Solo se balli con me

di Imperfectworld01
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Tredici.

L'indomani mattina mi svegliai senza energie e piuttosto svogliata. Tuttavia, invece che commettere l'errore del giorno precedente di bermi tre caffè uno dopo l'altro, decisi di evitare e di prepararmi invece una tazza di latte caldo. Avevo ormai capito di essere ancora più instabile quando ero nel mio periodo, e il caffè avrebbe rischiato di amplificare ulteriormente i miei cambi d'umore.

Dopo aver finito di prepararmi, mi assicurai un'altra volta di avere gli assorbenti nello zaino di scuola - erano circa cinque o sei, giusto per essere sicura. Mi lavai i denti due volte, sempre per non ripetere gli errori del giorno precedente.

A quel punto, dopo aver controllato l'ora sull'orologio a cucù, uscii di casa e mi diressi verso la fermata del tram. Dopo pochi minuti di attesa, lo vidi arrivare. Cercai di sporgermi in avanti per cercare di vedere se ci fosse Irene lì sopra. Aguzzai la vista e finalmente la vidi mentre mi faceva un cenno con la mano per farsi notare. Allora salii sul mezzo pubblico e camminai fino ad arrivare al fondo del tram, dove si era seduta.

«Buongiorno» disse con un sorriso.

«Ciao» ricambiai il saluto e il sorriso, prima di sedermi al suo fianco.

«Hai fatto la versione di latino?» mi chiese e io scrollai le spalle. «Diciamo che ci ho provato, ma non penso di aver formulato frasi di senso compiuto» risposi, ed entrambe ridemmo.

«Bene, pensavo di essere l'unica, questo mi consola. Comunque se vuoi quando arriviamo in classe confrontiamo le nostre anche con Ange, Eva e le altre. Soprattutto te dovresti stare attenta: essendo quella nuova è molto probabile che ti chiami.»

Sgranai gli occhi. «Veramente? Merda, sono proprio fottuta» dissi, portandomi le dita sulle labbra dalla preoccupazione. Ricevetti un'occhiataccia da una signora anziana seduta di fronte a me dopo la mia uscita a dir poco elegante, ma non mi importava granché a dirla tutta.

«Ma sì, non preoccuparti. Al limite attaccherà uno dei suoi soliti discorsi su quanto non attribuiamo un'importanza adeguata alla sua materia, che è una fra le più importanti, senza la quale non potremo mai capire davvero il mondo che ci circonda, eccetera, eccetera, eccetera... Lo ripete circa dieci volte a settimana da un anno a questa parte, per giustificare la montagna di compiti che ci assegnerà per la lezione successiva.»

«Non avevi mica detto che non dovevo preoccuparmi? Se succede una cosa del genere, immagino che se la prenderanno tutti con me dopo...» dissi, e non era di certo fra le mie intenzioni al momento.

«No, tranquilla, tanto ci siamo abituati. Sceglie una vittima nuova a ogni lezione, ormai lo sappiamo che è così.»

Sbuffai. Che stress, però. E in realtà i miei professori a Torino non erano neanche tanto diversi. Mi chiesi se quando si preparavano per sostenere i concorsi pubblici, gli aspiranti professori dovessero anche superare la prova di "stronzaggine", che era uguale per tutti, dal momento che sembravano tutti fatti con lo stampino.

Poi ripensai alla conversazione avuta con Vittorio il giorno precedente e, dato che da lui non avevo ricevuto alcuna risposta, decisi di provare con Irene. «Comunque... stavo pensando che non ti ho detto il nome del figlio del compagno di mia madre, magari lo conosci, ha un anno in più di noi» aprii il discorso, attirando la sua attenzione: «Sì, dimmi. Anche se non penso, insomma, Milano è così grande...»

«Vittorio Bianchi» sputai il rospo e lei ebbe più o meno la stessa reazione avuta da Vittorio il giorno prima. Sgranò gli occhi e spalancò la bocca, poi la richiuse e poi la riaprì inavvertitamente. Dopodiché distolse lo sguardo e cominciò ad alzarsi in piedi, dal momento che eravamo arrivate a destinazione e dovevamo scendere dal tram. Feci lo stesso, ma non mi arresi: «Allora? Lo conosci o no?» domandai nuovamente una volta giù dal tram.

«Ehm... be'... sì, forse ho presente» rispose sottovoce, tanto che faticai a capire cosa avesse detto. Volevo sapere che cosa ci fosse sotto, così decisi di giocarmela d'astuzia: «Già, in realtà era una domanda retorica, Vittorio me l'ha detto ieri».

Irene spalancò una volta i suoi occhi grandi e castani. «Ti ha detto che ci siamo baciati? Quindi se lo ricorda!» esclamò, tentando di nascondere un piccolo sorriso.

Dopo quella confessione, fui io quella ad assumere un'espressione a dir poco sconvolta. «B-baciati?» chiesi conferma.

«Sì, circa sei mesi fa... Oh, aspetta, lui non ti aveva detto niente, non è così? Oh mio Dio, che imbarazzo! Fra tutte le persone proprio la sorella di Vittorio!» esclamò, portandosi le mani sul viso per nasconderlo dalla vergogna.

Storsi il naso a sentire la parola "sorella", ma cercai di passarci sopra per concentrarmi su altro. «Quindi tu e Vittorio vi siete baciati?» domandai ancora.

Wow, allora non è del tutto un imbecille, pensai.

«È successo solo in un'occasione. Ci eravamo incontrati a una festa e lui mi aveva invitata a ballare. Poi a un certo punto, proprio in mezzo alla pista, si è avvicinato a me e mi ha baciata, davanti a tutti. Siamo stati insieme tutta la sera, penso che volesse chiedermi di stare insieme ma che non ne avesse il coraggio. Gli ho chiesto il suo numero per poterci tenere in contatto, e quando il giorno dopo ho chiamato, ho scoperto che mi aveva dato il numero sbagliato. Da allora non ho più avuto modo di rincontrarlo... avevo pure pensato di cercare il numero di casa fra le Pagine Bianche, ma hai idea di quante persone con il suo cognome esistano a Milano? Quindi ho semplicemente deciso di rinunciarci. Ma ora che ti ho conosciuta, è tutto perfetto! Ti prego, dimmi che posso venire a casa tua uno di questi giorni. Ho la cotta più grande del mondo per lui, è così... così...» lasciò la frase in sospeso, e la ringraziai mentalmente per la sua scelta di non proseguire, poiché mi aveva parecchio intontita.

«Se ti ha dato il numero sbagliato, perché dovresti volerci avere ancora a che fare?» domandai, tanto per cominciare.

«Be', magari ha confuso qualche cifra, oppure ho sentito male io, con tutto il casino che c'era a quella festa» ipotizzò.

«E allora perché non ti ha cercata lui?»

Sperai di non essere suonata troppo cattiva e insolente, ma era una cosa che andava oltre il mio controllo. Non appena qualcuno iniziava a vaneggiare parlando dell'amore e senza usare un occhio critico, il mio cinismo e la mia razionalità avevano la meglio.

«E che ne so! Possono succedere così tante cose che impediscono a due persone di ritrovarsi, anche se sono fatte per stare insieme» fece Irene con occhi sognanti, e io roteai gli occhi, meditando anche se danneggiarmi l'udito facendomi esplodere una penna a gel nelle orecchie, solo per non dover più sentire quelle stupidaggini da innamorati.

«Ma se non lo conosci nemmeno» le feci notare, nel mentre che entravamo dentro scuola e ci dirigevamo verso la nostra classe.

«Lo so, ma il modo in cui mi ha baciata... se ci ripenso sento ancora le farfalle nello stomaco. Certo, forse ha influito il fatto che fosse il mio primo bacio e che nessun ragazzo prima di lui si era mai interessato a me, e non li biasimo, a dire il vero» ammise con tono sconsolato.

Aggrottai la fronte. «Perché dici così?»

«Come potrei non farlo? Insomma, guardami: sono bassina, un po' in carne, porto gli occhiali e l'apparecchio, e poi...»

La interruppi prima che potesse finire la frase: «Smettila di demoralizzarti! Non c'è niente di più sbagliato» le ricordai. «E poi hai visto Vittorio? Non mi sembra che sia...»

A quel punto fu lei a interrompermi. «Oh, credimi, l'ho visto bene. Sembra un angelo, l'arcangelo Gabriele me lo immagino proprio come lui, sai? Una figura statuaria, occhi da sogno e delle labbra così... così morbide!»

Già, e all'apparenza anche un subdolo calcolatore e seduttore.

«Per caso usa il burrocacao?» domandò Irene, una volta giunte in classe.

«Ma che ne so? Non mi interessa di quello che mette sulle sue labbra» risposi seccata, appoggiando il mio zaino a terra vicino alla mia sedia. Sapevo solo che, non appena sarei tornata a casa, avrei fatto proprio un bell'interrogatorio a Vittorio, non me la raccontava giusta. Volevo sentire anche la sua versione.

«Di che parlate?» si intromise Eva, unendosi a noi.

«Indovina? Nina conosce Vittorio, anzi, di più: vive con lui!» rispose Irene in preda all'entusiasmo. «È suo fratello, cioè fratello acquisito più che altro» specificò, per chiarire la confusione di Eva.

«È grandioso!» esclamò. «Almeno finalmente avrai modo di rivederlo» aggiunse, lanciandomi uno sguardo.

Era piuttosto evidente che mi stava esortando a pianificare un incontro fra Irene e Vittorio. Mi sarebbe piaciuto aiutare Irene, ma non mi andava nemmeno di forzare le cose senza prima sapere cosa ne pensasse lui. Infatti, a differenza di mio "fratello", io non l'avrei obbligato a trascorrere del tempo in compagnia di Irene incastrandolo a sua insaputa, come aveva fatto lui quella volta con Filippo.

Inoltre, forse sapevo il reale motivo per cui non si era più fatto sentire: Monica. Non sapevo se i suoi sentimenti per lei fossero già presenti nel momento in cui lui e Irene si sono incontrati a quella festa, ma sapevo che andavano avanti da parecchio tempo e ancora adesso le cose non erano cambiate.

Comunque non mi andava di deludere le speranze di Irene senza prima provare a fare qualcosa per aiutarla. «Be', vedrò cosa posso fare» dissi allora, senza però garantire nulla.

*

Alla fine non fui chiamata io a correggere la versione di latino che ci era stata assegnata il giorno precedente, ma, nonostante questo, la reazione della professoressa fu proprio quella che mi aveva anticipato Irene. Iniziò a farneticare le solite frasi di ogni insegnante deluso dalla propria classe, facendo leva sul suo disappunto per riempirci di compiti per la settimana prossima. «È evidente che abbiate bisogno di esercitarvi più di così, se i risultati sono questi» disse, prima di mettere via il gessetto dopo aver finito di scrivere i compiti sulla lavagna, esattamente un secondo prima che suonasse la campanella che segnava la fine delle lezioni.

Sbuffai e mi scambiai uno sguardo con Irene, che mi guardò come a dire: «Te l'avevo detto».

Poi mi affrettai, insieme al resto dei miei compagni di classe, a mettere via il libro e l'astuccio nella cartella, pronta per tornare a casa e passare il resto del pomeriggio sui libri, a quanto pare.

Io e Irene ci avviammo quasi di corsa fuori da quell'edificio infernale, e ci dirigemmo verso la solita fermata del tram. Come per le precedenti sei ore, Irene aprì nuovamente il discorso su Vittorio. «Comunque se ci penso è davvero assurdo: non solo abitiamo più vicini di quello che pensassi, ma sono anche finita in classe con quella che ci abita! Non puoi negare che sia un segno del destino.»

Dovetti ricorrere a tutte le mie forze per trattenermi dal risponderle male, ma era già da tutto il giorno che lo facevo, così a quel punto non potei far altro che cedere ed esplodere: «Un segno del destino? Ma davvero? Quello che per te è un miraggio per me è stata una delle più grandi disgrazie dell'ultimo anno! Dover abbandonare tutto quello che avevo a Torino per venire qui e cercare di rifarmi una vita partendo da capo, dovendomi abituare a vivere con due sconosciuti e un gatto ciccione che odio, e... e quella che pensavo che sarebbe potuta diventare la mia prima amica, è contenta di avermi conosciuta, sì, ma soltanto per potermi usare per rivedere il ragazzo dei suoi sogni! Pensa che fortuna» sbottai, prima di salire sul tram che si era appena fermato davanti a noi.

Non appena anche Irene salì sul mezzo pubblico e mi guardò, mi sentii terribilmente in colpa per ciò che le avevo detto. L'avevo attaccata senza motivo, o meglio, un motivo c'era, ma piuttosto futile e lei non c'entrava praticamente niente. «Mi dispiace, ho esagerato» mi scusai. «Non volevo offenderti, né scaricare su di te problemi che non ti riguardano.»

«No, in parte hai ragione. È tutto il giorno che non parlo d'altro, e forse da come mi sono atteggiata ti sarà sembrato che mi importi di te solo perché conosci Vittorio, ma non è così. E non cambierebbe nulla se tu non lo conoscessi... in fondo mi piaceva la tua compagnia ancor prima di scoprirlo. Sai, spero anch'io che diventeremo amiche» disse, sorprendendomi. «So che ti potrò essere sembrata superficiale, è solo che dopo tutti questi mesi, all'improvviso sei arrivata tu, e poi... non lo so, è difficile da spiegare. Io non me ne rendo nemmeno conto di quando inizio a diventare pesante. Sono così presa a pensarlo tutto il giorno che per me è facile collegare ogni cosa direttamente a lui, anche quelle che non c'entrano niente. Cercherò di parlarne di meno, lo prometto.»

«No, ma va, non preoccuparti. Non devi trattenerti solo per me.»

«Sicura?» chiese e io annuii. «Allora significa che ogni tanto, quando arrivi al limite, sei legittimata a sfuriarmi contro come hai fatto poco fa, giusto per rimettermi un po' in riga quando esagero» disse e io sorrisi.

«D'accordo, affare fatto. Anche perché è una cosa che mi viene molto naturale alle volte. Ti conviene farci l'abitudine ai miei scatti di nervi» risi, seguita subito dopo da lei. «Specie quando ho il ciclo» aggiunsi.

In realtà no, ero sempre stata così ancor prima di averlo, ma pensai che sarebbe stato utile usarlo come scusa ogni tanto, per salvarmi da situazioni come quella appena verificatasi, in cui perdevo il controllo e sbottavo. Tutta colpa degli ormoni, semplice no?

«Ah, lascia perdere, ci faccio i conti da appena qualche mese, ma...»

«Davvero?» la interruppi, stupita. «A me è arrivato ieri per la prima volta.» Pensavo che non l'avrei mai ammesso a qualcuno all'infuori di quelli che già mi conoscevano, come Vittorio, mia mamma e mia sorella e gli altri parenti, ma sapere che non ero stata l'unica a essersi sviluppata in ritardo rispetto alla media, mi aiutò a sentirmi meno come un pesce fuor d'acqua.

«Scherzi? Pensavo di essere l'unica adolescente al mondo ad aver avuto le sue prime mestruazioni a quindici anni. Era così imbarazzante, perché tutte ce l'hanno, e io ero la sola ad avere ancora le sembianze di una bambina. Non sai quanto mi consola condividere questo piccolo disagio con te!»

«Posso dire la stessa cosa. Che poi comunque ormai è andata. È successo e basta, e non importa quanto tempo ci è voluto.»

«Già, me lo dice sempre mia mamma.»

«Idem la mia.»

Sorrisi. Avevamo trovato la stessa armonia del giorno precedente. Che sollievo, per un attimo pensavo di essermi sbagliata su di lei, e che in realtà non avevamo niente a che vedere l'una con l'altra. Ora avevo la conferma che non era così.

*

Una volta rientrata a casa, appoggiai lo zaino nella mia stanza e poi mi diressi in bagno. Dopo essermi sistemata, mi lavai le mani e poi mi diressi in cucina per preparare qualcosa da mangiare, anche se in realtà non avevo tanta fame, di certo molta meno rispetto ai giorni precedenti. L'unica cosa che bramavo era una bella tazza di caffè dopo aver finito di pranzare, dal momento che quella mattina non l'avevo bevuto.

Mentre aspettavo che l'olio in padella si scaldasse, avvertii la porta di casa aprirsi e riconobbi subito Vittorio. Sorrisi flebilmente, pensando all'interrogatorio a cui l'avrei sottoposto di lì a breve.

«Buondì, com'è andata oggi?» chiese pochi istanti dopo, entrando in cucina.

«Normale» scrollai le spalle. «Metto un uovo anche per te?» chiesi poi.

Si prese qualche secondo per rifletterci, prima di annuire: «Sì, grazie» sorrise, allora io presi due uova dalla confezione e mi preparai a romperle e a metterle dentro la padella, ma poi mi fermai non appena Vittorio prese di nuovo la parola: «No, aspetta, posso provare io? Non l'ho mai fatto prima» disse e io storsi il naso. «Non hai mai... rotto un uovo?» domandai.

Vittorio scosse la testa. «Le mie capacità culinarie si fermano a fare la pasta in bianco, cuocere una bistecca oppure farmi un panino» rispose.

«Accomodati pure, uomo di casa» dissi allora, passandogli un uovo in mano e consigliandogli di sbatterlo contro il bancone della cucina. Non ebbi nemmeno il tempo di avvisarlo di non metterci troppa forza, che mi ritrovai con un paio di schizzi di tuorlo d'uovo sul pantalone e Vittorio con le mani sudicie. «Ops, qualcosa dev'essere andato storto...» si limitò a dire, prima di prendere un canovaccio e passarmelo affinché provassi a pulirmi, mentre lui andò direttamente a lavarsi le mani.

«Tu dici?» feci sarcastica, nel mentre che provavo a sfregare energicamente la macchia, ma era inutile: non sarebbe andata via se non dopo un adeguato lavaggio. «Facciamo che questa volta faccio io e tu mi osservi, e poi la prossima volta, forse, ti lascerò riprovare» dissi e lui non obiettò, prima di prendere altre due uova dalla cassa e romperle in maniera delicata, prima di versare il contenuto nella padella.

«Comunque, giusto perché tu lo sappia, Irene me l'ha detto che vi siete baciati» feci, guardandolo con aria di sfida.

Lui sbiancò e deglutì. «Ah sì?»

«Sì, e mi ha detto anche che sei uno stupido caprone! Anzi, quello l'ho dedotto da sola, visto che l'hai baciata e poi non l'hai più cercata!» lo rimproverai. «Ti pare forse il modo di trattare una ragazza? Le hai persino dato il numero di telefono sbagliato!» esclamai, continuando a gesticolare con il cucchiaio di legno nella mia mano, finché, presa dalla troppa enfasi e agitazione, non colpii per sbaglio Vittorio sulla spalla.

«Quanto la fai drammatica, Nina! I ragazzi della nostra età lo fanno: si va alle feste, si balla e magari scappa anche un bacio o due, ma non significa che debba essere la ragazza con cui mi sposerò.»

«Ma che c'entra questo? L'hai comunque illusa, non dicendole come stavano chiaramente le cose, e lei ci è rimasta male. Era il suo primo bacio e l'ha sprecato con...»

«Era anche il mio, se proprio lo vuoi sapere» mi interruppe e io spalancai gli occhi, prima di spegnere il fuoco del fornello. Poi presi il primo piatto dalla credenza e, aiutandomi con il cucchiaio di legno, cercai di mettervi dentro il primo uovo senza fare un pasticcio come mio solito. Ma, come prevedibile, alla fine il tuorlo si aprì e "l'occhio di bue" si sfaldò. «Sì, lo immaginavo... anche se pensavo che... non lo so, non credevo che tu...»

Vittorio abbassò un poco le ginocchia per giungere alla mia altezza e guardarmi negli occhi. «Che cosa?»

Gli diedi le spalle, alzandomi in punta di piedi per prendere il secondo piatto e spostare l'uovo dalla padella al piatto. Un altro disastro. «Niente, è solo che pensavo fossi un imbecille con le ragazze e che non... be', che non fossi in grado di conquistarne una» confessai, prima di voltarmi e passargli uno dei due piatti. Lui lo prese e si andò a sedere, prima assumere un'espressione corrucciata e confusa: «Ehm... grazie?»

Mi sedetti di fronte a lui e rimasi in silenzio.

«Tutti questi discorsi sull'autostima, fiducia in se stessi, e poi pensi che non ne sarei capace?» continuò e io alzai gli occhi al soffitto.

«Non intendevo questo, è solo che...»

Da come si era comportato, dalla prima volta che l'avevo visto fino a quel momento, avevo sempre creduto che fosse nella mia stessa situazione, che anche lui non avesse mai baciato nessuno.

«Perché allora non ci hai provato con Monica, piuttosto che con una ragazza di cui non ti importa e che stai facendo soffrire?» domandai, prima di addentare il primo boccone di uovo. Anche se si era distrutto, non era venuto male.

«Sì, certo, e a che pro? Per fare una terribile figuraccia?»

«E che figuraccia dovresti mai fare, che non puoi permetterti di fare con Monica?» Non riuscivo proprio a capire il punto del suo discorso.

«Be', diciamo che mi sono sempre detto, che quando mai sarebbe arrivato il momento, avrei voluto essere pronto e capace. Pensa se finalmente arrivasse il momento di baciare Monica, la ragazza dei miei sogni, e lei si accorgesse che non so farlo? Sarebbe orribile. Per questo ho tentato di rimediare, baciando un'altra prima di lei.»

«Oh, ma che baggianate!» esclamai, addentando un altro boccone e afferrando anche un pezzo di pane per raccogliere il giallo dell'uovo. «Che cosa ci potrebbe mai essere di così difficile a baciare qualcuno? Insomma, non si può sbagliare, giusto?»

Fino a quel momento non mi ero mai interrogata su quelle questioni, sia perché non mi interessava, sia perché non mi si era nemmeno mai presentata l'occasione. Ma era davvero così? Si poteva baciare male, e se sì, in che modo? Cosa si poteva sbagliare nel farlo?

«Be', non è così semplice... all'inizio è strano capire come fare, specie se nessuno dei due sa cosa sta facendo» disse, con una mezza risata, probabilmente ripensando a quel momento.

«Quindi per te è stato imbarazzante?»

Scrollò le spalle. «Un po', ma tanto lei non si è accorta di niente, e poi non mi fregava molto. Pensa se invece fosse successo con Monica... sarei morto dentro.»

Fino a prima di quella conversazione con Vittorio, le poche volte che mi era capitato di pensare al momento in cui avrei baciato qualcuno per la prima volta, l'avevo sempre immaginato come qualcosa di naturale, spontaneo, facile. "Io piaccio a lui, lui piace a me, ci baciamo". Semplice, no?
Ma se a detta di Vittorio era qualcosa di così terribile, non ero più sicura che avrei dato il mio primo bacio a un ragazzo per cui provavo dei sentimenti, se gli effetti sarebbero stati disastrosi.

Certo, avrei avuto molto tempo prima che arrivasse quel momento, e forse sarebbe stato ancora peggio. Provai a immaginarmi all'età di Benedetta o magari un po' più grande, completamente incapace e inesperta. Non volevo questo.
Volevo che il mio primo bacio fosse magico, ma non poteva esserlo, se non sapevo cosa fare. Quindi come avrei potuto fare?

«Nina, ci sei?» Vittorio mi stava sventolando un tovagliolo sporco e in parte accartocciato davanti agli occhi, e a quel punto mi riscossi: «Sì, che c'è?».

«Ah eccoti, allora sei viva, pensavo che fossi in catalessi» disse e io rimasi in silenzio, finendo di mangiare, anche perché non avevo idea di cosa significasse la parola "catalessi". «Stavo dicendo che mi dispiace che Irene si sia offesa, ma comunque avrebbe potuto farsi da sola qualche domanda, dato come mi sono comportato» fece, scrollando le spalle.

«Tu ti fai qualche domanda sul perché Monica non ti degni di uno sguardo?» chiesi, accorgendomi troppo tardi di essere apparsa, ancora una volta, troppo scontrosa. «Scusa» aggiunsi, riconoscendo la mia mancanza di tatto.

«Con Monica è diverso, perché io e lei siamo amici e non è così semplice interpretare i suoi segnali.»

Già, magari perché Monica non gliene mandava neanche uno, di segnale. E se così fosse stato, lui comunque non se ne sarebbe accorto. Anche se non se ne rendeva conto, lui e Irene erano sulla stessa barca, bloccati da mesi e mesi nella stessa situazione amorosa.
Ma quei pensieri decisi di tenerli per me, per non demolire Vittorio ancora di più.

Stavo facendo progressi, no?

 





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