Una
opprimente cappa di umidità stringeva la città di
Parigi in una morsa e nel cielo limpido, d’un intenso color
cobalto, le stelle risplendevano di tenui bagliori argentei,
circondando un’esile falce di luna, che pareva ricoperta di
smalto traslucido.
La
città, in quel momento, era oppressa da una calma apparente,
che, tuttavia, sembrava pronta a infrangersi e a deflagrare in una
violenta collisione di forze.
I
membri del popolo fissavano con odio, quasi volessero divorarli, le
truppe di soldati che pattugliavano le strade della capitale.
Victor
Clement de Girodel cavalcava alla testa dei soldati della Guardia
Reale, lo sguardo apparentemente attento, e, ad ogni rumore insolito,
girava la testa, ora a destra, ora a sinistra.
Maledizione,
non posso continuare così! Finirò per impazzire! pensò
il militare, angustiato. Gli sembrava, in quel momento, di non
appartenere a quel bel mondo dorato, per il quale, fino a pochi mesi
prima, aveva combattuto con ferma determinazione.
Cosa
gli era successo?
Perché
gli sembrava di essere estraneo al suo stesso tempo?
Perché
gli pareva di essere una marionetta priva di volontà, mossa
dalle abili mani di un burattinaio privo di scrupoli?
Un
lieve, triste sorriso piegò le sue labbra. Pochi mesi prima, a
lui e ai suoi uomini era stato l’ atroce ordine di aprire il
fuoco sui deputati dell’Assemblea.
Tale
ordine, tanto meschino e crudele, gli aveva trapassato l’anima.
Con
che coraggio poteva colpire degli uomini indifesi e disarmati?
Eppure,
non aveva mosso alcune obiezione a tale ingiunzione e, a capo dei
soldati della Guardia Reale, si era presentato davanti all’Assemblea
e ai deputati.
– Se
non foste arrivata voi, Oscar… – sussurrò con
voce flebile e un lungo, gelido brivido
di orrore trapassò la sua schiena. Il suo cuore e la sua mente
gli dicevano di risparmiare quegli uomini coraggiosi, che ai fucili
della Guardia Reale opponevano i loro corpi, fragili e indifesi,
eppure, fermo nel suo adamantino senso del dovere, aveva deciso di
puntare le armi contro di loro.
Ai
loro sguardi decisi aveva opposto un’espressione crudele, che
gli era costata parecchio, perché occultava i suoi più
schietti sentimenti, che non volevano quell’insensata crudeltà.
E
lei, con fermezza, si era schierata dalla loro parte e aveva offerto
il petto alle loro armi.
Lo
aveva sfidato a sparare, fissando i suoi limpidi occhi nei suoi.
E
aveva vinto.
Victor
Clement de Girodel e i suoi uomini non potevano macchiarsi, davanti
ad una donna di tale tempra morale, di un atto tanto insensato e
crudele.
Nessun
ordine, per quanto pressante, giustificava un simile, inutile bagno
di sangue, perché i deputati del popolo non si stavano
macchiando di alcun crimine e difendevano le idee da loro ritenute
giuste.
Perché
non mi hanno punito?, si domandò ad un tratto Victor.
Credeva che, dopo un simile atto di insubordinazione, sarebbe stato
condotto davanti alla Corte Marziale e condannato ad una pena severa.
Già
vedeva il suo cammino verso il plotone di esecuzione e sentiva nelle
sue carni il dolore delle pallottole.
Eppure,
questo non era accaduto.
Anzi,
sembrava che quel suo atto di insubordinazione non fosse avvenuto e
non comprendeva la ragione.
Quale
sorte lo attendeva?
Speravano
di liberarsi di lui in altro modo, senza che le loro mani venissero
insozzate dal suo sangue?
Ma
che cosa importa?, si disse. Quelle giornate avevano
provocato in lui un cambiamento radicale, che aveva distrutto le sue
convinzioni più forti e tenaci, sedimentatesi in lunghi anni
di leale servizio.
La
nobiltà, che aveva servito con tale dedizione, era una classe
immersa nel fango dei suoi vizi.
Non
sapeva prendere nessuna decisione e fingeva di non vedere le cose
brutte o sgradevoli.
E
le persone dei sovrani, da lui considerate sacre e inviolabili per
diritto divino, gli apparivano stupide e indegne del loro ruolo.
Come
potevano non vedere la realtà?
Eppure,
non riusciva a distruggere i suoi legami con quel mondo degradato,
incapace di rinascere.
Provava
un disgusto fisico per le infamie della sua classe sociale, eppure
continuava ad obbedire agli ordini dei suoi superiori.
Forse
dovrei suicidarmi., pensò. Forse, con la morte, il
suo cuore si sarebbe liberato dai tormenti.
Ma
poteva lasciare i suoi uomini privi di una guida?
In
lui vedevano un abile e risoluto condottiero, che li avrebbe guidati
senza alcun tentennamento nella loro opera di difesa delle persone
dei sovrani.
No,
per quanto il suo cuore fosse gravato dal peso della nausea, non
poteva lasciare i suoi uomini, che avevano imparato a rispettarlo,
senza una guida.
Il
suo destino era nelle mani di Dio e, se avesse voluto la sua morte,
lo avrebbe accettato.
Un
soldato alto e robusto, con corti capelli neri e occhi del medesimo
colore, in groppa ad un cavallo normanno dal pelo color mogano, si
avvicinò a Victor.
– Comandante,
vi sentite bene? Siete molto pallido. E’ da giorni che non vi
concedete alcun riposo. – chiese l’uomo con
sollecitudine.
Victor,
colto di sorpresa, sussultò, poi girò la testa e i suoi occhi chiari si
fissarono nelle iridi nere del suo interlocutore.
Un
leggero sorriso sollevò le sue labbra. In quel momento, quel
lieve sforzo gli pareva una fatica erculea, ma non poteva sottrarsi a
tale imperativo.
Doveva
mostrarsi forte e risoluto, per non caricare i suoi soldati di ulteriori pesi.
– Sto
bene, non preoccupatevi capitano de Marine. Almeno fisicamente.–
rispose il comandante con voce apparentemente pacata.
– Cosa
intendete dire? – chiese perplesso l’altro.
Victor
sospirò.
– Non
so come dirigere le nostre forze. I gruppi di ribelli pullulano e
scoppiano tumulti da ogni parte. Così noi non possiamo
mantenere l’ordine nella città. – confessò,
sconfortato. Parlare di una parte della sua pena gli aveva permesso
di stare meglio, seppur per poco tempo.
Ma
le altre cause del suo malessere restavano.
La
sua angoscia non era solo legata alla situazione incandescente del
suo paese.
I
membri del popolo erano divorati da una ardente sete di vendetta
verso la nobiltà e il clero e guardavano con manifesto
disprezzo alla Guardia Reale, ritenendola al servizio di un ordine
ingiusto e corrotto.
E,
malgrado le sue origini, non poteva dare loro torto.
Di
quante viltà la nobiltà e il clero francese si era reso
colpevole nei confronti del Terzo Stato?
E
lui non era sicuro di essere immune da colpe, personali e storiche.
L’ultimo
incontro con Oscar aveva squarciato con violenza un velo di menzogne
e inganni che per tanti, troppi anni aveva occultato la realtà
ai suoi occhi.
La
nobiltà era una classe degenerata, che, dai tempi di Luigi
XIV, si nutriva del sangue e delle ricchezze dei francesi.
Ma,
malgrado questo, non riusciva a prendere una decisione definitiva e
viveva come una marionetta.
Il
capitano tacque. Sì, il loro comandante aveva ragione.
La
calma che, in quel momento, regnava su Parigi era artefatta e
prossima a infrangersi e i facinorosi erano pronti a tutto pur di
portare scompiglio.
– Comandante,
non preoccupatevi e cerchiamo di risolvere un problema alla volta. E
non dimenticate una cosa: noi
saremo sempre al vostro fianco. – dichiarò, solenne, il
colosso.
– Avete ragione.
E vi
sono assai grato per le vostre parole.
– rispose Victor, gli occhi lucidi. Eduard de Marine, malgrado
le sue origini, era dotato d'un cuore semplice e nobile e credeva che
tutto si sarebbe risolto senza alcun mutamento.
E
questa ingenuità era pericolosa, perché conduceva a
errori di valutazione assai gravi.
Altri
focolai di rivolta presto sarebbero esplosi.
E
non era sicuro di riuscire a svolgere il suo compito.
Ma
perché mi preoccupo così tanto?, pensò.
Forse, se fosse scoppiato un qualsiasi tumulto, avrebbe avuto la
possibilità di combattere e di dimenticare, anche se per poco
tempo, le sue angosce.
E,
nel caso per lui più lieto, sarebbe morto e quei pensieri,
finalmente, si sarebbero dissolti, come un miraggio in un arroventato
deserto.
Ad
un tratto, dei rumori di spari e delle urla di terrore infransero il
silenzio.
– Comandante,
cosa facciamo? – chiese un
soldato.
Victor,
per alcuni istanti, esitò, poi un sorriso enigmatico sollevò
le sue labbra. Sì, in quel momento, sapeva quale fosse il fine
della sua esistenza.
I
suoi soldati contavano sulla sua guida.
– Soldati
della Guardia Reale, seguitemi! – ordinò poi e, con un
colpo deciso dei talloni, spronò il cavallo.
L’animale
emise un lungo nitrito, poi si lanciò in un veloce galoppo,
presto seguito dagli altri soldati.
– Finalmente...
– mormorò Victor, i lunghi capelli castani scarmigliati.
Il suo desiderio era stato esaudito.
Per
un po’, nella furia di un combattimento, avrebbe dimenticato
quell’angoscia dilaniante.
E,
forse, la morte avrebbe posto fine a quel tormento che sembrava non
avere termine.
Un
po’ di tempo dopo, i soldati della Guardia Reale raggiunsero il
Pont Neuf.
Decine
di uomini, vestiti di abiti neri, brandivano dei bastoni, delle
vanghe e delle baionette, si stringevano come una tenaglia attorno ad
una carrozza bianca, guidata da due cavali.
Questa,
sottoposta a continue sollecitazioni, oscillava pericolosamente con
ripetuti scricchiolii e pareva prossima a cadere nelle acque cupe
della Senna, che scorrevano, calme e indifferenti, sotto l’antico
ponte.
– Sparate!
– ordinò con voce decisa Victor.
I
soldati, solerti, si misero in posizione. Caricarono. Qualche istante
dopo, risuonò lo scoppiettio dei fucili.
I
popolani, sentendo quella voce stentorea, si girarono, abbandonando
la carrozza.
Il
cocchiere, approfittando della distrazione degli assalitori, frustò
i due cavalli.
Fulminei,
gli animali si lanciarono al galoppo e la carrozza si allontanò
nella notte.
Per
alcuni istanti, i popolani e i soldati della Guardia Reale rimasero
immobili, simili a due predatori immobili, in attesa di un movimento
dell’avversario.
– Guardate,
i cani da guardia della nobiltà! – ringhiò un
uomo di alta statura, gli occhi brucianti di rabbia, e strinse tra le
mani un falcetto.
– Addosso!
– tuonò un altro e, reggendo una vanga, si lanciò
contro i soldati della Guardia Reale.
Come
un’onda, i popolani si precipitarono sui soldati della Guardia
Reale, le gole tese e le bocche spalancate in grida feroci, belluine,
selvagge. Certo, quei bastardi avevano il vantaggio dei cavalli, ma
non si sarebbero lasciati sfuggire una tale occasione.
Finalmente,
avrebbero potuto vendicare i loro cari, consumati dalla miseria e
dalla fame.
Anche
i soldati della Guardia Reale erano stati mantenuti dalle loro tasse
e, in quel momento, avevano l’occasione di dare loro una
lezione che mai avrebbero dimenticato.
E,
anche se loro fossero morti, altri avrebbero preso il loro posto per
compiere la loro missione.
La
nobiltà, divoratrice delle loro risorse, doveva scomparire e
lasciare il posto al Terzo Stato, che lavorava per il bene del paese.
Il
ponte risuonò di urla di dolore, di rabbia e di vittoria.
Presto, si riempì di cadaveri sanguinolenti e di corpi
agonizzanti, da cui si levavano flebili lamenti, che si spegnevano.
Victor,
con fulminea precisione, guidava il cavallo e affondava la sciabola
nei corpi dei suoi avversari, che, privi di forza, si afflosciavano
sulla strada, come sacchi vuoti.
– Maledizione...
Così non va... – mormorò. Il sangue nemico gli
colpiva la faccia e la divisa e avvertiva la stanchezza intorpidire
il suo braccio destro, eppure i suoi avversari sembravano sorgere
dalla terra.
Animati
da un odio bruciante, non si arrendevano al loro superiore
addestramento, e, come bestie eccitate dall’odore del sangue,
attaccavano, incuranti dei loro compagni morenti.
I
suoi uomini riuscivano a tenere testa a quella massa disordinata, ma
non erano in grado di riportare la situazione alla normalità.
A
stento trattenne un’imprecazione, mentre affondava il ferro nel
collo di un altro avversario. Quella sensazione non scemava, malgrado
il suo feroce impegno nel combattimento, e saliva alla sua bocca,
come un acido.
Ad
un tratto, un forcone, con una traiettoria curva, simile a quella di
un giavellotto, attraversò l'aria e, con un tonfo, si piantò
in profondità nella schiena del giovane.
Victor
si irrigidì. Spalancò gli occhi. Il dolore si irradiò
lungo tutto il suo corpo.
Il
sangue, d'impeto, esondò dalla bocca e dalla schiena di lui,
inzuppando la casacca celeste chiaro.
La
sciabola, priva d’una mano ferma, cadde con un secco tintinnio
al suolo.
Il
giovane, con uno sforzo supremo, tentò di stringere le redini,
ma la debolezza lo sopraffece e il suo corpo si accasciò sul
collo del cavallo.
Un
lieve ronzio giunse alle sue orecchie e i suoi occhi, ormai spenti,
si chiusero, sopraffatti da una forza irresistibile.
L’animale,
quasi avvertisse la mancanza di una guida salda, si sollevò
prima sulle zampe posteriori, poi su quelle anteriori.
Il
corpo dell’ufficiale, ormai privo di vita, cadde dalla
cavalcatura e precipitò nelle cupe acque della Senna.
Come
prestavolto umano di Victor Clement de Girodel ho scelto questo
splendido
modello:
|