Precipitava
in un pozzo nero.
IL
suo corpo, come una bambola di pezza, veniva sbattuto da una parte e
dall’altra.
Decine
di aculei, con uno scatto sinistro, uscivano dalle pareti.
Inesorabili,
dilaniavano le sue carni.
Urla
di dolore uscivano dalla sua bocca, mentre il sangue sgorgava dalle
ferite.
I
suoi occhi si torsero all’indietro e il suo corpo si inarcò
in uno spasmo, come un epilettico. Era quello l’inferno?
Era
il preludio all’eterno tormento delle anime dannate?
Tremò.
Aveva paura di una simile sofferenza.
Non
riusciva ad accertare un tale destino.
Perché
era stato condannato all’Inferno? Di quali colpe si era
macchiato?
Tutto
gli pareva privo di senso.
Ad
un tratto, il suo corpo straziato cadde su una superficie dura.
Il
dolore, imprevisto, lo investì, come un’onda e perdette
i sensi.
Di
scatto, Victor aprì gli occhi e, per alcuni istanti, rimase
immobile, come un tronco di legno, lo sguardo fisso verso l’alto.
Un
velo grigio copriva i suoi occhi, come una densa nebbia, e, nel
silenzio, rimbombava il battito tumultuoso del suo cuore e il sibilo
dei suoi respiri sempre più affannosi.
Cauto,
girò la testa ora verso destra, ora verso sinistra e provò
a muovere la mano destra.
– Dove…
Dove sono finito? – si chiese, turbato. Ricordava bene quanto
fosse accaduto poco tempo prima.
I
soldati della Guardia Reale erano stati chiamati per sedare
l’ennesimo tumulto e, durante lo scontro, un’arma
avversaria lo aveva colpito alla schiena.
Il
dolore era stato lacerante, seppur effimero, ed era morto.
Poi,
era precipitato in un abisso, simile ad un pozzo nero.
Quell’ammasso
inestricabile di pensieri angosciati era la sua anima e aveva
concluso il suo percorso.
Cosa
era successo? Dove si era conclusa la sua caduta?
Inferno?
Purgatorio? Paradiso?
Ad
un tratto, un esile profumo giunse alle sue orecchie e Victor, quasi
d’istinto, lo aspirò, fremendo di voluttà.
– Un
momento… Questa è cera d’api. - mormorò il
giovane, sgomento. Quell’aroma era riconoscibile, perché
gli permetteva di rilassarsi e concentrarsi nella lettura.
Come
era possibile, dopo la morte, avvertire un tale, delicato effluvio?
Non
aveva senso, perché, con il decesso, si spegnevano percezioni
ed emozioni.
– No…
Non è possibile… – mormorò. All’inizio,
non ci aveva pensato, ma, in quel momento, avvertiva una strana
sensazione di morbidezza… estremamente terrena.
Come
era possibile?
I
morti non provavano alcuna emozione e non avvertivano nessuna
impressione.
Ma
una tale ovvietà non diminuiva la sua angoscia e non rendeva
meno reale la sua percezione.
Come
si spiegava una simile dualità?
– No… Cosa
sarà successo? – sussurrò, il cuore stretto in
una morsa d’angoscia. Voleva uscire da quell’abisso cupo
e sapere la verità…
Quella sensazione era
ridicola, in quanto lui era morto, e quella tenebra non aiutava la
sua mente a capire.
Anzi, aumentava il suo tormento.
Il
giovane sbatté freneticamente le palpebre e, qualche istante
dopo, l’oscurità si dissolse e gli consentì di
guardarsi intorno con più attenzione.
Era
disteso su un ampio letto ligneo, coperto da un pesante baldacchino
di damasco rosso.
A fatica, si sollevò a sedere e
scostò il tendaggio. Avvertiva una violenta sensazione di nausea e
gli pareva di soffocare, come se, attorno al suo collo, fosse stato
stretto un nodo scorsoio.
Gli sembrava tutto così
irreale e, nel medesimo istante, reale, palpabile, vivo.
Un
morto non doveva provare nulla!
Per
alcuni istanti, rimase immobile, lo sguardo basso, e fece ondeggiare
le gambe sul bordo del letto.
– E’ assurdo…
Io dovrei essere morto…. – mormorò, sempre più
angosciato. Quelle sensazioni, così reali, giungevano alla sua
mente sempre più nette, come se la morte non avesse preso la
sua anima.
Ricordava fin troppo bene il momento della sua morte
e il dolore straziante di quell’arma contadinesca nella
schiena.
Eppure, in quel momento, gli pareva di essere vivo e di
trovarsi nell’abitazione di una persona del suo stesso ceto
sociale.
Avrebbe riconosciuto ovunque gli arazzi policromi, le
candide porcellane, splendenti di decorazioni multicolori e i mobili di pregio, intarsiati di materiali preziosi,
capaci di donare appagamento al suo spirito di amante del bello.
Ma
anche quella era un’illusione della sua anima provata. O forse
no?
E che senso avevano quei mobili nell’Aldilà?
– Tutto
questo non ha senso... – sussurrò e, con un gesto
stanco, si passò una mano tra i lunghi capelli castani. Si
ripeteva sempre la stessa frase nella mente, eppure cominciava a non
essere convinto della veridicità delle sue parole.
Il
rumore di una porta che si apriva troncò i suoi pensieri e il
giovane, d’istinto, si girò,.
Vide entrare un uomo
dell’apparente età di trent’anni, di statura
piuttosto alta e di corporatura slanciata, anche se muscolosa.Corti
capelli castani, dai riflessi color mogano, circondavano un viso dai
lineamenti regolari e su questi spiccavano gli occhi dal taglio
felino, d'un cupo colore grigio, simili a due lame
d’acciaio.
Indossava una giacca rossa con bottoni di
madreperla e risvolti di pizzo alle maniche, pantaloni neri, che
arrivavano fino al ginocchio, e stivali del medesimo colore.
Victor,
per alcuni istanti, lo scrutò senza pronunciare alcuna parola,
diffidente. Chi era quell'uomo? Si poteva definire tale?
Un
angelo? Un demonio?
Se era una creatura sovrannaturale, perché
si era ammantata di sembianze umane? Quale era il suo scopo?
Gli
pareva di essere precipitato in un assurdo spettacolo teatrale, ben
lungi dalla conclusione e, malgrado amasse una simile forma d'arte,
quella lontananza dalla realtà lo lasciava inerme, privo di
certezze e punti di riferimento stabili.
– Chi…
Chi siete? – domandò con timore. Nella sua mente la
paura di sapere si alternava dolorosamente al desiderio di
capire.
Era in un limbo di cui non vedeva la fine.
E,
forse, da lui avrebbe ricevuto le risposte che cercava da troppo
tempo.
Un leggero sorriso sollevò le labbra dell’altro.
Chissà cosa avrebbe pensato quel ragazzo incerto, una volta
conosciuta la verità…
– Sono felice che
vi siate ripreso. – affermò, gentile, lo sguardo
metallico fisso su Victor.
Il militare, colto di sorpresa da
quelle parole, sussultò. La voce del suo interlocutore
non pareva quella di una creatura sovrannaturale di qualsiasi tipo,
anzi gli sembrava quella di un uomo vivo, e il suo francese era
impeccabile, anche se era imbarbarito dall'accento duro delle
genti del Nord.
Una risata bonaria, non priva di amarezza,
risuonò sulle labbra dell'altro.
– Mi onorate di
un’importanza che non possiedo. Il mio nome è Connor Mc
Laod e provengo da quello che, fino al 1707, era il regno di Scozia.
Qual è il vostro? – gli chiese.
– Victor
Clement de Girodel. – rispose l’altro e, con delicatezza,
si massaggiò le tempie pulsanti. Avrebbe riso, se la
situazione non fosse stata così paradossale.
Doveva
essere morto, eppure parlava con un demonio o un angelo e si serviva
di un titolo da lui perduto, che, nell'Aldilà, non aveva nessun senso.
Quell’uomo
si era presentato come uno straniero e gli appariva sincero, ma non
sapeva se credere alle sue parole.
Cosa celava oltre quel suo
viso sorridente?
L’altro, dinanzi allo sguardo confuso del
francese, scosse la testa e sospirò. Quegli occhi chiari non
mentivano.
Lui non riusciva o non voleva accettare la realtà
del suo stato.
E non era capace di dare torto a quelle
emozioni.
Tuttavia, un modo per fargli capire la verità
c’era.
– Riuscite a rialzarvi? Voglio andare in
chiesa con voi. – gli chiese Connor, pacato.
Con prudenza,
il francese appoggiò i piedi sul pavimento e si alzò
dal letto. Il suo compagno aveva deciso di entrare in una chiesa e,
se fosse stato un demonio, sarebbe stato danneggiato.
Lo avrebbe
seguito e, forse, avrebbe avuto una risposta alle tante, troppe
domande che tormentavano la sua mente.
– Credo sia il caso
di non farci riconoscere come nobili. Potrebbero aggredirci. In
questo periodo, la Francia è agitata da disordini. –
mormorò poi d'impulso e si stupì delle sue parole.
Perché parlava così?
Lui era morto!
Probabilmente,
quelli che riteneva francesi erano demoni, rivestiti di sembianze
umane.
– Avete ragione. Per fortuna, ho degli abiti
adatti allo scopo. Venite con me. – dichiarò Connor, il
tono tranquillo, e, assieme al francese, uscì dalla stanza da
letto.
Il
nobile straniero, con passo rapido, guidò il francese
attraverso un corridoio di medie dimensioni..
Le deboli
luci delle candele, languide, si adagiavano sulle gocce di cristallo
appese alle braccia del lampadario, facendole scintillare di deboli
bagliori d'iride.
Il pavimento era ricoperto da un tappeto
azzurro, ornato di ricami floreali policromi, e ad una parete era
appoggiato un piccolo tavolo rettangolare di ebano, istoriato di
madreperla.
Le gambe del tavolo erano ricoperte d'oro e le parti
superiori di queste erano sormontate da teste di leone, le bocche
spalancate in un ringhio feroce.
– Mi sembra di stare
nella casa di un nobile. Come è possibile? – si domandò
il militare, sempre più perplesso. La mente, ancora una volta,
gli imponeva di accettare la realtà della sua morte.
Ne
era consapevole, nessuno era immortale.
Nemmeno
la nobiltà poteva proteggere l’uomo dal suo destino
ultimo, come era accaduto nel caso del predecessore del loro attuale
sovrano.
Il
potere assoluto di Luigi XV non era servito a salvarlo dal tormento
del vaiolo, che aveva scavato piaghe putrescenti nella sua carne, fino a quel momento ritenuta quasi immortale.
Eppure, perché gli sembrava di
essere nella casa di un membro della sua stessa classe sociale, anche
se quest’ultimo gli aveva detto di essere straniero?
Perché
gli pareva di essere ancora vivo?
Connor si
fermò davanti ad una porta, la aprì ed entrarono in una
ampia stanza di forma rettangolare.
Le pareti e il soffitto
erano tinteggiate d'azzurro e il pavimento era ricoperto da un
tappeto di seta bianca, ricamato in oro.
Una toilette di marmo
bianco di Carrara era appoggiata ad una parete e, dal lato opposto,
era presente una gigantesca cassapanca di legno di quercia.
A
metà della stanza si elevava un paravento di seta,
ricamato a fiori, accanto al quale c'era una consolle di legno di
palissandro, istoriato di argento, su cui era poggiato uno scrigno
d'avorio.
– Sedetevi. – gli ordinò Connor e
Victor, pur con riluttanza, obbedì.
Il primo tirò
dalla tasca del suo abito una chiave e la infilò nella
serratura del forziere.
Con uno scatto, la parte superiore dello
scrigno si aprì, rivelando un pugnale dall'elsa gemmata,
scintillante di luci policrome, e dalla lama serpentina.
Connor
prese il pugnale, si avvicinò al giovane nobile francese e,
con calma, appoggiò la mano sulla sua spalla destra
Victor,
sentendo quel tocco, si irrigidì. Non aveva senso, il calore
di quella mano gli pareva fin troppo reale.
Poteva avvertire la
pelle di quell'uomo contro la sua, se tale si poteva definire.
Ed
era il tocco calmo, ma fermo, di una persona ben cosciente della sua
forza, che non aveva nulla da dimostrare.
Dinanzi alla rigidità
dell’altro, Connor, bonario, sorrise. Victor era ancora
stordito da quel suo risveglio e quella sua ritrosia era
normale.
Come poteva dargli torto?
– State
tranquillo, non ho nessuna intenzione di farvi del male. Voglio solo
tagliarvi i capelli. Questa splendida chioma non è credibile
in un contadino, non siete d'accordo? – ironizzò.
Victor
sospirò e si impose di rilassarsi. Se fossero stati due uomini
vivi, tale affermazione avrebbe avuto senso...
Tuttavia, la sua
mente gli ricordava la realtà.
Era morto e tutto era
opera perniciosa del demonio.
Quel
giovane era il Diavolo, ammantato di sembianze gradevoli, che cercava
di trascinare la sua anima negli abissi dell’Inferno.
Eppure,
perché non aveva paura di entrare in una chiesa?
Era
una menzogna ben recitata? O qualcosa di eccentrico si celava oltre
quelle fattezze?
Connor prese i lunghi capelli di Victor tra le
dita e, con decisione, li tagliò.
Le ciocche castane,
senza rumore, caddero sul pavimento, simili a foglie di quercia
staccate dal vento autunnale.
Il
francese fece per rialzarsi, ma l'altro, con un gesto pacato, ma
fermo, gli appoggiò una mano sulla spalle destra e lo
costrinse a restare seduto.
– Perché? –
chiese perplesso.
Connor sospirò e, a stento, trattenne
una risata divertita.
– Non siete ancora credibile come
contadino. Avete una pelle troppo liscia e chiara. Chiunque capirebbe
che siete di origini nobili, anche se avete i capelli tagliati. –
spiegò.
L'altro, con un gesto meccanico della testa,
annuì e si guardò le mani. Certo, aveva ragione.
I
contadini, a causa del loro lavoro nei campi, avevano la pelle più
scura della sua.
E lui, bramoso di conoscere una verità
che gli sfuggiva, non aveva considerato un simile, cruciale
dettaglio, .
O forse sì?
– E… E cosa
pensate di fare? – lo interrogò Victor.
Connor
meditò per alcuni istanti, poi si allontanò a passo
svelto.
L’ufficiale
francese, per alcuni minuti, rimase immobile, le mani posate sulle
ginocchia, e la mente pervasa da un turbine impetuoso di pensieri. La
risoluzione di quel mistero si approssimava sempre più, ma non
sapeva se essere felice o no.
cosa
gli avrebbe rivelato?
– Cosa ne sarà stato dei miei
uomini? – si domandò. Erano riusciti a riportare la
calma?
O erano stati sopraffatti dalla rabbia di quei popolani?
Una
fitta di tristezza, come un pugno, lo colpì
– Ma
perché penso come se fossi vivo? – si chiese. Doveva
accettare la realtà della sua morte!
Una simile
ostinazione non aveva senso!
I suoi pensieri vennero interrotti
da Connor, che era ritornato e reggeva un vaso di argilla e uno
straccio.
– A cosa vi servono quegli oggetti? –
domandò l’altro.
Connor, invece di rispondere, li
posò sulla consolle e uscì di nuovo.
Qualche
istante dopo, ritornò, recando tra le braccia delle vesti da
contadino e degli zoccoli.
– Vestitevi. Poi vi truccherò.
– disse con voce pacata e, con un lieve cenno della testa, gli
indicò il paravento.
Victor si alzò, prese gli
abiti e si posizionò dietro il paravento.
Poi, pur
esitante, uscì.
Indossava una casacca marrone e pantaloni
color ocra, che coprivano le sue lunghe gambe, e ai piedi calzava
scarpe un po’ più chiare dei pantaloni, con la punta
leggermente rialzata.
– Sì, va molto meglio. Ora
però devo truccarvi. – affermò Connor e lo invitò
a sedersi di nuovo.
Il giovane militare obbedì e l’altro
prese il vaso, lo aprì e vi immerse lo straccio.
Poi,
delicato, cominciò a passarlo sul volto, sui capelli e sulle
mani dell’ufficiale
Diversi
minuti dopo, Connor terminò di truccarlo.
– Bene,
il vostro travestimento è finito. Ora tocca a me. Aspettatemi.
– gli disse e uscì di nuovo dalla stanza.
Un po’
di tempo dopo, ritornò.
Anche lui indossava abiti da
contadino e, alla cintura, portava un lungo e affilato coltello.
-
Venite con me. Presto saprete la verità. - gli disse.
Victor,
sollecito, si alzò e lo seguì.
I
due uomini, con passo rapido, uscirono da un ingresso secondario ed
entrarono nel giardino.
Ad
un tratto, il francese, colto da un improvviso pensiero, si bloccò.
– Che
vi succede? – domandò Connor, alzando un sopracciglio in
segno di perplessità.
– Come arriveremo alla meta?
– chiese Victor.
– A piedi. Passeremo inosservati. –
rispose l’altro e riprese il suo cammino, seguito dal compagno.
Rapido,
Connor guidava il compagno attraverso le strade più strette
della città, lontano dagli occhi dei soldati e dei membri del
popolo.
Non è possibile… Mi sembra di essere a
Parigi. Ma non ha senso!, pensò Victor, sempre più
sconvolto. Dopo un effimero periodo di quiete, quella ansietà
tornava a turbarlo con forza rinnovata.
Non poteva essere a
Parigi!
Il diavolo, nelle vesti di quel giovane uomo, si stava
servendo di crudeli trucchi per condurre la sua mente alla pazzia?
Quel
pensiero si iterava nella sua mente e l'angoscia, sempre più
crudele, dilaniava la sua mente e il suo cuore con lunghe dita
d'acciaio.
Per
lui, amante dello studio e della lettura, la possibilità di
perdere la ragione era una pena ben più crudele di qualsiasi
sofferenza.
Era
una punizione per le sue colpe?
Connor,
seguito dal suo compagno francese, procedeva senza esitare.
Conosce
molto bene le strade di Parigi., pensò Victor, stupito.
Questo aveva due possibili motivazioni.
O Connor viveva da tempo
nella città di Parigi e, così, aveva imparato a
conoscere le strade della città, o era un diavolo, vestito di
membra umane.
E il demonio era a conoscenza di molte cose.
Qualche
tempo dopo, i due raggiunsero la chiesa di Notre Dame de Paris.
Il
militare francese, per alcuni istanti, la fissò, gli occhi
lucidi di lacrime. Quella era una malefica illusione del demonio,
eppure gli appariva così reale…
Poteva distinguere
con attenzione le finestre bifore laterali e il rosone centrale,
contro il quale si infrangeva la luce argentea delle stelle, e le
statue che sormontavano i tre maestosi portali.
– Vi
sentite bene? – domandò con premura Connor.
Victor,
sentendo le sue parole, si scosse dai suoi pensieri e annuì.
–
Bene. Siamo quasi arrivati alla fine. – mormorò l'altro
e si diresse verso l'entrata meridionale della chiesa.
Un
po' di tempo dopo, Victor lo seguì e, insieme, giunsero
davanti ad un piccolo fonte battesimale marmoreo, riccamente decorato
di sculture raffiguranti angeli dalle ali spiegate.
All'interno
della vasca v'era una piccola pozza d'acqua, perfettamente
immobile.
– Ora guardate. – gli disse Connor e, con
sicurezza, immerse la mano destra nell'acqua, che tremò, come
se vi fosse stato gettato un sasso.
Il francese si irrigidì.
Non era accaduto nulla quando aveva immerso la mano nell'acqua
benedetta e non aveva scorto alcuna lesione sulla sua pelle.
Dunque,
colui che gli era davanti non era un diavolo.
Ma allora chi era?
Un angelo? O una creatura dei miti pagani?
Vedendo
l’espressione sempre più confusa di Victor, lo sguardo
di Connor si velò di tristezza.
–
Presto,
capirete ogni cosa. Abbiate pazienza. – mormorò, il tono
serio.
Con
gesti rapidi, si sbottonò la giacca e scoprì un torace
ampio e scolpito, su cui si distendeva una grossa e irregolare
cicatrice, vagamente rassomigliante ad un fulmine.
Poi,
strinse il coltello e, con un movimento rapido, privo di esitazione,
lo affondò nel cuore.
Victor,
sgomento, sbarrò gli occhi e aprì la bocca. Era…
Era ammattito?
Perché
si era ferito davanti ai suoi occhi?
Connor,
con un moto secco dal basso verso l’alto, estrasse il pugnale e
il sangue sgorgò copioso dalla ferita.
Sopraffatto
dalla debolezza, si abbandonò contro una colonna e chiuse gli
occhi.
Certo,
trapassarsi il petto per lui non era letale, ma gli procurava sempre
un dolore notevole, che lo lasciava provato.
Qualche
istante dopo, un nuovo strato di pelle si rigenerò e coprì
la lesione, come se essa non fosse mai esistita.
Connor si rizzò
e i suoi occhi, seri e attenti, si rifletterono nelle iridi del
compagno.
– Che... Cosa significa? – balbettò
questi, spaventato, e, d’istinto, fece un passo indietro.
L’uomo che era con lui non era un demone, eppure si era ripreso
da una ferita mortale!
Connor sospirò e scosse la testa.
La mente di Victor non riusciva a capire la verità e cercava
un rifugio impossibile nelle sue conoscenze.
Doveva
dargli una dimostrazione incontrovertibile.
Rapido, si avventò
su di lui e lo trafisse allo stomaco con il coltello.
Poi, con
uno strappo deciso, estrasse l'arma.
Victor,
colto di sorpresa, fece due passi indietro, poi cadde in ginocchio e,
d'istinto, si portò una mano al ventre.
Per
alcuni istanti, rimase immobile, come una statua, inebetito dal
dolore e dallo stupore. Non riusciva quasi a capire cosa fosse
successo…
Perché
il suo compagno lo aveva aggredito? La sua mente era stata sconvolta
da qualcosa?
– Togliete la mano e guardate la ferita. –
gli ingiunse Connor, pacato.
Il nobiluomo, lento, sollevò
l'arto e abbassò gli occhi sul ventre.
Con suo stupore,
vide che la lesione era scomparsa e di essa era rimasta solo una
macchia rossa sulla camicia.
– Si è rimarginata...
– constatò, la voce tremante. Era avvenuta la medesima
cosa accaduta a Connor...
Dunque, le loro nature erano
uguali.
L’altro, con un grave cenno della testa, annuì
e il suo sguardo si rannuvolò. Finalmente aveva capito.
–
Sì. Anche in voi si è attivata la reviviscenza. Ora
siete un immortale, proprio come me. –
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