Strani compagni di viaggio - Lungo la mitica 66

di Avion946
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Giorno  XXI°
Paolo era disteso a terra, con gli occhi chiusi consapevole di essere tornato nel mondo reale ma non aveva il coraggio di aprire gli occhi perché non sapeva cosa avrebbe visto attorno. I rumori che percepiva erano caratteristici del luogo dove, in effetti, si sarebbe dovuto trovare, ossia il bosco e anche gli odori corrispondevano ma lui non sapeva se pure questi, nella terra delle ombre, erano alterati. Aveva paura. Consapevole di essersi messo in un grave pericolo, era convinto però di aver agito in modo giusto. Lui, Paolo Carlisi, giornalista indipendente, di Napoli, divenuto suo malgrado sciamano, che controllava gli elementi della natura, che parlava con i defunti, che era stato nel regno dei trapassati. Un bel sogno, non c’è che dire. Adesso si sarebbe deciso ad aprire gli occhi e si sarebbe trovato nel suo albergo di Santa Monica, in procinto di tornarsene a casa. Però, qualcosa non tornava nel  ragionamento. Troppi particolari, troppe conoscenze che lui non aveva mai avuto. E poi, se era nel suo albergo, che ci faceva sdraiato nell’erba con intorno i suoni e gli odori di un bosco? Sarebbe andato avanti ancora così per un pezzo se non fosse stato per una voce, ormai familiare, che gli disse: “Lo so che sei sveglio. Che aspetti ad aprire gli occhi? Secondo me avrai una bella sorpresa. Avanti!”. Era la voce dell’ombra, ne era sicuro. Ma allora…. Non resistette più ed aprì gli occhi. Sul momento, la luce del sole, sembrò accecarlo. Poi lentamente si adattò e con grande soddisfazione si rese conto di riuscire a vedere le cose del bosco attorno a lui. Le vedeva bene, solide, colorate. Tutto giusto, insomma. Allora ce l’aveva fatta! Ma come era stato possibile. Sembrava tutto perduto, smarrito nella dimensione delle ombre. Poi ricordò. I suoi amici, i suoi  alleati. Non l’avevano abbandonato, l’avevano salvato. Accanto a lui, Will riposava. Il suo respiro sembrava tranquillo e normale. Il viso un poco pallido ma stranamente la sua bocca era atteggiata ad un lievissimo sorriso. Ora che i suoi occhi si erano adattati alla luce, valutò che dovevano essere circa le 10 di una bellissima giornata. E poi, poi la sorpresa più grande, fu rappresentata dalla figura seduta a terra, appoggiata ad un albero a pochi metri da lui. Era un uomo in divisa. Una divisa strana, d’altri tempi. Un bell’uomo, sui 40 anni, con capelli lunghi e barba e baffi, che lo guardava con aria curiosa e attenta. L’unica cosa che colpiva, ammesso che qualcosa potesse ancora meravigliare il ragazzo, era che la figura, malgrado se ne notassero perfettamente i particolari, era piuttosto inconsistente, trasparente. “Ehi! – esclamò il ragazzo – Ma tu sei Aniello Somma! E io ti vedo! Ti vedo bene! Ma allora sono ancora…!”.”No, no. Stai tranquillo – lo rassicurò subiti l’altro – Sei tornato realmente e definitivamente a casa tua, anche se onestamente non so proprio come tu abbia fatto. Il motivo per cui mi vedi così bene, è che venendo nel mio mondo hai acquisito questa facoltà”.”Vuol dire che io adesso sono in grado di vedere tutti i fantasmi attorno a me?”.”Non esattamente. Solo quelli che si vorranno far vedere o quelli che vorrai chiamare. Ma, questo  ti sconsiglio di farlo, specialmente perchè non potrai mai avere la certezza di chi si potrebbe presentare. Non è semplice affatto gestire le cose del mio mondo”.”Non ne ho la minima intenzione, ti assicuro – rispose il ragazzo che non riusciva a smettere di guardare con curiosità l’immagine davanti a lui. Una bella figura, tutto considerato ed una perfetta uniforme in ordine e completa di nastrini e galloni. Chissà perché aveva immaginato invece di vedere una figura ferita, stracciata, drammatica. Era pur sempre un’entità inconsueta, un fantasma. Poi, accorgendosi di essere magari importuno, chiese scusa all’altro per  il suo comportamento poco educato. “Nessuna scusa, non da te. A parte l’impegno che hai preso di riportarmi a casa, che non avrebbe preso chiunque e che stava per costarti la vita, sono ancora ammirato per ciò che sei stato in grado di fare”.”Effettivamente sono sorpreso più di te. Sono riuscito a fare cose che nemmeno immaginavo. Ma purtroppo io non le controllo e, da quello che ho visto, sono delle capacità di distruzione. Io porto con me solo il dolore e forse la morte – concluse tristemente il ragazzo. “Ma stai scherzando? – gli rispose l’altro incredulo – E io che pensavo di congratularmi con te per l’abilità, la maestria da sciamano consumato con cui hai condotto i tuoi interventi. Prendi, per primo, il caso del poliziotto. Quello ti aveva sparato, sia pure per sbaglio ma, al minimo sospetto, magari vi avrebbe sparato intenzionalmente. E tu che hai fatto? Gli hai fatto colpire l’arma da un fulmine. L’arma, non lui. Che vista la situazione, non era facile. Io l’avrei incenerito. E stessa cosa per quei farabutti di ieri sera. Si, va bene, li hai abbrustoliti un po’. Ma quelli, sono assassini, senza scrupoli. Li hai sentiti, si divertono ad uccidere. E sono ancora vivi. E poi? Ti sei dimenticato di cosa hai fatto ieri sera per il tuo amico? Hai sfidato il regno dei morti, lo hai salvato e infine, come se non bastasse, hai rischiato, sempre per lui, di perderti per sempre. Altro che poteri di morte. Tu sei una persona che rifugge la violenza e conosci la pietà e la compassione. Non mi stupisce che tu sia andato così avanti nel campo a cui sei stato introdotto. E in pochi si meriterebbero più di te ciò che hai guadagnato. – Poi terminata la sua requisitoria appassionata, concluse – Ora ti lascio solo. Non potevo non accoglierti al tuo risveglio ma, come sai, io con il sole ho grossi problemi, così ora me ne vado e magari ci rivediamo stasera”. Detto questo, l’ombra scomparve lasciando il ragazzo accanto al suo amico che riposava ancora. Paolo notò accanto a loro, a terra, il grosso coltello con la lama sporca di sangue. Pensò che fosse il caso di farlo sparire. Si alzò dal terreno e lo raccolse, poi, curioso, sollevò il lembo della camicia che copriva il fianco di Will per vedere le condizioni della ferita. Non credeva ai suoi occhi. Là, dove la lama del coltello era affondata, ora c’era solo un sottile segno rosa, appena visibile. Piuttosto sorpreso, rimise a posto la camicia e  si diresse verso il pickup per vedere di recuperare qualcosa da mangiare. Accese il fuoco e, per prima cosa fece del caffè. Trovò dei biscotti in scatola e decise di fare colazione per riprendere un po’ di forze. Incerto circa il modo di portare avanti le cose, aveva svogliatamente mangiucchiato tre o quattro biscotti ed era alla seconda tazza di caffè, con lo sguardo perduto sulla superficie dell’acqua del lago che si vedeva ad una cinquantina di metri. Era molto perplesso circa quello che ora sarebbe stato l’atteggiamento dell’indiano nei suoi confronti. L’aveva indubbiamente salvato da morte sicura ed aveva rischiato la vita per farlo. Ma aveva anche effettuato un’intrusione violenta e aggressiva nel subconscio del suo amico. Era praticamente entrato, non richiesto, nel luogo più personale e intimo dell’altro, apparentemente senza riguardo. Ma non era così. Quelle che aveva sentito erano grida di aiuto di qualcuno che voleva, desiderava essere salvato anche se non lo avrebbe mai dichiarato. E quindi…. Ma l’altro avrebbe dovuto ammetterlo e questo, considerato il suo carattere, era quasi impossibile. Né si aspettava che l’indiano avrebbe mai condiviso con lui l’oscuro segreto collegato a quella scelta di penitenza e che certamente doveva riguardare un episodio gravissimo accaduto nel passato. Era profondamente assorto nei suoi pensieri che fu preso alla sprovvista quando la voce di Will si fece sentire. “E così ce l’hai fatta ancora una volta! Da non crederci e hai persino rischiato la vita per un’altra persona! Pensa un po’ – aggiunse con un tono che però voleva essere scherzoso – hai cominciato questo viaggio da ‘viso pallido’, nemmeno tanto sveglio ed ora, sei diventato quasi il mio maestro. E a ragione, visti i fatti! Però il mio caffè, resta il migliore. Questo non è il profumo del mio infuso. Però ne berrei lo stesso una tazza e magari se ci fosse qualcosa da mangiarci assieme…”. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Portò la colazione al suo amico e gli si sedette accanto. Naturalmente gli chiese come si sentiva. “Non lo so – rispose l’altro – Il fatto che abbia fame indica che sto abbastanza bene. So cosa hai fatto ieri sera – disse Will guardando il ragazzo fisso negli occhi con una espressione difficilmente decifrabile – Hai rischiato la vita per me, due volte. La prima, quando hai accettato di legarti con quel…., quel…… Non so nemmeno io come definirlo. Io non so se l’avrei fatto per te”.”Non ti sei trovato nell’opportunità di scegliere, quindi non puoi dirlo!”.”No, te lo dico, non credo che avrei avuto il coraggio che hai avuto tu. E poi, per l’altra cosa…. E’ difficile dire se ti devo ringraziare o trattarti male per esserti permesso di interferire. Lo so che magari ci resterai male ma ti avevo detto che una delle abilità dello sciamano, è quella di capire che certe cose vanno lasciate così perché non si deve intervenire”.”Io non so quale sia il tuo segreto e non lo voglio sapere ma non potevo lasciarti in quelle condizioni. – ora che il discorso era venuto fuori, il ragazzo decise che era inutile girare attorno alla questione e  affrontò l’argomento in modo esplicito - Nessuno merita un castigo simile. Sembrava una punizione mitologica, biblica. E sei tu che l’hai scelta. E sono sicuro che sarai stato severissimo con te stesso quando hai deciso. Ma forse troppo severo”.”No, tu non puoi sapere. Ho fatto del male, davvero e qualcuno ha sofferto per quello. Me lo meritavo. Ora certo mi sento meglio, ma non meritavo di essere salvato. Hai fatto un grosso sbaglio. Hai preso su di te un carico ed una responsabilità che d’ora in poi graverà sulle tue spalle”.”Stai tranquillo, ho le spalle forti ma ora l’importante è che tu ti riprenda perché dobbiamo andare via da qui”. Il discorso per il momento finì lì, con nulla di fatto e nulla di detto. Di certo sarebbe ricominciato perché troppe cose erano rimaste in sospeso ma, vista la situazione, era opportuno e saggio che si allontanassero da quel posto al più presto possibile. L’argomento sarebbe stato di certo ripreso quando l’indiano sarebbe stato in grado di affrontare l’argomento. Will era molto meravigliato per il suo stato di salute. Malgrado la scienza che l’aveva salvato fosse un antico retaggio del suo popolo, non aveva idea della potenza di quell’intervento. Conosceva bene la gravità della sua ferita. Quel farabutto che l’aveva colpito, l’aveva fatto con l’intenzione di uccidere ma per fortuna voleva anche che soffrisse e, per questo, il ragazzo aveva avuto il tempo di intervenire. Restava il fatto che anche in un ospedale forse non sarebbero riusciti a salvarlo. Si rendeva conto che per salvargli la vita, l’intervento doveva aver rimediato a lesioni gravissime e si chiedeva se era stato ripristinato uno stato ottimale o se fosse stato semplicemente rabberciato quel tanto da permettergli di sopravvivere, In quel caso, però, il ragazzo gli avrebbe detto di farsi visitare al più  presto da qualche medico, cosa che non era successa e soprattutto,  si sentiva bene. A parte il terribile ricordo di quando era stato ferito. In realtà moriva dalla voglia di chiedere al suo compagno come fossero andate le cose ma sapendo che un discorso avrebbe tirato dentro anche l’altro, non si sentiva pronto ad affrontare l’argomento. Si sentiva molto combattuto perché, da una parte ce l’aveva con il ragazzo per essersi immischiato, per averlo visto in quelle condizioni, per essere intervenuto senza sapere cosa stesse facendo. Era vero che il tempo non permetteva di spiegare, di capire e anche così, il suo compagno aveva rischiato di perdersi nel monde delle ombre, per lui. E in realtà si vergognava un po’ che l’altro avesse scoperto il suo oscuro segreto. Sapeva bene però, che, senza un intervento esterno, il suo castigo sarebbe durato per sempre, con gravi conseguenze per la sua vita futura. Aveva ragione il ragazzo, non si poteva andare avanti a lungo con un inferno come quello dentro di sé, tant’è vero che, più di una volta, gli erano balenate per la testa soluzioni estreme. Intanto il ragazzo aveva caricato tutto il materiale sul pickup  e aspettava  che la  guida si rimettesse al volante. Will, sentendosi in grado di guidare, salì a bordo e presto lasciarono quel posto dove erano accadute tante cose tremende e fantastiche. “Dove stiamo andando? – chiese Paolo . “Ci avviciniamo sempre di più alla nostra meta. L’indiano, malgrado apparisse un poco stanco, non lasciò mai la guida del pickup e il suo compagno non fece obiezioni. Raggiunsero l’Enid Lake verso le 15.00. Entrarono in una zona sorvegliata, sulla riva del lago, organizzata come un campeggio. Tutta la zona era un’area gestita dal governo e più esattamente dal corpo degli Ingegneri dell’Esercito. Questo perché, tutto quel territorio, così disseminato di piccoli corsi d’acqua e laghi, era stato teatro di tante gravi inondazioni al punto da comprometterne l’agricoltura. Per evitare che ciò influisse pesantemente sulla già fragile economia del posto, nel 1920 fu messo a punto un progetto governativo che bloccò in modo efficace quei disastrosi eventi. Quando ebbero montato la tenda, Will propose di andare a pescare un’ultima volta. Il ragazzo, sapendo che quello sarebbe stato un momento importante, di bilanci e confidenze, provò a sdrammatizzare dicendo che accettava a patto che non usasse la puzzolentissima esca dell’ultima volta. Will trovò un posto che giudicò ideale e fu lì che si misero a pescare. Erano all’ombra di una macchia di pini. Il sole era già alto da un pezzo ma non faceva molto caldo. Una giornata perfetta, insomma. Tutti e due sapevano che ora avrebbero dovuto parlare, chiarirsi. Cominciò l’indiano e, poiché aver deciso di parlare doveva essergli costato un grande sforzo, il ragazzo stabilì, per rispetto, di ascoltarlo senza intervenire. “Io non sono quello che sembro – iniziò a dire la guida – Nel senso che sembro una persona tranquilla, sicura di sé, esperta nelle cose della vita. Non è così. Forse mi avviavo ad essere tale ma poi, le cose sono andate in modo diverso. E fino a ieri, per colpa mia e solo per colpa mia, e per mia scelta, mi sono portato dentro l’inferno perché era quello che mi meritavo. Ora, grazie a te, sto meglio, anzi decisamente meglio ma, il punto, è che tu non sai cosa mi è accaduto veramente e che mi ha portato a quella scelta. Se devo accettare il tuo perdono, devo allo stesso tempo dirti cosa hai perdonato. Solo così il tuo atto potrà avere valore per me”.  Fece una pausa come a raccogliere le idee e poi riprese mentre Paolo lo ascoltava in silenzio, apparentemente concentrato sulla sua canna da pesca. “Come sai, io ero un promettente allievo di Sole Splendente, il quale riponeva in me grandi speranze. Questo lo aveva portato ad insegnarmi dei rituali molto avanzati, ed io, mi applicavo con molta passione e devo dire che ero anche un po’  superbo nei confronti degli altri ragazzi. Poi, inevitabile, imprevedibile e devastante è arrivato l’amore. Venne ad abitare al villaggio una famiglia di miei lontani parenti per consentire alla figlia di frequentare il college nella città vicina. La figlia era una bellissima ragazza, dolce, educata. Era perfetta. E si chiamava Tòazhis. Si, era proprio la ragazza di cui ti ho parlato tempo fa. Nel villaggio, tutti noi ragazzi ne eravamo innamorati, io in particolare. Ma lei, come ti dissi, aveva altre aspirazioni. Voleva farsi una posizione in mezzo a ‘voi bianchi’ e non sentirsi più diversa, discriminata. Tu pensi che la discriminazione in questo paese sia solo verso i neri, gli asiatici, i diversi. Il razzismo è una brutta bestia che ottenebra le menti di persone ottuse e cattive, spesso capaci di tutto e non perché qualcuno si comporta male, ma solo perché è parte di un gruppo o di una razza diversa. Lei voleva liberarsi da questa cosa, voleva poter camminare a testa alta e aveva capito che per riuscirci doveva emanciparsi. Però cominciò anche a frequentare persone sbagliate. Contenta per essere corteggiata da ragazzi del college, cominciò ad uscire con loro e a frequentare i loro ambienti. Io, in quel periodo, soffrivo moltissimo e a volte ero pazzo di gelosia. Sole Splendente cercava di consolarmi ma io non riuscivo a dimenticarla”. Will interruppe il racconto con la scusa di sistemare meglio l’esca sulla canna ma si capiva che cercava di recuperare il controllo delle emozioni. Probabilmente, quello che stava per raccontare, riguardava dei ricordi dolorosi e delle esperienze amarissime. Malgrado ciò, facendosi forza, riprese. “Quello che ti racconto ora, non l’ho mai detto a nessuno né pensavo che mai l’avrei fatto, ma tu devi sapere come sono andate le cose perchè ormai ne fai parte. Fu ad una festa di compagni di college che Angel, così si faceva chiamare dai suoi compagni, conobbe un bel ragazzo, alto, biondo, gentile e simpatico. Insomma, un ragazzo perfetto. E in più, pur non frequentando il college, era pur sempre una piccola autorità in paese. Era il vicesceriffo, sicuro candidato per la carica di sceriffo, appena questa fosse stata disponibile. Era tutto perfetto, anche troppo. Perché l’epilogo della storia lo conosci. Io parlai con Tòazhis, cercando di convincerla a lasciar stare quel ragazzo, a proposito del quale, fra l’altro avevo sentito delle  storie di alcool e di sesso. Le dissi che io l’amavo e che per lei sarei stato disposto a fare di tutto. Avrei lasciato la tribù, mi sarei messo a lavorare seriamente per fare soldi, in qualsiasi modo. Lei non credette ad una parola di quello che le avevo detto. Disse solo che la mia gelosia mi rendeva patetico. Che mai e poi mai si sarebbe messa con uno come me, un allievo sciamano, un poveraccio, un rudere legato alla antica cultura della sua tribù. E se ne andò, ridendomi in faccia. Poco dopo, contro il parere della sua famiglia, andò addirittura a vivere nella casa del suo ragazzo. Gli amici ed i colleghi del vicesceriffo invidiavano la felicità della coppia e iniziarono a soffiare del sottile veleno nella mente del giovanotto. Le ragazze erano gelose di Angel e gli uomini erano invidiosi. “Certo – dicevano – siete una bella coppia e lei è bellissima. Ma è sempre un’indiana. Quella gente non cambia mai. In fondo in fondo sono e restano dei selvaggi. Che carriera farai se addirittura te la sposerai, ituoi figli saranno dei mezzosangue – e argomenti simili. Alla fine qualcuno arrivò ad insinuare che lei addirittura lo tradisse con diversi  uomini.  Lui, purtroppo, dietro tutta quella valanga di calunnie, cominciò a vacillare. Da troppe parti gli arrivavano quelle notizie e finì per crederci. Riprese a bere e alla fine, dopo una serie infinita di scenate ci fu l’epilogo che già conosci. Lui una sera la gonfiò di botte e la gettò fuori casa, dicendole di non farsi più vedere”. Di nuovo Will si interruppe. Guardava a terra. Ora probabilmente c’era la parte che gli riusciva così difficile da ricordare e raccontare. Poi, fatto un profondo respiro, trovò il coraggio e la forza di riprendere il suo racconto. “Io sapevo di questa situazione e, mi vergogno di ammettere che in qualche modo, egoisticamente, ci godevo perché dimostrava che avevo avuto ragione. Non sapevo che le cose fossero arrivate a quel punto per cui, quando una sera sentii bussare alla mia porta, andai ad aprire tranquillo. E me la trovai davanti. Piangeva. Aveva il volto vistosamente tumefatto e si vedeva che soffriva molto. Mi raccontò piangendo quello che era successo e mi chiese di ospitarla perché non aveva un posto dove andare. Solo per qualche giorno. Quel tanto che serviva per rimettersi un po’ e per trovare una sistemazione differente perché, dalla sua famiglia non sarebbe potuta tornare. E io….. io….. Io la cacciai via! – e qui Will si coprì gli occhi con le mani – Capisci? Io, invece di aiutarla, di soccorrerla, la cacciai via. Mi bruciavano ancora troppo le parole che mi aveva detto l’ultima volta che ci eravamo visti. Mi aveva riso in faccia, mi aveva dato del poveraccio! E io quella sera, non capii la situazione e la cacciai via, gridandole che quello che le era successo era stata solo colpa sua e di non farsi più vedere. – fece una pausa – la cacciai via! – finalmente l’aveva detto, aveva trovato il coraggio di dirlo, di raccontarlo a qualcuno – E la fine della storia la conosci. Lei, abbandonata, sola, disperata, la fece finita. Le sarebbe bastata una sola parola da parte mia. Era bella,  buona , aveva tutta la vita davanti. E per colpa mia, lei si uccise. – poi guardando il suo compagno dritto negli occhi – Ecco la mia colpa, il mio inferno. Questo tu hai affrontato per me. Pensi ancora che io meriti il perdono? Tòazhis, Acqua Che Danza!”. E pronunciato il nome della ragazza, si mise di nuovo le mani davanti agli occhi e scoppiò in un pianto dirotto e disperato senza riserve, senza vergogna. Un pianto incontrollabile che lo aiutava a liberarsi dall’angoscia e dal dolore che avevano angustiato per anni il suo animo. Paolo, con discrezione rispettò i sentimenti dell’altro, astenendosi al momento dal parlare. Gli si avvicinò e gli mise semplicemente una mano su una spalla. Poi, Will, lentamente si calmò. Asciugandosi gli occhi con il dorso delle mani, aggiunse con atteggiamento rassegnato : “Rimasi al villaggio distrutto dal dolore. Poi, dopo l’episodio dell’aggressione al poliziotto, una notte, senza avvisare nessuno, partii, lasciai la mia gente, tutto. Sentivo di aver perso me stesso, il mio popolo, la mia identità. Ho girato per il Paese in lungo e in largo facendo un po’ di tutto. Quando sono tornato al mio villaggio, dopo tanto tempo, sono stato accolto con grande indifferenza. Avevo deluso un po’ tutti e avevo ferito quelli che mi volevano bene. Scoprii che il mio nome, Chankonashtai, ossia Buona Strada, era stato cambiato in Nitingoiiya, Strada Perduta. E avevano ragione, per cui non dissi nulla, non protestai. Me lo meritavo. Poi qualcuno mi propose di guidare un gruppo di turisti a vedere qualche posto particolare lungo la 66. Conoscevo il percorso e accettai. Così cominciai a fare la guida. E scoprii che ci sapevo fare, ero bravo. Capivo cosa le persone volevano vedere e io, semplicemente, ce li portavo. Ma il più delle volte, riuscivo a far vedere ai turisti, la bellezza della natura. Poi, accadde un fatto inconsueto. Incontrai, quasi per caso, in un’area di sosta, uno strano camionista, accompagnato da un ancora più strano aiutante, un vecchietto che stava in piedi a malapena, figurarsi se poteva aiutare veramente a far qualcosa”. Il ragazzo capì che si riferiva a Moses a  Peter, suo amico ed assistente. “Il camionista si chiamava Moses – riprese a raccontare l’indiano – un omone di mezza età che dapprima  mi fece molte domande, e poi dei discorsi insoliti sulla 66 e su cosa la gente cerca nella vita. Però, non so come fece, ma le sue parole mi affascinarono, mi incantarono ed io accettai di accompagnare delle persone particolari, che mi avrebbe mandato lui,  lungo questo tragitto ed ogni volta è stata sia per me che per loro un’esperienza unica”.”Quindi hai avuto altre esperienze come questa”. “Ti ho detto persone simili a te ma come te mai. Tu sei speciale. Durante gli altri viaggi avevo provato nuove sensazioni, avevo fatto diverse esperienze ma mai come in questo. E, se quello che penso e spero è giusto, credo che questo, per un bel pezzo, sarà l’ultimo viaggio del genere”.”Io non so molte cose dello sciamanesimo della tua gente. E molte delle cose che conosco, le sento affiorare ogni giorno, come se fossero già in me e non attendessero altro che l’occasione giusta per venire a galla. Quello che so però è che questo sapere, se così la posso chiamare non apprezza il rimorso. Certo, è un aspetto dell’essere umano, è normale. A volte, fa onore a chi lo prova, in quanto dimostra che c’è stato pentimento dopo una cattiva azione. Però, ripeto, ad un certo punto deve finire. Non serve a nulla se non a consumare  gran parte dell’energia dell’individuo. Il rimorso deve servire a far capire alle persone dove hanno sbagliato. E li deve persuadere a non sbagliare di nuovo. Allora, sarà stato utile a qualcosa e non servirà più. Ma tu questo lo sapevi già, vero?”.”Si – ammise gravemente l’altro – ma io amavo quella ragazza e questo mi ha fatto perdere il controllo”.”Capisco. Ma ora dimmi, sinceramente, se tu avessi la possibilità di rivivere il passato, in una condizione come quella, come agiresti?”.” Se potessi tornare indietro – rispose l’indiano con voce appassionata – l’abbraccerei, la consolerei e le darei tutto l’amore  di cui avesse bisogno. So che lei non mi amava e quindi non cercherei di certo di approfittare della situazione. E, se alla fine, sistemate le sue cose, lei avesse deciso di allontanarsi da me, la lascerei andare liberamente per vivere la vita che si fosse scelta”. Paolo che durante quelle parole, aveva guardato fisso negli occhi l’altro, aveva visto solo sincerità e quindi l’abbracciò. “Allora dico che sei sulla buona strada. E ti dico anche di più, Sole Splendente ti vuole bene e non vede l’ora che tu ritorni da lui”.”E’ proprio ciò che intendo fare, dopo la fine di questa storia. E gli racconterò quello che ho detto a te e le cose fantastiche che sono accadute in questo viaggio”. La pesca, malgrado la scarsissima attenzione che le era stata dedicata, fruttò comunque quattro bei pesci gatto che finirono presto sulla graticola. Terminata la cena l’indiano era andato a dormire, lasciando, insolitamente, al suo compagno di viaggio, il compito di gestire il campo. Non era stato un giorno particolarmente faticoso ma egli usciva scosso da una situazione  molto stressante. Solo un giorno prima, era stato ferito a morte ed il suo organismo richiedeva ancora un po’ di tempo per ritornare in forma. Durante la cena i due non avevano parlato molto, come se ormai si capissero semplicemente con lo sguardo e con i gesti. Inoltre, quella particolare intimità che si era stabilita fra i due, sembrava aver mutato in qualche modo la scala dei valori delle cose e quindi, parlare di banalità non riusciva facile a nessuno dei due. Il mattino seguente avrebbero portato a termine l’impegno che avevano preso con il soldato sudista e allora il loro viaggio sarebbe ufficialmente finito. Sarebbero solo dovuti arrivare a Chicago e Paolo, con un aereo, sarebbe tornato a casa. Il posto dove si sarebbero dovuti recare era a soli quattro chilometri da li, avrebbero fatto in fretta. Dopo aver sistemato il campo per la notte, il ragazzo stava indugiando un poco sulla riva del lago, pensando alla vita che lo aspettava una volta tornato a casa e a come usare le sue nuove abilità nel lavoro che intendeva portare avanti. Quando sentì la voce di Aniello Somma, ebbe un sussulto. Non riusciva a considerare come reale la presenza di quel particolare ospite. “Questo è il momento di andare – disse l’ombra con un tono che non ammetteva obiezioni o dinieghi. “Come, è il momento? – chiese meravigliato il ragazzo. – Si era detto di andare domani, tutti insieme”.”No, - insistette l’ombra – è questo il momento di andare. Il tuo amico è fuori da questa situazione e, in realtà, lo è sempre stato. E’ risultato utile per l’utilizzo del mezzo di trasporto ma non per altro. So che stai pensando al rito  del Looho’ol Aninhè ma non era proprio previsto. Indubbiamente il destino o come lo vogliamo chiamare ha deciso per te. Il posto è qui vicino. Ci arriveremo in fretta e, soprattutto, non incontreremo nessuno. Questa zona è sotto controllo governativo e non vorrai che qualche ranger ti scopra in giro con una cassetta con dentro ossa umane! Per cui, andiamo al pickup”. Il ragazzo, seppure malvolentieri, andò alla macchina e, seguendo le indicazioni dell’ombra, riuscì a trovare e prendere la cassetta che l’indiano aveva ben nascosto. Su indicazione dell’altro, si munì anche di una piccola pala pieghevole e una torcia elettrica, poi seguì l’altro nel buio della notte. Per qualche motivo particolare, attorno a loro c’era una strana luminescenza verdastra che sembrava precederli e che consentiva al ragazzo di vedere il tragitto che dovevano percorrere pertanto evitò di accendere la torcia. Si muovevano in una condizione veramente particolare. La luminescenza che li circondava, l’ombra che procedeva leggermente avanti , come per far strada, il silenzio assoluto in cui si svolgevano le cose, e il tutto in un tempo sospeso tra  diverse dimensioni. “Quello che sta per accadere è  particolare – spiegò l’ombra al giovane che stava vivendo tutta quella vicenda con  grande trepidazione, ma  senza paura – e tutto lo spazio circostante verrà interessato da ciò che succederà. Però solo tu e quelli con le tue capacità, sono in grado di vedere e capire cosa sta per accadere. Gli altri percepirebbero solo una sensazione di disagio e di confusione. Ecco perché il tuo amico non doveva venire. Ormai, a causa della tua esperienza durante la quale ti sei legato con me, come ti ho detto, hai acquisito un’abilità che ti lega al mondo dei trapassati e quindi sei in grado di vedere e partecipare a tutto questo”. Paolo ascoltava l’altro e proseguiva in quel bizzarro cammino, chiedendosi cosa aspettarsi dal futuro. La sua massima preoccupazione era quella di non sapere se sarebbe stato capace di amministrare tutte quelle capacità che non aveva nè chiesto nè cercato. Lui voleva solo trovare un po’ di pace. “Percepisco cosa stai pensando – aggiunse l’altro – e hai ragione a rifletterci ma, in realtà, non ti è stato donato nulla. Quello che è emerso, era già dentro di te e chi ti ha accompagnato nel corso di questo viaggio, chiunque sia, ha solo concorso a farti trovare la chiave di accesso a ciò che già possedevi. Molte persone sono nella tua stessa condizione ma non troveranno mai la loro strada”. Il ragazzo trasalì quando all’improvviso il suo compagno disse: “Ecco, ci siamo”. Erano giunti in una piccola radura circondata da folti alberi con delle chiome  ricche e compatte. Quasi al centro, si ergeva una quercia  gigantesca. “Un bel posto per riposare – si lasciò sfuggire il ragazzo. “Certo – rispose l’altro – anche se non è proprio come pensi. Ora guardati attorno e muoviti con cautela perché sei in un piccolo cimitero che quel farabutto ha sconvolto con le sue maledette ricerche”.”Cosa devo cercare? – chiese il ragazzo che non sapendo cosa sarebbe accaduto cominciava a perdere la calma che aveva conservato fino a quel momento”. “Ora devi ricongiungermi con quello che del mio corpo è rimasto qui. Per cui, concentrati sulla cassetta e sul suo contenuto”. Paolo depose la cassetta al suolo e in posizione accosciata ci pose le mani sopra, poi, chiuse gli occhi e si concentrò su ciò che era all’ interno. “Bene - disse l’ombra dopo un tempo ragionevole – Ora, mantenendo il contatto con una mano con  la cassetta, con l’altra, muovendola orizzontalmente, cerca il resto del corpo”. Il ragazzo eseguì. La prima volta senza successo. Poi, quando passò la mano lungo la zona attorno a lui, in una certa posizione iniziò a sentire un forte formicolio. Insistendo e limitando la zona interessata, la mano iniziò quasi a scottargli e dal terreno sembrarono venire fuori dei bagliori luminosi. “Bravo! – disse l’ombra – ce l’hai fatta! Ne ero sicuro. Prendi su tutto e andiamo a risistemare le cose.” Il ragazzo prese il contenitore e la piccola pala e si diresse alla zona interessata che, nel buio, continuava a spiccare. La luminescenza interessava degli oggetti sparsi in un piccolo spazio a poca profondità. Erano ciò che rimaneva del corpo del soldato. Con voce molto tesa questi chiese al ragazzo di raccogliere le varie parti e di mettere tutto all’interno della cassetta che aveva lo spazio sufficiente a contenere tutto. Il ragazzo, dopo una certa esitazione, cominciò ad eseguire quel triste rito e lo portò a termine con grande rispetto e delicatezza in un tempo piuttosto breve perché le ossa per fortuna non erano state molto disperse. Alla fine rimise il coperchio alla cassetta e attese di sapere cosa fare. “Anzitutto ti ringrazio – gli disse l’altro per  il rispetto che hai mostrato. Per me, rivedere cosa era rimasto del mio corpo è stata un’esperienza terribile e non la auguro a nessuno. Ora però, devi mettermi accanto ai miei compagni. Quindi con la pala, scava una buca  sotto quell’albero – e indicò l’albero con il tronco più grosso fra quelli presenti nella radura. Il terreno era per fortuna, piuttosto morbido ed in una mezz’ora, il ragazzo riuscì nel suo compito. Alla fine mise il contenitore nella buca e coprì tutto. “Adesso che succede? – chiese all’ombra che apparentemente pur conservando il suo stato evanescente, sembrava essere diventato un po’ più luminoso. “Adesso devi mostrare di cosa sei diventato capace. Questo terreno è stato violato, offeso e maltrattato, svilito. Occorre una riparazione e quella è una cosa che sai fare tu”.”Ma io… - iniziò a dire il ragazzo. Poi all’improvviso gli venne alla mente cosa fare. In piedi, al centro del terreno, chiuse gli occhi, sollevò il viso verso il cielo e iniziò a respirare profondamente. Con le braccia in basso e i palmi delle mani rivolti verso il terreno, visualizzò l’energia che dall’alto lo raggiungeva e, passando attraverso di lui, andava a immergersi nel terreno e si spandeva tutto attorno a lui. La luminescenza verde che lo aveva accompagnato fino a quel momento, iniziò a impallidire e a prendere un colore sempre più chiaro fino a diventare completamente bianca e poi splendente, quasi accecante. A quel punto, tutto finì, si interruppe. Il ragazzo sembrò risvegliarsi come se fosse stato altrove, in un altro luogo. Per un attimo si guardò attorno come per riprendere contatto con la realtà dalla quale, in qualche modo, si era separato per il tempo necessario. “Sono veramente impressionato – disse l’ombra – non credevo che fosse possibile finchè non ti ho conosciuto. Anche quel mascalzone che mi ha rapito faceva cose simili ma lui aveva bisogno di formule, di sostanze chimiche e comunque tutto servendosi di alleati terribili”.”Non è merito mio  - rispose onestamente il ragazzo, più meravigliato dell’altro – e spesso, come in questo caso, non so nemmeno cosa stia facendo. Lo faccio e basta perché sento che è una cosa necessaria e giusta”. “Oh, si. Non sai quanto necessaria. L’azione di Jack McDoogan ha leso e alterato in senso negativo l’energia di questo che invece era un bellissimo posto. Ora è di nuovo in pace e può svolgere egregiamente il suo compito. Ossia di ospitare me e…. i miei compagni”. E mentre diceva queste parole Paolo si accorse che non erano più soli. Attorno a loro si erano materializzate dal nulla, delle figure che apparivano proprio come l’ombra, chiaramente e in uniforme. Paolo sentì distintamente un brivido gelido attraversargli la spina dorsale, avvertì una tensione fortissima ai muscoli della schiena e si trovò fradicio di sudore nel giro di pochi istanti. Un fantasma poteva anche essere accettato ma quelli erano giusto una decina. La cosa strana era che dal quello che poteva emergere dal loro comportamento, sembravano loro, i più meravigliati per trovarsi in quel posto ed in quella situazione. Si guardavano attorno e poi si guardavano l’un l’altro. Questa cosa dette il tempo al ragazzo di tranquillizzarsi e gli consentì di notare che il soldato Aniello stava invece palesemente sorridendo. Apparivano tutti uomini ancora abbastanza giovani e sembravano quasi sorpresi di trovarsi lì e in quel momento. Quando videro il loro compagno tornato da lontano, gli si fecero intorno e, quasi come in raduno di commilitoni gli cominciarono a dare delle pacche sulle spalle e a stringergli la mano. Uno, in particolare, con i gradi di sergente sulla divisa, sembrò molto contento di rivederlo. Tutto avveniva in una situazione di strano silenzio, come in un film senza la traccia audio. Quando i saluti furono cessati, l’ombra si rivolse al ragazzo spiegandogli che lui non poteva sentire i suoi compagni perché non era stato in contatto con loro ma li poteva comunque vedere grazie alle sue capacità. Poi Paolo vide che il soldato Aniello stava raccontando qualcosa ai suoi colleghi e di tanto in tanto indicava lui, poi il terreno e infine con dei gesti anche delle zone attorno al lago. Probabilmente stava raccontando loro quello che era accaduto durante il viaggio di ritorno. I soldati guardavano verso di lui apparentemente meravigliati per il fatto che li potesse vedere. Poi l’ombra tornò verso di lui e gli disse di aver raccontato cosa era accaduto. Aveva inoltre detto loro che lui aveva proceduto a bonificare il terreno ed era stato questo che aveva consentito agli altri di tornare. Ed ora, come aveva anticipato, erano pronti. Ma prima, :”Sei stato di parola e sei stato prezioso per noi. Io vi avevo detto che per voi due non ci sarebbero stati premi perché non volevo che fosse l’avidità a farvi decidere. Ora, però, che siamo qui, e tutto è prossimo ad essere concluso, ti voglio dire che un premio in realtà, c’è. Se ti ricordi, io ti parlai dei lingotti d’oro passati in fretta e furia da un carro ad un altro prima che fossimo abbandonati qui a morire. Beh, si, sapevamo che quasi certamente saremmo tutti morti ma, magari qualcuno avrebbe potuto salvarsi e quindi, nella confusione generale, quattro lingotti, chissà come, finirono sotto quella roccia che vedi laggiù. Per cui, basta scavare un pochino e credo che avreste, tu ed il tuo compagno, una ricompensa giusta”. “Quattro lingotti da dieci chili! – commentò il ragazzo – Direi, al giorno d’oggi, non meno di 200.000 dollari. Vabbene – aggiunse sorridendo – questo, considerate come sono andate le cose, non vi fa meno eroi di quello che siete stati. – poi, dopo aver riflettuto un attimo, aggiunse – Io ti ringrazio e però devo declinare l’offerta perché, da questa esperienza, ho avuto molto di più e, accettando il tuo premio, con tutto il rispetto per le tue intenzioni, mi sembrerebbe di sminuire ciò che ho ricevuto. Per ciò che riguarda il mio amico, conoscendo le sue idee, non credo che accetterebbe un premio sottratto da un cimitero, comunque gliene parlerò. Ora che succede?”. “Ora, grazie a te, possiamo finalmente andarcene. Grazie, grazie di tutto”. E così. Semplicemente, tornò verso i suoi compagni. Questi guardarono dalla sua parte e lo salutarono. Poi le ombre si strinsero in cerchio, con le braccia sulle spalle uno dell’altro. Passarono alcuni istanti e infine, letteralmente svanirono, senza alcun segnale. Il ragazzo, quasi sorpreso, si sentì, all’improvviso, molto solo e percepì un gran freddo. Rimase ancora qualche minuto immobile, a meditare su quanto era accaduto. Poi, fatto un bel respiro, osservò le acque del lago attraverso gli alberi della radura. Raccolse due rami da terra e con essi formò una piccola croce che infisse nel terreno accanto alla quercia. Recitò una breve preghiera e poi, pescando dalle conoscenze che sapeva di possedere, eseguì un breve rituale per far si che quel luogo non fosse più visibile a nessuno. Ora quei soldati avrebbero riposato per sempre in pace. Facendo uso della sua torcia, tornò lentamente al campo. Quando giunse vide che l’indiano dormiva profondamente. Si rese conto di essere molto stanco e quindi si coricò anche lui.
                                                                                   Giorno XXII°
Come era stato per molte mattine, dall’inizio del viaggio, il ragazzo fu svegliato dai raggi del sole che erano penetrati sotto la tenda e dal forte aroma di caffè, tipico della preparazione di Will. Una situazione di normalità, quindi, apparentemente senza sorprese. E ce ne erano state tante, almeno negli ultimi giorni. Paolo avrebbe avuto modo di meditare a lungo su quella straordinaria avventura e non riusciva a credere che tutto fosse prossimo a finire. Ma se il suo destino, il suo cammino, erano quelli, non poteva farci nulla. L’unica cosa che gli era data di fare, e non era certo poco, era quella di amministrare saggiamente ciò che gli era stato concesso di scoprire di se stesso. L’indiano lo richiamò bruscamente alla realtà, essendosi accorto che  era sveglio. Gli disse di muoversi perché non avevano tempo da perdere per tutto ciò che avevano da fare. Il ragazzo, a quel punto sembrò ricordare di colpo ciò che era accaduto la notte precedente, quasi fosse stato un sogno. Anzi, ora doveva raccontare all’indiano cosa era successo, sperando che non la prendesse a male per il fatto di essere stato escluso. Effettivamente l’altro sembrò essere un pochino deluso per la cosa ma il ragazzo cercò di limitare il dispiacere dicendo al suo compagno che, per come erano andate le cose, non avrebbe visto e sentito nulla, per cui tutto si sarebbe ridotto ad una gita notturna per scavare una fossa sulle rive del lago. L’indiano sembrò convincersi ma si vedeva che qualcosa lo irritava anche che non lo voleva ammettere. Quando Paolo gli disse del premio, rifiutò perfino di sentirne parlare. “Ma come – replicò con un atteggiamento che voleva sembrare scherzoso ma che non lo era davvero – Noi che abbiamo ucciso una quantità incredibile di visi pallidi, almeno secondo le vostre pellicole, per aver violato le tombe della nostra gente, adesso dovremmo andare a saccheggiare un loro cimitero? Quell’oro sta bene dove sta e che lì rimanga in pace”. Dopodichè chiuse l’argomento e non volle più parlare. Prese la  proverbiale carta stradale e mostrò al ragazzo cosa aveva intenzione di fare. Per evidenti motivi, sarebbe stato opportuno partire da lì in fretta e quello, lo stavano per fare. Poi, per gli stessi motivi non avrebbero dovuto rifare la strada già percorsa. Quindi Will aveva segnato sulla carta un tragitto che li avrebbe portati dapprima verso est, fino ad una cittadina chiamata Tupelo e poi, da lì, procedendo verso nord, avrebbero preso la 45 fino ad un grosso parco nazionale chiamato Shawnee Forest. In seguito, attraverso la 57, avrebbero raggiunto finalmente Chicago. Partirono quindi di buon ora, costeggiando la zona sud del lago e poi proseguirono verso est. Paolo chiese alla sua guida come si sentiva e se per caso non fosse il caso di farsi controllare in una struttura medica. L’altro gli rispose che si sentiva benissimo, che non aveva più alcun dolore. Lo ringraziò di nuovo e gli fece i complimenti per il coraggio che aveva avuto. Poi aggiunse che era sicuro che l’altro avesse fatto un ottimo lavoro e infine, concluse che, se invece avesse fatto qualche pasticcio, come avrebbe spiegato  ad un dottore, eventuali, strane anomalie nel suo fisico, che comunque continuava a funzionare? Dopo 60 miglia circa raggiunsero  Tupelo, che prendeva il suo nome da un particolare tipo di albero della gomma che cresceva in gran quantità in quella zona. “Ci crederesti che anche questa cittadina è meta di pellegrinaggi da parte di migliaia di persone, ogni anno? Ed ora, ti faccio vedere perché”. Deviò di appena una traversa dalla strada che stavano percorrendo, fino a raggiungere una casetta in legno bianco, con una piccola veranda sul davanti, sollevata rispetto al terreno grazie a dei paletti di una sessantina di centimetri. Non sembrava niente di strano. Ma davanti c’erano delle persone che si erano fermate e che si facevano delle foto, usando la modesta costruzione come sfondo. Fu un cartello che il ragazzo, all’inizio, non aveva notato, a dargli la risposta. Sul cartello rettangolare, il color verde scuro, si leggeva infatti che l’ 8 gennaio 1935, in quella casa era nato Elvis Presley. Will non ritenne di fermarsi, anche a causa della piccola folla in attesa di visitare la dimora e, superato un bel parco ed una struttura, ambedue dedicate ai veterani, prese la 45 diretto verso nord. In fin dei conti avevano valutato di percorrere in due giorni le circa 600 miglia che mancavano alla loro meta finale. Il ragazzo, visto che stavano passando davanti ad un’agenzia, decise di affrontare una cosa a cui aveva cercato in tutti i modi di non pensare, ossia il ritorno a casa. Si fece forza e cercò il primo volo da Chicago per l’Italia. Trovò un posto per la sera del giorno seguente e rassicurato dalla sua guida che sarebbero arrivati in tempo, lo prenotò. Tanto, se doveva andare, era inutile perdere tempo. Avrebbe solo dovuto cercare di sfruttare al meglio il breve tempo che gli restava. Paolo si chiedeva come sarebbe stato il suo ritorno alla città. In quei venti e passa giorni, si era quasi abituato all’atmosfera delle piccole città , ognuna con il suo piccolo tesoro nascosto. Piccole comunità che non avevano voluto arrendersi, quasi tradite dall’abbandono del tracciato originale della 66. Comunità che avevano lottato per sopravvivere e andare avanti, sfruttando tutto ciò che avevano. La loro storia, la guerra, le piccole collezioni, le curiosità. Ogni mezzo che potesse servire allo scopo. Intanto, percorrendo un territorio piuttosto pianeggiante e con ricca vegetazione, dopo aver attraversato il fiume Deer River, avevano raggiunto la città di Jackson, la capitale dello Stato. Il tempo, che in quella zona era piuttosto mutevole, si era mantenuto sereno ed ora c’era un bel sole ad illuminare lo scenario della città. Nei sobborghi, una serie di palazzi, più che altro condomini piuttosto anonimi, mentre verso il centro, c’era la parte cosiddetta storica. Anche quella, però, non era poi così antica in quanto, durante la guerra civile, a causa della sua caratteristica di città industrializzata e manifatturiera  a favore del sud, fu conquistata due volte dalle truppe confederate e la seconda volta, nel 1863, fu completamente data alle fiamme, tanto da essere ribattezzata con il nome di Chimneyville, la ‘città dei camini’, in quanto quelli in muratura furono le uniche cose a salvarsi. Venne a trovarsi al centro dell’attenzione quando, nel 1821, dovendosi scegliere una capitale per lo stato del Mississippi, fu preferita a località più centrali, a causa del territorio paludoso che rendeva difficoltosi i trasporti e gli spostamenti. Dagli anni 1970 al 1990, era stata teatro di pesanti scontri razziali, legati al fatto che una minoranza di bianchi non ammetteva la parità con la popolazione nera, in larga maggioranza nella città. Will, lasciando la strada principale, aveva imboccato la South State Street in direzione nord. Presto, sulla sinistra, comparve l’imponente mole dell’Old Mississippi State Capitol. Un grosso edificio a tre piani in stile fortemente inspirato al neoclassicismo francese. In cima, una grande cupola rivestita in rame. La caratteristica di questo edificio era quella di essere uno dei pochissimi edifici risparmiati dall’incendio del 1863. Era stato fabbricato infatti nel 1839 e, fino al 1903, era stato sede di uffici governativi. Poi, dopo la costruzione del nuovo campidoglio, era stato destinato ad ospitare dal 1960 Il Museo Storico dello Stato. Dopo aver trascorso una strada in mezzo al verde, gli arrivarono proprio davanti. Ricordava molto, come stile, quello precedente, ma questo aveva anteriormente uno scalone in granito che portava ad una fila di colonne, sormontata da una cupola, che faceva da basamento ad un’aquila in rame rivestita in foglia d’oro. Sembrava che Will, comunque non avesse intenzione di fermarsi e continuò a percorrere la strada alla massima velocità consentita. Passarono davanti a quello che sembrava un enorme capannone, indicato con il nome di Missippi Coliseum. L’indiano disse che era uno stadio coperto, della capienza di circa 6000 posti. La sua caratteristica principale, apparentemente, era quella di essere stato costruito sulla bocca di un vulcano spento, il Jackson Vulcano, che era alla profondità di poco meno di un chilometro. Dopo aver attraversato un bellissimo parco, videro lo stadio all’aperto, il Mississippi Veterans Memorial Stadium. Will raccontò che la città aveva prosperato parecchio nei primi anni del 1900 grazie ai numerosissimi pozzi di petrolio che erano stati scoperti nelle vicinanze. Purtroppo verso la fine degli anni ‘50 si erano  esauriti, finchè nel 1955 erano stati praticante tutti chiusi. Intanto erano arrivati a Rigeland, quasi un quartiere a parte e lì, si fermarono nel parcheggio di un locale. Si trattava di un ristornate chiamato Sweet Susy, un moderno fabbricato ad un piano con grandi superfici vetrate che permettevano un’ampia vista sul suo interno. “Credo che oggi sia l’ultimo pasto decente che faremo insieme – disse Will – e vorrei che fosse speciale. Mi sono ricordato di questo posto e credo che qui troveremo qualcosa che ci serva a chiudere in bellezza il nostro viaggio”.”Per caso, Sweet Susy – chiese scherzando il ragazzo. “In un certo senso, si. Ma non nel modo che pensi tu”. Entrando, si accedeva ad un mondo strano e particolare, in pieno contrasto con lo stile moderno dell’esterno. Sembrava di essere entrati in un salotto dell’Ottocento. Poltroncine imbottite in velluto di tutti i colori, carta da parati a fiori, piccoli tavoli rotondi con tovaglie ricamate, abat-jour e tende di raso colorato. Da un lato del salone, un piccolo palco su cui era un magnifico pianoforte verticale impiallacciato in betulla laccata in toni scuri  lucidata a cera. Tutte le rifiniture metalliche sembravano in oro.  Era di certo molto antico e di gran valore. La  ragazza che li accolse, vestiva con un abito stile fine 800 e li condusse subito ad un tavolo d’angolo, dietro un piccolo separè. Il ragazzo notò che la cameriera aveva fatto l’occhiolino a Will il quale aveva risposto allo stesso modo. “Ma che razza di posto è questo? – chiese guardandosi attorno sorpreso e incuriosito. – Che intenzioni hai per celebrare l’ultimo pasto?”.”Lo so – rispose l’indiano – l’ambiente fa pensare più che altro ad un bordello di lusso ma ti assicuro che circa le mie intenzioni ti sbagli, almeno stavolta. Abbi fiducia e fra un poco, capirai. Il nostro passaggio qui non era programmato ma se avessi dovuto scegliere un posto per il tuo commiato,  questo posto sarebbe stato il primo per  il cibo, le bevande, la storia ed i personaggi. Il destino, come al solito ha deciso per noi ed ha deciso bene”. Si presentò una cameriera con uno splendido sorriso ed un generosissimo decolté, che propose i piatti del giorno. L’indiano ordinò senza nemmeno pensarci, segno che già li conosceva. C’erano degli altri clienti ai tavoli, che mangiavano tranquillamente chiacchierando in una atmosfera tranquilla e piacevole e gli odori di cucina che si sentivano erano molto invitanti. Arrivò un’altra  cameriera che servì due bicchierini di liquore dicendo che glieli mandava Susy che sarebbe passata più tardi. “Cos’è, una tua vecchia fiamma? – chiese scherzando il ragazzo. “No, tranquillo, Susy è un particolare personaggio, quasi un pezzo di storia per questo posto. E’ un onore che abbia deciso di incontrarci, ma non ti voglio rovinare la sorpresa, vedrai poi. Ora – rivolgendosi alle vivande che erano state intanto servite – facciamo onore alla tavola”. Davanti a loro erano stati posti dei piatti con delle magnifiche costolette di maiale cotte alla griglia e condite con una densa salsa barbecue. Come contorno, delle patate arrosto con erbe ed aromi e del riso croccante. Inoltre delle verdure condite con una profumatissima salsa al formaggio. Era tutto ottimo. Stavano terminando il loro pasto quando furono recati altri piatti con dei gamberoni alla griglia che emanavano un profumo irresistibile, furono inoltre servite delle ciotole con delle salse particolari che li completavano. I due fecero onore anche a questa portata. “Mamma mia – esclamò il ragazzo – ma era tutto fantastico! Io quasi, quasi farei il bis con i gamberi”.”Non te lo consiglio – disse sorridendo l’indiano – Perché adesso, se non mi sbaglio, arriva la vera specialità della casa. Una torta magnifica, il motivo, fra l’altro, per cui siamo qui. Il miglior modo per prendere commiato da questo posto. Un dolce incredibile, se non hai problemi di glicemia, naturalmente, e poi, se non mi sbaglio, avremo un valore aggiunto che non ha prezzo. Un pezzo di America che non esiste più e che credo che sia imperdibile per chi vuole esplorare tutte le atmosfere di questo incredibile Paese”. Quasi a confermare le sue parole, Una ragazza portò al tavolo un vassoio con sopra una torta alla panna e cioccolato da cui proveniva un profumo irresistibile. Un’altra recava un vassoio con tre bicchieri ed una bottiglia di vetro lavorato contenente un liquido di colore ambrato. “Ti presento la Mud Pie, ‘la torta’ per eccellenza di questa zona – disse ridendo Will, osservando l’espressione sbalordita del suo compagno. Una tenda in raso rosso dietro di loro si scostò e, preceduta da un profumo piuttosto intenso ma non sgradevole, avanzò verso di loro una persona  singolare. Era una donna di colore di età indefinibile, ma di certo non meno di sessant’anni. Il vestito di raso a strisce verticali fucsia e viola, fasciava con una certa fatica, la sua figura molto prosperosa. Un viso da creola, un trucco molto pesante, una parrucca di riccioli biondi ed una scollatura più che generosa. Quella era Susy, o almeno così si faceva chiamare, la padrona del locale. Con le braccia aperte, si era letteralmente gettata al collo di Will che, al vederla, si era immediatamente alzato in piedi, certamente prevedendo come sarebbero andate le cose. Un abbraccio strettissimo, durante il quale la donna aveva un controllo pressochè assoluto, visto che l’indiano appariva totalmente in sua balia. “Che piacere rivederti, ti sei ricordato di questa vecchia, sola e triste. Vieni qui, fatti abbracciare – diceva la donna fra le lacrime, non accennando ad allentare la presa – Che grande sorpresa, ti sei ricordato di me! Che sono sempre qui sola e abbandonata!”. Paolo pensò che tanto sola e abbandonata non lo fosse, se non altro per tutta la gente che gravitava attorno al locale, a cominciare dalle cameriere. Poi, la donna, come se avesse percepito i pensieri del ragazzo, lasciò andare di colpo Will che piombò letteralmente a sedere, massaggiandosi le spalle e le braccia, e si voltò verso Paolo che, intanto, per educazione, si era alzato a sua volta. Questa volta l’abbraccio fu per lui e toccò a lui essere sballottato fra le esalazioni del profumo intenso ed il seno dirompente della donna. “Un amico di Willy! Che sorpresa! E che bel ragazzo. Voglio sapere tutto di lui – disse  mettendosi a sedere fra i due uomini mentre Paolo cercava a sua volta di ritrovare una condizione accettabile. Intanto la donna, aveva preso la bottiglia e aveva riempito i bicchieri con delle generose dosi  di liquore. “Mi piacciono i ragazzi di appetito robusto ma anche quelli che sanno come si beve – disse ridendo. E li invitò a brindare con lei. Il giovane colse al volo uno sguardo molto eloquente dell’indiano che sembrò volergli dire “Vacci piano!”. Poi tutti e tre ingollarono il contenuto dei bicchieri. La donna fece schioccare la lingua, esprimendo grande soddisfazione per il sapore del liquore, l’indiano mantenne un certo controllo, il ragazzo, con gli occhi quasi  fuori dalle orbite iniziò a tossire. Che diavolo era quella roba, fuoco liquido? “Andiamo – disse la donna – Un altro sorso, per farci amicizia”. E gli versò un'altra dose costringendolo quasi a bere. Paolo pensò che sarebbe morto e invece questa volta il liquore andò giù senza problemi e lui riuscì persino a sentirne il sapore. Era decisamente whisky, ma con un sapore insolito. Buono, però. “Ti piace? – chiese Susy – Nel mio locale servo solo liquori originali ma per la mia riserva personale, un paio di vecchi ragazzacci mi procura un po’ di questo nettare”.Il ragazzo capì che di nuovo stava assaggiando il famigerato ‘moonshine’, il mitico whisky distillato di nascosto nei boschi da abili avventurieri, ognuno con le sue ricette segrete e le sue abilità. E tutto, sempre, con il rischio di essere arrestati dalla polizia, sempre alla loro caccia. E poco importava se anche grandi figure del passato avessero mostrato di gradire questo prodotto, come ad esempio un presidente americano degli inizi del 900 che si dice avesse sempre una sua riserva personale. “Susy ha un sacco di amici – disse ridendo l’indiano – bevendo di nuovo a sua volta e poi, rivolto al ragazzo – ed ora assaggia la torta. Una mitica Mud Pie, e dimmi se non è speciale”. Paolo assaggiò con curiosità una bella cucchiaiata di torta che la loro ospite gli mise letteralmente in bocca. Indubbiamente quella era una donna non abituata a sentirsi dire di no dagli altri e dagli uomini in particolare. Il ragazzo si augurò che non esagerasse, costringendolo ad essere scortese. Dovette ammettere però che la torta era decisamente buona. Si trattava di una base di biscotto molto friabile su cui era stata distribuita una crema densa di cioccolata dolce e il tutto ricoperto con una delicata crema. “Susy è l’unica vera vecchia signora di questo posto, la più importante testimone di ciò che accadeva qui nei mitici anni 30 – disse l’indiano. “Piano con vecchia – disse fra il divertito ed il risentito la nera – Certo è passato qualche anno. I vecchi tempi, dite voi. I vecchi tempi…, ma è stata la mia vita. Per me il tempo non è mai passato e li vedo ancora qui con me, i miei amici.  Il grande Sonny Boy Williams che da quel pianoforte – e indicò con il suo bicchiere di nuovo pieno, lo strumento in fondo alla sala – tirava fuori una musica magica che incantava la gente. E insieme a lui Elmore Jones che con la sua chitarra ti entrava nelle ossa, specie quando si esibiva con il grande Sam Myers, che con la sua batteria ti dava un ritmo tale che faceva ballare anche le sedie! Che tempi! E li ho ancora tutti qui, negli occhi e nelle orecchie. E che avventure!”. E mentre Susy buttava giù un’altra generosa dose del suo liquore, Will spiegò all’altro un po’ la storia di quel posto. Quando negli anni ‘20 fu abolito il proibizionismo, lo stato del Mississippi, continuò invece a mantenerlo. Questo portò alla nascita di una serie di attività clandestine che, in quel luogo. si attestarono al di là del fiume Pearl, quello che avevano attraversato per entrare in città. Il particolare sulla riva occidentale. Prosperarono tutta una serie di attività  legate con lo spaccio di alcolici, con il gioco d’azzardo e tutto il resto, con grandi profitti per imprenditori senza scrupoli. Il posto venne ribattezzato con il nome di ‘Gold Coast’. Come al solito, in questi casi, gran parte della società ‘bene’ della città, lo condannava di giorno e poi la notte correva a godere dei suoi piaceri più o meno tollerati da sceriffi spesso compiacenti. “Le strade erano piene di vita – prese a raccontare Susy a sua volta. Parlava come se vedesse quello che descriveva – C’erano dei locali favolosi, il Blue Flame, il Rocket Lunch, l’Heat Wave, Il Fannin Road, aperto 20 ore al giorno, sette giorni su sette, solo per citare alcuni, pieni di suoni e di luci. Ogni sera si esibivano i migliori musicisti del momento, locali e stranieri, che venivano apposta, bianchi e neri, tutti solo per fare della musica speciale, che io non ho mai più sentito – fece un pausa guardando nel vuoto mentre ricordava di certo qualcosa di particolare – Ma non erano certo solo rose e fiori. C’era naturalmente molta violenza, legata al controllo del territorio. E c’erano uomini spietati come il contrabbandiere Big Red Hydrik o come Sem Seaney, lo ricordo come fosse ieri, ucciso nel ‘46, davanti al suo locale. Poi c’ero io, che con le mie ragazze, tutte di prim’ordine offrivo agli uomini ciò che cercavano. Eravamo le migliori e tutti ci rispettavano. E poi….. – un’altra pausa, per bere un altro bicchiere – e poi nel 1966, anche qui il proibizionismo terminò e tutto finì anche per la Gold Coast. Gli affari cessarono, la gente smise di venire. Io, con le mie ragazze, mi rifiutai di chiudere e trasformai l’attività in quello che vedi. Salvai il mobilio originale e tutto quello che aveva un valore per me e venni qui. La gente che mi conosceva bene, finse di non ricordarsi del passato e cominciò a frequentare il mio ristorante ma io sono sicura che molti di loro venivano solo per respirare ancora l’aria di bei tempi. Le ragazze sono solo cameriere e nulla di più. Sono tutte persone che hanno avuto brutti momenti alle spalle e che vogliono provare a rifarsi un futuro. Le pago bene e faccio fare loro un buona vita”. Sarebbero rimasti volentieri a parlare con donna simpatica e unica, ma avevano ancora molta strada da fare prima di sera. Perciò presero commiato ricevendo un’altra bella ‘strizzata’. Pagarono un conto molto ragionevole per quello che avevano mangiato e lasciata una generosa mancia, salutarono un’ultima volta Susy che rispose alzando il suo bicchiere che conteneva le ultime gocce di whisky della bottiglia che si era scolata quasi da sola. Quella donna sembrava la persona giusta per chiudere quel viaggio. Rappresentava una testimonianza del passato che non era voluta sparire e quindi con coraggio, determinazione aveva resistito a tutto ciò che aveva cancellato il suo mondo e in parte lo aveva trasportato nel presente, per farlo conoscere a quelli che avevano la ventura di entrare in quello strano locale. Ripresa la 45, Will guidò ancora per circa 140 miglia per raggiungere la loro ultima tappa. L’indiano aveva scelto per quell’occasione un parco nazionale molto importante, la Shawnee Forest, un parco enorme e molto importante per la varietà e la vetustà delle immense piante che vi si potevano trovare. Dall’ingresso partivano diverse strade, ognuna per offrire ai visitatori esperienze diverse a seconda dei gusti. C’erano zone perfettamente attrezzate con acqua ed elettricità per coloro che volevano visitare la natura ma senza rinunciare troppo alle comodtà. Era possibile   noleggiare delle grosse tende attrezzate e già montate oppure si poteva campeggiare in determinate zone del parco vicine a torrenti,  cascate e zone rocciose. Evidentemente Will conosceva bene il parco perché, prese decisamente una strada che procedendo in salita li portò in cima ad un’altura, al riparo di una fitta macchia di alberi, circondata da grosse rocce irregolari e con una bellissima vista su una cascata. Appena l’indiano spense il motore, ci furono solo i suoni della natura. Il vento fra gli alberi, gli uccelli, il rumore lontano dell’acqua di un ruscello. Il sole stava calando e i due, ormai grandi esperti, rizzarono la loro tenda in poco tempo e poi Will si dette da fare per quella che doveva essere l’ultima cena che avrebbero consumato assieme. Fu una strana atmosfera quella in cui si svolse quel pasto. Una sorta di malinconia per la fine di quel fantastico viaggio in cui erano accadute tante, troppe cose, strane ed eccezionali, molte delle quali ancora da capire e metabolizzare. Il giorno seguente, a quell’ora Paolo sarebbe stato su un grosso aereo che lo avrebbe riportato a casa, alla sua vita. Già, ma quale vita? Lui non era più la stessa persona che era partita, si sentiva differente, più completo, più maturo e quasi timoroso di scoprire nuove capacità che sarebbero forse ancora emerse in momenti diversi. Anche l’indiano era taciturno, quasi volesse rispettare l’atteggiamento assorto e riservato del compagno. Il giovane, malgrado il clima non fosse proprio l’ideale, scelse di dormire fuori dalla tenda, vicino al fuoco acceso. Voleva osservare ancora una volta quel cielo che l’aveva stregato la prima sera che era partito per quel viaggio, soltanto pochi giorni prima ma che ora, gli sembravano un’eternità. La vista del cielo stellato era fantastica ed era facile perdercisi. Probabilmente perse anche la cognizione del tempo, forse aveva dormito, perché riprese coscienza della realtà rendendosi conto che erano ormai le 2 del mattino. Faceva freschetto ed il fuoco era ormai ridotto a poche braci. Pensò che non valesse la pena di alzarsi e ravvivare le fiamme, specie in una foresta che non conosceva. Fu a quel punto che notò uno strano alone luminescente che andava formandosi che andava accanto al pickup parcheggiato poco lontano. Notò che il vento era calato e tutti i rumori erano cessati come in una  realtà sospesa. Capì immediatamente che stava accadendo qualcosa di particolare a cui però forse non si sentiva preparato. Il bagliore si accentuò e poi non accadde più nulla. Il ragazzo concluse che quella ‘cosa’, stava aspettando lui e, alla fine, si fece coraggio e, uscito dal sacco a pelo, si diresse verso il chiarore. L’indiano apparentemente dormiva profondamente e non volle svegliarlo. Si fermò a pochi passi da quella particolare sorgente luminosa. Era teso ma non aveva paura. Poi pensò che il soldato Aiello gli volesse dire ancora qualcosa. Ed in effetti dopo circa un minuto, al centro dell’alone luminoso, cominciò a prendere forma una figura. Lentamente i contorni iniziarono a definirsi e l’immagine apparve in modo completo e chiaro. Si trattava però di una donna, molto giovane e molto bella. Il suo viso appariva sorridente, quasi radioso. Sembrava coperta da una larga veste bianca ed ora era lì, perfettamente visibile, leggermente sollevata da terra, a pochi metri da lui. Paolo era senza parole, quasi affascinato da quella sorprendente figura, in attesa che quella manifestasse il motivo della sua presenza, non avendo la minima idea di chi o cosa fosse. La voce che percepì non era reale, era più che altro nella sua mente, ma si sentiva distintamente. “Sono qui per ringraziarti – esordì la voce – Il tuo generoso e coraggioso intervento mi ha liberata ed ora finalmente posso andare incontro alla mia sorte, quale che sia.  Sono Toazhis, Acqua che danza,  la ragazza di cui ti ha parlato il tuo compagno – e con una mano indicò l’indiano che dormiva li accanto e sorrise nel farlo – Lui ha sempre pensato di aver agito con cattiveria nei miei confronti. Non è stato così, ora io lo so bene. E’ l’unico che mi ha veramente amata e mi ama ancora. Ma io non ero la ragazza adatta per lui. Ero ambiziosa, determinata e calcolatrice. Avevo certo le mie ragioni, ma non avevo diritto di trattare male il mio amico”. Paolo ascoltava meravigliato quel racconto. Non riusciva quasi a credere che un fantasma gli stesse parlando in quel modo. Si chiedeva se quella esperienza si sarebbe ripetuta spesso, perché non era certo quello che lui aveva cercato. “So cosa ti stai chiedendo – riprese a dire la ragazza – ma stai tranquillo, questo è un evento speciale, non è facile per noi varcare la soglia. Ma per quello che è successo, dovevo comunque venire a ringraziarti. Hai tirato fuori Will dal suo inferno ma non era sua la colpa di quanto era successo. Lui non ha mai considerato che io avevo comunque una scelta e, solo io, sono, alla fine, responsabile del mio gesto. Invece lui si è presa tutta la colpa ed ha deciso di punirsi. Ma questo suo amore così intenso, mi ha tenuto legata a questo mondo e non mi ha permesso di raggiungere la pace. Sono rimasta incatenata fra due mondi e non riuscivo a liberarmi. La sensazione che causa questa condizione è terribile. Sembra di essere dilaniati, lacerati, tormentati fra due livelli uno dei quali ti attrae con una forza terribile ed un altro che con altrettanta forza ti trattiene. Ed ora, grazie al tuo intervento, sono libera. Ho finito di soffrire e posso andare. Grazie, grazie di nuovo. Prosegui il tuo viaggio, in tutti i sensi, sei buono e potrai aiutare ancora molte persone”. Detto questo, l’immagine iniziò a dissolversi mentre l’alone si affievoliva  fino a scomparire. Paolo rimase così ancora per alcuni minuti finchè la sensazione del vento sul viso e la percezione dei suoni notturni della foresta, lo riportarono lentamente alla realtà. Era stata un’esperienza indubbiamente forte. Era ancora turbato dalla bellezza e dalla dolcezza dimostrata dalla ragazza e capì come il suo compagno potesse avere perso la testa per lei. Lo aveva colpito l’affermazione per cui la scelta era stata comunque la sua e gli tornarono in mente le parole di Sole Splendente quando gli aveva detto che tutti avevano sempre delle scelte possibili, purchè si fosse stati disposti a sopportarne le conseguenze. Non aveva più niente da fare lì e quindi, augurandosi che le sorprese fossero finite, decise di tornare nel suo sacco a pelo per riposare  in vista del giorno seguente che sarebbe stato molto impegnativo.  
                                                                                 Giorno XXIII°
L’indiano lo svegliò che era appena l’alba. La tenda era stata smontata e caricata ed erano pronti caffè e biscotti. Will disse che avevano molta strada da fare e che era meglio non perdere tempo. Il ragazzo aveva deciso che non avrebbe detto nulla al suo compagno circa l’esperienza della notte precedente per non addolorarlo ulteriormente. Nel sistemare il suo bagaglio Paolo si rese conto di non aver scattato nessuna fotografia. Non ne avrebbe avuto  comunque bisogno. Quello che aveva trovato non poteva essere fotografato e sarebbe rimasto per sempre nella sua mente e nella sua anima. Partirono in fretta ed in silenzio, in un clima surreale dovuto all’alba nella foresta. Raggiunsero la 57 e da lì iniziò la loro tratta finale che li avrebbe portati a Chicago nel tardo pomeriggio, in tempo per consentire al ragazzo di imbarcarsi sul volo prenotato con un ragionevole anticipo. Procedendo, si lasciarono sulla destra  Nashville, capitale dello stato del Tennessee. Paolo ricordò le cose che gli avevano raccontato alcuni suoi colleghi che l’avevano visitata. La ‘Music City’, come era chiamata. Sembrava che tutti, nella città, fossero in qualche modo collegati alla musica, dal semplice amatore ai più virtuosi esecutori e cantanti. Si diceva che questo fosse legato al fatto che in quel luogo ci fosse  la famosa fabbrica di chitarre Gibson. Nella città sorgeva quella che era stata definita la cattedrale della musica country, il Ryman Auditorium, nel quale si erano esibiti personaggi eccezionali e famosi quali Johnny Cash e Bob Dylan. Lo stile locale era chiamato Honky Tonk, derivante sembra dal reggae, ed equiparato ad una musica nostalgica che nacque nelle taverne. Gli sembrò di ricordare che ne avesse parlato nei suoi racconti, il ‘vecchio’, il capo del gruppo di hippi che avevano incontrato a Santa Fe. Gli tornò in mente con una sensazione malinconica, Betty, quella ragazzina che gli aveva fatto girare la testa e a causa della quale Will l’aveva preso tanto in giro. E pensò quanto fosse strano che in un posto così, legato  alla musica che di solito ingentilisce gli animi, fosse nato il movimento del  Klu Klux Klan nel 1865. Quella mattina il sole non si fece vedere a causa di uno spesso strato di nuvole che il vento spingeva nella loro stessa direzione di marcia e il ragazzo notò che la sua guida osservava spesso il cielo. “Temi che piova? – chiese alla fine. “Non dovrebbe. Comunque la strada era poco trafficata e in buone condizioni. Giunsero poco dopo mezzogiorno a Champaign e Will approfittò per fare l’ultimo pieno di benzina. Questa volta portò il ragazzo con sé, per risparmiare tempo, disse ma in realtà per dargli, a modo suo, una dimostrazione della sua stima e della sua fiducia. Così Paolo scoprì il segreto sui depositi di benzina dell’indiano. Un sistema veramente intelligente e collaudato. Per il pranzo, si arrangiarono presso un camioncino del finger food locale. Will ci tenne a terminare il pasto con una birra per brindare a tutto quello che meritava un brindisi e questa volta si superò perfino, insistendo per pagare lui. Poi, risalirono in macchina e ripartirono. Erano a 210 miglia dalla loro meta ma l’indiano assicurò l’altro che ce l’avrebbero fatta. Paolo, a questo punto, non vedeva quasi l’ora di arrivare. Gli tornò in mente un ricordo del liceo, relativo allo studio della Divina Commedia, che in particolare si riferiva al fatto che le anime dannate, conosciuto il loro destino, si comportavano come se non vedessero l’ora di raggiungere il luogo di pena loro destinato. Con il calar del sole ed il tempo coperto, lo scenario che li circondava era particolarmente grigio e il ragazzo si sentiva  triste. Davanti ai suoi occhi passavano case, alberi, ponti, cittadine ma egli in realtà stava solo rivedendo le tappe del suo viaggio. Le località, le persone, le esperienze che lo avevano coinvolto e trasformato così profondamente da farne una persona completamente diversa. Ora avrebbe dovuto riorganizzare completamente il suo modo di essere. L’aeroporto che dovevano raggiungere era l’O’Hare International Airport, a nord ovest della città e, quindi, furono costretti ad attraversare alcuni sobborghi per raggiungerlo. Arrivarono alla loro destinazione con un’ora di anticipo rispetto alla partenza del volo e, in silenzio, Will scaricò il bagaglio del ragazzo, in silenzio, rimasero a guardarsi uno di fronte all’altro, non sapendo cosa dirsi. Venti giorni prima erano dei perfetti estranei ed ora erano due amici veri o forse più che amici, viste le loro esperienze. Venne così naturale, per loro, abbracciarsi e restare così, come se fosse quello il modo giusto di salutarsi. Poi si separarono e Paolo si girò e se ne andò. Solo un attimo prima di varcare la porta a vetri della palazzine degli imbarchi, il ragazzo si girò e vide che Will era ancora li, immobile a guardarlo con la sua imperturbabile espressione. Sapevano bene ambedue che si sarebbero rivisti, al momento giusto e che avrebbero ancora viaggiato insieme. Poco prima del decollo dell’aereo, aveva iniziato a piovere e così la partenza avvenne sotto la pioggia scrosciante. Dai finestrini non si vedeva praticamente nulla. Paolo, assorto, guardava attraverso l’oblò apparentemente nel vuoto. Il suo viso era sereno, tranquillo. Aveva gli occhi di chi aveva visto tante, troppe cose. Ma ora quelle cose lui le aveva comprese, filtrate con le sue nuove conoscenze, valutate e accettate ma, soprattutto, capite. Aveva viaggiato dentro se stesso, aveva viaggiato fra la vita e la morte, arrivando nel luogo più profondo del suo essere, del suo animo ed ora non aveva più paura. Avrebbe continuato il suo lavoro ma non limitandosi a parlare di guerre, conflitti, morti. Avrebbe parlato delle persone, dei sentimenti, delle cause che muovono gli uomini verso le possibili scelte e delle conseguenze di quelle scelte. Avrebbe continuato ad usare anche le sue amate macchine fotografiche perché si dice che un’immagine vale mille parole, ma lui quelle mille parole le avrebbe comunque scritte perché la gente doveva capire appieno il suo messaggio. Intanto, l’aereo, innalzandosi nell’aria, aveva superato lo strato delle nuvole ed ora volava in un cielo sereno e pieno di stelle.
 
Sul molo di Santa Monica, nella sala del Beach Burger, un uomo piuttosto corpulento, seduto ad uno dei tavoli bevve l’ultimo sorso da una bottiglia di birra che poi posò sul tavolo, davanti a lui, fra diverse altre bottiglie ormai vuote da un pezzo. Si asciugò la bocca con il dorso di una mano e si stiracchiò. Poi, volgendosi verso un uomo molto vecchio, vestito con abiti  trasandati, che era seduto al tavolo accanto al suo, disse: “Bene, credo che ora possiamo andare. Per ora il nostro lavoro è terminato”. L’altro smise di fissare il fondo della sua tazza di caffè, che non aveva nemmeno toccato, e, con un lieve cenno del capo, annuì. Quindi, con una certa difficoltà, iniziò ad alzarsi. Mentre uscivano lentamente dal locale, l’uomo robusto disse al vecchio: “Credo che anche stavolta abbiamo fatto un buon lavoro. Un altro debito della vecchia 66 è stato saldato ed abbiamo trovato qualcun altro che un giorno potrà darci ancora una mano. So che tornerà”. I due passarono accanto al palo bianco che indicava la fine della 66 e osservando le persone che in gruppo si facevano fotografare dopo aver effettuato il viaggio per percorrerla, il vecchio osservò: “Anche questi qui hanno fatto un viaggio durante il quale non hanno saputo vedere quello che davvero c’era da vedere. Hanno percorso la strada senza capirla, senza percepire la sua energia,la sua essenza, il suo malessere, il suo dolore. Fra poco avranno conservato solo dei ricordi frammentari, sostenuti da qualche stupida e scolorita fotografia. Peccato”. E mentre si allontanavano, l’uomo robusto, disse all’altro: “O, scusa, dimenticavo!”. “Oh no, di nuovo! – rispose l’altro, fra il contrariato ed il rassegnato – Peggio di un ragazzino”. L’uomo robusto, passando accanto al chiosco dei souvenir, finse di urtare per caso, la pila delle costose guide esposte a fianco della porta, che crollarono tutte rovinosamente a terra. L’addetto si precipitò all’esterno per intervenire. “Ancora! Tanto vi pesco prima o poi! – esclamò con aria veramente adirata. Ma anche per quella volta, per quanto guardasse attorno, non vide nessuno.




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