L'Uomo Fatale (In revisione)

di NyxTNeko
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Capitolo 112 - Cattive lingue tagliano più che le spade -

25 maggio

Il generale Buonaparte era giunto da poche ore nella capitale della Repubblica Francese e si stava dirigendo in tutta fretta verso il ministero della guerra. La fine del Terrore giacobino aveva portato una boccata d'aria fresca e nuova tra le strade di Parigi, Napoleone lo aveva percepito distintamente, era così palpabile, si respirava a pieni polmoni. Lo stesso poteva dire il suo seguito, che gli stava dietro come un'ombra, a cui si era aggiunto il fratello Luigi, che aveva oramai sedici anni e per il quale sperava di trovare un posto alla scuola  di  artiglieria di Châlons-sur-Marne.

All'appello mancava invece Marmont, che era stato chiamato presso l'armata del Reno e della Mosella, anche se aveva tentennato un po' nel riferirlo al suo generale, in carrozza. Aveva temuto che potesse infuriarsi per la sua decisione di raggiungere l'armata - Ecco, generale, dopo aver ricevuto la lettera ho pensato di volermi unire all'armata guidata del generale Pichegru ubicata lungo il fiume omonimo, volevo ottenere il permesso di poter andare - gli aveva riferito, durante una delle soste, mentre percorrevano la strada per raggiungere Parigi.

- Ma come Marmont? Non vi basta essere suo aiutante? - aveva esordito gridando  Junot, un po' risentito per il suo comportamento. Non trovava affatto giusto abbandonare momentaneamente il comandante, per mettersi sotto l'ala di un altro, di cui si fidava poco. Inoltre si era affezionato a quel collega di origine aristocratica, con cui aveva condiviso mesi incredibili, gli dispiaceva doversene separare.

- Junot ciò che dite è vero, ma Marmont ha la sua volontà, i suoi desideri - si era intromesso Muiron, cercando di placare l'animo del suo burrascoso amico e collega - E poi perché rifiutare un'occasione così preziosa?

- Generale...non dite nulla? - aveva riferito poi Junot al suo generale, che aveva ascoltato attentamente la loro conversazione in silenzio, a braccia conserte, senza mutare espressione. Solo quando gli aveva rivolto quella domanda, posò lo sguardo su ognuno di loro, in particolare sul fratello, che aveva scelto di non intromettersi nel discorso, aveva troppi pensieri per la testa. Con quegli occhi chiari, rapaci e inesorabili, a cui nulla sfuggiva - Pichegru avete detto? - aveva chiesto a sua volta.

- Sì generale, immagino che conosciate le sue indubbie qualità - aveva affermato entusiasta Marmont, desideroso di mostrare il suo talento in un fronte non proprio facile e tranquillo. Non era riuscito a trattenere la sua voglia di mettersi alla prova in un campo completamente diverso e con uomini dalla preparazione differente.

A Napoleone era scappato un leggero sorriso - Ho avuto modo di conoscerlo di persona molti anni fa - aveva riferito con noncuranza - Se padroneggio le materie matematiche così bene è, in gran parte, per merito suo, fu un ottimo insegnante che mi diede solide basi - sospirò profondamente. Quel Pichegru lo aveva riportato ai tempi dell'accademia di Brienne, all'odore inconfondibile che aveva l'aula di matematica la mattina presto, al profondo silenzio che aleggiava lungo i banchi vuoti, all'alba.

Per tanti anni aveva associato Brienne a terribili ricordi, ai suoi compagni che lo avevano sempre sbeffeggiato, deriso e dal quale aveva cercato di stare il più lontano possibile, tranne nei momenti in cui aveva perso il controllo e si era lasciato andare, abbracciando il conforto agrodolce e malinconico della solitudine. Al contrario, quel nome gli aveva fatto rimembrare anche la parte migliore e piacevole di quell'accademia, che credeva di aver sepolto nel suo animo indurito.

Aveva dato i meriti scolastici ad uno dei suoi primi maestri, ma sapeva che se non avesse mai mostrato le sue incredibili capacità logico-matematiche, difficilmente avrebbe avuto l'onore di incontrarlo e usufruire delle lezioni private che offriva agli studenti capaci - Ha un talento fuori dal comune - gli era capitato di origliare una volta, da ragazzino, quando Pichegru stava correggendo uno dei suoi compiti - Per l'età che ha è straordinario, persino io ci ho messo degli anni ad apprendere tali concetti ed eseguirli alla perfezione, per lui è talmente naturale da parere innato, sono convinto che diventerà un grande ufficiale!

Dopo Brienne non si erano più rivisti, gli sarebbe piaciuto incontrarlo nuovamente, tuttavia non voleva essere oscurato dalla sua fama, adesso che era generale, perciò fu un bene il fatto che non lo avesse mai convocato al suo quartier generale "Magari quando avrò un fronte degno di me e sarò suo pari, allora potremmo collaborare insieme". Aveva giurato a sé stesso che non si sarebbe mai sottomesso a nessuno.

Marmont era rimasto colpito dal modo con cui aveva descritto il generale Pichegru, nonostante non si vedessero da una vita, ne aveva parlato come se lo avesse salutato qualche minuto prima lungo la strada. Iniziava a rendersi effettivamente conto della grande preparazione di Buonaparte "Ecco perché è sempre impeccabile, ha avuto dei maestri d'eccezione, tra Pichegru e i fratelli Du Teil". Sarebbe emerso anche senza di lui, di questo ne era certo.

- Non capisco il perché non abbia convocato anche voi, generale, al suo fianco sareste ben valorizzato - aveva borbottato Junot, dopo aver ascoltato il dialogo - Almeno non dovremmo andare a Parigi a tentare la fortuna, mah - avere quelle qualità e non poterle sfruttare al massimo erano uno spreco, secondo il suo parere.

- Anche se lo facesse, rifiuterei - aveva risposto Napoleone alla domanda implicita del suo aiutante di campo più burrascoso.

- Cosa? Ma perché? - quasi era saltato dal morbido sedile, strabuzzando gli occhi incredulo.

- Perché ho intenzione di costruire il mio futuro con le mie forze, non di certo aspettando che qualcuno si ricordi di me! - aveva sbottato all'improvviso, facendo riemergere la frustazione che aveva tentato di celare negli ultimi tempi - Se un giorno quel qualcuno dovesse farlo, sarò io a valutare se ne varrà la pena oppure no - La caduta del Terrore lo aveva condotto di nuovo nella situazione precedente a Tolone. Junot intuito che, attraverso quello sfogo inconsapevole, il generale volesse chiudere il discorso, si era ammutolito.

- Marmont è il mio aiutante di campo, Junot e posso comprendere giustamente il perché del vostro risentimento... - aveva ripreso la conversazione dalla prima domanda che gli aveva fatto, era assolutamente calmo, la voce calda e leggermente bassa. Come se l'intermezzo liberatorio non ci fosse mai stato. L'accento corso era diventato familiare alle loro orecchie, non costituiva un problema o un fastidio, al contrario - Ma è anche vero il fatto che abbia una propria ambizione personale e non mi pare giusto ostacolarlo - aveva guardato Marmont sorridendo leggermente.

Quest'ultimo aveva ricambiato soddisfatto - Vi ringrazio generale - riuscì a dire, chinando il capo. Aveva ricevuto la sua 'benedizione', si era sentito meglio.

- Mi raccomando, fatevi valere e soprattutto cercate di sopravvivere, vorrei ancora avervi tra i miei più uomini fidati in futuro - ridacchiò Napoleone, tirandogli leggermente il lobo delle orecchie. Era di buon umore e si aspettava da lui il grande esempio che aveva dimostrato quando era al suo fianco. A Tolone lo aveva ampiamente appagato, era un ufficiale prezioso.

- Non me lo dimenticherò generale - annuì, si stava attrezzando per prendere la sua strada. Era sicuro che sarebbe tornato da lui più preparato e sicuro. Probabilmente era proprio per questo che Buonaparte lo aveva lasciato andare, stava imparando lentamente a conoscerlo, pur essendo ancora strano, particolare, ai suoi occhi. Non appena ebbero occasione di fare sosta, le strade di Buonaparte e di Marmont si erano divise.

- Come sarebbe a dire fanteria? - scoppiò furibondo Napoleone, batté violentemente i pugni sulla scrivania del ministro della guerra, il capitano François Aubry, che lo rimirava, stupito dall'agitazione di quell'uomo che gli pareva più una furia che un essere umano. Aveva già avuto dispiacere di fare la sua conoscenza a Tolone ed era tra coloro che si erano sempre opposti al suo piano d'attacco - Io sono un generale dell'artiglieria e dovreste ben saperlo! Come potete affidarmi un incarico presso la fanteria? Per di più in Vandea! 

- Questo lo so, generale Bonnapate, ho avuto modo di constatarlo personalmente - controbatté l'altro, cercando di dimostrare l'autocontrollo. Era certo del fatto che, con simili teste calde, bisognava pazientare prima di farli ragionare - Ma al momento non ci sono altre assegnazioni che possano andare bene per voi... - si aggiustò la cravatta bianca che aveva attorno al collo, controllando le reazioni di quel fiume in piena. Chi glielo avrebbe detto che quel ragazzo dall'aspetto tanto insignificante quanto gracile potesse avere un'energia tanto dirompente, vulcanica?

- Cosa intendete dire con 'possano andare bene per voi'? Mi state dicendo che non sono ancora affidabile agli occhi delle gerarchie militari e del governo? È così? - gridò guardandolo bieco. Era sul punto di scoppiare, ma si stava trattenendo come poteva, aveva le nocche delle mani completamente bianche e non riusciva a stare fermo in un punto della stanza. Quando si fermava batteva ripetutamente i piedi. Le urla si propagarono per tutto il palazzo, i due aiutanti e Luigi, che lo stavano aspettando fuori dalla stanza, si voltarono allarmati.

Il fratello minore aveva notato che il maggiore non era cambiato di una virgola, dall'ultima volta in cui si erano visti, era rimasto il solito militare testardo e iracondo. Tutto ciò che avevano passato in Corsica non aveva fatto altro che alimentare l'ambizione del fratello, Luigi era sicuro di questo, era sempre stata la volontà di rivalsa, di emergere, di primeggiare, la forza che muoveva Napoleone. Gli ideali contavano fino ad un certo punto, se coincidevano con i suoi progetti li accoglieva più che volentieri, altrimenti ne faceva a meno.

La spiegazione che aveva dato giorni prima al suo aiutante Junot, sul fatto di voler costruire la sua gloria da solo era la conferma di quanto aveva elaborato in quegli anni. Si era tenuto informato sulle gesta del fratello, l'assedio di Tolone era stata quella che si era diffusa rapidamente, in quanto inaspettata. Tutti i suoi amici e superiori gli avevano fatto i complimenti ed erano rimasti meravigliati del risultato.

A lui faceva piacere ricevere tanta considerazione da parte loro, significava che il loro cognome stava diventando noto nei ranghi militari. Quindi sarebbe stato più facile arrivare ai gradi più elevati in poco tempo, con un fratello tanto famoso e stimato. Quando aveva saputo del momento di prigionia si era seriamente preoccupato, poteva andarci di mezzo. Per fortuna non ebbe alcuna conseguenza, addirittura il fratello gli avrebbe permesso di specializzarsi in una delle più rinomate scuole di artiglieria di Francia.

"Ha riposto molta fiducia in me...chissà per cosa gli servirò" pensava, addocchiando la porta, i suoi occhi si posarono su Junot e Muiron. Sembravano ignari dei veri motivi che spingevano il fratello a muoversi in una determinata direzione, così come della sua immensa ambizione "E come sfrutterà questi poveri ragazzi? Ovviamente non ho intenzione di rivelare loro i piani di mio fratello, non sono faccende di cui voglio impicciarmi" accavallò le gambe e guardò in direzione della finestra, il cielo era terso "L'ultima cosa che desidero è farlo adirare".

- Dovreste saperlo, cittadino generale - riprese Aubry, fissando Buonaparte, i suoi occhi spenti e cadenti, accentuati dalle pesanti borse che lo rendevano più anziano della sua effettiva età, si scontrarono con quelli fiammeggianti e limpidi del giovane corso - Siete stato comunque in carcere, anche se alla fine le accuse su di voi sono decadute per mancanza di prove - gli rammentò il ministro.

Quel tono ambiguo e accusatorio non piacque affatto a Napoleone, corrugò le sopracciglia e digrignò i denti - Se mi mandate in Vandea a guidare la fanteria, come potrei mostrare il mio valore? Non è il mio campo, il mio è l'artiglieria! Ho studiato e mi sono applicato per arrivare al grado che ho ottenuto con tanta fatica - posò la mano sul petto piatto che si muoveva affannato - Non posso accettare un simile incarico! Significherebbe negare le mie competenze!

- Mi risulta che dovevate essere a Brest in questi giorni, presso l'Armata Occidentale, a soffocare una rivolta realista - insinuò Aubry, controllava i documenti su cui c'era scritto lo strano e a tratti impronunciabile nome di quell'uomo impetuoso - Agli ordini del generale Hoche, guidando l'artiglieria che vi preme particolarmente...

- Ho le mie ragioni per non andarci e non le vengo certo a riferire a voi, cittadino Aubry - disse schiettamente, si mise a braccia conserte,  al ministro della guerra, per il quale non aveva alcuna considerazione, vincendo l'impulso di strozzarlo - Mi siete sempre sembrato sveglio, arrivateci se ci riuscite

"Che insolente!" pensò uno degli assistenti del ministro che stava sistemando alcuni fogli, caduti a causa del colpo lanciato dal giovane generale dallo spiccato accento straniero "Non ha alcun riguardo, né rispetto per la gerarchia, fa bene il ministro a non fidarsi, ha l'aria malaticcia e delicata, potrebbe ingannare chiunque, non esita nel mascherare arroganza e presunzione".  

- Quali siano le ragioni non mi riguardano, sta di fatto che non posso affidarvi altri incarichi, oltre a quello nella fanteria e... - non ebbe neppure il tempo di concludere il discorso che vide Buonaparte uscire, similmente ad un fulmine, sbattendo la porta con una forza inaudita, fece tremare il muro. "Non bisogna perderlo di vista, quel tipo è difficile da tenere a bada, ha una spiccata predisposizione alla ribellione nei confronti dei superiori e nel voler prendere autonomamente le decisioni, a Tolone è stato un vero incubo sopportarlo".

- È un insulto! - sbraitò Napoleone rosso in viso, correndo verso l'uscita del ministero, era talmente rapido che pareva volasse - Qui si stanno prendendo gioco di me! Gliela farò vedere io, chi avrà ragione, quel bastardo di Aubry si atteggia da uomo superiore perché guida il ministero, ma per me rimane solo un militare da scrivania, un inutile soldato! - continuava ad urlare in maniera del tutto incontrollata.

Junot e Muiron non lo avevano mai visto così furibondo in vita loro, sebbene conoscessero la sua inclinazione agli scatti d'ira - Ci farete l'abitudine - ironizzò Luigi, rivelando il suo tipico atteggiamento indifferente e freddo, come se non gli importasse più di tanto delle sorti del fratello.

- Comandante, vi prego, cercate di calmarvi - tentò di rabbonirlo dimostrando cautela e prudenza, allungò le braccia. Un passo falso avrebbe potuto farlo esplodere completamente.

- Vedrete che fra non molto si placherà da solo, è fatto così - ammiccò Muiron, lo conosceva meglio di chiunque altro. Poteva immaginare la frustazione che una simile situazione aveva scatenato in Napoleone, anche perché aveva potuto constatare le sue abilità e conoscenze. La Francia doveva essergli riconoscente, se non ci fosse stato lui, gli alleati sarebbero sbarcati in Francia e avrebbero soffocato la Rivoluzione.

- Muiron ha ragione - confermò Luigi - Se insistete si infurierà ancora di più - si accorse che il fratello stava già riprendendo il controllo e il fiato. Si massaggiava le tempie, la sfuriata era terminata.

- Comandante come state? - domandarono i due aiutanti, mettendosi accanto, risollevati nel vederlo nuovamente lucido. Era sempre un piacere quando riprendeva il senno.

Napoleone, ancora leggermente spaesato, li scrutò intensamente per alcuni secondi, si  ricordò del fratello - Eh? Ah sì, sì sto bene...anche se mi piacerebbe sentirmi meglio - fece un profondo respiro - Andiamo in albergo, ho bisogno di stendermi un po'...

Quelli annuirono e, tenendo d'occhio il comandante, che dimostrava più stanchezza e sposatezza del solito, attraversarono Place de Vendôme e si diressero verso l'Hotel de la Liberté, che il comandante aveva adocchiato come momentanea residenza. Si domandavano tra loro, tramite rapide occhiate, quali intenzioni avesse, sperando che non volesse fare qualcosa di avventato o pericoloso.




 

 





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