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Aggiornata e corretta…perché gli errori più
banali si vedono solo dopo secoli!
Dedicata alla Lau,
perché sopporta i miei scleri senza fiatare,
perché, anche se non è proprio un giudice imparziale, è
la mia fan numero 1,
perché se non ci fosse bisognerebbe inventarla,
e perché è una amica,
di quelle con la A maiuscola.
Ti voglio bene donna.
“Never Wasted”
Le sembrava di essere immersa in
uno dei dolorosi racconti di Jasper.
Si trovava certamente in Texas;
il cartello semidistrutto che si intravedeva infondo alla strada indicava che
quel luogo infernale era Houston.
Intorno a lei regnava il caos,
tutto era distrutto e da più parti si levavano colonne di fumo e fiamme.
Era nel bel mezzo di una
battaglia.
Con orrore si rese conto che una
delle due fazioni avversarie era composta da neonati mentre l’altra, molto meno
numerosa, era nientemeno che l’esercito dei Volturni guidato da quella che, un
tempo, aveva sperato diventasse sua sorella.
Un urlo disumano catturò la sua
attenzione: in un angolo, chino su un mucchio di ceneri e fiamme, riconobbe
Demetri che urlava tutto il suo dolore in un pianto senza lacrime.
Per un attimo credette che quel
mucchietto di ceneri non fossero altro che i resti di Jane ma, meno di un
secondo dopo, quest’ultima comparve affianco al vampiro cercando di trascinarlo
via.
Lui scuoteva la testa, distrutto,
e prima che lei riuscisse ad allontanarlo allungò la mano in mezzo alle fiamme e
con una smorfia di dolore ne estrasse qualcosa.
La visione cambiò.
Non era più in Texas, ma ora non
riusciva a riconoscere il posto in cui si trovava.
Era una stanza molto ampia, ed
estremamente bella; tende di damasco porpora erano tirate ai lati di un’ampia
vetrata e, addossato al centro della camera, vi era un grande letto a
baldacchino.
La sua attenzione fu attirata da
una figura silenziosa che, dopo aver posato qualcosa al centro del letto, uscì
lenta dalla stanza.
Era Demetri.
Curiosa si avvicinò al letto;
quella doveva essere la stanza del vampiro morto in Texas e Demetri aveva
lasciato lì ciò che aveva strappato alle fiamme.
Quando finalmente scorse
l’oggetto al centro del letto, posato su di un panno di lino bianco, fu lei ad
urlare portandosi disperata le mani alla bocca.
Aprì gli occhi nel familiare salotto di casa, era seduta sul divano e il suo
piccolo corpo tremava incontrollato.
Angosciato.
Sentì Jasper stringerla a se mentre tutto intorno a lei si diffondeva un senso
di calma innaturale.
Il potere del marito non riuscì comunque a calmare la sua inquietudine.
Il suo sguardo corse al di là del salotto, nell’angolo riservato al pianoforte.
La musica familiare che aleggiava nella stanza prima che lei avesse la visione
era cessata, sostituita da un silenzio opprimente.
Cercò il suo sguardo e quando lo incrociò rabbrividì.
Vuoto.
Lo vide muovere le labbra prima di alzarsi e sparire al di fuori della stanza,
veloce come nient’altro al mondo, e il suo sussurro fu talmente basso che quasi
non riuscirono a sentirlo neppure loro.
-Bella-
Due giorni dopo
La stanza, solitamente buia, era illuminata dai colori del tramonto, e le
pesanti tende color porpora erano tirate ai lati delle ampie vetrate per
permettere agli ultimi riverberi del sole morente di agosto di rischiararla.
Per quanto bella potesse essere quella camera finemente arredata, lei non era
mai riuscita ad apprezzarla davvero; fin dalla prima volta che vi aveva messo
piede anzi non le era parsa niente più che una lussuosa prigione.
Il pensiero di come Aro, anni prima, gliel’avesse mostrata estremamente
soddisfatto riusciva ancora a strapparle un sorriso amaro.
Ora però quella stanza era diventata ancora più opprimente, e l’aria che vi si
respirava, seppur lei non avesse la necessità di respirare, si era fatta
velenosa.
E lui era in ritardo, maledettamente in ritardo.
Possibile che avesse cambiato idea?
No, impossibile.
Seppur cercasse di mantenere la calma non riuscì a trattenere un sospiro di
esasperazione.
Stupido, stupido, stupido
Erano passati quasi settant’anni dall’ultima volta che lo aveva visto, ed era
riuscita a tenerlo lontano, e al sicuro, per tutto quel tempo.
Districandosi maestralmente fra
menzogne e finzioni.
Ma ora, per colpa di una stupida visione che non era riuscita a bloccare in
tempo, tutto stava andando a rotoli.
Si appoggiò esausta contro la parete bianca accanto alla grande vetrata, la cui
visuale si apriva sul centro di Volterra, chiudendo gli occhi.
Poteva solo aspettare, mentre l’ansia le attanagliava il cuore immobile.
Il cielo quella mattina era
coperto da nuvole grigie, che fortunatamente non promettevano pioggia, e l’aria
era frizzante e profumata dalla miriade di fiori che Alice aveva disposto
ovunque nel giardino di casa Cullen.
Tutto era pronto, a partire
dall’arco nuziale fino al banchetto che nessun componente della famiglia Cullen
avrebbe assaggiato, tranne ovviamente la novella sposa, passando per fiori,
addobbi, orchestra e ovviamente gli invitati già ai loro posti.
Guardava distratta al di fuori
della grande vetrata mentre mille pensieri si affollavano leggeri nella sua
mente.
Alla fine quel giorno tanto
atteso e temuto era arrivato e da quel momento in poi nulla sarebbe stato più
come prima.
Respirò affondo e si avvicinò
all’imponente specchio che Alice ed Esme avevano insistito a portare nella
camera di Edward affinché lei potesse vedersi.
Aveva giurato a se stessa che non
lo avrebbe fatto; non si sarebbe depressa in quel modo.
Ma alla fine aveva ceduto, e ora
rimirava attentamente l’immagine che lo specchio le rimandava, studiandola nel
tentativo di trovare qualcosa che giustificasse l’amore che Edward provava per
lei.
Niente.
Semplicemente non c’era nulla.
Si insomma l’abito bianco, con il
corpetto striato d’argento e la gonna ampia, era molto bello e ad essere sinceri
non le stava neanche così male, merito di Alice che aveva studiato giorno e
notte per trovare il modo di non farla sfigurare almeno in quel giorno; e la
pettinatura semplice in cui Rosalie le aveva raccolto i capelli era graziosa e
riusciva tutto sommato ad incorniciare in modo elegante il suo viso, ma…
Si sentiva comunque
insignificante.
Come se non bastasse aveva già
visto le sue damigelle, semplicemente perfette nei loro abiti di seta turchese.
Si chiese cosa, oltre ovviamente
al suo sangue, avesse potuto legare Edward così indissolubilmente a lei.
Sorrise, e quando Charlie bussò
lei era pronta.
Uscendo si chiuse la porta alle
spalle lasciando dietro di se ogni insicurezza.
Forse non era bella come Rosalie
o aggraziata come Alice ma andava bene lo stesso, perché era a lei che Edward
aveva chiesto di dividere la sua eternità.
Quando poi il suo sguardo non la
abbandonò nemmeno per un istante mentre avanzava verso l’arco nuziale e verso di
lui, come per sostenerla e assicurarsi che lei non fuggisse e lo abbandonasse lì
sull’altare, il senso di inadeguatezza era scomparso totalmente; e quando il
prete le fece la fatidica domanda, dopo aver fatto lo stesso con il suo
compagno, enfatizzò il suo “si” con una tale forza da scatenare l’ilarità di
Emmett.
Ogni istante di quella giornata
era impresso nella sua mente indelebile.
Così come il ricordo più bello
che conservava: il primo dolce bacio che si scambiarono come marito e moglie ed
il “Ti Amo” che il suo sposo le sussurrò all’orecchio.
Il ringhio che spontaneo le uscì dalla gola, senza che riuscisse a trattenerlo,
ruppe il silenzio carico di tensione che si era andato a creare.
Dove diavolo era finito?
Le sue visioni non sbagliavano mai, erano diverse da quelle di Alice.
Erano esatte.
Anche per questo Aro le aveva gentilmente chiesto di rimanere alla sua
corte.
Se per gentilmente si intendeva minacciando di sterminare la sua
famiglia, reale ed acquisita, e se per rimanere si intendeva dopo esservi stata
trascinata a forza.
E lei non aveva potuto far altro che cedere, nella speranza che il suo neo
marito si dimenticasse presto di lei e nella certezza che il suo cuore di
vampira, donna e moglie non avrebbe mai smesso di sanguinare.
- Bella?-
Un mormorio dolce e preoccupato,
che la raggiunse portando con se una domanda non troppo celata la cui risposta
per lei rimaneva sempre la stessa.
- Amore…ho rispettato la mia
parte del patto, ora tocca a te…- rispose così piano che se nella stanza ci
fosse stato qualcun altro, poco più distante dalla posizione che occupava lui,
steso di fianco a lei e con il viso nascosto nell’incavo del suo collo, non
avrebbe potuto sentirla.
- Capisco..quindi è solo per
questo che mi hai sposato?- domandò fissandola con quel sorriso sghembo che
riusciva sempre a farla impazzire.
E ci sarebbe probabilmente
riuscito anche quella volta, se non fosse stato che la determinazione di lei era
in quel momento pari a quella che di solito ostentava Rosalie.
Non seppe negargli un piccolo
sorriso e un leggero buffetto su di una guancia.
Sapeva quanto a lui stesse
costando tutto quello, ma lei aveva fatto la sua scelta e lui aveva promesso.
- Non cercare di abbindolarmi
Cullen. E comunque…per questo e per la luna di miele! - lo schernì con un
sorriso dolce, e stavolta fu il turno del vampiro di sorridere.
- Ti amo, e voglio passare
l’eternità con te. - gli sussurrò infine posandogli un bacio a fior di labbra e
scostandosi i capelli per lasciargli libero accesso al suo collo bianco.
- Anche io - rispose lui con le
labbra ad un passo dalla sua pelle prima di lasciarle una scia di baci dalla
guancia, rosea per l’ultima volta, fino alla scapola.
Poi successe tutto in un istante.
Edward affondò i denti bianchi
nel suo collo ed il dolore improvviso le strappò un urlo.
Il bruciore familiare del veleno
le lasciò giusto il tempo per sentire un rumore sordo al piano di sotto, l’urlo
sconvolto di Alice che avvertiva Edward di fuggire e il ringhio furioso e
frustrato di quest’ultimo prima che le guardie dei Volturni irrompessero nella
stanza.
Poi esplose diffondendosi
rapidamente in lei, senza lasciarle possibilità di tregua, e talmente intenso da
farle perdere i sensi.
Da quel momento in poi i ricordi
della trasformazione erano quasi inesistenti e solo il dolore atroce, alimentato
dall’evidenza di quello che era successo, e dal dubbio che l’assillava su quali
fossero state le sorti della sua famiglia, era ancora vivo in lei.
Quando quasi quattro giorni dopo
il suo cuore smise di battere definitivamente e lei aprì gli occhi tutto ciò che
occupava la sua mente era il pensiero di lui.
- Edward - sibilò mettendosi a
sedere sul letto, su cui era stata evidentemente lasciata in quei giorni di
agonia, scrutando nell’oscurità tutt’intorno.
Sentiva la gola bruciarle, ma non
voleva darle ascolto.
Ora la sete era l’ultimo dei
problemi da risolvere.
Sentì un rumore fioco al di la
dell’unica porta presente nella stanza, e pochi secondi dopo quella si aprì
lasciando entrare Aro che, dopo essersi richiuso la porta alle spalle puntò il
suo sguardo antico su di lei.
- Buongiorno Isabella - la voce
del vampiro era bassa e pacata – O meglio, buonasera - si corresse scrutando
l’oscurità fuori dalla piccola finestra sulla parete di fianco al letto.
Lo guardò sedersi sul letto a
fianco a lei, ritraendosi leggermente quando lui tese una mano verso il suo
viso, riabbassandola prima ancora di sfiorarla.
- Cosa avete fatto alla mia
famiglia?- chiese decisa puntando il suo sguardo in quello di Aro.
“Nulla, stanno bene…un po’ in
ansia, ma stanno bene”
- Davvero? - chiese ancora
cercando una conferma.
Lui sembrò stupito per un istante
poi scosse la testa, quasi divertito.
“E così hai sviluppato anche tu
le doti di Edward”commentò distratto fra se il vampiro senza rispondere alla sua
domanda.
- Cosa? - gracchio ancora in
attesa di una risposta, il tono di voce talmente alto da spezzarsi quasi.
“Isabella, tesoro…io non ho
parlato” pensò di nuovo.
“E neppure ora. Tu riesci a
sentire i miei pensieri” continuò allungando di nuovo verso di lei la mano e
sfiorandole il viso facendola rabbrividire “Mentre io continuo a non sentire i
tuoi” sospirò poi sconfortato riabbassando la mano.
- No…-
- Si bambina. La tua mente è una
fortezza, che sa attaccare e ancor meglio difendere - spiegò Aro questa volta a
voce.
Lei rimase immobile e silenziosa,
incapace di credere e assimilare ciò che le era stato detto.
- Edward…-
- Sta bene bambina, te l’ho
detto. É a Forks con tutti gli altri e non gli è stato fatto alcun male. E
nessuno gliene fara se…- fece una leggera pausa, come se cercasse le parole
giuste.
- Se tu cara continuerai a
concedermi il privilegio della tua presenza qui alla mia corte…-
Lei trattenne il fiato.
Se avesse scelto di restare non
lo avrebbe più rivisto, di questo era certa.
Ma se decideva di andarsene cosa
sarebbe successo?
Niente di buono.
Avrebbe solo peggiorato la
situazione, rischiando che facessero del male alla sua famiglia.
Nell’attimo esatto in cui prese
la sua decisione l’immagine viva di un Edward che rideva entusiasta insieme ad
Alice ed il resto della famiglia, una famiglia da cui lei era esclusa, le
attraversò la mente scomparendo un attimo dopo.
Si portò le mani alla bocca e
trasalì.
Quell’immagine era troppo viva
per essere soltanto un’immagine creata dalla sua mente, e non aveva ricordi che
ritraessero i Cullen in quel modo.
Una visione.
Che avesse sviluppato anche il
potere di Alice?
Come poteva essere possibile?
- Io…- farfugliò impaurita.
- Cosa hai visto cara?- le chiese
impaziente Aro mentre lei lo fissava spaesata.
- Isabella non leggo i tuoi
pensieri, ma ho visto la tua espressione di poco fa e quella di Alice durante
una visione. Erano identiche - le spiegò con dolcezza.
Non sapeva cosa dire ne cosa fare
e non era sicura di nulla, di quale sarebbe stato il suo futuro e il suo ruolo
li alla corte.
L’unica cosa di cui era certa era
il bisogno di mettere al sicuro i suoi cari.
Respirò a fondo, l’aria le
bruciava in gola enfatizzando il suo bisogno di dissetarsi.
Non ci fece caso, e per la prima
volta utilizzò una delle sue nuove capacità smettendo di respirare.
Poi parlò incerta ma convinta.
-Io…voglio restare ma…- si
interruppe indecisa fissandolo – Niente esseri umani. Voglio…voglio seguire la
dieta dei Cullen - accettò infine, il bisogno di sentire l’aria gonfiarle i
polmoni la assalì prepotente.
- Capisco - commentò pensieroso,
poi un sorriso raggiante gli illuminò il viso – E sia. Sarai libera di nutrirti
di ciò che più ti aggrada. Non sarà un problema: sembra che la tua mente e il
tuo autocontrollo siano molto più forti del tuo istinto, visto che non hai
ancora cercato di fuggire per nutrirti –
L’espressione soddisfatta sul
volto del vampiro le provocò un brivido, aveva ottenuto esattamente ciò che
voleva.
E lei aveva perso tutto.
Aro si alzò in piedi e le porse
la mano.
- Ora permettimi di mostrarti la
tua stanza Isabella, più tardi dovrai essere tu a comunicare la tua decisione ai
Cullen. –
Sarebbe toccato a lei spezzargli
il cuore.
Respirò a fondo e chiuse gli
occhi per un istante.
Poi prese la sua mano.
Sospirò di nuovo, gli occhi ancora chiusi e la testa stancamente appoggiata alla
parete dietro di lei.
Tutto le era sfuggito di mano da quel giorno ormai lontano.
Aveva iniziato una nuova vita, estremamente diversa da quella che aveva
desiderato ed infelice.
Non così tanto come aveva
creduto.
Scacciò quel pensiero dalla mente.
Ricordava ancona bene quello che era accaduto.
La guidò lungo i corridoi
stringendole leggermente la mano, sorridendo e presentandola entusiasta, o
meglio sfoggiandola come fosse un trofeo, ad ogni vampiro che incontrarono; e
quando arrivarono alla stanza lui gliela mostrò soddisfatto.
Le dette il tempo di rinfrescarsi
e cambiarsi indicandole, prima la porta sulla parete alla destra del letto, che
conduceva al bagno, poi il massiccio armadio di ebano strapieno di abiti
pregiati, pregandola di non fare complimenti e scegliere quello che preferiva.
Incerta lei fece come le era
stato detto; si dette una ripulita, legando i capelli ancora umidi in una coda
alta e indossò un elegante tubino nero che le arrivava appena a metà coscia: il
vestito più sobrio che aveva trovato all’interno dell’armadio.
In fondo all’armadio trovò poi
scarpe di tutti i tipi, costose e pregiate quanto gli abiti.
Per un istante si fece tentare da
un paio di decolté nere con un tacco vertiginoso, ma il ricordo del suo
equilibrio instabile la fece immediatamente optare per un paio di scarpette
basse nere anch’esse.
In tinta con il suo umore.
Non aveva ancora davvero testato
l’equilibrio ed era meglio non rischiare.
Sorrise amara, Emmet
probabilmente l’avrebbe presa in giro per l’eternità se fosse caduta così spesso
anche da vampira.
Ma loro non c’erano.
Nessuno di loro.
Rimase per quella che le parve
un’eternità a fissare la propria immagine riflessa nello specchio del lussuoso
bagno, chiedendosi se davvero fosse lei quella donna splendida che la guardava
incuriosita con occhi rossi e lucenti di rimando dallo specchio.
Era lei, ne era certa, ma era
come guardare un bocciolo fiorito d’improvviso tutto in una notte.
La sua pelle era molto più
pallida di quanto non la ricordasse e contrastava incredibilmente con i capelli
scuri; le sue forme poi parevano più eleganti e l’abito nuovo la fasciava
perfettamente, come se le fosse stato cucito addosso.
Si mosse incerta davanti allo
specchio, scrutando i propri movimenti incantata; ogni passo era compiuto con
tale grazia da sembrare una danza e le pareva addirittura di essere più alta.
Alice sarebbe letteralmente
impazzita vedendola così.
Un particolare che non aveva
notato la colpì d’improvviso.
Le labbra spiccavano sul suo viso
angelico come sangue sulla neve; erano di un rosso intenso e lei si chiese per
un istante se fosse normale.
Uscì dal bagno scettica,
sedendosi aggraziatamente sul letto, le gambe strette a se e il mento posato
sulle ginocchia.
La gola bruciava sempre di più,
la sentiva secca e un sapore acido le aveva pervaso la bocca.
Il suo veleno.
Non avvertiva però nessun bisogno
immediato di soddisfare la sete; in quel momento la sua mente era rivolta
altrove, lontano, e non poteva far a meno di pensare ad Edward, agli ultimi
istanti insieme e al suo sorriso.
Sola, era così che si sentiva in
quel momento.
E probabilmente per tutta
l’eternità.
E come se non bastasse, ogni
rumore, suono, respiro o fruscio le arrivava alle orecchie nitido e distinto
come non mai, facendola sussultare, mentre la sua vista era terribilmente acuta:
seppur la stanza fosse completamente al buio lei riusciva a distinguere ogni
forma ed ogni oggetto come in pieno giorno e forse, anche meglio.
Rimase in ascolto per un tempo
che le parve infinito, osservando la stanza e soffermandosi sulla grande vetrata
alla destra del letto, finché non riconobbe dei passi familiari al di la della
porta, nel corridoio.
Aro entrò silenzioso solo dopo
aver bussato, sedendosi affianco a lei e porgendole il necessario per scrivere
ai Cullen.
La lasciò libera di scrivere ciò
che voleva, persino del ricatto se lo avesse desiderato.
Sapeva che non lo avrebbe fatto.
Lei scrisse invece che da quando
si era svegliata era infelice; che si era resa conto di non volere quella
non-vita e che, visto che ormai non si poteva tornare indietro, per lo meno non
voleva dover anche compiere il sacrificio di seguire una dieta “vegetariana”.
Per questi motivi desiderava
rimanere alla corte dei Volturni, dove sarebbe stata libera di fare ciò che più
l’aggradava.
Si scusò addirittura per il
disturbo causato a tutti loro e, naturalmente, la ciliegina sulla torta fu il
rinnegare l’amore per suo marito.
Scrisse che da quando si era
svegliata non provava più nulla; e fu anche tentata di rimandargli la semplice
fede dorata come prova delle sue parole, ma alla fine non fu capace di separarsi
da quel pegno d’amore.
Bugie, dalla prima all’ultima
riga di quella lettera, ma sapeva che quelle parole li avrebbe tenuti lontani e
al sicuro.
L’aveva visto, nel momento esatto
in cui aveva preso in mano la carta da lettere.
La disperazione di Alice e il
pianto senza lacrime di Esme, le espressioni incredule di Carlisle, Emmet,
Jasper e perfino Rosalie.
Il dolore di Edward e la sua
rassegnazione.
Terminò la lettera firmando con
il suo nome da nubile e la imbustò, chiudendola prima di porgerla ad Aro che si
alzò e con passo aggraziato si avviò alla porta.
Quando si rese conto che lei non
lo stava seguendo si voltò con un’espressione dubbiosa.
- Allora tesoro, non hai sete?-
Certo che aveva sete, la sua gola
bruciava talmente che ormai era convinta di avere un principio d’incendio
all’interno del collo ma…non doveva andare così, era la sua prima caccia e lei
era spaventata a morte.
Con lei doveva esserci Edward
quella notte, le aveva promesso che non l’avrebbe lasciata nemmeno un istante,
fermandola se necessario.
Ma ora lui non c’era e non ci
sarebbe più stato.
Il panico l’assalì.
E se avessero incontrato degli
umani?Aro l’avrebbe fermata?
- Solo animali- la sua voce tremò
ma lei era irremovibile.
Aro continuò a sorridere
abbassando il capo in segno di assenso.
- Ti ho dato la mia parola- disse
infine, ed il tono della sua voce e il suo sguardo sincero riuscirono a
convincerla e, finalmente, lo seguì.
Demetri li attendeva fuori dalla
stanza, immobile ed austero nel suo mantello nero; Aro gli consegnò la lettera
imbustata e lo pregò di spedirla al più presto poi, dopo averle preso la mano,
la scortò per il palazzo.
Erano così veloci e leggeri che
quasi le pareva che stessero volando e che i loro piedi non toccassero mai
terra; la condusse nell’ala opposta a quella in cui si trovava la sua stanza,
imboccando un corridoio che non aveva porte e terminava davanti a loro in un
muro di sasso sul quale si trovava una grande finestra aperta, le cui tende
erano mosse dal vento ancora tiepido di fine settembre.
Si chiese cosa Aro volesse fare e
quando furono a pochi passi dalla finestra lui si girò a guardarla, una luce
incredibilmente viva negli occhi e un sorriso accattivante sul viso.
Saltiamo
Nel momento esatto in cui la sua
mente focalizzò il pensiero di Aro lei spiccò il salto per atterrare poi
piuttosto elegantemente a terra; non abbastanza comunque da evitare che il
vestito si strappasse leggermente, aprendosi in un piccolo spacchetto sulla
coscia destra.
Imprecò irritata.
Sentì la risata del vampiro al
suo fianco e si voltò a guardarlo, trovandolo in posizione pronto a scattare.
- Magnifica- commentò solo prima
di ricominciare a correre.
Rimase interdetta per un istante:
non credeva possibile che Aro cacciasse all’aperto; era convinta che lui fosse
troppo algido ed austero per la caccia.
Non lo seguì subito, concedendosi
un istante per guardarsi intorno, rendendosi conto che il muro del palazzo era
un tutt’uno con le mura della città e che, di conseguenza, con quel salto loro
erano usciti da Volterra.
Sentì i pensieri di Aro che la
invitavano a raggiungerlo e seguendo la scia del suo odore iniziò a correre.
Ben presto i campi attorno alla
città lasciarono il posto ad un boschetto all’interno del quale trovò Aro, al
cui fianco stavano immobili Jane, con le braccia incrociate ed un’espressione
tediata in viso, ed Alec vagamente incuriosito.
- Cosa fanno loro qui?- non poté
impedirsi di chiederlo leggermente irritata; non tanto per Alec ma quanto per
Jane, che non riusciva proprio a sopportare.
- Si occuperanno di tener lontani
eventuali umani, voglio che tutto vada per il meglio piccola - le spiegò facendo
un cenno ai gemelli che sparirono pronti a svolgere il loro compito.
- Jane non è molto contenta -
constatò muovendo qualche passo verso Aro.
A dir la verità era furiosa.
Aveva letto nella sua mente e non
si era spaventata solo perché Aro era li con lei; se lui non fosse stato li
Jane sarebbe stata ben disposta a saltarle alla gola.
Fu il tocco leggero che si posò
sulla sua spalla a risvegliarla da quei pensieri.
- É gelosa - la informò Aro
ridacchiando.
Poi, senza darle il tempo di
replicare, iniziò la sua caccia sparendo nel fitto del bosco.
Lei lasciò cadere il discorso ed
iniziò ad annusare l’aria; un profumo forte e selvatico la raggiunse allertando
i suoi sensi.
Un cerbiatto.
Era poco lontano da lei che lo
raggiunse in un attimo, senza il minimo rumore, fermandosi in attesa sul ramo di
un albero.
Quando il vento cambiò e
l’animale sentì il suo odore, alzando il capo verso di lei, la sua reazione fu
fulminea.
Scattò e la sua preda non ebbe
scampo.
Affondò i denti proprio nel collo
dell’animale ed il sangue, caldo e salato, le riempì la bocca lenendo il
bruciore alla gola.
Non si rese conto ne dello
scalpitare dell’animale ne di quando quest’ultimo smise di agitarsi esausto e,
quando si alzò dal collo della bestia, guardandone la figura esanime davanti a
se, il senso di orrore e disgusto che temeva di provare non arrivò, sostituito
invece da una fervente eccitazione.
Era nella sua natura.
Per la prima volta non era lei la
preda, ma il predatore.
Riprese la sua caccia, correndo
estasiata nel bosco alla ricerca di un nuovo odore appetibile, senza curarsi di
Aro che la seguiva a poca distanza estremamente soddisfatto dall’abilità della
sua pupilla.
Ben presto individuò un’altra
preda e questa volta l’odore fu più forte, e la scarica di adrenalina che le
trasmise ancora maggiore; un lupo.
Predatore contro predatore.
Il suo pensiero corse
immediatamente al suo sposo e ai suoi gusti.
Scosse la testa, impedendosi di
pensare a lui; sapeva che se non avesse spostato la sua attenzione su altri
pensieri avrebbe fatto qualcosa di stupido che lo avrebbe messo in pericolo.
Cercò quindi di concentrarsi
sulla caccia e quando fu vicina al lupo spicco il salto e vi si avventò.
Sentì qualcuno fare lo stesso e
si fermò contrariata a metà della radura in cui si trovava la fiera mentre
quest’ultima fuggiva allarmata.
Quando si rese conto che era
stata Jane a disturbare la sua caccia una rabbia incontrollata l’assalì, ma il
ringhio che scaturì dal profondo della sua gola fu sovrastato dall’urlo acuto di
Jane che si contorceva in preda al dolore ai suoi piedi.
Sgranò gli occhi arretrando
confusa.
Le urla cessarono nel momento
esatto in cui Aro la raggiunse, abbracciandola così stretta da farle mancare il
fiato e strofinando la guancia fra i suoi capelli soffici, impedendole la vista
di Jane, la quale boccheggiava vistosamente mentre si rialzava a fatica, lo
sguardo disgustato puntato su di lei e Alec accorso alle urla che la sosteneva
incredulo.
Rimase immobile fra le braccia di
Aro, incapace di reagire.
Poi lui parlò, piano, solo per
lei.
- E così è questo che sai fare
bambina. Sai far tue le doti degli altri. Sapevo che eri speciale -
Quella frase era impressa a fuoco nella sua mente, a ricordarle in ogni istante
la sua maledizione.
Un sorriso amaro le si dipinse in viso.
Perché era questo che era la sua dote, nient’altro che una maledizione.
Se non fosse stata così speciale, Aro non l’avrebbe voluta con se e lei
sarebbe potuta rimanere con il suo sposo.
Tutto quel tempo non sarebbe andato sprecato.
Forse
Pensava davvero che fosse stato tempo sprecato?
Non volle rispondersi, vergognandosi della risposta che spontanea premeva sulle
sue labbra.
In quel momento, nel silenzio di quella stanza ormai buia avrebbe solo voluto
poter piangere, lasciar uscire tutto e liberarsi dei tormenti e dalle
frustrazioni di quegli anni alla corte.
Ma non poteva neppure quello.
Un altro sospiro sfuggì dalle sue labbra e l’ennesimo ricordo le riaffiorò alla
mente.
Il mantello ondeggiava leggero
alle sue spalle, mentre nel corridoio riecheggiava il tintinnio dei suoi tacchi
bassi.
Arrivò quasi correndo nella
grande sala dove Aro l’attendeva sorridendo come un bambino il giorno di Natale
e si fermò proprio di fronte a lui, senza rivolgere nemmeno un cenno agli altri
occupanti della stanza.
- Mi hai cercata- non c’era
nessuna domanda nella sua voce quando parlò, ma solo un irritante certezza.
Era uscita a caccia quella notte
e, dopo essersi nutrita, si stava concedendo una solitaria passeggiata per le
vie della città sopita, mentre il pallido sole di gennaio sorgeva iniziando ad
illuminare un’altra triste giornata di pioggia.
Tutto questo prima di essere
prepotentemente interrotta dai pensieri di Aro che euforico la richiamava
urgentemente a corte.
- Mia cara- iniziò con voce
leggera, alzandosi e avvicinandosi a lei fino al punto in cui dovette chinare il
capo per riuscire a guardarla negli occhi.
Lui era piuttosto alto, molto più
di lei che a sua volta fu costretta ad alzare il viso.
Rimase in silenzio, il respiro
basso e regolare in attesa che lui le spiegasse il motivo di tanta urgenza.
- Ho notato che sei sempre sola,
non riesci ad accettare la compagnia di nessuno, se escludiamo la mia e di tanto
in tanto quella di Demetri- commentò guardandola con apprensione.
La sua mente registrò quelle
parole legandole al suono di un campanello d’allarme.
Dove voleva arrivare?
Non provò neppure a leggere nella
sua mente per capire, troppo presa a perdersi fra i ricordi.
Era vero, non riusciva ad
accettare ne sopportare la compagnia di nessuno li alla corte.
E d’altra parte nessuno era
veramente interessato alla sua di compagnia, troppo presi ad odiarla per via
delle attenzioni di Aro.
Le avevano addirittura affibbiato
il nomignolo di “Principessa”, per il modo in cui veniva servita e riverita.
Come erano stupidi.
Credevano che lei fosse felice di
quelle attenzioni quando invece moriva dentro, e l’unica cosa che desiderava
davvero era tornare dai suoi cari.
A dir la verità non era più così,
non proprio almeno.
Con il tempo, dovette ammettere a
se stessa, aveva iniziato ad apprezzare la compagnia di Aro e, più il tempo
passava, più si avvicinava al vampiro.
Spesso uscivano insieme dal
palazzo e dalla città, passeggiando per ore, di giorno sotto la pioggia e di
notte sotto il cielo stellato, parlando di mille cose o semplicemente restando
in silenzio uno accanto all’altra.
Le aveva persino insegnato a
suonare il piano, ed era stato un maestro paziente e gentile.
E seppur il desiderio di fuggire
fosse ancora vivo in lei, quella gabbia dorata aveva gradualmente preso le
sembianze di una casa, lenendo la sua necessità di evadere.
Poi un giorno tutto era cambiato.
A quel ricordo il campanello
d’allarme nella sua mente trillò più forte.
Lui l’aveva chiamata nel salone,
come in quel momento, e le aveva comunicato con voce fredda ed incolore che
sarebbe partita a breve per frequentare un’università a Oxford.
Era uscita come una furia,
risentita e delusa.
Così era rimasta quasi cinque
anni lontana dalla corte; con Demetri a farle da balia e senza più Aro accanto a
se.
Senza mai rispondere alle sue
lettere; senza neppure leggerle.
Era stato in quel periodo che si
era avvicinata a Demetri, scoprendo di gradire anche la sua di compagnia.
Le ricordava in qualche modo
Emmett, e in qualche modo avevano instaurato un’amicizia fra di loro.
Grazie a lui, la paura che Aro si
fosse stancato di lei era quasi stata dimenticata, salvo poi riaffiorare più
viva che mai al momento di tornare a Volterra.
Tornata alla corte, con una
laurea in medicina presa a pieni voti, aveva creduto di trovare un Aro diverso.
Si era sbagliata.
Aro l’aveva accolta a braccia
aperte, carico d’orgoglio e ammirazione.
Aveva frainteso: non aveva voluto
allontanarla dalla corte perché stufo di lei, no, le aveva dato la possibilità
di vivere, almeno in parte, quella vita a cui l’aveva strappata.
Era stato in quel momento che si
era resa conto di cosa Aro cercasse di essere per lei con evidente successo.
Un padre.
Buffo.
E assurdo.
Se quando lo aveva visto per la
prima volta qualcuno le avesse detto che un giorno si sarebbe affezionata a
quel vampiro egocentrico gli avrebbe riso in faccia.
Avrebbe fatto la stessa cosa
anche il giorno in cui aveva avuto inizio la sua nuova vita.
Ma adesso.
Le cose erano cambiate.
Completamente.
Certo, non era mai stata
veramente felice li a Volterra perché una parte di lei, il suo cuore, era
dall’altra parte del mondo, ma c’era qualcosa nel comportamento di Aro nei suoi
confronti che riusciva ad alleviare le sue pene.
Gli aveva letto dentro e, al di
la del vampiro con manie di grandezze e protagonismo che tutti conoscevano, lei
non aveva visto altro che un’immensa solitudine.
Nessuno riusciva a comprenderlo
realmente, troppo antico ed enigmatico anche per i suoi compagni Marcus e Caius.
Nemmeno lei che poteva leggergli
nel profondo era riuscita a comprenderlo a pieno; ma non era una stupida e,
seppur tutti coloro che vivevano alla corte erano convinti che lei fosse la sua
pupilla solo per via della sua dote, lei riusciva a percepire in lui un affetto
profondo nei suoi confronti.
E forse, prima o poi, avrebbe
capito da cosa scaturiva.
-questo mi preoccupa, sai bene
che voglio solo il meglio per te piccola- la sua voce da oratore, pastosa e
delicata la risvegliò dai suoi pensieri.
Annuì piano continuando ad
ascoltarlo.
- D’altra parte, ho pensato che
se non desideri la compagnia dei vampiri della corte io non ho intenzione di
convincerti del contrario – le sorrise, chinandosi verso il suo orecchio – Anche
perché trovo che tu abbia ragione – ri acchiò – Sono veramente insipidi.-
Lei non riuscì a trattenere un
sorriso; quante volte durante le loro passeggiate glielo aveva ripetuto.
- Però, ho pensato anche che, se
non vuoi passarle con gli altri, hai bisogno di qualcosa che occupi le tue
giornate - ora la guardava con un espressione seria, annuendo convinto.
A questo punto tentò di parlare
ma lui la zittì subito con un gesto sbrigativo della mano.
- É da tanto che ci penso bambina
e, a dir la verità, avevo già deciso quella notte - continuò mentre l’immagine
della prima caccia di lei si formava nella sua mente facendola sussultare.
Non parlavano mai di quella
notte.
- E ora credo che tu sia pronta -
a quelle parole uno dei tanti sorrisi orgogliosi che lui riservava solo a lei si
dipinse sul suo viso e lei, si sentì in imbarazzo.
Si sentì colpevole.
Sapeva che era assurdo e che non
aveva mai chiesto quella vita da prigioniera, ma si sentiva ugualmente in colpa
perché, nonostante tutto quello che Aro faceva per lei, desiderava e sognava di
tornare a casa, da suo marito e dalla sua famiglia.
- Aro, pronta per cosa?- domandò
infine confusa, l’idea di leggere nella sua mente non l’aveva nemmeno sfiorata,
troppo abituata a non farlo per rispettare la sua privacy.
- Oh… - lui fece un passo
indietro, allontanandosi da lei e spalancando le braccia.
- Da oggi bambina mia sei a capo
delle guardie - la sua voce superò di molto il leggero vociare degli altri
vampiri nella sala, e un silenzio pesante come il piombo calò nella stanza
mentre decine di sguardi sconvolti si puntavano su di loro.
Trattenne bruscamente il respiro
mentre la risata poderosa di Aro si espandeva nella sala rimbombandole nella
mente.
Ora finalmente riusciva a capire ciò che aveva provato Jasper prima di
incontrare quel piccolo demonietto che rispondeva al nome di Alice.
Quella che doveva essere stata la sua vita.
Aveva passato gli ultimi cinquant’anni della sua non-vita in parte alla corte e
in parte in giro per il mondo, al comando di un esercito di vampiri addestrati
ad uccidere.
Il loro compito era sempre lo stesso, sedare guerre e punire coloro che non
rispettavano le leggi dei Volturni.
Non si era opposta alla decisione di Aro.
Non ci aveva nemmeno provato, troppo decisa a non provocargli un dispiacere.
Per ripagarlo di quell’affetto
che aveva per lei.
Così aveva assunto il comando delle guardie e i primi tempi erano stati
decisamente insostenibili; le truppe giustamente non ne volevano sapere di darle
ascolto e, a causa di questa loro indisposizione, le prime missioni erano state
un disastro.
Tornavano a Volterra sempre in meno, a volte addirittura dimezzati.
Mai completamente sconfitti ma comunque feriti e umiliati.
E Aro non aveva mai neanche provato a fare commenti o a prendere provvedimenti.
Alla fine era stata lei a stancarsi e a prendere in mano la situazione.
Quando Aro il giorno prima le
aveva assegnato l’ennesima missione suicida era stata sul punto di mettersi ad
urlare.
Ma non lo vedeva che ostinandosi
a volerla al comando delle guardie stava facendo una strage?
Evidentemente no.
Era uscita dalla sua stessa
stanza sbattendo la porta furiosa, lasciandosi dietro un Aro gongolante.
Non si poteva andare avanti così.
No davvero.
Ci aveva pensato tutta la notte e
aveva preso la sua decisione, forse aveva capito ciò che Aro voleva da lei e
tentare non le sarebbe costato nulla.
O meglio, qualche graffio al
massimo.
Raggiunse i dormitori delle
guardie come una furia, un ringhio basso e minaccioso ad annunciarla.
- In palestra, subito - sibilò
passando davanti alle stanze dei soldati e raggiungendo la palestra dove si
allenavano quando non era possibile andare all’aperto.
Stranamente in pochi secondi
tutte la guardie rimaste la raggiunsero, sfilando scomposti di fronte a lei,
immobile al centro della palestra, guardandola con un misto di scetticismo e di
scherno.
- Adesso basta - interloquì, la
voce bassa ma costante - So che non mi volete come capo delle guardie e vi
assicuro che il sentimento è ricambiato - continuò mentre commenti acidi si
levavano dai vampiri davanti a lei.
- Ciononostante, Aro non ha
intenzione di esaudire il nostro desiderio comune, quindi dobbiamo trovare una
soluzione - puntualizzò sovrastando con la sua voce melodiosa il mormorio.
- Noi non scendiamo a patti
principessa - fu la risposta secca e beffarda ringhiata da una voce indistinta
proveniente dal gruppo e subito seguita dagli assensi del resto dei vampiri.
Le sue labbra si mossero in un
ghigno ironico.
La credevano davvero stupida.
- Molto bene - disse infine
facendo affiorare sorrisi soddisfatti sui volti delle guardie, convinte ormai di
averla vinta.
- Perché non era ciò che volevo-
si interruppe solo per un istante, giusto il tempo necessario per leggere la
confusione nelle loro menti.
Poi gettò la sua esca.
- Io vi sfido -
E loro, come api attirate dal
polline di un fiore meravigliosamente profumato, abboccarono.
Un sorriso le increspò le labbra a quel ricordo.
Aveva vinto lei.
Grazie alla sua dote era stato così semplice che si era quasi sentita in colpa
quando, dopo aver battuto il loro rappresentante, le guardie avevano chinato il
capo ammettendo la sconfitta e accettando il suo comando.
Demetri, che da subito aveva cercato di aiutarla allenandola di nascosto dalle
guardie, aveva riso di quella sconfitta per giorni, rifilando frecciatine a
destra e a manca.
Era passato così tanto tempo e quei ricordi erano ormai lontani.
Il sorriso che per un istante le aveva illuminato il viso sparì lasciando il
posto ad un’espressione ansiosa.
Riaprì lentamente gli occhi.
Il sole non era più alto nel cielo.
Il crepuscolo era ormai passato, e la luce dorata del giorno aveva ceduto il
posto al manto nero di quella notte tanto attesa e temuta.
Ma nulla era cambiato nella stanza da quando li aveva chiusi.
Si chiese quanto tempo fosse trascorso da quando aveva chiuso gli occhi, mentre
il suo sguardo si posava sulla pendola che inesorabile segnava lo scorrere del
tempo.
Maledetto stupido.
La mezzanotte era passata da poco e di suo marito neppure l’ombra.
Richiuse gli occhi maledicendo se stessa e la sua stupidità.
Non poteva succedere, non ora.
Era semplicemente assurdo.
Le dita bianche e affusolate si
muovevano agili ed eleganti sulla tastiera, liberando nell’aria serica una
melodia limpida.
Dolce e malinconica.
Eterna e sua.
Che sapeva di miele e di ricordi.
Gli occhi chiusi e la mente
lontana, seguiva il ritmo armonioso con impercettibili movimenti del capo.
Illuminata da sole candele rosse,
poste su candelabri d’argento, la stanza in cui si trovava era ampia e graziosa,
completamente spoglia se non per un antico e pregiato pianoforte a coda di un
bianco immacolato al quale sedeva aggraziata, suonando da ore senza ombra di
stanchezza, trattenendo il respiro.
Il mondo attorno non esisteva
più, escluso da quella bolla di cristallo fatta di note e ricordi.
Le palpebre socchiuse si
strinsero leggermente quando la melodia variò per un istante, diventando più
intensa prima di riprendere il suo corso e giungere al termine.
Pian piano le note diventarono
sempre più basse, spegnendosi lentamente.
Incantevole
Quel pensiero le riempì la mente
quando l’ultima dolce nota non si era ancora spenta nell’aria.
Lasciò scivolare via lentamente
le mani dalla tastiera, posandole sulle proprie gambe e chinando leggermente il
capo.
Un sorriso ironico a incresparle
il viso.
- Chi ha scatenato la furia dei
Volturni questa volta?- la sua domanda, mormorata con una sfumatura di sarcasmo,
ruppe il silenzio improvvisamente, ma la sua voce fu talmente dolce da rievocare
la melodia appena conclusa.
Sentì Aro sospirare dietro di lei
e attraversare la stanza per raggiungerla, salvo poi fermarsi a metà del suo
percorso.
Era irrequieto e teso.
Non era un buon segno e, per un
istante, l’immagine della cittadina di Forks e del clan di vampiri che di
recente era tornato a viverci le attraversò la mente provocandole un brivido.
Si riscosse subito lasciandosi
sfuggire un respiro più profondo del normale e tranquillizzandosi un poco; lui
non l’avrebbe mai mandata a combattere contro di loro.
- Houston, una faida fra neonati-
la istruì con la sua solita voce pacata, calmando almeno in parte la sua
irrequietezza.
- Una cosetta da niente- aggiunse
subito, percorrendo la poca distanza che li separava per sedersi a fianco a lei,
la schiena rivolta verso il piano, il viso leggermente alzato e lo sguardo
perso.
Aprì gli occhi posandoli su di
lui in ansia; sembrava così stanco.
Ancora guerre, ancora conflitti.
Forse era questo che lo
preoccupava: il fatto che gli appartenenti alla sua specie non riuscissero in
nessun modo a vivere in pace.
O forse no, ma non voleva leggere
nella sua mente, se lui voleva parlarle lo avrebbe fatto di sua spontanea
iniziativa.
Libero arbitrio.
L’ennesimo sorriso sarcastico le
increspò le labbra.
A modo suo, anche Aro glielo
aveva concesso.
A modo suo.
Tornò alla loro conversazione
prendendo la sua decisione.
- Partiamo subito -
Si pentì di aver liberato
nell’aria quelle parole un secondo dopo averle pronunciate.
La visione di Alice le invase
prepotentemente la mente nello stesso istante in cui invadeva quella della
vampira-folletta.
Vide Houston, i neonati, la
battaglia e le sue stesse ceneri, poi la visione cambiò e vide Demetri posare la
sua fede sopra il vestito di lino bianco al centro del letto.
Infine vide quello che Alice non
avrebbe visto.
Conscia dentro di se che lui era
già partito per raggiungere Volterra, lo vide entrare nella sua stanza in cerca
dell’anello dorato mentre dalla finestra giungeva una luce rossastra.
Il crepuscolo.
Qualcosa si mosse facendola sussultare.
La porta si aprì e si richiuse così rapidamente e silenziosamente che nessun
umano avrebbe potuto accorgersene, spezzando quell’atmosfera ansiosa.
Trattenne inconsapevolmente il respirò, appiattendosi contro la parete.
Lui era lì.
Rimaneva immobile accanto alla porta, la schiena contro il muro a pararsi le
spalle, mentre il suo sguardo vigile era fisso sul letto e sulla stoffa bianca
posatavi sopra.
Sembrava sorpreso, e ancora di più lo fu lei quando si rese conto di non esser
stata vista.
Se il suo cuore non fosse già stato immobile lei era sicura che si sarebbe
fermato in quello stesso istante.
Si concesse il tempo per osservarlo rapita.
Non è cambiato.
Quella consapevolezza le affiorò alla mente facendola sorridere; era ovvio che
lui non fosse cambiato, ma inspiegabilmente lei aveva creduto il contrario.
Era sempre perfetto, e bellissimo, come in tutti i suoi sogni; i muscoli tesi e
il respiro affannoso, continuava a non muoversi mentre il suo profumo,
immensamente più intenso di quello che lei aveva conosciuto da umana e
tremendamente invitante, si spandeva nella stanza inebriandola.
Si chiese come avesse potuto sopravvivere per così tanto tempo lontana da lui.
L’irrefrenabile impulso di corrergli incontro e toccarlo l’assalì
prepotentemente e lei dovette fare di tutto per frenarlo; doveva andarci piano,
d’altronde lui, come anche il resto dei Cullen, era convinto che lei fosse un
mostro.
Edward si allontanò dalla parete lentamente, avvicinandosi con passo agitato al
baldacchino, mentre le pesanti tende ondeggiavano al vento che, furtivo, entrò
dal vetro aperto vicino a lei, scompigliandole i capelli e trasportando il suo
profumo fino a lui.
Vide suo marito trattenere bruscamente il fiato nel momento esatto in cui quel
soffio di vento traditore lo raggiunse e scattare subito dopo con lo sguardo
nella sua direzione mentre una luce scarlatta, proveniente dal centro della
città, illuminava la stanza dissolvendo le ombre che l’avevano nascosta e
protetta fino a quel momento.
Sorpresa guardò al di fuori dalla vetrata e non riuscì in nessun modo a
trattenere una risata di scherno che fece sussultare suo marito.
Come aveva fatto a non pensarci?
Non era il crepuscolo che illuminava la stanza nella sua visione; erano invece
le luci incandescenti delle centinaia di fiaccole accese per il corteo che
sfilava fra le strade di Volterra in una rievocazione medievale.
Lei stessa vi aveva partecipato in veste di dama non più tardi della settimana
prima.
Scosse la testa delusa da se stessa, dopo tutti quegli anni non riusciva ancora
a conservare la lucidità quando si parlava di suo marito e così non era neppure
riuscita a decifrare una sua stessa visione.
Trattenne un sospiro e tornò a posare il suo sguardo su di lui.
Continuò ad osservarlo per un tempo che le parve infinito, senza mai incrociare
il suo sguardo e mordendosi quasi a sangue il labbro inferiore, trattenendo
dentro di se migliaia di parole.
- Stai cercando questa?- mormorò infine interrompendo il silenzio che si era
creato fra loro e alzando leggermente la mano sinistra ornata dalla fede dorata.
- Sei viva- lo sguardo fisso sulla mano di lei e la voce incrinata da lacrime
invisibili.
- È già la seconda volta che ci troviamo in una situazione simile. Sono sempre
più convinta che vincere una scommessa contro Alice non sia poi così impossibile
- mormorò lei in risposta, un sorriso tirato sul viso, abbassando lentamente le
mani.
Lui chiuse gli occhi, incapace di credere e fare qualsiasi cosa.
Forse aveva colto l’avventatezza del suo gesto: come poteva credere che i
Volturni avrebbero permesso la distruzione di una città immensa come Houston?
Infrangendo per lo più le loro leggi di segretezza.
La visione era solo, paradossalmente, un’impossibile possibilità.
Avrebbe dovuto capirlo.
Sembrava così fragile e triste, e lei avrebbe solo voluto eliminare la distanza
fra loro ed abbracciarlo, chiedendogli perdono per ogni anno lontano, per ogni
sua scelta sbagliata; per ogni cosa.
- Edward - mormorò piano, la voce leggera come una carezza.
- Stai zitta -
Il suo ringhio la fece sussultare, ma d'altronde se lo aspettava.
Conosceva Edward come conosceva se stessa e, sebbene fosse dolorosamente certa
che lui avesse trascorso quegli anni biasimando se stesso per non essere
riuscito a proteggerla e per averla morsa, era altrettanto certa che quando si
fossero rincontrati le avrebbe rivolto tutta la sua rabbia addosso.
Chiuse gli occhi stanca, certa di meritarsi ogni insulto che lui le avrebbe
rivolto.
- Mi dispiace, mi dispiace per non essere riuscito ad impedirti di fare quella
stupidaggine. Come ho potuto anche solo pensare che saresti stata veramente
felice se ti avessi morsa? Sono stato uno stupido e per questo ti imploro
perdono ma tu… come hai potuto? -.
Stupido
A credere che lei potesse veramente riservagli rancore per averla morsa.
Era quello che voleva e non aveva rimpianto nemmeno per un istante quella scelta
ed ora più che mai gli era grata per quel morso.
-Non hai pensato a nessuno di noi. Alice è distrutta ed Esme… le hai portato via
una figlia, come credi che si sia sentita? -
Esme… Alice…
Le mancavano da morire, così come Carlisle, Emmet e Jasper, e persino Rosalie.
Certo, il suo intento era sempre stato quello di tenerli tutti al sicuro con
fiumi di menzogne, ma il sapere che era stato così facile ingannarli e fargli
credere che lei non volesse far parte di quella splendida famiglia, in parte la
feriva.
- Come puoi aver smesso di amarmi?- quelle parole, pronunciate in tono deluso e
rassegnato, la colpirono come un pugno nello stomaco, togliendole il fiato.
Aprì gli occhi intrecciando i loro sguardi dorati e lui sgranò gli occhi.
Rossi, era questo che lui
si aspettava e la sorpresa nei suoi occhi lo dimostrava.
- Ti ho amato sempre e sempre ti amerò; dirti che non ti volevo
più è stata una terribile bestemmia - si interrupe solo per un istante, la voce
tremante ed un sorriso amaro sul viso – Ricordi? -
Lui se possibile sgranò ancora di più gli occhi, accesi dalla rabbia e dallo
stupore.
- Non prendermi in giro Isabella-
Sentirgli pronunciare il suo nome, seppur per intero e con rabbia, la stordì,
scaldandole il cuore immobile come poche volte le era successo dalla sua
trasformazione.
- Non ti sto prendendo in giro Edward-
- Sta zitta- di nuovo quella voce tanto amata la zittì carica di rancore e
delusione.
- Sei una di loro. La preferita di Aro. - commentò riversandole addosso tutta la
sua rabbia, interrompendosi per un istante come sfidandola a smentirlo e
sorridendo poi amaro alla conferma del suo silenzio.
- Ti ha persino fatta capo delle sue guardie- continuò sprezzante.
- E con questo?- ribatté lei incredula; da quando era a capo di quel piccolo
esercito di vampiri nessuna delle missioni che le erano state affidate era meno
che giusta.
Non aveva mai fatto nulla che gli stessi Cullen non avrebbero approvato.
- Ho sicuramente scatenato le ire di Aro venendo qui questa notte..- commentò
sicuro di se e a lei parve che nel riferirsi ad Aro avesse incluso anche lei nel
discorso.
Non riusciva in nessun modo a capire dove lui volesse arrivare e cosa centrasse
il suo essere a capo delle guardie con l’essere, o non essere, ancora innamorata
di lui.
- Io sarò presto un uomo inseguito, Isabella, e tu sarai dalla parte dei
cani abbaianti che daranno la caccia alle ombre..-
Trattenne il fiato incredula a quelle parole.
Non avrebbe mai potuto fargli del male.
- Come puoi amarmi ancora?-
Ecco qual’era il punto.
Era sempre lo stesso fin dalla sua prima notte a Volterra.
Aveva rinnegato quell’amore, ed ora non poteva di certo sperare che lui
dimenticasse tutti quegli anni di sofferenza con una sola frase.
Le sue parole, per quanto sincere, non avevano alcun valore in quel momento.
Aveva solo un modo per convincerlo.
In una frazione di secondo gli fu davanti, così rapida da non permettergli
neppure di fiatare, lo sguardo incatenato al suo e una mano a sfiorargli
dolcemente il viso.
- Così -
Mostrargli la verità.
Premette la mano sulla sua
guancia di velluto, permettendogli di vedere ciò che lei aveva appena vissuto
nella sua visione.
Lo vide irrigidirsi e poi
sospirare, come rassegnato, prima di prendere fra le sue mani la mano che lei
ancora gli premeva leggermente sulla guancia e posarvi sopra un bacio.
Poi si alzò lentamente e con
passo umano fece per uscire; di nuovo però interruppe il suo percorso a metà
della stanza.
- Isabella -
In un battito di ciglia gli fu
davanti, il viso alzato per poterlo guardare negli occhi che lui teneva
ostinatamente chiusi, trattenendo il respiro.
Lui non la chiamava mai con il
suo nome, preferiva appellarsi a lei con nomignoli a volte estremamente
irritanti ed imbarazzanti ma sempre gentili e dolci.
E il suo tono di voce era così
spento.
E sofferente.
Che diavolo stava succedendo?
Aro non parlava e lei tentò
invano di leggere i suoi pensieri, nascosti da veli impalpabili di tenebre.
- Aspetta solo un istante
bambina. - le mormorò piano per farla desistere dal frugare nella sua mente ma
lei non poteva smettere di cercare una risposta, così continuò nel suo tentativo
di scavalcare le bariere che lui aveva creato.
Sembrava riflettere su qualcosa
di estremamente delicato, una questione della massima importanza per la quale
non aveva soluzione.
- Aro - mormorò impaziente, la
voce rotta dalla preoccupazione e dall’ansia.
Lui aprì gli occhi e lei si sentì
morire.
Fu solo un lampo, ma lei colse
quello sguardo nitidamente.
Dolore
C’erano solo dolore e tristezza
in quegli occhi antichi, celati da un espressione paterna e dolce.
Le sorrise sincero e malinconico,
sfiorandole dolcemente una guancia, lasciandole libero accesso alla sua mente e
rievocando un susseguirsi di mille e più ricordi di lei li alla corte.
Lei che lo abbracciava piangendo
lacrime invisibili la notte della sua prima caccia; lei che vagava silenziosa e
spaesata per i corridoi della corte sussultando ad ogni fruscio; e ancora lei
che furiosa usciva dalla sala alla volta di Oxford e sempre lei che cinque anni
dopo tornava alla corte, splendida come la ricordava; lei che soffriva per
l’amore perduto e che glielo nascondeva per non farlo incupire; lei che suonava
il piano ignara che lui la stesse ammirando orgoglioso; e lei che si rifugiava
nel suo abbraccio distrutta dopo la morte di suo padre, il suo vero padre.
Lei e il suo sorriso sincero,
carico d’affetto solo per lui.
Si allontanò bruscamente,
interrompendo il contatto fra le loro menti, il respiro affannato ed il panico
ad attanagliarle il cuore.
- Che stai facendo Aro -
- Gioco d’anticipo -
Il suo sorriso si fece più
malinconico, e allo stesso tempo quasi sollevato.
- Sei libera Isabella, sei
rimasta ad onorarmi della tua presenza fin troppo. - spiegò dolcemente
superandola per uscire.
- Torna a casa con lui -
Gli aveva mostrato tutti i ricordi che aveva rievocato quella sera, prima che
lui arrivasse, soffermandosi poi a quell’ultimo di lei ed Aro risalente a non
più di due giorni prima.
Aro era partito per Houston quella notte stessa insieme alle guardie, per
occuparsi lui stesso di quella faccenda.
Non lo aveva più visto.
Quello era stato il loro addio, anche se entrambi sapevano che sarebbe stato
solo un arrivederci.
Tornò a concentrarsi sul vampiro davanti a lei, pregando che lui accettasse la
sua verità.
Rimasero immobili ed in silenzio per un eternità che non seppe quantificare,
osservandosi e studiandosi a vicenda, come fosse il loro primo incontro.
Lo sguardo ostile sul viso di suo marito era pian piano scomparso, sostituito da
un espressione che lei non seppe decifrare.
Fulminee le braccia del vampiro corsero leggere ad abbracciarle la vita, prima
che lui interrompesse quel silenzio.
- È tutto vero?- mormorò incredulo senza attendere realmente una risposta.
Annuì piano e un secondo dopo si ritrovò stretta nel suo abbraccio, libera di
sfiorare con le labbra il suo collo fresco e di respirare il suo profumo
incantevole.
- Alice te la farà pagare cara - le mormorò piano, la voce ornata dall’ombra di
un sorriso.
Sorrise pensando al momento in cui avrebbe dovuto subire la furia dei suoi
fratelli e si disse che avrebbe affrontato quello ed altro pur di poterli
riavere con se.
- Non vedo l’ora - commentò lasciandosi andare in una risata cristallina e
sincera.
Si separò da lei quel tanto che bastava per unire le loro labbra.
Fu un bacio dolce, ma urgente e sofferto.
Era passato così tanto, ma nulla era cambiato; i suoi baci erano sempre gli
stessi, come lui.
Sconvolgenti.
- Ti amo - sospirò infine Edward tornando a stringerla possessivamente a se,
come se lei potesse svanire da un momento all’altro.
Tutto sarebbe andato bene da quel momento.
- Ti amo anche io - rispose piano lasciandosi cullare dal suo abbraccio,
finalmente felice.
Tornava a casa.
- Ora lo so -
Un mese dopo – 13 Settembre
Era sola nella sua stanza da ore.
La serratura bloccata dall’interno.
Stesa supina sul grande letto bianco fissava ostinatamente il soffitto,
studiando fintamente interessata le venature della vernice bianca nel tentativo
di tenere occupata la sua mente.
Quando solo un mese prima aveva pensato che il subire la vendetta di sua cognata
sarebbe stato più che sopportabile pur di ritornare a casa, non pensava certo
che Alice sarebbe arrivata a tanto.
Fino a quel giorno niente aveva sembrato presagire una possibile vendetta.
Tutti erano terribilmente tranquilli: la coccolavano, soprattutto Esme e in
altro modo Edward, e la riempivano di attenzioni, preoccupandosi fino allo
sfinimento di ogni più piccolo particolare per renderla felice e farla sentire
di nuovo a casa.
E ovviamente tutto questo non aveva fatto altro che metterla ancora più in
allarme.
Stavano sicuramente tramando qualcosa.
Il fatto che ognuno di loro pensasse sempre, ed ostinatamente, a cose assurde le
aveva dato la conferma che cercava.
Se il suo essere immortale e l’abitudine a non far caso allo scorrere del tempo
maturata a Volterra, non le avessero fatto perdere la cognizione dei giorni,
avrebbe sicuramente intuito prima ciò che il piccolo mostriciattolo stava
macchinando.
La visione comunque era arrivata d’improvviso quella mattina mentre erano tutti
riuniti in salotto, chiacchierando amabilmente.
Si era irrigidita trattenendo il fiato mentre lo sguardo di Alice scattava verso
di lei.
Si erano guardata in cagnesco per una frazione di secondo, nel quale era
riuscita in parte a leggere i pensieri della sorella, poi con un ringhio
indignato si era precipitata nella sua stanza barricandovisi dentro.
Festa di compleanno.
- Avanti Bella. Me lo devi!-
La protesta di Alice le era arrivata nitida dal piano di sotto insieme alla
fragorosa risata di Emmet e al sospiro esasperato di suo marito.
Aveva così passato l’intera mattinata e gran parte del pomeriggio chiusa nella
sua stanza, sorda ai tentativi dei componenti della sua famiglia di farla
uscire.
Edward era rimasto quasi un’ora fuori dalla sua stanza prima di cedere.
E Alice, beh, lei aveva addirittura minacciato di sfondare la porta, prontamente
ammonita da Esme che teneva troppo alla sua casa per permetterglielo.
Sospirò alzandosi a sedere sul letto e guardando distratta i raggi scarlatti
che, infiltrandosi fra le fessure della tenda scura tirata a coprire la
finestra, creavano giochi di luci ed ombre nella stanza.
Accidenti.
Era già il crepuscolo.
Sbuffò lasciando cadere di nuovo fra i morbidi cuscini bianchi, le braccia
spalancate e gli occhi chiusi.
Codarda, era solo una codarda.
Neanche un mese prima era il fiero e capace capo delle guardie italiane ed ora
batteva in ritirata davanti ad una vampira grande la metà di lei.
Patetica.
Il telefono fisso sul comodino affianco a lei iniziò a squillare riscuotendola
dai suoi pensieri.
Lo lasciò suonare, aspettandosi che qualcuno rispondesse dal piano di sotto, e
fu allora che si rese conto che la casa era innaturalmente silenziosa; gli altri
dovevano essere usciti, forse finalmente rassegnati all’idea che lei non sarebbe
uscita dalla sua stanza.
Afferrò il telefono prima che smettesse di suonare, rispondendo con voce
strascicata.
- Buonasera bambina -
Aprì gli occhi di scatto, tornando a mettersi seduta con le gambe incrociate.
Il viso illuminato da un sorriso entusiasta, come quello di un bambino il giorno
di Natale.
- Aro - mormorò incredula.
Era passato più di un mese da quando aveva sentito per l’ultima volta la sua
voce.
Quella volta era carica di dolore e rassegnazione, mentre ora era dolce e pacata
come suo solito.
Lo sentì ridacchiare all’altro capo del telefono.
- Certo che sono io - le rispose dolcemente.
- Ma come diavolo hai fatto? - sbraitò incredula; avrebbe dovuto prevedere la
sua chiamata.
Lui ridacchiò di nuovo.
- Volevo farti una sorpresa, così ho preso la decisione all’ultimo momento-
spiegò come se fosse ovvio e stavolta fu lei a ridere.
- Grazie Aro - mormorò piano dopo che la sua risata si fu spenta.
Non ne aveva mai mancato uno, facendole trovare nella sua stanza sempre qualcosa
di nuovo, passando dalle semplici e meravigliose rose rosse ad un nuovo
pianoforte.
In quel giorno le aveva sempre lasciato un segno, per ricordarle che lei non era
solo un “dono” speciale da sfruttare per i suoi interessi.
E quell’anno non avrebbe potuto desiderare da lui niente di meglio che sentire
la sua voce.
- Di niente bambina - la voce bassa e non del tutto ferma.
Rimasero in silenzio per qualche istante, godendosi semplicemente la sensazione
di essere un po’ più vicini grazie a quella chiamata.
- Aro? - lo chiamò poi, un sorriso furbo sul viso.
- Si piccola? -
- Ci vediamo presto -
Un regalo per un regalo.
- Oh - lo sentì sospirare – Manca giusto un po’ di sale a questa corte - la sua
risposta, mischiata ad una risata cristallina, la raggiunse facendola sorridere.
- A presto Isabella-
- A presto Aro-
Ripose il telefono al proprio posto lasciandosi andare ad una risata.
Poi con un movimento fluido si alzò e uscì dalla stanza.
Pronta ad affrontare sua sorella.
Fuori dalla sua porta, adagiato dentro una sacca per abiti trasparente c’era il
più bel vestito che lei avesse mai visto, così simile a quello del suo primo
ballo con Edward.
Di un blu cobalto meraviglioso aveva i bordi ricamati d’argento e non aveva
spalline, una volta indossato poi le arrivava si e no a metà coscia.
Decise di indossarlo per la gioia di Alice, e probabilmente anche per quella di
Edward, insieme ad un paio di decolté nere.
Sorrise.
Con grande dispiacere di Emmet il suo equilibrio era perfetto.
Scese al piano di sotto lentamente, a passo umano.
La casa era veramente deserta e l’unica luce che la rischiarava era quella
gialla e tremolante che filtrava dalla portafinestra del soggiorno.
Uscì nel giardino sul retro e rimase incantata.
Una scia di candele bianche tracciavano un sentiero che si perdeva nel bosco, al
di la del fiume.
Con un sospiro e un sorriso di sfida si lanciò nella corsa, seguendo le candele
come una moderna Dorothy.
Quando il sentiero di luci terminò lasciando il posto alla loro radura si
sentì mancare il fiato.
Un gazebo ornato da fiori di tutti i colori era stato posto al centro della
radura illuminata da centinaia di candele; le pareti del gazebo erano fatte di
tulle bianco e al suo interno vi erano quattro piccole panchine di legno chiaro
e una voluminosa pila di pacchetti colorati.
Una musica leggera che lei avrebbe riconosciuto fra mille risuonava nella
radura, creando un’atmosfera magica.
E loro erano tutti li, sorridenti.
Per lei.
Si portò una mano alla bocca incapace di dire qualsiasi cosa, mentre le braccia
del suo Edward l’accoglievano abbracciandola stretta.
- Buon compleanno amore mio - le sussurrò piano posandole un bacio fra i
capelli.
Da sopra la spalla di suo marito incrociò lo sguardo emozionato e furbetto di
Alice.
Le sorrise, mimando con le labbra un grazie per tutti loro.
No, si disse poi rispondendo alla domanda che si era fatta solo un mese prima.
Non aveva sprecato neppure un
istante della sua vita.
Fine
Note dell’autrice
Che dire…è la prima storia che scrivo su Twilight (“Bianco” è stata scritta dopo
ma pubblicata prima per via del contest) e non credevo possibile che potesse
piacere tanto da vincere addirittura il contest!
Spero che sia piaciuta anche a voi che siete arrivati fin qui…e spero anche che
mi lascerete un piccolo commento, perché so bene che ci sono un po’ di
imperfezioni e mi piacerebbe avere suggerimenti per migliorarla.
Grazie in ogni modo per essere arrivati fin qui.
P.s.:La frase che trovate in grassetto, verso la fine, era da inserire su
richiesta per il contest.
Vi lascio infine anche il commento di Sherry90, giudice del contest, e il link
al contest.
1^ Classificata
“Never Wasted”
Di Sweetsherry (Manami su EFP)
Narrativa: 10/10
Originalità: 10/10
Grammatica: 10/10
Attinenza alla traccia: 7/10
Totale: 37/40
Commento: Bellissima, davvero bellissima, ottima nella forma narrativa e
grammaticale. Ottima anche per l’originalità. I personaggi erano un po’ OCC
(soprattutto Aro), ma nonostante ciò erano molto ben trattati e la storia si è
rivelata molto coinvolgente. Complimentoni per il risultato.
Contest on Twilight
Un bacio,
Manami
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