Maria della risacca

di Angelika_Morgenstern
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- Infiniti noi -  
 
L’odore del caffè fu un balsamo per Zeno, che si massaggiò la schiena indolenzita dalle ore passate seduto sulla seggiola di fronte alla macchina da scrivere.
L’istinto l’aveva portato a buttar giù la sua storia degli ultimi anni, che ora concretizzata su carta non gli sembrava più così terribile, solo ordinaria e a tratti banale, tanto che si domandò per quale motivo l’avesse scritta.
Quante volte aveva letto libri interi su relazioni che finivano?
Quanti tradimento erano stati vantati dai loro esecutori negli anni?
Lui lo sapeva, era uno scrittore. Eppure quando era toccato a lui era stato come se una valanga l’avesse colto abbigliato solo dell’intimo, un uomo esposto in toto alla furia degli elementi.
Ora sentiva il petto alleggerito da quel peso che l’aveva attanagliato per anni, la vista non era più annebbiata, la realtà gli sorrideva benevola e ne era sicuro, ormai aveva recuperato la sua proverbiale ispirazione.
Ed era tutto merito di quella creatura, Maria.
Si voltò per chiamarla e offrirle un caffè, ma si rese conto che non era al solito posto.
Si diresse nella sua stanza, ma non vi aveva dimorato quella notte, ne era certo grazie al letto rimasto intonso dal giorno prima.
E si preoccupò, andando verso la porta e aprendola.
Il sole filtrava dalle nubi nere provenienti dal lontano orizzonte, un soffio gelido di vento che avrebbe fatto passare la voglia a chiunque di fare una passeggiata gli schiaffeggiò il viso, ma l’uomo non se ne scoraggiò.
Si avviò sulla spiaggia umida a grandi passi, tenendo d’occhio il mare nel caso fosse sbucata in qualche punto tra le onde, ma niente. Non vi fu riscontro.
La distesa d’acqua era più agitata del solito, come se ce l’avesse con lui che aveva perso di vista solo per qualche ora quella giovane in favore del suo ritrovato benessere, neanche fosse un giocattolo ormai desueto.
Continuò ad arrancare sulla spiaggia a piedi nudi, il fondo dei pantaloni del pigiama ormai bagnati e l’autunno che gli andava inesorabilmente incontro col suo alito freddo, finché non si fermò, stringendosi nelle spalle.
Si voltò dall’altra parte, non vedendo nessuno. Continuò a guardare avanti a sé, arrivando con lo sguardo fino alla scogliera che troncava il suo percorso, ma dovette ormai constatare la verità: Maria non era da nessuna parte.
Abbassò lo sguardo, incredulo: davvero non l’avrebbe rivista mai più?
Con uno spillo nel cuore si avviò verso casa, accompagnato da un misto tra senso di colpa e vuoto interiore dato dall’abbandono subito.
La vitalità di quella donna era unica in quel posto dimenticato da Dio, dove non si vedeva un turista neanche a pagarlo oro, e fu quando Zeno pensò rassegnato quanto gli sarebbe mancata che la scorse in lontananza.
La figurina esile si avviava verso di lui e i suoi occhi la misero a fuoco via via che si avvicinava, realizzando uno sguardo grave che non le aveva mai visto sul viso.
Quando furono abbastanza vicini, le prese il viso tra le mani, preoccupato.
Le scrutò l’espressione assunta, ravvisando un dolore che conosceva bene — Che cosa c’è? Dove sei stata?
Com’era ovvio, la donna non rispose ma si limitò a fissarlo, inchiodandolo con pupille colme di rabbia.
L’uomo se ne stupì — Sei arrabbiata con me?
Maria lo spinse via, facendo per entrare in casa e dirigersi nel bagno, dove si chiuse per un’interminabile doccia.
Zeno notò i suoi vestiti sparsi a terra, raccogliendoli con l’intenzione di lavarli.
Si rese conto che aveva un minuscolo amo appeso alle gonne, cosa che fece scaturire in lui una gelosia molto particolare, qualcosa che non aveva mai provato neanche per la sua ex moglie.
Era forse amore quello che stava provando?
No, è qualcos’altro.
Questa creatura è… speciale.
Mi sta facendo ritrovare me stesso, tirandomi fuori dal baratro in cui mi ero gettato.
Non è amore questo, è qualcosa di più bello, di pulito.
Non c’è desiderio carnale, non c’è passione, non c’è nulla di tutto ciò.
Ma non voglio che si leghi ad altri, non voglio, no.
Io…
Il pensiero venne interrotto da lei che uscì dal bagno nuda com’era stata rigettata dal mare, turbandolo non poco. Non fu però l’essere stata vista così a generare lo sguardo imbronciato di lei, che non accennò nessun tentativo di coprirsi e anzi si diresse in camera sua a passo deciso, lasciando l’uomo interdetto da un comportamento che denotava una tale noncuranza per convenzioni elementari.
Stavolta però l’uomo non volle lasciar correre, aprendo la porta per entrare nella sua stanza proprio mentre stava infilando l’abito.
Non indossava biancheria ma questo particolare, seppur notato, non sortì effetto alcuno su Zeno, che domandò — Perché sei arrabbiata con me?
Le palpebre della donna si strinsero nervose ma quella ignorò la domanda, voltandosi verso la finestra per ammirare la pioggia cadere. Alla fine l’autunno aveva sommerso il sole tra le sue spire.
— Dunque? Non hai nulla da esprimere?
Non era impazzito, sapeva bene che la donna era muta, ma si era anche reso conto che quando voleva sapeva farsi capire alla perfezione.
Con i gesti e con gli oggetti, con le espressioni Maria era molto brava e riusciva a colmare in buona parte la frattura comunicativa con gli altri.
Ma stavolta non aveva la benché minima intenzione di farlo.
Si avviò verso la sedia, ma venne preceduta da Zeno, che gliela tolse dal solito posto generando una reazione spropositata della donna, la quale gli si gettò addosso per riappropriarsene, invano.
— Niente risposte, niente sedia.
Dopo vari tentativi la donna decise di dare le spalle all’uomo, avanzando a grandi passi verso la porta d’ingresso, che aprì per poi dirigersi sulla spiaggia sotto la pioggia battente.
Sedette sul bagnasciuga a braccia conserte, il mare gonfio di rabbia sommerse le sue gambe e Zeno le corse dietro per riafferrarla, incurante delle pessime condizioni climatiche che gli avrebbero procurato un accidente se non fosse subito rientrato in casa.
— Alzati, sciocca! Vuoi ammalarti? Non ci sono farmacie qui!
La donna era irremovibile e lui di stancò del suo modo di fare, ritornando in casa fradicio e arrabbiato.
Sbatté la porta alle sue spalle, sedette su quella dannata sedia di fronte alla finestra e incollò gli occhi nel vuoto, pensando all’insolenza di quella stupida donnetta che gli si era rivoltata contro senza rivelargli il motivo.
Come si permetteva?
Lui l’aveva ospitata, aveva accettato la sua compagnia, e lei…
Ma la sua compagnia ti ha reso di nuovo te stesso.
Il suo animo parve quietarsi.
Forse dovresti accettare anche questo lato del suo carattere.
La sua riservatezza.
Non si sentì più così ingrato nei confronti della sua vita.
Si alzò, aprì la porta e si espose nuovamente alla tempesta, dirigendosi verso di lei a passi lenti.
La donna se ne stava seduta sulla spiaggia e rimase sorpresa quando i piedi della seggiola affondarono nella sabbia vicino a lei, con Zeno che le indicava il suo posto con un sorriso.
Quella sorrise a sua volta e si mosse, sedendo sul suo trono personale mentre lui le poggiò le mani sulle spalle.
I due ripresero ad ammirare l’orizzonte, incuranti di tutto il resto.
 
Forse fu la fortuna che risparmiò un brutto malanno all’uomo, il quale riuscì a cavarsela con un mal di gola molto seccante al posto di una più ovvia febbre alta.
Considerò un miracolo tutto ciò, e i giorni successivi passarono veloci come un mazzo di carte da mischiare.
La presenza della donna riempì le sue giornate, facendolo sentire utile non solo a lei, ma anche a sé stesso, che ormai aveva ripreso a scrivere senza sosta, ispirato da quella figura eterea che gli dava il tormento, ma anche quel calore umano che negli ultimi anni non aveva conosciuto.
E poi tutto cambiò.
Accadde durante una fredda notte di tempesta, una di quelle in cui vento e pioggia sembrano battersi per il possesso esclusivo delle ore notturne.
Svegliata dal rombo delle onde, aprì di scatto gli occhi e si alzò come in trance, abbandonando il caldo giaciglio per muovere delicati passi nudi verso l’esterno.
Sembrò che tutte le correnti aeree si fossero messe a bussare alla porta di casa, tanto che quando ella l’aprì, il mondo esterno l’accolse spegnendo la sua furia: le nubi ritirarono le loro catenelle d’acqua, il soffio del cielo calò d’intensità e l’infinita distesa marina la chiamò a sé, invitandola a tuffare i piedi nudi nella sabbia, che la ospitò nel suo umido abbraccio.
I capelli scuri danzarono nell’aria come serpenti, seguendo il vento nella sua danza furiosa mentre la donna avanzava con aria assente verso il mare.
Le onde s’infrangevano a riva, divorando quella lingua di sabbia sulla quale sorgeva Rivalunga, che nulla poteva opporre di fronte alla furia degli elementi, tanto che l’acqua sembrò gonfiarsi sempre più finché non sommerse le estremità della donna fino alle caviglie.
Quella si piegò sulle ginocchia, le dita stese sulla sabbia e il viso al cielo, come se acquistasse vita dal mare stesso. Un profondo respiro smosse il petto, la piccola bocca contratta in un sorriso.
Dopo un lungo momento riacquistò la posizione eretta per poi iniziare a muovere un piede dietro l’altro alla sua destra, fino a trovare il punto dov’era stata rivenuta quel mattino di poco tempo prima.
Camminò sulla marea verso l’orizzonte finché l’acqua non le arrivò alla vita, fissando il mare furioso allargò le braccia, abbracciò l’alta onda che le rovinò incontro e sparì tra i flutti, per sempre.
 
L’inconsolabile Zeno non ebbe più la forza per fare nulla dopo la misteriosa sparizione della donna, tanto da abbandonare la scrittura e passare le notti di tempesta sulla spiaggia, percorrendola da una parte all’altra nella speranza che la mareggiata gli restituisse la sua Maria.
Nelle notti di luna piena aveva l’impressione di vederla dirigersi verso di lui col sorriso incoraggiante che aveva quel giorno in cui aveva ripreso confidenza con la macchina da scrivere, ma era solo la sua immaginazione, e ogni volta era sempre più dura accettare la cruda realtà.
In breve tempo la casa tornò ad assumere quell’aspetto fatiscente che aveva prima della venuta della donna, senza stupire nessuno, visti i precedenti.
Anche il signor Nino era deceduto, stroncato da un infarto del miocardio.
Il destino aveva isolato in toto il povero Zeno, che rimaneva tutto il giorno seduto sullo stipite della porta, lasciata sempre aperta nella speranza che Maria tornasse.
 
Se ne stava a camminare per la spiaggia come ogni notte di luna piena, sperando che la luce del satellite potesse aiutarlo nello scorgere la sagoma della donna, finché non avvertì la stanchezza.
Scelse di sedere a terra, scrutando l’orizzonte con gli occhi iniettati di sangue, ormai abituati all’oscurità e allo sforzo di rimanere svegli molto più del dovuto durante le notti.
La privazione di sonno e cibo aveva provato quel fisico appena uscito da un periodo di forte stress, rendendolo ancor più magro e cianotico, tanto che ogni respiro negli ultimi giorni risultava doloroso.
La mano ossuta raccolse della sabbia, che gli dava l’impressione di essere impregnata del profumo della donna, odore che faceva correre la mente a quei momenti spensierati vissuti insieme.
E poi la vide, per l’ennesima volta, scorgendola tra i flutti che veniva verso di lui vestita solo del suo sorriso incoraggiante.
Zeno rovesciò la testa indietro, i capelli fini che ondeggiarono nell’aria mentre diceva — So che non sei tu, mero frutto della mia immaginazione. – per poi ricredersi quando sentì le dita avvolte nella carne morbida della donna.
— Non… puoi essere tornata. – balbettò, ammaliato dal suo sorriso – O sì?
Quella s’inginocchiò di fronte a lui, regalandogli una carezza sulla guancia scavata dalle mancanze. Gli prese ambo le mani esortandolo a tirarsi in piedi, e all’improvviso la stanchezza non fece più parte delle sue membra, avvertì la forza scorrergli nelle vene ed ebbe l’impressione di esser ringiovanito.
Il suo aspetto aveva ripreso colore, le rughe sulla fronte erano sparite e con esse le occhiaie violacee.
Ricambiò il sorriso della donna, seguendola nel suo tragitto verso il mare, permettendo che l’acqua lambisse i piedi, le gambe, il corpo.
Sprofondando negli abissi insieme a lei, senza lasciare traccia sul placido specchio d’acqua illuminato dalla luna.

 

*** Angolino dell'autrice***
Sarà stata davvero Maria quella che Zeno ha visto durate la sua ultima notte di vita?
Oppure è stato il suo delirio ad averlo portato al suicidio?
Non lo sapremo mai. La storia finisce qui.
Non ho voluto definire la figura di Maria, in quanto mi piace dare al lettore la possibilità di farsi una sua idea. In questo caso penso ci stia bene, essendo comunque una figura molto misteriosa.
Mi sono divertita a scrivere questa storia breve, mi piace buttarne giù, è una cosa breve ma intensa.
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno seguito la storia, che rivedrò tra qualche tempo per correggere errori che (sicuro) sono presenti.
Grazie in special modo a Sofia, che mi ha lasciato delle belle recensioni ♥
Alla prossima storia.

- A.

 





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