The seven days

di Vale_P
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THE SEVEN DAYS
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GIORNO PRIMO
Melany stava finendo di battere al computer il resoconto della riunione appena conclusa.
Il suo capo le aveva messo una certa fretta.
"Una cosa veloce, chiaro? E non più di cinque pagine, signorina Joy... Grazie." si era raccomandato.
Melany avrebbe dovuto trattenere la sua passione per i dettagli e per i lunghi sproloqui e concentrarsi sullo stretto indispensabile che sarebbe tornato utile al Direttore.
Sospirò, raddrizzando gli occhiali da vista che indossava solo quando lavorava e che le erano scivolati sulla punta del nasino.
Ancora un'ultima revisione accurata del testo e poi avrebbe finito.
Prima di uscire guardò le lancette dell'orologio a muro appeso nell'ufficio: più di un'ora di straordinari e chissà se questa volta sarebbero stati retribuiti...
Sospirò di nuovo, in fondo non le importava: voleva solo fare un buon lavoro. Si infilò il chiodino in pelle facendo scivolare con la mano sinistra i capelli fuori dal colletto mentre, con la destra, afferrò la borsa da sotto la scrivania. Dai tempi delle superiori non aveva ancora perso il vizio di infrattarsi la borsa tra le gambe!
Scese le scale pigramente, facendo scorrere le dita lungo il corrimano. Non aveva nessuna fretta di tornare a casa, nessuno la stava aspettando e non aveva impegni.
"Ciao Walter!"
Esclamò sorpresa nel vedere il suo paffuto e nuovo amico nell'atrio che si stava avvicinando all'uscita del palazzo insieme a lei.
"Buonasera Signorina Joy! Anche lei in ritardo oggi?" chiese lui cortesemente.
Da più di due settimane ormai la ditta aveva assunto un nuovo tuttofare, tale Walter.
Lui aveva ottenuto degli orari leggermente diversi rispetto al suo predecessore e ogni sera usciva dall'azienda insieme a Melany, deliziandola con chiacchiere non richieste e non sempre realmente interessanti per lei.
Anche quella volta Walter proseguì il discorso senza attendere la risposta della collega.
"Io stavo giusto per staccare quando si è rotta una stampante al terzo piano e così... Eccomi qua! Più di un'ora di ritardo! Il lato positivo è che almeno anche questa sera abbiamo finito insieme, eh?"
"Già, una vera fortuna!" lo assecondò lei, in realtà del tutto disinteressata alla fortuita coincidenza.
"Sa, mi stavo chiedendo... non vorranno forse dire qualcosa tutte queste coincidenze?"
"E chi lo sa, Willy. Non ti resta che venire al lavoro anche domani per scoprirlo." rispose lei distrattamente, con tono leggermente giulivo tipico di chi risponde a una battuta che non ha fatto ridere, e cercando il pacchetto di sigarette dentro la borsa.
"Walter, signorina..." la corresse subito lui.
"Certo, come no! Perdonami... stammi bene allora, Walter." disse in fine la ragazza, infilandosi una sigaretta in bocca.
Walter guardò le sue labbra carnose socchiudersi e accogliere l'estremità arancione di quel piccolo oggetto, leggermente colorite da un rossetto ormai sbiadito e contornate da una cascata di capelli nero corvino. Subito le perdonò quell'errore del nome, che in fondo era tanto innocuo, e sorrise imbarazzato abbassando lo sguardo.
Dopo averlo salutato con un leggero cenno del capo, Melany si allontanò proseguendo la sua camminata verso casa.
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GIORNO SECONDO
Il capo di Melany si complimentò con lei per il resoconto: preciso e diretto al punto.
Gli straordinari del giorno prima erano valsi la pena.
Era un periodo piuttosto proficuo per la giovane impiegata e la ruota della fortuna sembrava stare finalmente girando a suo favore.
Melany tornò in ufficio soddisfatta e si accomodò dietro la scrivania. Notò che il sole di maggio stava battendo particolarmente forte sulle sue mura del palazzo e per un attimo fu tentata dall'accendere il condizionatore. Si ricordò però dei complimenti appena ricevuti e, per il bene dell'azienda, decise di rimandarne di qualche giorno l'accensione portando a casa un risparmio, seppur minimo. Anche se nessuno avrebbe mai saputo di quel suo piccolo sacrificio eroico, lei si sistemò fieramente gli occhiali sul naso, gongolando, ancora una volta consapevole di essere davvero una buona dipendente.
Ora dopo ora, anche quella giornata di lavoro giunse placidamente a termine, senza nessun intoppo e avendole anzi donato delle soddisfazioni.
Quel giorno era così di buon umore che si mise a canticchiare mentre si infilava il chiodino in pelle e guardava l'orologio a muro: puntuale.
Quando si ritrovò nell'atrio del palazzo, come da due settimane a quella parte, il caro Walter le rivolse un saluto e un cenno gentile.
"Mi stavi aspettando?" chiese Melany, stranita nel trovarlo seduto sul basamento di una colonna con le mani in mano.
Lui chiuse rapidamente la rivista che stava sfogliando e la infilò in un tascone della tuta da lavoro.
"Signorina Joy, non mi priverei mai del piacere di scambiare due parole con lei!" esclamò avvicinandosi.
Melany si chiese quanto quel civettare fosse ancora uno scherzo innocuo e quanto invece stesse iniziando a diventare un po' troppo, troppo reale. Quella volta quindi non lo assecondò e cercò di assumere un'espressione seria, ma non troppo, per rimproverarlo.
"Grazie... Walter. Ma non c'è bisogno che ti disturbi. Vai pure a casa la prossima volta."
"Nessun disturbo!" Fece lui di tutta risposta, schietto e sorridente, senza pensarci nemmeno un attimo.
"Oggi indossa davvero un bellissimo completo!" aggiunse poi, osservando le sue gambe snelle muoversi avvolte da un sottile pantalone di lino bianco. Melany non rispose. Con la sigaretta tra i denti era impegnata a cercare qualcosa nelle tasche del suo chiodino.
"Prego..." disse allora Walter allungandole un accendino.
"Oh, non sapevo che fumassi."
"No no, infatti. Io non fumo."
Melany fece scoccare la scintilla e la fiamma le scaldò il volto prima di accendere la sigaretta.
Restituì l'accendino al proprietario.
"Allora... grazie, Walter. Ci vediamo."
Melany non sapeva spiegarsi come, ma quell'incontro l'aveva lasciata un poco perplessa. Una strana sensazione le colava addosso, come se qualcosa di viscido le avesse appena sfiorato il braccio. Tuttavia si incamminò comunque tranquilla verso casa sua.
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GIORNO TERZO
Quella mattina Melany arrivò al lavoro con pochi minuti di ritardo.
Aveva sbrigato delle commissioni per conto del suo capo, ma non era riuscita a terminare prima dell'apertura dell'ufficio.
Salì quindi le scale zampettando scalino dopo scalino, a passo molto svelto. Il ticchettio dei tacchi echeggiò frizzante e secco lungo tutta la scalinata e poi per i corridoi.
"Signor Jonson, qualcuno ha per caso toccato la mia postazione?" chiese al suo capo quando, muovendo il mouse del computer, notò che il desktop era già acceso e non le venne chiesta alcuna password per entrare.
"No, nessuno." rispose lui dal suo ufficio. Una risposta data quasi in automatico, forse senza neanche aver compreso la domanda, che a grandi linee voleva dire qualcosa come "di sicuro IO non ho toccato la tua postazione, quindi non so e non mi interessa se qualcun altro lo abbia fatto".
Melany si accontentò facendosi andare bene la risposta e, a quel punto, non poté fare a meno di darsi della stupida da sola: solamente il giorno prima aveva rinunciato al condizionatore per poi scordarsi il computer acceso tutta la notte... non era proprio da lei.
"Addio, risparmio!" sbuffò seccata tra sé e sé mentre lasciava cadere la borsa ai piedi della scrivania.
La mattinata passò svelta tra fatture e bolle da archiviare, così come il pomeriggio.
Un'ordinaria giornata di lavoro.
"A domani, signorina Joy." la salutò il capo prima di uscire.
"A domani, Signor Jonson... Se vuole passare dalla lavanderia, mi hanno assicurato che la giacca sarebbe stata già pronta."
"Oh, perfetto. Buona serata allora!"
Poco dopo il suo capo, anche Melany allungò le braccia stiracchiandosi la schiena prima di alzarsi dalla scrivania, pronta per andarsene.
Il tramonto sembrava vicino eppure il sole sembrava ancora molto caldo. Guardò fuori dalla finestra per cercare di capire come fossero vestiti i passanti che camminavano lungo la strada sotto di lei e tamburellò le dita sul davanzale, indecisa. Alla fine decise che non avrebbe indossato il chiodino in pelle.
Afferrò la borsa e si incamminò trottando verso l'uscita stringendo il chiodino tra le mani.
"Ciao Walter!" esclamò ancora prima di vederlo, sicura del fatto che lo avrebbe trovato nell'atrio.
"Buonasera, signorina Joy!" rispose infatti la sua voce.
L'uomo paffutello le si avvicinò gaio e gioioso, come sempre.
"Immagino sia di fretta oggi."
"Si, certo. Effettivamente lo sono... Perché me lo chiedi? Si vede?" chiese Melany mentre procedeva con grandi falcate lungo la strada.
"No, assolutamente. Elegante come sempre! Solo immaginavo che per il suo compleanno avesse organizzato qualcosa."
Melany rallentò il passo confusa e finalmente anche Walter poté tirare un respiro di sollievo. Starle dietro cominciava a diventare faticoso per lui.
Lei teneva la sigaretta ancora fumante tra le dita e gli rivolgeva uno sguardo dubbioso.
"Si... ma come fai a sapere del mio compleanno?"
L'uomo sorrise pacifico, asciugandosi il sudore della fronte con il dorso della mano.
"Ecco, signorina Joy... questa mattina stavo pulendo il suo ufficio e senza volerlo mi è capitato di vedere il promemoria aperto sul desktop del computer. Quindi... se non sbaglio aperitivo a casa di Francy, giusto?"
Melany sospirò spazientita.
"Si, certo. Aperitivo a casa di Francy... però potresti non intrometterti più nelle mie cose private, Walter?"
Gettò la sigaretta a terra e la calpestò, irritata dall'indiscrezione e dalla poca professionalità dimostrata dall'uomo.
"Me lo prometti? Te ne sarei grata! Allora ci vediamo, eh!" fece poi, allontanandosi a passo svelto e sforzandosi di rivolgergli comunque un saluto cordiale, per mantenere un quieto vivere tra loro.
Lui la osservò sparire nella folla. Le braccia fini che ondeggiavano sinuose lungo i suoi fianchi, finalmente nude senza il chiodino in pelle a coprirle. Walter, appagato della vista, tirò fuori dal tascone della tuta la sua rivista e ricominciò a sfogliarla, dirigendosi a sua volta verso casa.
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GIORNO QUARTO
Melany sorrise soddisfatta quando vide il signor Jonson entrare in ufficio con la giacca che lei stessa aveva consegnato in lavanderia. Alla fine aveva fatto un buon lavoro e fortunatamente anche le signore della lavanderia erano state efficienti.
Tutto perfetto.
"Signorina Joy, potrebbe stamparmi gli ultimi andamenti di mercato? Li aspetto sulla mia scrivania." le aveva chiesto prima di sparire dietro la porta in vetro del suo studio.
La ricerca fu facile e rapida, ordinaria amministrazione, una richiesta che le veniva rivolta almeno due volte alla settimana. Qualcosa però la bloccò e si vide costretta a presentarsi davanti la scrivania del Direttore a mani vuote.
"Signor Jonson, le ho inviato per e-mail le analisi che mi aveva chiesto. Purtroppo ho un problema con la mia stampante... sembrerebbe fuori uso."
"Capisco." Fece lui senza alzare lo sguardo dai documenti sparpagliati sulla scrivania e appuntando cose un po' qua e un po' là.
"Chiama pure un tecnico e fissa l'appuntamento quando preferisci."
Il suo capo era davvero sommerso di troppo lavoro per riuscire a stare dietro a ogni piccolezza.
Certe sviste erano comprensibili, ma Melany aveva già la soluzione pronta e gonfiò di nuovo il petto fiera prima di parlare.
"Non si preoccupi, lo chiederò a Walter. Lui dovrebbe saperci fare con le stampanti." Disse quindi, soddisfatta di aver risolto così velocemente anche quel piccolo contrattempo.
"A chi?" chiese il Signor Jonson, rivolgendole finalmente lo sguardo.
"A Walter. Anche io ci ho messo un po' a ricordare il suo nome! È il nuovo tuttofare."
Per qualche motivo quelle parole stupirono il signor Jonson al punto tale da convincerlo ad alzarsi e ad allontanarsi dai suoi prezioso documenti. Fece il giro della scrivania e si posizionò di fronte a Melany.
"Di cosa sta parlando?" chiese curioso, appoggiandosi leggermente al banco dietro di lui e incrociando le braccia, pronto a studiare la risposta della sua dipendente.
"Il... il nuovo tuttofare, Walter..." balbettò Melany confusa.
"Quello che abbiamo assunto dopo Luke..."
"Signorina, la prego aspetti!" la bloccò allora il suo capo, sollevando la mano aperta per zittirla.
"Non abbiamo assunto nessuno dopo Luke."
disse secco e dal momento che il silenzio calò brusco in quella stanza, il Direttore proseguì nella sua spiegazione.
"Lui si è licenziato e non abbiamo ancora trovato un sostituto... e non so se lo faremo, sinceramente. Una cooperativa ci manda un paio di donne delle pulizie una sera alla settimana e tanto basta per ora. L'azienda non può permettersi spese superflue in questo momento."
"M-ma..."
In quel momento il telefono squillò, fastidioso e inopportuno, ma il signor Jonson non poteva non rispondere.
"Signorina Joy, continueremo il discorso in un secondo momento. Mi sembra strana... se ha bisogno di ferie me lo faccia sapere, cercheremo di organizzarci." disse, mentre reggeva già la cornetta sospesa a mezz'aria.
La chiamata però riportò il Signor Jonson su una questione molto delicata, che lo tenne impegnato tutto il pomeriggio e non vi fu più modo di parlare con lui per tutto il resto della giornata.
Quella sera Melany decise di uscire qualche minuto prima del solito. Non voleva ammettere di essere turbata da ciò che le aveva raccontato il direttore, sicuramente c'era una spiegazione plausibile al malinteso, tuttavia avrebbe volentieri evitato il suo incontro giornaliero con il caro Walter.
La mossa si rivelò poco proficua e, come sempre, l'uomo le si avvicinò sorridente nell'atrio del palazzo.
Le porse un pacchetto di Winston Blue e l'accendino.
"So che non è un ottimo regalo di compleanno ma... spero che si sia divertita a casa di Francesca!" L'uomo era sempre gentile e premuroso con Melany.
"Walter, forse ho capito male..." cominciò lei, senza accettare le sigarette.
"Ma pensavo che tu fossi il nuovo tuttofare della nostra azienda... giusto oggi mi hanno detto che non abbiamo nessun tuttofare al momento... senti, come mai sei sempre qua?"
chiese Melany, sinceramente confusa e curiosa.
"Oh, si. Certo! No, no... io non lavoro per la vostra azienda, ma mi manda una ditta esterna." rispose Walter, insistendo nel porgere il pacchetto di sigarette verso di lei.
"Il Sig. Jonson mi ha detto che vengono delle donne delle pulizie di sera, dopo la chiusura. E solo una volta alla settimana..." proseguì Melany, cercando le sue sigarette dentro la borsa e continuando volutamente ad ignorare quelle di Walter.
"Il Sig. Jonson probabilmente ha troppe cose a cui pensare."
Walter non sorrideva più.
Era chiaramente scocciato dalla conversazione e le sigarette che tendeva verso di lei ora sembravano una minaccia più che un offerta.
Il braccio teso e la mano dal dorso peloso che stringeva un po' troppo quel pacchetto di Winston Blue, il suo sguardo d'improvviso severo posato fermo su di lei.
Melany si rese conto di quanto quell'uomo sapesse incutere timore, quando non sorrideva.
Si affrettò a tirare fuori una delle sue sigarette e ad accenderla e solamemte allora Walter rimise il pacchetto nei tasconi della tuta, girandosi e allontanandosi dalla ragazza senza aggiungere altro a quanto già detto.
Melany, con le mani stranamemte tremanti, stava allontanando la tanto agoniata sigaretta dalla bocca cercando di non badare al suo cuore che, non ne aveva ben compreso il motivo, ma aveva accelerato di poco il battito.
Sul marciapiede Walter camminava allontanandosi da lei, ma non senza essersi voltato almeno una volta ad osservare la sua silhouette snella girarsi in tutta fretta e sgambettare via, verso casa.
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GIORNO QUINTO
Melany non aveva dormito bene quella notte. Si era persino svegliata prima del solito e ora era seduta alla scrivania del suo ufficio in largo anticipo, aspettando con ansia l'arrivo del sig. Jonson.
Osservava la sua immagine riflrssa nello schermo scuro del PC spento, mentre con la mano sinistra picchiettava nervosamente la coscia. Le occhiaie e i capelli arruffati, che tentò invana di sistemare, tradivano tutte le poche ore di sonno passate.
Finalmente intravide dalla porta aperta dell'ufficio il profilo alto e snello del direttore camminare a passo svelto nel corridoio. Goffamente si alzò dalla sua postazione per raggiungerlo, inciampando nella sua stessa borsa e maledicendo quell'assurda abitudine di lasciarla abbandonata per terra.
Dopo poche falcate, si presentò agitata davanti alla scrivania del signor Jonson senza sapere di preciso da che parte iniziare il discorso.
"Buongiorno, signor Jonson."
Le sembrò sicuramente la cosa più sensata da dire per prima.
"Scusi se la disturbo così presto, ma vorrei parlarle di Walter."
"Di nuovo con questo Walter? Posso assicurarle, signorina, che nessuno con quel nome lavora per noi."
"Ecco, però..."
Melany stringeva il palmo della mano destra con la sinistra. Il pollice stringeva così forte il palmo della mano da farlo sbiancare, mentre lei si costringeva a continuare a parlare.
"Lui è sempre nell'atrio quando esco dal lavoro. Dice che lavora per noi e fa sempre un pezzo di strada con me tornando a casa..."
Sul volto del direttore si dipinse una nuova espressione.
Il suo volto severo, tipico di chi cerca di sbarazzarsi alla svelta di un fastidio, si ammorbidì e invitò la signorina Joy ad accomodarsi dal suo stesso lato della scrivania.
"Questo è strano."
Disse pensieroso mentre lei muoveva i pochi passi che la separavano da lui.
"Sono piuttosto sicuro che la cooperativa ci mandi due ragazze ogni mercoledì sera... ma venga, signorina, controlliamo insieme." disse, smanettando al computer.
Quando Melany si accovacciò alle sue spalle cercando di vedere cosa stesse facendo, potè notare che aveva recuperato i filmati delle telecamere di sicurezza piazzate nell'atrio e all'ingresso di ogni piano. Sullo schermo infatti una decina di quadratini trasmettevano in simultanea immagini catturate in diversi luoghi dell'edificio e in diversi giorni.
"Quando?"
Chiese diretto il capo.
"Tutti i giorni. All'uscita dal lavoro." rispose Melany decisa, con una certa curiosità che le cresceva nel petto.
Al Sig. Jonson bastarono pochi passaggi e due battute di tastiera perchè improvvisamente uno dei quadratini si fece tanto grande da riempire lo schermo per intero.
Nel video si poteva vedere la hall dell'edificio deserta. Il marmo bianco del pavimento traballava sotto i pixel sfuocati della telecamera.
L'orologio elettronico segnava le ore diciassette e quaranta.
Il portone si aprì cigolando e un uomo robusto si diresse con camminata sicura fino a una delle colonne decorative per sedersi sul basamento della stessa. L'uomo si guardò attorno un paio si volte e poi tirò fuori dai tasconi della tuta blu una rivista stropicciata che iniziò a sfogliare.
"È lui." sussurrò Melany.
"Ma che diavolo..."
Guardarono anche le registrazioni del giorno prima e di quello prima ancora.
Walter non lavorava lì.
Arrivava sempre allo stesso orario e sfogliava una rivista mentre aspettava che Melany finisse di lavorare e allora le si avvicinava radioso.
"I-io..." balbettò Melany, incapace di formulare realmente una frase adatta a ciò che aveva appena visto. Quanto avrebbe voluto avere gli occhiali da sole per nascondere il suo sguardo spaventato. Quanto avrebbe voluto non aver visto quelle immagini.
"Signorina Joy..." cominciò allora il direttore imbarazzato.
"Se oggi vuole uscire prima ovviamente non ci sono problemi. Si prenda la giornata libera, ci pensi su... pensi se non sia il caso di andare alla polizia..."
"La polizia?" farfugliò Melany.
Poi abbassò lo sguardo, fissando la punta dorata delle sue ballerine Emporio Armani e senza mai distogliere lo sguardo cercò di esprimere a parole ciò che realmente voleva.
"I-io vorrei finire il turno di lavoro. Non vorrei uscire adesso, da sola poi... chiederò a qualche collega di accompagnarmi fuori finito il turno."
"D'accordo, Signorina Joy. Sarò io ad accompagnarti."
L'esile Liza, segretaria dell'ufficio di fianco a quello del Sig. Jonson, non sarebbe certo stata una buona accompagnatrice e non avrebbe mai scoraggiato alcun malintenzionato. Ma ora che il Sig. Jonson si era offerto personalmente di scortarla fuori, Melany si sentiva molto più tranquilla.
La giornata di lavoro fu comunque poco proficua e piena di distrazioni e la fine sembrava non voler arrivare mai.
Quando le lancette dell'orologio, ma soprattutto la voce del Sig. Jonson, richiamarono la sua attenzione lontano dallo schermo del computer Melany si sentì al tempo stesso sollevata di concludere quell'orribile turno, ma anche ansiosa. Voleva scappare via, ma anche nascondersi sotto la scrivania e non uscire più.
Controvoglia afferrò la borsa da sotto la scrivania, facendo in un primo momento scivolare i manici tra le mani che erano leggermente sudate.
Il Sig. Jonson l'accompagnò lungo il corridoio fino al pianerottolo dove premette il pulsante per chiamare l'ascensore.
"Io uso sempre le scale." disse lei nervosa.
Il Sig. Jonson non poté fare a meno di sorridere compiaciuto.
"Quando qualcuno ti aiuta... sai, si dice che a caval donato non si guarda in bocca..."
Rispose, mentre le porte dell'ascensore si aprirono accompagnate dal DIN metallico.
Non parlarono mentre l'ascensore scendeva inesorabile verso il piano terra.
Entrambi uscirono a passo svelto, rallentando poi nel mezzo dell'atrio e guardandosi attentamente attorno.
Tutti e due continuavano a non dire nulla.
Melany deglutì imbarazzata e strinse più forte la borsa tra le sue mani. "Maledetto bastardo, proprio oggi decidi di non farti vedere?!" pensò mentre serrava la mascella e deglutì un grumo di saliva.
Chissà cosa avrebbe pensato il Sig. Jonson...
Le suole delle ballerine di Melany picchiettavano sul marmo freddo del pavimento, come se lo stessero prendendo a schiaffi, e ogni colpo rimbombava per tutta la hall. Vennero interrotte solo dal rumore prolungato della zip del giubbotto che il Sig. Jonson chiuse prima di varcare la soglia dell'uscita.
la porta automatica fece loro strada e finalmente erano fuori, dove tutto sembrò subito diverso.
L'aria più leggera e le gambe meno pesanti. Il sole scaldava i loro volti e illuminava i loro capelli. Melany trasse un respiro di solievo e lo smog le sembrò aria fresca.
"Ecco, allora..." cominciò il Sig. Jonson per congedarsi da lei.
"Oh! La ringrazio infinitamente Direttore! Mi spiace così tanto averle fatto perdere tempo..."
"Non si preoccupi Signorina. Terremo sotto controllo le telecamere ancora per qualche giorno. Lei mi informi su qualsiasi stranezza."
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GIORNO SESTO
Nonostante fosse il suo giorno di riposo Melany aveva puntato la sveglia alle otto in punto. La sveglia suonò puntuale, ma lei era già in piedi da un po'.
La sera prima si era affidata un compito importante che avrebbe dovuto portare a termine in giornata, ma la sola idea l'aveva svegliata più volte nel corso della notte.
Quella mattina non doveva prepararsi per andare al lavoro e dovette ammettere che per la prima volta da diversi anni ne era felice. Tuttavia l'incombenza di quel compito non le permetteva di godersi fino in fondo la serenità della giornata e del riposo.
"Meglio farlo subito e non pensarci più."
Così dopo la colazione composta da un caffè ristretto e una barretta ai cereali e dopo una doccia veloce con acqua rigorosamente tiepida, quasi fredda, si infilò i nuovi pantaloni Trussardi e chiuse dietro di sé la porta dell'appartamento.
Aspettò l'autobus numero dodici, che arrivò con un ritardo di quindici minuti.
Non era una linea molto frequentata e a bordo trovò più di un posto libero, ma decise di non sedersi. Appoggiò la schiena a una parete dell'autobus e senza toccare nulla aspettò la sua fermata.
Si ricordava di quel posto.
Solo l'anno prima era stata lì con il Sig. Jonson e Liza a festeggiare il compleanno della moglie di Luke.
Quando suonò il campanello fu proprio lui a rispondere al citofono.
"Chi è?"
"Luke, sono Melany."
"Melany?!" chiese la voce gracchiante dal microfono.
"Scusa il disturbo..."
Luke la fece entrare.
Aveva la mano avvolta da garze mediche e si trascinava per casa appoggiato a una stampella con la quale sembrava ormai avere una certa dimestichezza.
"Posso offrirti un caffè?"
"Oh, no grazie. L'ho appena bevuto." rispose lei sedendosi su una sedia del tavolo in cucina.
"Non è che non mi faccia piacere vederti, ma come mai sei qua?" chiese allora Luke riempiendole un bicchiere d'acqua.
"So che ti sembrerà una domanda strana..." iniziò Melany titubante, tamburellando con le dita sul tavolo.
"Ecco, mi chiedevo... come mai ti sei licenziato?"
Luke inizialmente sembrò non aver sentito la domanda. Appoggiò il bicchiere d'acqua sul tavolo e si accomodò di fronte all'ex collega.
Lei inizialmente si chiese se non fosse il caso di ripetere la domanda, magari alzando un po' la voce.
Solamente dopo iniziò a chiedersi se non fosse stato troppo scortese da parte sua ignorare le sue bende e la stampella, saltare ogni convenevole riguardante la sua salute e arrivare subito al punto. "Cavolo, cosa ti è successo?" oppure ancora "come stai Luke? Non ti vedo in forma!" ecco alcune cose che avrebbe potuto dire prima di entrare nel vivo del discorso... Dopo poco però, mentre si stava già schiarendo la voce per ripetere la domanda, vide che Luke si portò le mani alle tempie massaggiandole con i polpastrelli, come chi sta cercando ardentemente di far passare un mal di testa oppure come chi sta cercando una risposta a una domanda scomoda.
"Perché me lo chiedi? Non ne ho mai parlato con nessuno... ho a malapena accennato qualcosa a mia moglie..."
"Ecco... diciamo che ci manchi! E io... io mi stavo chiedendo come mai non ci fossi più tu come tuttofare..." rispose Melany, sforzando un sorriso.
Il presentimento che l'aveva condotta lì era esatto: c'era qualcosa di losco o quantomeno di strano dietro il licenziamento di Luke. Qualcosa di cui lui non parlava con piacere.
"Ti è per caso successo qualcosa?" chiese allora Luke, grattandosi la testa con aria pensierosa.
"Cosa? Perchè? Luke ti prego, parla! Resterà tra me e te..."
La frase le si spezzò in bocca. Adesso basta girarci intorno, voleva sapere. Era quello il motivo per il quale era andata lì. La sua voce era incerta e tremante, non sapeva trovare le parole giuste e non sapeva fingere nonchalance.
Per la prima volta da quando era entrata in quella casa si tolse gli occhiali da sole, chiudendoli delicatamente e posandoli sul tavolo.
Gli occhi castani galleggiavano in profonde occhiaie nere e resti di trucco del giorno precedente. Con quello sguardo disfatto posò il peso della pressione sopra Luke.
"D'accordo." acconsentì lui.
"Ormai è passato circa un mese, ma come puoi vedere porto ancora la stampella." disse ridacchiando, come per prendersi in giro da solo, e battendo con la stessa due colpi secchi contro il pavimento.
"Io non volevo licenziarmi, inizialmente."
Melany sorseggiò un po' d'acqua, cercando di convicere Luke di aver ritrovato un certo ritegno e mantenendo un'aria vaga, interessata ma non troppo alle sue parole.
Lui continuò a parlare.
"Ricordo che un uomo venne a chiedermi più volte se la ditta fosse in cerca di nuovo personale... ovviamente io non ne sapevo nulla! Gli risposi di rivolgersi alla reception, ma quello tornò da me, con la stessa domanda per diversi giorni...
Poi mi chiese più nello specifico se il MIO posto fosse disponibile." spiegò Luke battendosi la mano sul petto.
"Mi chiese se stessi pensando di andarmene, diceva che dovevo guardarmi intorno, che avrei dovuto lasciare quel posto a chi ne aveva bisogno..."
A quel punto un solo pensiero si fece strada nella mente di Melany e vorticava all'infinito dentro di lei, ma non trovò la voce per esprimerlo a parole. Avrebbe voluto chiedere di descrivere quell'uomo, ma aveva paura della risposta. Aveva paura di sapere già, in realtà, come fosse fatto quell'uomo.
"Poi..." Luke alzò la sua stampella in modo da renderla visibile da sopra il tavolo.
"...Poi poco tempo dopo mi sono ritrovato accucciato in un vicolo a prendere calci e pugni come un animale." sputò fuori velocemente Luke che, imbarazzato, abbassò lo sguardo sulla superficie liscia del tavolo.
Luke non era mingherlino. Era un uomo non ancora sulla quarantina, alto e asciutto e da poco si era iscritto in palestra per mettere su un po' di massa.
Di certo non era una persona che sentiva il bisogno di guardarsi le spalle se tornava a casa di sera tardi.
Quell'attacco lo aveva spaventato. A causa della sua sicurezza non se lo sarebbe mai aspettato. Quella volta sentì il pericolo, ma anche l'umiliazione di essere inerme di fronte al volere di un altra persona di fare ciò che vuole con il tuo corpo, in questo caso farti del male, ferirti. "Dovevo andarmene, era chiaro... era stato quell'uomo! Ne sono certo anche se era già buio... a mia moglie ho detto che un idiota in scooter mi ha investito.
Ma dimmi, Melany... perché me lo chiedi? Ti è successo qualcosa?"
E ora?
Parlare o non parlare?
Ammettere di essere in pericolo?
Era davvero in pericolo?
Se non lo fosse stata, sarebbe sembrata ridicola.
Eppure non c'erano più dubbi! No, era lei a non avere più dubbi... ma se si stesse sbagliando?
"G-grazie..." balbettò in fine con un filo di voce.
"S-scusami Luke! Non volevo essere indiscreta. Ti... ti auguro di rimetterti presto!" continuava a farfugliare mentre cercava una scusa qualsiasi per andarsene, ma il suo corpo aveva già posato il bicchiere d'acqua sul tavolo e si era già alzato dalla sedia.
"Hey Mel, hai il mio numero. Chiamami per qualsiasi cosa, d'accordo?"
Lei annuì forte con la testa e balzò fuori da quella casa non appena Luke le aprì la porta.
Corse per qualche metro verso la fermata del bus, ma dove stava andando?
Perché tutta quella fretta?
Non aveva una meta.
Eppure non riusciva a smettere di correre.
L'unico suo desiderio era rinchiudersi tra le mura sicure di casa e forse piangere, o forse urlare.
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GIORNO SETTIMO
Cosa successe quel giorno al lavoro?
Melany non lo ricorda.
Tutto quello che sa è che aveva un unico pensiero fisso.
Ricorda che più si avvicinava la chiusura degli uffici, più il suo cuore batteva forte.
Voleva chiedere al suo capo di accompagnarla fuori, come l'altro giorno, ma lui a malapena la salutò entrando e la evitò accuratamente per tutto il tempo.
Ricorda che le diciotto arrivarono in un baleno e che, controvoglia, si infilò il suo fedele chiodino in pelle prima di uscire.
"Buonasera, signorina Joy." disse Walter che la stava aspettando in piedi davanti all'ultima rampa di scale.
"Buonasera Walter." rispose lei, infilandosi gli occhiali da sole e mantenendo lo sguardo rivolto al pavimento.
Non appena saltò giù dall'ultimo gradino provò a sgattaiolare via dalle attenzioni dell'uomo che però l'afferrò malamente per un braccio, bloccandola.
"Non usciamo insieme?" chiese con tono molto freddo.
Melany non rispose.
Rallentò il passo per permettere a Walter di seguirla, ma senza mai alzare lo sguardo.
"Sai, siete proprio una bella coppia tu e quell'imbecille di Hermes Jonson... vi ho visto l'altro giorno! Dove siete andati?"
"Smettila, Walter! Mi stai spaventando. Lasciami andare!"
"Ti sto spaventando?! Come? Sono sempre stato gentile con te!"
I due stavano oltrepassando l'ingresso del palazzo.
Da quel momento in poi nessuna telecamera avrebbe più vegliato su di loro.
Walter le lasciò il braccio, iniziando a frugare tra i tasconi della sua tuta blu.
"Guarda! Io sono gentile e tu hai paura di me!"
Disse poi, quando finalmente trovò ciò che stava cercando. Quasi urlò mentre con rabbia le lanciava addosso un pacchetto di Winston Blue, ormai tutto accartocciato. "Sei proprio una bella puttanella, lo sai? Il tuo Sig. Jonson è sposato! Non lo sapevi?"
"Ma cosa ti sei messo in testa, Walter? Lui è solo il mio capo!"
Melany camminava ingobbita, non solo lo sguardo ora era rivolto verso il basso, ma tutto il suo corpo avrebbe voluto appiattirsi e sparire nell'asfalto nero sotto di loro.
"Non ti preoccupare... lo so che non è colpa tua.
Ci ho pensato io e non ti darà più fastidio."
"Cosa?! C-cosa hai fatto?"
"Melany... mi hai detto che era destino che noi stessimo insieme! Che voleva dire qualcosa se finivamo di lavorare sempre insieme!"
"Tu sei pazzo! Tu non lavori nemmeno qua!"
Walter non aveva preso in considerazione una reazione del genere. Lui non era pazzo. Lui è Melany stavano insieme. Più volte era persino stato a casa sua...
Glielo avrebbe dimostrato.
Ma come?
Melany approfittò di quel momento di spaesamento di Walter e di una piccola scarica di adrenalina che attraversò il suo corpo. Afferrò la borsa stretta a sé e iniziò a correre.
Correva via, lontana da quell'uomo spaventoso... correva dalla polizia, forse.
Sì, era lì che sarebbe dovuta andare e ora ne era convinta.
.
La denuncia richiese molto più tempo del previsto. Si rese conto che in realtà non era nemmeno sicura del vero nome dell'uomo che stava denunciando.
Chiese però alla polizia di presentarsi l'indomani alle diciotto all'uscita del palazzo dove lavorava e loro promisero che ci sarebbero stati, in borghese, pronti a porre la parola "fine" a tutto questo.
Un po' rincuorata dall'incontro si spinse stancamente verso casa, un piccolo bilocale al terzo piano di una vecchia palazzina in centro città.
Prese l'ascensore, anche se di solito preferiva fare le scale.
Piano terra.
Primo piano.
Secondo piano.
Arrivati al terzo le porte si aprirono davanti a lei.
Pochi passi in avanti e poi si girò verso sinistra.
Teneva già le chiavi dell'appartamento a penzoloni tra le mani, ma notò subito che qualcosa non andava.
Si girò indietro e guardò in alto, vicino all'ascensore, per accertarsi di essere al terzo piano ed effettivamente era proprio così.
La porta del suo appartamento era già aperta.
Avvicinandosi notò che la serratura era stata forzata.
Davanti quella scena si chiese se fosse saggio entrare.
No, non era saggio, ma nessuno l'avrebbe cacciata da casa sua, dal suo posto sicuro!
Strinse le chiavi nella mano destra, facendo uscire dalle nocche la sporgenza dentata della chiave più lunga.
"C'è qualcuno?" chiese ad alta voce entrando.
La luce era spenta.
Il locale era silenzioso.
Non sembrava esserci nessuno all'interno.
Spinse l'interruttore della luce, mantenendo la mano destra stretta in un pugno e la borsa davanti al suo corpo con la sinistra.
"C'è qualcuno?" ripeté.
Nessuno rispose.
Melany mosse pochi passi all'interno dell'appartamento.
Al centro del salotto aveva un piccolo tavolino in vetro e solo allora notò che sopra vi era posato qualcosa. Era qualcosa che di sicuro non era stata lei a lasciare.
Si avvicinò cauta.
Era... era una rivista.
La copertina era normale, un vecchio numero di una rivista di gossip con diverse celebrità sorridenti e una scritta pacchiana a sovrastarle.
Melany volle provare a sfogliarla, era sicura non fosse sua.
Al tatto però risultò strana.
Era appiccicosa, viscida, e appena si rese conto di questo la gettò a terra disgustata. Che cosa stava toccando?
La rivista cadde a terra, aperta e stropicciata, ma tuttavia si potevano vedere bene le foto di pagina ventitré.
Erano foto di un corpo nudo, sembrava si stesse lavando.
Melany si avvicinò e...
"Questa..." Quello era il corpo di Melany!
Era proprio lei, sotto la doccia di casa sua.
Lo shock di quel momento la destabilizzò, superò il ribrezzo che provava verso la sostanza appiccicosa che ricopriva la rivista e si sforzò di riprenderla in mano.
Con orrore scoprì che la rivista era interamente composta da sue fotografie scattate da diverse angolazioni, da tutte e tre le finestre dell'appartamento, compresa la finestra del bagno!
Compresa quella volta che il suo amico Gary si era fermato a dormire da lei e insieme avevano bevuto un po' troppo.
A quel punto a Melany non rimasero nemmeno più le forze per reggersi in piedi.
Le ginocchia tremarono prima di cedere sotto al suo peso.
Solo quando Melany si ritrovò a terra con gli occhi gonfi di lacrime notò l'ultimo oggetto posato sul tavolino in vetro del suo salotto: un pacchetto non ancora aperto di Winston Blue.
.
Quella notte Melany pianse molto.
Non si sdraiò nel suo letto, ma stette tutta la notte rannicchiata tra il tavolino in vetro e il divano di casa sua, sapendo che la sua porta non era chiusa. sapendo che anche se lo fosse stata non avrebbe tenuto lontano Walter. E sapendo che avrebbe messo in pericolo qualsiasi persona alla quale avrebbe chiesto aiuto.
Quella notte, tra le sue lacrime e lo sperma di uno sconosciuto, Melany si chiese se quella non sarebbe stata l'ultima notte della sua vita...




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