Allora,
sono tornata da Roma e sinceramente sono in piena catalessi mentale.
Ed ecco a voi una fic sul libro di De Amicis "Cuore". Un
carico di melassa immane, in cui però ho trovato splendida
l'amicizia tra Enrico (il ricco protagonista) e Garrone. Bene, volevo
dirvi questo: c'è una parte in cui Enrico rischia di morire e
Garrone lo deve andare a trovare, ma va subito perchè la madre
sta male. Il ragazzo guarisce. Ebbene io provo a pensare questo: cosa
sarebbe successo se la sua malattia fosse stata incurabile?
Cautamente
entrò nella stanza. La luce delle lampade scintillava di
liquidi chiarori dorati sul mobilio, facendo danzare ombre
evanescenti, simili a pallidi spettri di anime perdute.
Un
sordo dolore colpì il cuore del ragazzo. Quelle ombre avevano
parvenza di diavoli armati di artigli, pronti a strappare l'anima di
Enrico dal suo corpo, distrutto dalla malattia...
"Ga...
Garrone..." Un sussurro spezzato arrivò alle orecchie del
ragazzo, interrompendo i suoi pensieri.
Garrone
guardò nella direzione del letto e alcune lacrime annebbiarono
i suoi occhi scuri e caldi come abissi di rossa lava. Davvero quel
ragazzo che giaceva in quel letto, troppo grande per lui, era il suo
migliore amico?
Si
asciugò le lacrime e cautamente, timidamente, gli si avvicinò.
Non sapeva perchè, ma sentiva paura di disturbarlo... Il
rumore dei suoi passi rimbombava come tuono nelle sue orecchie....
Si
sedette sulla sponda del letto e lo guardò. La luce delle
lampade faceva risplendere d'un marmoreo chiarore il viso di Enrico,
sul quale splendevano gli occhi di acquamarina, che brillavano d'una
luce nuova. Una maturità diversa... Lo sguardo di un uomo nel
corpo esile e smagrito di un fanciullo...
"Sei
venuto..." sussurrò Enrico con un malinconico sorriso.
"Esatto..."
rispose Garrone e gli accarezzò con la mano i capelli scuri,
che spiccavano nel pallore dell'incarnato, come l'inchiostro su un
foglio bianco.
"Ti
ringrazio amico mio. Desideravo rivederti prima di affrontare il mio
ultimo viaggio..." mormorò il più giovane.
Il
ragazzo più grande impallidì. Era già tutto
deciso? Non c'era cura per la malattia di Enrico?
"Ma
cosa stai dicendo? Tu guarirai... Tornerai a scuola con me... "
farfugliò Garrone. Non riusciva a credere che presto gli occhi
di Enrico si sarebbero chiusi... Non poteva accadere, non doveva
accadere!
Il
ragazzo sorrise, seppur malinconicamente.
"La
scuola... La mia vecchia scuola... E pensare che ci andavo di
malavoglia, senza capire che solo lei mi avrebbe trasformato in un
uomo..." balbettò, ma la sua voce si spense in un forte
latrato e una lacerante tosse gli squarciò il petto.
Con
gesti impacciati Garrone lo sostenne e, quando la tosse si spense in
un soffio, lo fece dolcemente distendere sul letto.
"Tubercolosi..."affermò
Garrone.
"Già...
Tubercolosi." mormorò Enrico e, con un gesto lento,
mostrò il palmo della mano, sul quale brillavano di carmini
riflessi alcune macchie di sangue.
Con
un gesto timido strinse la forte mano del compagno. Garrone quasi
sentiva dolore... La presa di Enrico palpitava di una forza
straordinaria...
"Sai...
Vorrei che questi istanti durassero per sempre..." esordì
Enrico d'un tratto.
L'adolescente
non rispose e si limitò a carezzare la mano di Enrico, che
sembrava sparire nella sua, forte e robusta come quella di un uomo.
"Prima
pensavo che ogni cosa andasse sacrificata alla patria... Perfino
l'esistenza... Ma in questi giorni ho capito una cosa... Ad una
entità senza nome non puoi sacrificare sentimenti concreti...
All'Italia non sacrificherei mai la mia amicizia per te..."
Si
interruppe, poi continuò, sorridendo della meraviglia di
Garrone: "Già... Sei diventato parecchio importante per
me..."
"Anche
tu per me sei importante, Enrico." gli rispose il compagno di
scuola.
Una
dolce luce di gioia brillò nello spettrale pallore di Enrico,
che sussurrò con voce sempre più debole: "Grazie...
Porterò con me il tuo ricordo... Come potrò
dimenticarmi di te? Amico mio..."
La
voce di Enrico però si perse in un sussurro malinconico e la
sua anima di fanciullo si separò dal suo corpo, che si
abbandonò dolcemente nelle braccia fredde della morte.
Lo
so, fa schifo. Ma considerate la stanchezza...
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