stavo prestando
attenzione, Evan mi fissa in attesa di una risposta che non
avrà.
"Che t'importa?" gli domando e prima che me ne renda conto le parole
sono già fuori e il viso di Hansen è triste.
Faccio schifo proprio a relazionarmi.
I miei hanno insistito perché Evan andasse a cena da loro e
questo è il motivo per cui adesso sono davanti al cancello
della mia prigione.
'L'unico motivo per cui sono qui è perché Connor
non c'è' pensa Hansen.
"Scusa tanto, io sarei qui!" gli urlo contro, mi dà fastidio
che si parli di me come se non fossi presente.
"E come dovrei sentirmi al riguardo?" mi chiede Evan, lo fa ad alta
voce, noncurante o forse non consapevole del fatto che senza un
cellulare in mano aver parlato in questo modo è solo
reputabile come segno di squilibrio.
"Che ci fai là fuori?" la voce di Cynthia.
Evan inciampa nelle sue parole mentre mia madre gli apre la porta
d'ingresso.
"Buonanotte... voglio dire, buona sera, signora Murphy. "
"Ciao mamma..." mormoro non convinto, sono talmente abituato a
chiamarla per nome che quel termine caldo che dovrebbe portarmi
conforto mi risuona fuori posto.
"Accomodati e per favore chiamami Cynthia."
Appunto.
Osservo Hansen porgerle dei fiori.
"Quelli dovevi portarli al mio funerale" scherzo, ma Evan non ride anzi
trema.
Che poi tornando alla veglia, Evan ha parlato di una bara, ma io
ricordo di avere visto un'urna. Di cosa stiamo parlando? Che hanno
scelto di fare i miei genitori? Ma soprattutto che me ne frega? Non
è che io avessi una preferenza di fatto o comunque non
l'avrebbero rispettata né ascoltata anche se l'avessi avuta.
È questo che mi domando, perché tutti vedono solo
l'effetto e non la causa. Chi piange spesso è il carnefice,
chi è morto è senza dubbio la vittima.
Ipocrisia?
"Oh, è molto dolce, Evan. Grazie."
Cynthia sta abbracciando Evan e io mi domando se ci sia modo di
prendere possesso del suo corpo e scoprire che effetto fa avere le sue
braccia in cui rifugiarmi. Dalle scale scende Zoe, sembra turbata e per
nulla felice di vedere Evan e posso perfettamente immaginare
perché.
Che tipo di rapporto c'era tra me e Hansen prima della mia morte?
Nessuno e Zoe lo sa.
Evan siede in quello che appena tre/quattro -ma che cazzo ne so? Il
tempo è diverso in questa forma- giorni era il mio posto e
mi rendo conto che mi dà fastidio. Mi piazzo di fronte a
lui, fluttuando a mezz'aria, al centro del tavolo, Evan sgrana gli
occhi, ma nessuno ci fa caso.
La mia assenza equivale alla sua presenza, mi sembra ci stia
così meglio di me al mio posto, nella mia famiglia. I demoni
sono venuti tutti con me, confermo.
"Fa caldo qui" dice Cynthia sventolandosi.
"Qualcun altro si sente accaldato?"
Evan sicuramente, ma non è nella facoltà di
rispondere, la situazione che sta vivendo lo sta mettendo fin troppo in
ansia. Se lo chiedono a me invece posso dire tranquillamente di no.
Bruciavo solo dentro, ma il mio corpo sembrava sempre bramare un calore
incapace di sciogliere il ghiaccio di cui era costituito.
"È afoso per essere settembre. Posso abbassare la
temperatura dell'aria condizionata se vuoi" conviene Larry. "No, va
bene" risponde Cynthia tamponando la fronte con un tovagliolo.
Zoe non ha detto una sola parola da quando siamo arrivati.
Larry solleva un piatto. "Qualcun altro vorrebbe più pollo?"
domanda.
"Penso che tu sia l'unico ad avere appetito, Larry" commenta Cynthia.
Dopo aver esitato Larry si riempie piatto. "Beh, non ho intenzione di
sprecarlo. È stato molto premuroso da parte degli Harris
portarcelo."
"Connor ti ha parlato degli Harris?" domanda Cynthia a Evan e ora mi
sento in colpa perché dopo avergli detto che avremmo
riscritto le nostre storie non mi sono nemmeno degnato di dargli un
copione da imparare.
È successo qualcosa è Bell House, sono andato
sulla difensiva e sono scomparso. Quando sono tornato era
già passato un intero giorno ed Evan non sapeva come
rivolgersi a me, suppongo ci sia rimasto male per come gli ho risposto.
Hansen annuisce, la scampa con l'improvvisazione. Gli Harris non mi
sono mai stati troppo simpatici probabilmente perché anche
loro come i miei genitori mi hanno sempre guardato come la pecora nera
della famiglia.
"Sono nostri amici di vecchia data" spiega Cynthia. "Andavamo a sciare
insieme. Abbiamo trascorso dei bei momenti là fuori sulle
piste."
Hansen annuisce e poi annuisce e annuisce ancora, poi apre la bocca.
"Connor amava sciare."
"Connor odiava sciare" incalza Zoe.
“Esatto, lo odiava. Ecco cosa intendevo. Solo puro odio ogni
volta che si usciva l'argomento. Amava parlare di quanto
odiasse sciare" si arrampica Evan strappandomi una risata.
“Quindi voi ragazzi vi vedevate spesso? Tu e Connor? "
domanda Cynthia.
"Abbastanza" risponde Evan, direi che per essere del tutto improvvisato
se la sta cavando alla grande.
Ora che noto la sudorazione del suo corpo, il panico negli occhi mi
rendo conto che la devo smettere di comportarmi come l'adolescente
irritabile che sono/ero, non è chiaro ancora come mi devo
rivolgere a me stesso e aiutare Hansen.
"Dove?" indaga Zoe.
"Intendi... dove ci vedevamo?" domanda in risposta Hansen.
"Sì, dove?"
Sto per aprire la bocca, gli sto fornendo le risposte di cui ha
bisogno, ma Evan ha gli occhi su mia sorella e non se ne è
reso conto.
"Bene" dice fingendo di tossire per schiarirsi la voce.
"Per la maggior parte del tempo stavamo a casa mia. Voglio dire a volte
andavamo anche a casa sua- voglio dire, qui - se non c'era nessun
altro. "
Sgrano gli occhi, Larry squadra Evan da capo a piedi, io non so se si
è reso conto di quello che ha detto, ma probabilmente no.
Ora mi rivolge lo sguardo in cerca di aiuto e io sento la gola secca e
caldo, non so che dire, mi viene da ridere istericamente ed
è ciò che faccio.
Evan sospira, rilassa le spalle.
'Non dovevi salvarmi?' mi chiede col pensiero.
Beh si dà il caso che una cosa era l'immaginazione, ma ora
che ci siamo davvero dentro mi sembra solo assurdo che i miei genitori
credano alle parole di chiunque. Ora so fino a che punto non mi
conoscevano.
"E-mail" dice Hansen, come se gli si fosse appena accesa una lampadina.
“Ci inviavamo molte email, a volte non voleva uscire, il che
lo capisco, avevamo questo in comune, immagino."
Per un istante sorrido perché forse davvero io e Hansen
saremmo stati i migliori amici di tutti i tempi, comprendendoci a un
livello così profondo, rispettando le problematiche
dell'altro...
"Abbiamo controllato le sue e-mail" interviene Zoe. "Non ce ne sono da
parte tua."
"Beh sì, voglio dire, è perché aveva
un account diverso. Un account segreto. Avrei dovuto dirlo prima.
Probabilmente è stato molto confusionario.Scusate."
"Hansen, fermati!" quasi urlo, ci sta mettendo in una situazione
scomoda e lui è ancora vivo quindi cazzi suoi.
"Perché era segreto?" chiede Zoe.
"Perché era segreto?" mi chiede Hansen in panico guardandomi
negli occhi.
"Era segreto perché era solo ... Connor pensava che avremmo
avuto più privacy così."
Facepalm del secolo, grazie Hansen, adesso i miei genitori pensano
ufficialmente che stavamo insieme.
"Te l'ho detto, Larry. Lo sapeva che leggevi le sue e-mail" inveisce
Cynthia.
In realtà no e ora sono sconvolto, ma anche fiero di me
perché ho sempre cestinato tutto. Ero ossessionato dall'idea
che qualcuno mi stesse osservando, che stesse ficcando il naso nelle
mie cose e a quanto pare ne avevo motivo altro che la paranoia di cui
parlava vai a capire quale terapeuta.
"E non me ne pento" dice Larry versandosi del vino. "Qualcuno doveva
recitare la parte del cattivo."
Cynthia e Larry si fissano scambiandosi parole silenziose e cariche di
sentimenti forti.
"È così strano" dice Zoe. "L'unica volta che ho
visto te e mio fratello insieme è stato quando ti ha spinto
a scuola la scorsa settimana."
Non avevo idea che Zoe mi avesse visto, suppongo che ci fossero molte
più persone in corridoio di quante ne avessi viste.
"Connor ti ha spinto?" domanda Cynthia turbata.
"Non lo direi così, signora Murphy. Sono inciampato, ecco
cosa è successo davvero" ribatte prontamente Evan.
Per essere uno che si spaventa anche del suo riflesso sta andando forte.
Gli accenno un sorriso, mi viene naturale, pensare che mi stia
difendendo anche dopo che l'ho abbandonato in questa situazione scomoda.
"Per favore, Evan, chiamami Cynthia." sottolinea mia madre.
"Oh, giusto, mi dispiace, Cynthia" mormora Hansen sorridendole.
"Io ero lì, ho visto tutto! Ti ha spinto, con forza!"
interviene Zoe, sembra determinata a non fare cadere lontano
l'argomento.
Gocce di sudore scivolano lungo il corpo di Evan, sono piuttosto sicuro
che abbia persino i pantaloni sudati e un po' mi sento in colpa.
"Oh, ora ricordo" dice Hansen come se avesse appena fatto
un'incredibile scoperta.
"È stato un malinteso... perché il fatto era che
non voleva che parlassimo a scuola, ed è esattamente quello
che ho fatto. Ho provato a parlargli a scuola. Non è stato
niente di che, sul serio. È stata colpa mia."
Faccio cenno ad Hansen di tagliare corto perché mi sta
mettendo nei casini, non che la cosa mi riguardi più
personalmente, ma è veramente una formula equivoca.
"Perché non voleva che gli parlassi a scuola?" domanda Zoe.
Sto per dargli un suggerimento, ma Evan mi precede. "Non voleva che si
sapesse che eravamo amici. "Era imbarazzato, immagino."
Mi ammutolisco, potrebbe essere più fraintendibile?!
"Perché imbarazzato?" gli chiede Cynthia.
Hansen stampa la propria fronte su uno dei tovaglioli di stoffa.
"Immagino perché pensava che fossi una specie di ..."
risponde.
"Un nerd?" incalza Zoe.
"Zoe!" la richiama Larry come se avesse detto una parolaccia, ma mia
sorella lo ignora, non ha intenzione di accettare questa versione dei
fatti.
"Non è questo che intendevi?" domanda.
Hansen annuisce, si stringe nelle spalle come se volesse scomparire.
“Sfigato, stavo per dire, in realtà, ma va bene
anche nerd."
Cynthia gli posa una mano sul braccio sano. "Non è stato
molto gentile..." mormora.
"Beh" insiste Zoe. "Connor non era molto gentile, quindi ha senso."
Cynthia sospira. "Connor era ... una persona complicata."
"No, Connor era una persona cattiva. C'è una differenza."
"Zoe, per favore" la riprende Larry.
"Papà, non fingere di non essere d'accordo con me!"
"Fa troppo caldo qui" mormora Cynthia.
"Abbasso la temperatura dell'aria condizionata", conviene Larry, ma non
si alza dal tavolo.
Che dire? Se non altro la famiglia Murphy non finge di essere felice
neanche davanti agli estranei e non si sforza di sembrare perfetta.
"Ti rifiuti di ricordare le cose buone. Ti rifiuti di vedere qualcosa
di positivo" prosegue Cynthia.
"Perché non c'erano cose buone!" urla Zoe. "Di quali cose
buone stai parlando?"
"Non voglio fare questa conversazione di fronte al nostro
ospite!" afferma Cynthia.
"Quali sono state le cose buone, mamma?"
"C'erano cose buone!"
"Va bene, allora dimmele!"
"C'erano cose buone."
"Sì, continui a dirlo, ma non mi dici quali."
"Io ricordo molte cose buone di Connor" dice improvvisamente Evan, mi
guarda per un istante in cerca di approvazione, ma dalla sua
espressione deduco che non ne abbia trovata.
"Tipo cosa?" chiede Zoe, vuole sapere.
"Non importa... non avrei dovuto ... mi dispiace" si affoga Hansen con
le sue stesse parole.
"Ancora una volta ti dispiace" commenta Zoe.
"Proseguì pure, Evan. Stavi dicendo qualcosa" lo invita
Cynthia.
"Non importa. Veramente."
"Vogliamo sentire cosa hai da dire. Ti prego, Evan."
Guardo i miei genitori e mia sorella, leggo nei loro occhi il bisogno
di sentire qualcosa, di avere qualcosa a cui aggrapparsi. Mi metto
nella visuale di Hansen tra lui e mia madre e lo supplico di inventarsi
qualcosa perché tra i due è lui quello con la
fantasia.
"D'accordo" mormora Evan, credo che abbia risposto a me stavolta anche
se sta parlando con i miei consanguinei.
"Connor e io siamo stati davvero benissimo insieme, questo un giorno,
di recente. È una cosa buona che ricordo di Connor. Questo
è ciò a cui continuo a pensare. Quel giorno. Quel
giorno."
Evan fissa la ciotola al centro del tavolo, accarezza la frutta come se
servisse a dargli coraggio.
"Mele" dice. "Siamo andati al posto delle mele..." alza lo sguardo.
“Comunque è stupido, non so nemmeno
perché ne ho parlato."
"Ti ha portato nel frutteto?" domanda Cynthia estasiata e non so
è solo lei, in ogni membro della mia famiglia c'è
una nuova luce.
"Sì lo ha fatto" risponde Evan.
"Quando?"
"Una volta. È stato solo quella volta" si mantiene vago
Hansen.
"Pensavo che quel posto fosse chiuso" commenta Larry. "Da anni ormai."
"Esatto, ecco perché eravamo così delusi quando
siamo arrivati lì, perché era completamente
chiuso e Connor ha detto che le mele erano le migliori".
Cynthia sorride con le lacrime agli occhi. “Andavamo sempre
al frutteto. Facevamo picnic sul prato. Te lo ricordi, Zoe?"
"Sì" mormora la mia sorellina malinconica sforzandosi di
provare indifferenza.
Cynthia guarda Larry dall'altra parte del tavolo. "Tu e Connor avevate
quel piccolo aeroplano giocattolo con cui vi divertivate
insieme...finché non l'hai fatto volare nel torrente."
Larry sorride. "Quello era un atterraggio di emergenza."
"Oh Evan, non posso credere che Connor ti abbia portato lì"
dice Cynthia. "Scommetto che è stato divertente. Scommetto
che vi siete divertiti davvero."
"L'intera giornata è stata semplicemente ... fantastica.
È successo in primavera, credo. "
"Evan, ti prego raccontaci tutto, vogliamo sapere tutto di te e Connor
insieme al frutteto" dice mia madre, gli prende una mano tra le sue e
la stringe piano, i suoi occhi brillano di speranza.
Hansen alza lo sguardo verso di me, ingoia a vuoto, mi sta pregando di
dire qualcosa, ma ho così tante cose da dire che non riesco
a parlare.
"F-Fine m-maggio o i-inizio giugno" comincia cercando di non inciampare
troppo su ogni parola.
"Abbiamo condiviso un pomeriggio perfetto..."
Dall'altro lato della stanza alzo un sopracciglio e incrociò
le braccia appoggiandomi su un lato al muro a mezz'aria.
"Certo Hansen, racconta del nostro pomeriggio perfetto mai esistito ai
miei genitori, chissà magari si rendono conto che stai
dicendo una marea di puttanate e ti sbattono fuori" dico.
Evan si sistema il colletto della maglietta e ingoia a vuoto, cerca di
ignorare le mie parole. Tornerò sul mio atteggiamento,
più tardi.
"Guidando per la campagna" prosegue Evan.
"Con quale macchina e quale patente, Hansen? Vuoi un assaggio di come
guido? Prova le montagne russe e poi mi fai sapere" commento.
"Larry, come si chiamava quella gelateria che amavamo?" lo
interrompe Cynthia. "
À La Mode” risponde Larry senza entusiasmo
né partecipazione.
"Esatto, À la mode" dice Cynthia con coinvolgimento.
"Ci siamo fermati a prendere un gelato da À la mode e poi
siamo arrivati a destinazione" prosegue Evan cogliendo il suggerimento.
"Beh in realtà poi siamo tornati a Ellison Park dal momento
che il frutteto era chiuso" cerca di spiegare Hansen, ma Cynthia non lo
ascolta.
"Erano tutte cose artigianali" mormora Larry.
"Ci sedevamo nel prato e tu e tuo fratello cercavate i quadrifogli"
aggiunge Cynthia guardando Zoe.
"Mi ero completamente dimenticato di quel posto" dice Larry.
"Beh, immagino che Connor non l'abbia fatto", dice Cynthia. "Non
è vero, Evan?"
Hansen annuisce come se stesse cercando di staccare la testa dal collo
e sospira.
"E poi, Evan?" posso vedere l'istante esatto in cui Hansen si rassegna
e capisce di essersi solo illuso di averla scampata.
"Uno spazio aperto pieno di alberi, abbiamo scelto un posto e fatto
quattro chiacchiere come fanno gli amici."
"Fai degli esempi" riesco a suggerirgli. "I miei non ti lasceranno mai
andare senza contenuti.
"Menzionando le canzoni delle nostre band preferite..." tenta Evan e
viene immediatamente interrotto dalla mia risata sguaiata.
"Hansen! Ti rendi conto che abbiamo gusti diametralmente opposti? La
tua cultura musicale probabilmente si limita alla jazz band in cui
suona mia sorella..." mentre parlo un un colpo di vento mi
scompiglia i capelli e alcune foglie si depositarono tra loro prima di
cadere a terra. Taccio.
"Dicendo barzellette che nessuno avrebbe capito se non noi due"
prosegue Evan, un po' titubante.
Mi guardo attorno agitato, mi chiedo quando sia spuntato un albero
dietro le mie spalle e perché Hansen sia così
vicino a me appoggiato allo stesso tronco.
"Hansen, ma che cazzo hai fatto?!" gli domando resistendo a malapena
alla tentazione di strattonarlo per il colletto della maglietta e
allora mi rendo conto che ho consistenza e riesco a toccare le cose.
"E poi abbiamo parlato e goduto del panorama... solo parlato e goduto
del panorama" dice Evan, mi guarda e sorride, sul suo viso non
c'è più traccia di panico né disagio.
Fa caldo, mia madre ha ragione e Hansen è adorabile. Dovrei
essere incazzato con lui, mi sentivo incazzato fino a poco fa, ma
adesso...
"Tutto ciò che vediamo è un cielo eterno. Abbiamo
lasciato il mondo fuori per sempre. Sembrava che potesse continuare
così per sempre... due amici in un incontro perfetto" come
Evan conclude la frase si mette all'impiedi e mi tende una mano. La
afferro come se ne valesse della mia esistenza e mi alzo.
"Sembra un appuntamento..." mormoro lasciandomi trascinare nella
distesa immensa del frutteto.
"Abbiamo camminato e parlato di ciò che avremmo fatto una
volta fuori scuola."
Sento la mano di Evan contro la mia, la sento morbida, calda, una
sensazione piacevole. Mi domando se lui invece stia sentendo i calli
sul mio palmo.
"Come..." mormora Evan.
"Ha, adesso ti voglio, Hansen. Come cosa? Non sai niente di me, i miei
ti sgameranno di sicuro" gli dico guardandolo negli occhi.
"Pedalare sul sentiero degli Appalachi o scrivere un libro o imparare a
navigare, non sarebbe figo?"
Sospiro. "Come suicidarsi senza successo, scritto da Connor Murphy"
mormoro.
Evan ride appena e di colpo fa anche più caldo.
"Non c'è niente di cui non potessimo parlare, come le
ragazze che speravamo ci notassero, ma non lo hanno mai fatto..."
Distolgo lo sguardo, mi seggo nuovamente sul prato e mi mordo il labbro
colpevole. È una cosa che faccio quando mi sento a disagio,
a differenza di Hansen non sono bravo a mentire, ma su questo punto ci
ritornerò più tardi.
Evan si siede al mio fianco, si porta le ginocchia al petto e mi guarda
in silenzio. Mi domando se ho qualcosa sulla faccia, probabilmente
c'è un motivo per cui sento le guance in fiamme.
"Quindi al nostro appuntamento parliamo delle ragazze che vorremmo ci
notassero come due bravi gay repressi?" domando perplesso cercando di
provocare una qualche reazione in Evan.
"Lui si guarda attorno e mi dice.."
"Non c'è nessun altro posto dove preferirei essere" completo
la frase.
Non capisco, è semplicemente uscita. Forse è vero
che mi piace questo momento e che mi sento leggero, in un luogo dove ho
bei ricordi sepolti della mia infanzia e i demoni sembrano non potermi
raggiungere. Forse non sono mai stato meglio.
L'unica cosa è che non ho capito come siamo passati dalla
mia cucina al frutteto. Ci rifletterò più tardi.
"E io ho detto "anche io" " mormora Evan, il suo viso ora è
inequivocabilmente rosso.
Siamo seduti vicini, occhi negli occhi, le nostre dita si sfiorano
senza nemmeno sapere come sia successo. Evan mi accarezza le unghie
sangue e ricoperte con lo smalto nero di Zoe, io passo le mie dita
sulle sue. Anche lui si fa la manicure con i denti.
È come se ci conoscessimo da sempre, come se Hansen fosse il
mio riflesso e io il suo. Come se avessi appena ritrovato me stesso.
"E poi abbiamo solo guardato il panorama ancora un po', solo questo
abbiamo fatto" sussurra Evan incerto su come proseguire il racconto.
Guardo nei suoi occhi, percepisco ogni emozione che li attraversa. Sono
così chiari e diversi dai miei, io ce li ho uno di una
sfumatura di azzurro che dà nel grigio, l'altro invece
è così solo per metà, l'altra
metà è marrone castagna.
Sto sorridendo, davvero, dal più profondo della mia anima,
come non ricordavo di poter fare. Evan mi trascina giù,
vuole che anche io mi distenda sul prato, vuole che anche io veda il
suo stesso cielo.
Non mi dice una sola parola che non direbbe anche ai miei genitori,
probabilmente perché mentre io sono solo perso in questo
luogo lui è ancora a tavola con i miei e non può
sembrare fuori di testa.
Dopotutto forse siamo nella mente di Evan, ma questo è il
frutteto dove andavo da bambino. Non lo so, è tutto confuso.
Forse siamo nei miei ricordi.
Evan alza una mano verso il cielo sembra voler accarezzare le nuvole,
lo seguo mandando a fanculo il mondo e osservo la manica lunga della
felpa nera scendere e lasciarmi nudom Sotto quello strato di stoffa
nascondevo i segni dei tagli delle lamette e delle bruciature da
candela sui polsi. Con l'altra mano cerco di proteggermi dai suoi
occhi, ma Evan mi accarezza le ferite per un istante e nega con un
cenno del capo.
'Non avere paura' sento i suoi pensieri.
Prima di saperlo davvero afferro la sua mano e la stringo forte, le
nostre dita si intrecciano in una stretta solida fuori da ogni tempo.
"Perché sarebbe stato perfetto per sempre
così..." mormora Evan e ora sento una lacrima accarezzarmi
il viso con dolcezza.
Potevamo davvero essere tutto questo, ma io ho messo fine a ogni cosa
prima ancora che potesse iniziare.
"Ed eccolo che corre verso l'albero più alto. Da lontano nel
campo dorato lo sento dire "seguimi!" Ed eccoci a domandarci come ci
sarebbe sembrato il mondo guardandolo dall'alto..."
Ciò che Evan dice si tramuta nelle mie azioni, per questo
adesso mi sto arrampicando su albero. Non è la mia
attività preferita, ma mi affascina l'idea di vedere le cose
da un'altra prospettiva.
"Un piede dopo l'altro, un ramo dopo l'altro, io continuo a salire
sempre più in alto finché il sole non splende sul
mio viso."
Sono rimasto qualche ramo più in basso mentre Evan e in
cima. Hansen tiene entrambi i piedi su un ramo, ma improvvisamente
perde aderenza... anzi no...
"E improvvisamente il ramo cede..." mormora
"Sono per terra, non sento più il braccio. Mi guardo attorno
e vedo che sta venendo a soccorrermi, che sta venendo a
raccogliermi..." Evan si ferma, tira su col naso, si specchia nei miei
occhi mentre lo accolgo tra le braccia e lo sollevo.
"Io e te per sempre" mi sussurra Evan lasciandosi aiutare a mettersi
almeno seduto e si ritrova stretto in un abbraccio di cui né
lui né io sapevano di avere così disperato
bisogno.
"Tutto ciò che vediamo è la luce
perché il sole brucia splendente... noi staremo bene per
sempre... due amici, due veri amici... e una giornata perfetta."
Il campo sta svanendo, è di nuovo etereo, io sono di nuovo
trasparente ed Evan è un mucchio di foglie tra le mie mani.
Siamo di nuovo in cucina, Evan siede a tavola con la mia famiglia,
Cynthia lo abbraccia ringraziandolo a profusione, Larry e Zoe si
guardavano invece attoniti, perplessi.
"Mannaggia a te, Hansen. Vedi se non devi farmi vivere il momento
più bello della mia vita quando sono morto" commento, Evan
mi sorride di rimando.
Dopo qualche altra chiacchiera di circostanza Evan si congeda dalla mia
famiglia, tirando un sospiro di sollievo trattenuto per non so quanto
tempo.
"Beh tralasciando che hai inventato una marea di palle direi che
è andata bene" convengo.
Zoe ci segue fuori. "Ti porto a casa" dice.
"Non devi" ribatte Hansen.
"Devo prendere la macchina in ogni caso, salta sù."
Hansen si sente in soggezione, sa mia sorella vuole indagare
più a fondo e stavolta sono pronto a coprirgli le spalle,
credo.
Una arrivati al parcheggio Zoe lo scruta con attenzione, uno sguardo
tagliente. "Probabilmente pensi che io sia solo una stupida all'oscuro
di tutto, ma so cosa sta realmente succedendo" gli dice.
Non mi sorprende, è sempre stata spaventosamente perspicace.
"N- Non so di cosa parli" balbetta Hansen.
"Tu e Connor non vi inviavate e-mail segrete perché eravate
amici."
C'è una strana sensazione piacevole in me mentre sento mia
sorella pronunciare quelle parole.
"No, non stavamo insieme, lo giuro!" ribatte Hansen prima che mia
sorella possa dire qualunque cosa. "Connor era etero!"
Ora stiamo ridendo entrambi.
"Passi che era migliore di come lo ricordo, ma Connor decisamente non
era etero. Per quanto mi piaccia l'idea che avesse una relazione
sappiamo entrambi che sapeva solo allontanarle le persone..." dice Zoe.
"Non devi fingere con me, Evan. Lo so di cosa parli quando dici
"alberi." Lasciami indovinare... fumavate erba insieme? Lui te la
spacciava ed eri in ritardo col pagamento? Connor si era messo nei
casini per questo si è la vita!"
Hansen esprime perfettamente le emozioni che sto provando, uno sguardo
triste, l'incapacità di articolare le frasi.
"Che cosa?" le domanda.
"Mi sono scervellata per tutto il tempo cercando di capire di cosa
poteste parlare. Si trattava di droghe? "
"Droghe?"
"È per questo che era arrabbiato l'altro giorno a pranzo,
non è vero? Quando ti ha spinto? Sii
onesto con me, per favore. Voglio solo sapere la
verità".
"No. Sei pazza? Io? Non lo farei mai. Non ne ero coinvolto. Lo giuro."
"Lo giuri?"
Cynthia continua a ricoprirlo di abbracci, ma Zoe non fa che fissarlo
con astio.
"Lo giuro" mormora Evan, mi guarda per un attimo poi saliamo entrambi
in macchina e cala il silenzio finché non raggiungiamo la
meta.
"Hansen, guarda che dopo tutto questo corteggiamento se non ti metti
con me non ti farò mai più chiudere occhio. I
morti non hanno bisogno di dormire, ma dal momento che soffro
d'insonnia forse semplicemente non è cambiato molto" dico.
Ci sono molte altre cose che vorrei dire, ma adesso ho bisogno di
dimenticare che mia sorella mia vede solo come un tossicodipendente.
Evan sospira nuovamente, credo si sia reso conto che non possiamo
comunicare in pubblico. Arrossisce e accelera il passo, non dice una
sola parola finché non si è assicurato che non ci
sia nessuno in casa.
"Quindi è vero?" mi domanda.
"Cosa?"
"Che non sei etero?"
"È davvero questo che ti interessa sapere, Hansen?
Sì, sono etero solo la domenica a pranzo con i parenti" gli
rispondo. Con tutto quello che è successo non so davvero
come prendere questa domanda.
"I-Io... s-scusa... f-forse..." mormora Evan.
Sospiro rassegnato.
"Di cosa ti stai scusando adesso?"
"Non lo so."
"Se vuoi puoi provare a scrivermelo, non ti obbligo a parlare se non ti
senti a tuo agio. Dovresti essere più indulgente nei tuoi
confronti..." gli rispondo.
"A-Anche tu..." prosegue Evan.
"Senti piuttosto... è così che è
andata davvero?" gli chiedo cercando di avere una cosa che non mi
è mai appartenuta, il tatto.
"D-Di cosa parli?" rispose Evan accarezzandogli istericamente il gesso
sul quale spicca a caratteri cubitali il mio nome.
"Come ti sei rotto il braccio? Come ti sei rotto il braccio, Evan?"
incalzo con trasporto, ho visto un'immagine e non è piaciuta
per nulla.
"Non è così, ho solo inventato una storia"
risponde Evan.
"Una storia molto realistica..." commento.
Evan fissa il pavimento, stringe i pugni con le lacrime agli occhi.
"Piuttosto, tu non dovevi darmi dei suggerimenti? Mi hai completamente
abbandonato!"
Eh sì, hai ragione Hansen, ma che posso dirti? Quando ti ho
visto lì al mio posto nella mia famiglia e mi è
sembrato semplicemente che fosse il tuo che ci stessi meglio di me non
ce l'ho fatta anche a darti una mano per migliorare la situazione.
Forse è questo che hanno sempre voluto, un piccolo Evan
Hansen tutto loro, perché sei il mio esatto opposto, sei il
figlio che ogni genitore vorrebbe e per questo credo di averti odiato
oggi.
"Connor, io non voglio prendermi la tua famiglia, voglio solo dare loro
conforto. Sento di non poterli lasciare da soli. Lo capisci?"
Annuisco e accenno un sorriso amaro.
"Sei nato per essere la versione migliore di me" gli dico e adesso ho
davvero voglia di sparire completamente.
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