un vulcano di energia

di gin_94
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4.Angelo custode
 

Arrivò da bere. Tutti e due avevano ordinato una birra Waizen da mezzo. 

Enrico aveva ufficialmentecompletamente abbandonato il suo timido tentativo di astinenza dall’alcol. Non ne valeva la pena.

Gliene erano successe di tutti i colori e tanto valeva che bevesse perché sicuramente non era finita lì… 

- E così voi vi inebriate con questa spremuta d’orzo -.

Enrico scoppiò in una risata fragorosa, poi resosi conto che forse l’uomo non stava scherzando lo guardò come se fosse uno scherzo della natura e disse -Come dici?Tu sei davvero strambo…-.

- Scusa, ma mi ci devo abituare. Adesso bevendo questa dovrei riuscire a migliorare - prese il bicchiere snello con entrambe le mani e ne bevve un sorso, gli si formarono dei baffi di schiuma che non si pulì, decretando - Mh… buona-.

Enrico fece una smorfia con la bocca come inorridito 

- Sì, bevi bevi… speriamo che quella ti aiuti. Ma dimmi, scusa se insisto, vieni da un’altro pianeta? -.

-Più o meno… -e bevve un altrosorsostampandosi dei nuovi baffi di schiuma.

- Dai, andiamo! Mi dici qualcos’altro o hai preso una botta in testa, non ricordi nulla e adesso ti diverti a torturare le persone come me? -.

- No. Sto cercando di aiutare la gente come te -

Enrico a questa risposta non sapeva che dire. 

Bevve.

Ci pensò un po’ su.

Poi pensò che la cosa più plausibile era che chi aveva davanti a sé era solo uno squilibrato.

- Cavolo amico! Ma tu… tu almeno ce lo hai un nome? - e bevve.

- No - e bevve pure l’uomo.

-Quindi…ehm, per piacere pulisciti la bocca -Enrico non sopportava più quei baffi bianchi, gli sembrava di essere in birreria assieme a un bambino caffè-latte dipendente -Quindi dovrei chiamarti signor “Nessuno”? -a Enrico sembrava molto strana questa storia, ma decise comunque di giocarci un po’ su.

-No, ma mi rendo conto che per te è difficile concepire che io non abbia un nome, perciò se vuoi, prendendo spunto da una qualche storia mitologica, potresti chiamarmi… come si chiama quell’eroe? Ercole -

A Enrico venne da ridere di nuovo.Se la stava spassando quella sera-Hai detto che paghi tu stasera, vero? Se non ti dispiace… -bevve in un sorso lungo quel che rimaneva nel bicchiere e poi: -Cameriere! Un’altra per favore -.

Ercole non sembrava offeso dall’atteggiamento di Enrico, anzi -So che per te è difficile capire, ma non c’è altro modo che parlarne per cercare di spiegartelo: io sono uno spirito e come tutti gli spiriti non possediamo alcun tipo di attaccamento. Non solo alla materia, quindi soldi, amuleti, ma anche idee, opinioni e appunto il nome. Tra noi spiriti non abbiamo bisogno di chiamarci, siamo una cosa sola, ma pur sempre tutti diversi -e bevve.

Enrico rise di nuovo, ma ora in maniera sempre più scomposta, cominciava a pensare che questo squilibrato lo stesse prendendo per il culo. Non era offeso, anzi. 

Non era come quando lo prendevano in giro i suoi colleghi facendo a gara per chi riusciva a ridicolizzarlo di più, questo strano tizio lo stava divertendo.

- Allora Ercole, facciamo così: se sei venuto qui per farmi diventare un dio e uno di questi giorni mi porterai sull’Olimpo, il prossimo giro di birre lo offro io! - e rise di gusto.

Ercole finì la sua birra d’un sorso e, imitando l’azione di Enrico - Cameriere! Un’altra per favore -

Enrico rise ancora - Sì, così ti voglio! Anzi, non perdiamo tempo, prendiamo una caraffa direttamente. Cameriere! -.

 

Sul tavolo continuavano a formarsi nuovi “caduti” (ovvero i bicchieri snelli e la caraffa di birra ormai vuoti), ma i due erano arrivati a mangiare solo metà del galletto ordinato. Sicuramente ci sarebbero state altre ordinazioni. 

Il locale era parecchio affollato e chiassoso, proprio per questo, quando Enrico attaccava verbalmente il suo commensale in maniera sguaiata e scomposta per i suoi strani comportamenti, nessuno dei clienti si infastidì. Ormai, però non aveva più senso continuare in quel modo. Si diede una calmata. Non c’era alcun gusto nel trattare così male quell’uomo così elegante che continuava a non reagire alle provocazioni. 

Ora Enrico, dopo un lungo silenzio per divorare alcuni bocconi della “preda” che aveva sul piatto disse - Sei proprio uno spiritello buffo - e ridacchiò.

Intanto Ercole inforcava il galletto da un lato piantandolo sul piatto e ne strappava i pezzi con la mano libera. 

- Temo che sia perché non mi sono ancora abituato a questo mondo - disse Ercole. 

Enrico questa volta lo lasciò parlare, anche se non dava molto peso a ciò che diceva. 

- Noi spiriti non siamo materiali. Noi siamo così sottili che a volte ci infiliamo tra le più piccole fessure presenti tra gli agglomerati di particelle che vi compongono; alcuni di noi preferiscono fondersi con qualcosa di più ampio, come ad esempio l’acqua. Oppure animano i banchetti del fuoco. 

In questo genere di mondo in cui vi trovate è estremamente difficile trovare un equilibrio che funzioni. Il vostro corpo è così pesante… senza contare che avete una lista lunghissima di cose a cui siete attaccati che continua a rallentare la vostra espansione - continuò a parlare con un boccone in bocca senza rendersi conto di sputacchiare qua e là - La cosa peggiore è che non ve ne rendete conto -.

Enrico si sentiva quasi a disagio per la stranezza dei discorsi di quell’uomo e comunque non era molto attento alle sue parole. Il ragazzo era schifato da ciò che gli sembrava di aver visto con la coda dell’occhio; sembrava che uno degli sputacchi di Ercole gli fosse finito nel piatto. 

Nonostante ciò, Ercole stava pian piano guadagnando l’attenzione di Enrico. Infatti il ragazzo cominciava a riflettere seriamente sulle parole di Ercole: parlava di cose già sentite e riascoltate da qualche parte, in un qualche discorso di chiesa o di un illuminato indiano, oppure maestro Buddha, ma le diceva in un modo che non aveva mai sentito prima. 

Poi cominciò a pensare alla toga e a domandarsi se potesse centrare qualcosa in tutto questo. I pensieri gli giravano velocemente in un’orbita circolare attorno alla testa con la forza propulsiva dell’alcol.

Guardava Ercole e la sua testa pensava senza chiedergli il permesso. Finché domandò - Perché sei venuto qui? -.

- Perché c’è una presenza negativa -.

La risposta era stata semplice, diretta. Anche un po’ spaventosa. 

 

Un boato tremendo spezzò sul colpo la conversazione tra i due, Enrico di istinto, sentendo il rumore alla sua destra si gettò a terra, con gli occhi serrati. Ercole, con una reazione a nervi saldi, si gettò a terra verso Enrico, afferrò il tavolo su cui stavano mangiando e con una agilità, possibile solo se la Terra fosse priva di gravità, lo ribaltò usandolo come scudo per riparare entrambi.

Una Punto azzurro metallizzato aveva sfondato la vetrata del locale che si affacciava sulla piazza, ne erano usciti due tizi vestiti con canottiera e jeans dal fisico magro, ma muscoloso. In mano uno teneva una mazza da baseball e l’altro delle catene di metallo. 

Percuotendo qua e là le loro armi stavano seminando il panico tra i presenti, i quali tra le urla cercavano di darsela a gambe, riuscendoci quasi con facilità, visto che i due felini affamati di vittime una volta puntata una preda si lasciavano distrarre dai movimenti di qualcuno che scappava dal lato opposto. Scheggiavano un tavolo o una sedia e poi i loro occhi grigio-blu senz’anima, incastonati in un teschio dagli zigomi sporgenti, balzavano con uno scatto felino verso una direzione, per poi fermarsi di nuovo cambiando idea.

Fuori dal locale la situazione non era migliore: un gruppo di persone non definito stava buttando nel caos tutta la piazza. Sembravano degli ultrà arrabbiati per una partita persa. Enrico sentiva i vetri delle vetrine che esplodevano sotto i colpi di gente urlante. Il panico per lui ora era insostenibile, quindi con uno scatto imprevisto cercò di svignarsela, ma il momento era sbagliato… gli occhi vitrei degli uomini malvagi lo agganciarono subito, si trovavano alla portata di un colpo di catene che non tardò a partire. Ercole capì immediatamente la situazione. Si alzò piuttosto rapidamente, ma gli effetti dell’alcol si facevano sentire, molto più che su Enrico, visto che per lui era la prima bevuta della sua esistenza terrena. Provò anche ad urlare per intimare ad Enrico di gettarsi a terra, ma quel che ne uscì fu solo un biascico indistinto. 

L’eroe greco si sbilanciò completamente su un fianco dando inizio ad una rovinosa caduta, ma a tutti i costi voleva proteggere il ragazzo, quindi distese al massimo delle sue possibilità il braccio sinistro, la catena quindi vi si avvolse attorno evitando di frustare Enrico alle spalle, Ercole cadde.

Enrico, sentendo lo spostamento di tavoli e sedie dietro di sé, si voltò di istinto. La catena era strettamente avvolta al polso di Ercole che con uno strattone poderoso fece dare una testata fortissima al malvivente sullo spigolo di un tavolo ribaltato, facendolo svenire.

Enrico era incredulo, ebbe qualche istante di esitazione.

- Vattene Enrico! - urlò Ercole da terra.

Il ragazzo corse via con tutte le sue forze.

 





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