Una rosa piena di spine

di lucille94
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Era sera ormai; una sera romana placida di silenzio sotto un cielo sereno, d'un blu uniforme e scuro quanto bastava a far rifulgere le stelle in tutto il loro splendore. Sotto quel cielo la città dormiva; poche fiaccole erano affisse ai lati delle strade principali, tracciando costellazioni terrene da contrapporre a quelle celesti, quasi che la città di quaggiù volesse dialogare con quella di Lassù.

Eppure, in tanta pace, c'era chi faticava a prendere sonno e indugiava a spiare da una finestra aperta il profilo dei tetti che a malapena si intravedeva nell'oscurità. Era Clarice ed era sola. Aggrappata al davanzale di pietra, stretta tra gli stipiti, minuta e assorta in pensieri nuovi, rivedeva davanti a sé il volto di quella donna che aveva tanto insistito per scambiare qualche parola con lei la mattina di quel medesimo giorno.

Era una donna di quarant'anni portati con dignità quasi sfacciata. Sfacciata, sì, perché a discapito delle belle vesti e degli ornamenti ella era di nascita popolana e l'accento la rivelava per ciò che era: una fiorentina benestante. Lucrezia si chiamava, e veniva giusto da Firenze per conto del marito a svolgere certi affari su cui non era stata prodiga di dettagli. Era educata e dotata di un senso innato alla delicatezza del parlare.

Sua madre Maddalena aveva risposto gentilmente alla sconosciuta, benché desse l'impressione di sapere bene chi fosse. E, una volta superatala alla volta di San Pietro, le aveva detto: "Clarice mia, tieniti buona quella donna se vuoi campare a Roma".

"A Roma, madre? Non è ella fiorentina?"

"Per quanto sia fiorentina, le sue mani arrivano fino a qui. Suo fratello è Giovanni Tornabuoni, direttore del banco Medici."

"Medici, dite?" aveva ripetuto, trasalendo, per poi aggiungere, quasi a correggere il primo impulso: "Il banco del papa?"

"Precisamente. Perciò ti dico di tenertela buona: tuo zio potrebbe avere bisogno di prestiti nell'avvenire. E se non lui, forse Rinaldo quando diventerà cardinale."

Ora, alla finestra, il volto accarezzato dalla brezza, Clarice ripensava a quella donna perché le era parso che la guardasse in modo ambiguo, quasi volesse farle un ritratto. Era rabbrividita sotto quegli occhi scuri e attenti e aveva chinato il capo in segno di onestà, come le era stato insegnato fin da bambina. Era una Medici, dopotutto, e a quel nome le era sovvenuto un ricordo tutto suo, segreto, anzi segretissimo.

"L'avevate già incontrata?"

In quella sola frase, proferita quella mattina come il guaito di un cucciolo, Clarice aveva cercato la conferma di un sospetto di cui nemmeno lei aveva piena coscienza allora. Sua madre aveva abbozzato un sorriso e, senza smettere di camminare, aveva risposto: "Così potrebbe dirsi, sebbene non l'avessi mai vista".

Quella giornata, insomma, era stata colma di mistero. Un mistero cominciato prima ancora di quell'incontro, ora che ci pensava meglio: il giovedì non era solita andare a messa a San Pietro. Quando sua madre l'aveva esortata a seguirla, aveva colto una nota di eccitazione nella sua voce. E mentre camminavano fianco a fianco per le strade della città, con la scorta al seguito, erano state entrambe insolitamente silenziose. D'un tratto, il sospetto che era rimasto latente per tutta la giornata le balenò davanti: l'incontro era stato concordato. Non era perciò frutto di un caso che la matrona de Medici si trovasse sul loro cammino.

Lasciò la finestra, la sigillò bene per non patire freddo durante la notte e si rimboccò il collo della camicia da notte. Aveva come il presentimento che presto avrebbe rivisto la fiorentina; faticò ad addormentarsi e, quando finalmente il sonno vinse le preoccupazioni, queste le lasciarono in viso un'espressione corrucciata. I capelli rossi, distesi sul cuscino, le facevano da aureola increspata in piccole onde.





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