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di Miky_D_Senpai
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“Ohi! Levi!”
Ancora la sua voce nella tua testa eh? Tra tutte, forse quella della quattrocchi sarà quella che ti sta tormentando da più tempo, eppure non è proprio quella che vorresti sentire, vero?
Quanti anni sono passati da quando l’hai salvato? Quanto tempo è passato da quando hai scritto quella lettera? Quanto tempo hai dedicato a far scorrere quelle parole sulla carta?

Dona il tuo cuore.
 
E stai pensando ancora a quante volte ti ha imposto di diventare insieme a lui l’emblema, l’incarnazione di quelle parole. Voi eravate tra i pochi a capire quanto effettivamente il mondo non avesse bisogno di essere salvato per la sopravvivenza di qualcosa così effimero come la razza umana. A cosa serve salvare chi si autodistrugge?
Le bende che ti avvolgono sono sempre state così strette? La tua camera era sempre stata così vuota? E il tuo cuore colmo d’odio senza quello cosa sta spingendo nelle tue vene? Cosa pensi sia ormai il carburante della tua esistenza?

Io amo.

Amore? Levi Ackerman non ha mai provato amore. Hai sempre spinto tutti a gettarsi nel vuoto per qualcosa che non riconoscevi, non hai mai capito questi sentimenti e adesso a chi la darai a bere su quella sedia a rotelle?
Ti fai accudire da quelli che non hai mai compreso, nemici o vittime nello stesso ciclo vitale che porta soltanto a ciò a cui sei più abituato. Morte.
Lo sai che ti sta aspettando, è inutile rialzarsi da sotto le coperte, lascia che ti riporti dai tuoi compagni, un’ultima volta.

E se non ci fosse nessuno ad aspettarmi?

Vuoi scoprirlo?
Cosa immagini possa essere pronto ad accoglierti? Hai ucciso, torturato, mutilato più volte persone che poi hai decapitato con piacere. Anzi, non c’era soddisfazione quando hai finalmente vendicato il tuo comandante come avevi promesso, giusto?
Di quell’entusiasmo che ti spingeva a combattere cosa è rimasto? Quell’ultima volta in cui hai impugnato la lama hai soltanto finito per spostare leggermente gli equilibri in gioco. Hai delegato a qualcun altro perché il tuo tempo come guerriero più forte era finito.
Ora il tuo tempo tra i vivi è finito. Chiudi gli occhi.

 
Aspetta. Non me l’hai fatto rivedere.

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Si portò la mano al viso, una volta che riuscì a sollevarsi contro la spalliera. Decise che quello poteva essere l’ultimo desiderio.
Falco sarebbe passato troppo tardi per rubarlo a quella visione, per rovinare l’ultima visita del Comandante.
«Erwin…» Non riusciva a parlargli, non riusciva ancora a togliere il palmo dal suo occhio spento. Non riusciva ancora a scusarsi con lui per aver lasciato che tutti gli avvenimenti di una vita gli corrompessero l’animo.
Il biondo lo guardava, vestito con l’abito per le cerimonie, lo stemma del corpo di ricerca che si riusciva ancora a intravedere, nonostante fosse sbiadito dal tempo.
«… non sono riuscito a dirtelo prima» Pianse. E si sentì uno stupido perché nel farlo sapeva di star sprecando tempo. L’ultimo addio che gli era stato concesso lo stava sprecando senza possibilità di ammettere le sue colpe verso la sua memoria.
Non aveva mai pianto davanti a lui, non direttamente. Ma non riuscendo a distinguere più ciò che fosse reale, stava provando per la prima volta l’imbarazzo di finire in lacrime.
Sorrise, lui, dall’altro lato della stanza. Stava forse tentando di rassicurarlo, a modo suo, del fatto che si sarebbero rivisti a breve. Ma, proprio mentre la sensazione si tramutava in qualcosa di più familiare e riusciva a lasciarsi trasportare verso qualche sentimento migliore di quella costante sofferenza, la figura svanì, disturbata probabilmente dal rumore della maniglia della porta.
Levi non ebbe coscienza su cosa accadde dopo, su come Falco si precipitò al suo letto, chiamandolo più volte e urtando Gabi in cerca di aiuto. La ragazza, che non si era ancora affezionata a lui, non condivideva la foga del compagno nel cercare in qualche modo di salvare quel corpo. Un individuo che non sentiva la preoccupazione esterna, seduto contro il legno del letto mentre, con la sola guancia sinistra bagnata dalle lacrime, sorrideva.

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«Avanti» sospirò, senza forze per opporsi a chi volesse disturbarlo.
La porta si aprì, lentamente, come spostata dal vento. Dall’altra parte, non c’era lo stretto corridoio che aveva osservato in innumerevoli occasioni, ma un’accecante luce, come se la luce solare stesse attraversando finestre che non aveva mai notato.
«Ohi, Levi!»
Le aveva riascoltate molte volte quelle due parole, soprattutto nei suoi sogni, in memorie lapidarie che non si toglieva dalla testa, poiché lei fu l’ultima a cui dovette dire addio. A volte, rifletteva ancora su quanto quel suo gesto fosse stato in realtà vano, su come avesse voluto sostituirla in quell’atto estremo.
Apparve davanti a lui. Era sorridente, solare come la immaginava ogni volta, ricordandola così con amarezza aveva completamente dimenticato quanto diversi fossero.
Aprì l’occhio con stupore quando vide la sua figura muoversi con uno scatto verso di lui. No, non avrebbe pianto di nuovo, se lo impose, ma non riuscì a fare a meno di ricambiare l’abbraccio, coprendo la sua vista nella spalla dell’amica.
Si sentì leggero e cominciò a percepire sensazioni che non sembravano più sue da tempo. Le dita delle mani, le contò ed erano di nuovo tutte lì, insieme al suo occhio destro, che era stato abbandonato dalla cicatrice, portata come simbolo di una guerra ormai finita da anni.
Sentiva il vento accarezzargli i capelli e della sua stanza non restava che il letto sul quale era stato immobile tanto a lungo. Non riusciva a spiegarsi come questo riuscisse a riempirlo di gioia, ma davanti a sé non c’erano più mattoni, ma una verde e infinita radura affacciata sull’oceano. Respirò a pieni polmoni l’odore leggermente salato che aveva l’aria, unito all’odore della pelle di Hanji.
«Cosa succede?» le domandò non avendo ancora compreso a pieno ciò che era appena accaduto.
Infine, li vide.
In piedi davanti a lui, i suoi vecchi compagni, soldati a lui sottoposti, superiori il quale taciturno rispetto per un dannato della città sotterranea non era mai stato palese. Vecchi, vecchissimi amici.
Il tempo non li aveva minimamente scalfiti, poiché le loro anime risiedevano ancora nei ricordi di chi li aveva incontrati, conosciuti e amati.
Lo sguardo si intrecciò con quello del suo Comandante, ancora una volta, ma dopo tanto tempo sembrava quasi reale. Mentre lei, sciogliendo leggermente quell’intreccio, gli sussurrò con una lieve nota di una gioia amara.
«Bentornato, Levi»




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