rosso

di pura_vida
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Le ore sulla nave passano tutte uguali. Sono differenziate soltanto dalle tonalità differenti che la luce del sole o della luna dona alle onde. Per il resto è tutto piatto, ma va bene così. Non ho parlato con nessuno fino ad ora e non lo farò. Questa gente non mi appartiene più, non voglio più averci nulla a che fare. Per quanto sento che i miei obbiettivi possano coincidere con quelli di qualcuno su questa immensa nave, non mi interessa. Ho condiviso la mia vita con un uomo spregevole fino ad ora, e ho anche avuto l’ardito coraggio di amarlo. Ora ciò che è mio è mio, non condividerò più nemmeno un pezzo di pane. Mentalmente ripeto ciò che mio padre mi ha insegnato della lingua italiana. Era un galantuomo del sud Italia, uno sceneggiatore di teatro. Durante una viaggio di lavoro a Rio de Janeiro conobbe mia madre. Lei era una donna umile, lavorava come cameriera in uno dei tanti bar che si affacciavano sulla spiaggia dorata. Era davvero bellissima, così mi ha sempre raccontato papà, e la foto sbiadita che ancora conservo lo conferma. Una donna dalla pelle di cioccolato e i capelli ricci e soffici come una nuvola. Io somiglio ad entrambi: ho i soffici ricci di mia madre e gli occhi verdi di mio padre. I suoi però, a differenza dei miei, erano allegri e spensierati, nonostante la grave malattia che lo affliggeva e di cui era consapevole. Mio padre è sempre stato un uomo forte, uno di quelli che gioiscono delle piccole cose della vita. Sono sicura che anche mamma fosse così. Ritrovarmi senza mio padre, la luce del mio cuore e la mia speranza, fu tremendo. Erano passati già tre anni dal mio matrimonio con Gabriel, matrimonio che al tempo credevo felice. Ero innamorata persa di quel giovanotto alto, con quei morbidi capelli castani… ho perso mio padre all’improvviso a causa del suo tumore allo stomaco, ho visto la sua anima dolce volare via e i suoi occhi buoni chiudersi davanti a me. Mi sentii persa. Fu come guardare il mondo che piano piano si accartoccia inghiottendo nell’oscurità tutte le sue meraviglie. Mi aggrappai a mio marito, la mia unica ancora di salvezza. Il mio amore per lui divenne quasi morboso, avevo bisogno di lui. Ma in cambio ricevetti soltanto la rivelazione che in quei tre anni di matrimonio e due di fidanzamento non ero stata innamorata di un uomo, ma di una maschera. La maschera più accurata e rifinita che abbia mai visto. Nemmeno un piccolo graffio nella vernice o una sbavatura di colla. Quel ragazzo dolce e premuroso sembrava quasi vero, ma ci mise poco a scomparire e a lasciare spazio al mostro che si celava nelle sue viscere. Tutto questo vagare di pensieri mi fa venire il mal di mare più di quanto non lo facciano le maledette onde. Il mare è stato calmo per i primi due giorni, ma sento la tempesta che arriva e non si preoccupa nemmeno di avvicinarsi di soppiatto. Perché dovrebbe in fondo, la natura è così maestosa e possente che segue il suo corso senza nemmeno accorgersi della nostra presenza. O magari se ne accorge ma poco le importa. Siamo solo formiche su una strada di carrozze laccate di rosso, schiacciate non volontariamente ma inevitabilmente. Solo pochi si salvano. L’assenza della spilla sta diventando insopportabile. Fisicamente ho la sensazione di un arto amputato. Sai che non c’è ma la tua mente lo percepisce ancora lì. Ma quando avvicini la mano per poterlo toccare non c’è nulla. Il vuoto fisico lascia però spazio ad un peso enorme sull’anima. Quella dannata spilla era l’ultima cosa che mi rimaneva di mio padre. E ora è l’ultimo frammento della mia serenità sperduto chissà dove.




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