1. Il manuale della fangirl: fingi finché non li convinci La Professoressa osserva con severa austerità il plico di fronte a lei, lo studia più e più volte e ne legge attentamente tutti i punti; infine, dopo un attento esame, si accinge ad apporre la sua firma. «Lei ne è proprio sicura?» Marta trasecola, ora che la Professoressa Fabrizi la fissa con quello sguardo solenne non ne è più così convinta. Lei prende il silenzio come una forma d'assenso, però, risparmiandole la tortura di doversi fare l'ennesimo esame di coscienza. «E va bene, signorina Marchesi. Se è proprio questo il tipo di stage che desidera fare, eccola accontentata. Sarà un'esperienza formativa, se non altro.» Nel proferire quelle parole, le porge anche una bella pila di fogli e così può dir concluso l'infinito iter burocratico che l'ha costretta a seguire, quasi alla stregua di un segugio, la responsabile di Dipartimento. La Professoressa Fabrizi è una donna schietta e sincera, le ha fatto intuire sin da subito che fare uno stage presso un Magazine online poteva voler dire solo una cosa: uno svergognante sfruttamento, una parabola italiana che tristemente non ha mai cessato di essere contemporanea. Afferra il suddetto plico, ringrazia la sua papabile futura relatrice e si avvia verso l'uscita, tirando un gran sospiro di sollievo. Marta Marchesi, classe 1996, futura (si spera) laureata in Scienze dello spettacolo e produzione multimediale in tempi non troppo epopeici, ha finalmente tutto ciò che le serve per poter procedere all'ultimo tirocinio della sua vita da studentessa. Poi, forse, inizieranno quelli da lavoratrice sottopagata, nelle migliori ipotesi, ma non è ancora un problema all'ordine del giorno. Quindi, cammina a passo spedito verso la Segreteria per consegnare la modulistica e sperare che la sua richiesta venga accettata quanto prima. Le avevano consigliato di far domanda ad un laboratorio cinematografico, sua madre le aveva persino dato una lista di attori ai quali chiedere un autografo, immaginandola come una mera stalker sul set, ma la verità è che Marta ha bisogno di essere sfidata per poter rendere. Fare qualcosa in cui dovrebbe solo apprendere dietro le quinte, non aizzerebbe il suo animo impetuoso. Se non è stimolata, se non è messa sotto costante pressione, accompagnata da una sana scarica di energie e adrenalina, non è in grado di reagire al meglio. Così, quando ha letto che il Magazine online Le voci - Proposte per il futuro era in cerca di stagisti, anche sotto forma di tirocinio curricolare, Marta ha inviato la sua candidatura per quel che proponevano con tanto ardore e trasporto, almeno stando all'annuncio. Si tratta di uno stage alquanto atipico, in effetti non sa nemmeno perché sia comparso nel suo motore di ricerca. Voci di corridoio dicono che l'Università stia tentando una strada del tutto nuova,
per prendere in prestito un'espressione americana pare che stiano pensando al di fuori degli schemi. Il Magazine propone un laboratorio interattivo, finalizzato ad una ricerca di mercato che le consentirebbe di apportare il suo contributo. In termini molto pratici, significherebbe avere delle referenze da poter inserire nel suo Curriculum e non ha nascosto né a stessa né alla Professoressa la reale ragione che si cela dietro tanta insistenza. Ora che le beghe burocratiche possono dirsi concluse, Marta può finalmente concedersi del sano relax scongelando l'ennesima pizza sulla quale far affidamento e una nuova maratona televisiva, poiché nulla la separerà dall'imperituro amore che prova nei confronti del catalogo di Netflix. Sta per l'appunto sfogliando le serie storiche che il catalogo offre, commentando tra sé e sé l'encomiabile capacità di sintesi delle sinossi, quando viene distratta dallo sguardo indagatore della sua coinquilina. «Sei in una delle città europee più mondane e indossi i calzini di pile alle 21:30.» Greta, la sua nuovissima e gaudente coinquilina, la sta osservando dallo stipite dalla porta a braccia conserte. Vivono insieme da quasi sei mesi ormai, eppure non ha ancora imparato le basi della civile convivenza: bussare alla porta è una tecnica che non è stata ancora affinata, ad esempio, sebbene le abbia lanciato delle occhiatacce al riguardo più e più volte. Non le ha ancora fatto il cosiddetto discorsetto poiché nel tugurio qual è la loro casa, sito nella periferia milanese, vorrebbe evitare il cosiddetto drama ove non strettamente necessario. La sua gioviale coinquilina possiede tante doti, la schiettezza è tra le più notevoli senza alcun margine di dubbio; alcune volte era stata anche capace di convincerla a mollare la sua serie televisiva preferita, impresa non da poco, per immergersi nei turbinii della vita mondana, ma la maggior parte delle volte si limitava ad elargirle consigli non richiesti. «Nuova moda autunno-inverno! Tu, invece, sempre alternativa.» Greta sfoggia un mezzo sorriso, è quasi certa che si stia trattenendo per non dargliela vinta. Quello, d'altronde, è il loro modo di scherzare e sebbene Marta non abbia mai conosciuto qualcuno di più incompatibile a livello caratteriale, per qualche strana ragione vanno d'accordo. «Be', si dà il caso che stasera abbia un appuntamento.» Si siede comodamente sul lettino con l'intento di mostrare il suo nuovissimo vestito di velluto nero, ha tutta l'intenzione di essere un acquisto che le farà centellinare la spesa per le prossime due settimane. Ormai ha imparato a riconoscere i segnali, quando Greta lascia in sospeso le frasi così — senza aggiungere ulteriori dettagli, si intende — desidera solo un appiglio che dia il via al libero sfogo. Marta chiude il suo portatile, si rende ben presto conto che il suo party hard in compagnia della filmografia di Tom Hiddleston può dirsi iniziato e concluso in una frazione di secondo. «E chi sarebbe questo tipo? O meglio, chi sarebbe questa settimana?» E soprattutto, anche se non glielo chiederà mai, quando ne ha il tempo? «Donna di poca fede. Stavolta è quello giusto, me lo sento.»
Grande classico della sua coinquilina, le fa quasi tenerezza, è la frase più quotata del suo vocabolario. Il punto è che, nonostante l'estremo cinismo e la schiettezza di sottofondo, Greta non è poi così lontana da Anna Scott quando confessa a William Thacker di essere solo una ragazza che sta di fronte ad un ragazzo e gli sta chiedendo di amarla. Tutto questo, però, non lo ammetterà mai — anche se ha sentito le battute di quel film almeno quattro volte negli ultimi mesi provenire dalla sua camera. «Comunque, l'ho conosciuto a lezione» prosegue, osservandosi le unghie smaltate. «Oh, abbiamo anche il tipico cliché» Marta fa per avvicinarsi con la sedia girevole. «Mi sembra che ci siano tutti gli elementi per l'inizio di una commedia romantica.» «No, non hai capito...» Greta si tortura in maniera un po' insolita le dita, ma prima che possa proseguire il campanello suona e mette fine a quella chiacchierata. Marta scatta in piedi: «Non mi dire che ti è venuto a prendere sotto casa.» Vorrebbe affacciarsi alla finestra, ma Greta glielo impedisce: «Non ti far sgamare così!» Si sistema le pieghe inesistenti dell'abito di velluto, si aggiusta un po' i ricci e corre a rispondere al citofono, lasciando Marta a metà tra l'incuriosito e il sospettoso. «Adesso mi dirai che ha pure la macchina» la interrompe, mentre sta afferrando la pochette glitterata. Deve aver colpito sul vivo, poiché lei non la sferza con alcuna risposta. Prima di chiudersi la porta alle spalle, come al suo solito, le lancia un ammonimento: «Non mi diventare una hikkomori, mi raccomando.» Marta fa un cenno di diniego col capo, pensa che il suo repertorio di improperi si debba essere ampliato a dismisura per andare a prenderli addirittura in prestito al vocabolario del Sol Levante. «Sto aspettando una chiamata, se ci tieni a saperlo!» «E se ne perdono tante altre, cara mia. Vabbè, buonanotte...» E così se ne va così com'è entrata nella sua camera, con la battuta sempre pronta e il tempismo perfetto per erogarla, salvo poi ripensarci l'indomani lasciandole un pensiero sul tavolino in cucina. Greta fa sempre così, d'altronde, quando la sua lingua non riesce proprio ad attorcigliarsi attorno alle parole e non è capace di metter loro un freno a mano: il giorno dopo se ne pente e le lascia un biscottino, una caramella, una bandierina bianca materiale e figurativa. Greta si tira la porta verso di sé e Marta sta ancora sventolando la mano, presa com'è dal dar forma a quelle ultime parole. Rinsavisce solo quando il richiamo del suo cellulare le fa notare che ha la batteria scarica, quindi torna nella sua camera e riprende laddove aveva lasciato. Apre il laptop, dopodiché avvia il suo Desktop remoto — una simpatica chicca che suo padre, informatico di professione, le aveva preinstallato e insegnato tanto tempo fa —, tira in avanti le braccia per sgranchire le dita e si perde in quel mondo che le appartiene da una vita e, pur tuttavia, preferisce tener segreto.
La vita di una fangirl non è facile, sarebbe più semplice confessare di essere una spacciatrice. Come spiegare alle persone che guardare fan video fino ad orari improponibili in posizione fetale, rigorosamente sotto le coperte, ha un potenziale quasi curativo dopo una stressante giornata e che quei video correlati sono di gran lunga più piacevoli e terapeutici di qualsiasi torpore da ubriacatura si prospetti all'orizzonte? E come spiegare che le fan fiction sono la prova schiacciante che debba esistere un Dio da qualche parte, dacché le donano una fiammella di speranza laddove gli autori l'hanno distrutta per sempre? E che, anzi, i fan writer talvolta riescono a colmare le lacune ben più degli autori stessi, portandola a credere che quel che legga sia mille volte più reale di quel che è stato pubblicato e vergato su carta. Non è facile assistere alle blande conversazioni in Università, tra una lezione e l'altra, con la voglia di intervenire a favore di un personaggio bistrattato o di una serie televisiva liquidata con un: "Non ci si capisce niente, vai a capire il significato", mordicchiandosi il labbro inferiore perché ci si è appena scritto un post d'analisi nella propria pagina, ma la persona in questione non verrà mai a saperlo e non potrà mai rifletterci su. Essere una fangirl significa celare la propria identità, il proprio estro creativo, l'anima che vorrebbe uscire allo scoperto, ma alla fine se ne sta rinchiusa là, in una gabbia dorata, a godersi la dissoluta vita in un angolo dello schermo (ben remoto, attenzione). * La famosa chiamata arriva di lunedì pomeriggio, mentre è intenta a rispondere alla dimenticatissima posta arrivata nella sua pagina. Non è che voglia ignorarne il contenuto, è solo molto difficile gestire una grande comunità di persone, intrattenerle con dei contenuti accattivanti e star dietro a tutte le attività che gestire una pagina porta con sé. Una voce pacata le rammenta l'indirizzo e l'orario in cui dovrebbe presentarsi in Ufficio, Marta annota tutto nella sua agendina poiché sa già che la sua labile memoria non preserverà quelle preziosissime informazioni. Non le sembra vero, potrà finalmente sbarazzarsi dell'aberrante abbigliamento casalingo che da qualche tempo si è quasi cucita addosso in favore di una linea decisamente più professionale. Presa dall'entusiasmo del momento comincia a tirar fuori dal suo armadio una quantità non indifferente di capi sulle nuance del beige, si sfila la discutibile felpa che sta indossando e inizia a combinarli insieme, specchiandosi per ammirarne il risultato.
Dal riflesso può vedere la sua felpa con le Superchicche e, in effetti, l'accostamento di quei capi così differenti sul suo letto pare quasi un ossimoro, forse più che mai rappresentativo delle sue due personalità. Quando Marta mette piede nel cosiddetto Laboratorio del futuro, testuali parole nell'annuncio, con la sua mise da donna in carriera ispirata a Elle Woods, si trova davanti una scena a dir poco spettrale: stormi di persone vagano da una parte all'altra dell'ufficio, gridando e insultandosi perlopiù. Le scrivanie sono piuttosto scarne, piene di tazze di caffè ormai stantio lasciate distrattamente accanto al monitor e una immane quantità di fogli sparsi nella sala, a terra, persino appiccicati sotto ai suoi tacchetti — sta iniziando a pentirsi di averli indossati, a saperlo li avrebbe conservati immacolati sino alla laurea. In mezzo a tutto questo frastuono, si fa avanti un giovane ragazzo e inutile dire che sta venendo proprio verso di lei, l'unica persona alla quale non sta partendo un embolo. Ha un abbigliamento casual, sembra anche piuttosto giovane, ma qualcosa nel suo sguardo le suggerisce che dev'essere più grande di lei, nonostante non sia in grado di dargli una età. «Fammi indovinare, stagista al primo giorno» la bercia, puntandola con la matita. «Tutte preconfezionate, eh.» Marta inarca un sopracciglio, non sa assolutamente cosa voglia dire questo sconosciuto e non sa nemmeno se ci tiene a saperne di più, in effetti. Prima che le dia il tempo di ribattere, però, il suddetto soggetto le fa cenno di seguirla e le ricorda che si occuperà di spiegarle le basi, quindi dovrà fare molta attenzione poiché ci tiene a non doversi ripetere. Marta osserva da una distanza effimera l'andatura un po' incerta del suo personalissimo Cicerone e tenta di prendere appunti mentalmente, ma lui vomita una serie di informazioni e lemmi — sembra che abbia inghiottito un vocabolario, Marta denota che a malapena riprende fiato —, dei quali peraltro ignora completamente il significato. Solo quando giungono in quella che sembra un'ampia, luminosa sala riunioni, in netto contrasto con il caos al di là dei vetri, la sua mente si focalizza finalmente su tre agognate paroline. Ricerca di mercato. Il tonfo di un consistente blocco di fogli tenuti insieme da una rilegatura a spina di pesce emette un'eco nella stanza, mostrandole in primissimo piano una serie di grafici in bianco e nero. Marta impallidisce quando inizia a vedere tutta una serie di statistiche e di numeri, la matematica non è il suo forte — non a caso, lo ammette a sé stessa senza alcuna vergogna, conta ancora sulle dita. La sua espressione dev'essere piuttosto lampante a occhio nudo, ne segue una smorfia salace da
parte del suo diretto interlocutore: «Oh, ma tu non devi fare questo. Abbiamo i nostri esperti per un motivo ben preciso.» Marta annuisce poco convinta, poggia l'indice sul voluminoso blocco e si scuote con un certo vigore quando si accorge di non aver fatto una domanda fondamentale. «E quale sarebbe la ricerca di mercato?» «Marta, giusto?» «Sì.» Il ragazzo di fronte a lei si sistema la montatura, la osserva per un sol momento e la invita con lo sguardo verso l'uscita. «Marta cara, tu hai studiato Forme della serialità televisiva... no?» Si chiude la porta dietro di sé ed ecco che ripiombano nel caos dell'Ufficio, fatto di imprecazioni colorite e fotocopiatrici che si inceppano. Lui accorre con galanteria verso la suddetta fotocopiatrice, salva una poveretta sull'orlo di una crisi di nervi e poi le si affianca nuovamente. «Sì. Sì, ho già dato un esame.» «Mh. Ai miei tempi non eravamo ancora così avanti...» si gratta il mento, forse la mente si perde in congetture e vecchi ricordi. «Ne saprai sicuramente di più. La nostra ricerca è proprio questa, ci scriveremo su un articolo e realizzeremo un Laboratorio» Un momento, un Laboratorio sulle Forme della serialità televisiva? Vale a dire, parlare di serie televisive ed essere addirittura pubblicata per farlo? La mente di Marta vola ai format che potrebbe citare e alle citazioni che potrebbe scovare — il tutto sempre molto professionalmente, beninteso, senza dare nell'occhio e con un attento spirito d'osservazione. Intanto, mentre la sua fantasia pascola già altrove, non si è accorta dell'ennesimo foglio A4 finito sotto ai suoi tacchetti e quando deve abbassarsi quanto basta per sfilarlo, non può fare a meno di porre una domanda spontanea: «Ma... è sempre così da queste parti?» «Come?» Ormai l'ha detto, non esistono modi carini per evitare il fluire dei suoi pensieri. «Un covo di scimmie urlatrici, ecco.» Lui osserva il gran baccano nei paraggi, afferra alcuni fogli da una scrivania e poi obietta senza mezzi termini: «Nella tua vita scoprirai che gli uffici sono ben lontani da quelli de Il diavolo veste Prada.» Okay, se lo è meritato. Non osa ribattere, dopotutto non ha ben chiara la natura e il ruolo del soggetto che le è di fronte. Forse sarebbe il caso di chiederglielo, ma ancora una volta la sua curiosità trionfa sopra ogni cosa quando lui si perde a spiegarle una serie di lemmi coi quali è sin troppo familiare. A quanto pare la ricerca di mercato riguarda un'area ben precisa, il suo interlocutore si prodiga di
spiegarle il tutto sin nei minimi dettagli e, sebbene la sua espressione attenta e seriosa palesi un certo distacco emotivo, quel che sente smuovere dentro di sé è un marasma che non le dà pace. Tutto questo, però, deve tenerlo ben segregato nei meandri del proprio cuore, sia mai che sveli la sua reale natura. «Scusami, mi vuoi dire che dovrei analizzare...» «Il cosiddetto fandom, sì. Spero che tu sappia di cosa stiamo parlando.» Solo di mattina, pomeriggio, notte e notte fonda, sarebbe tentata di rispondere Marta, ma sta ancora cercando di dare un senso alla discussione. «Credo di sì.» «Bene. Perché ti spiegherò come fare una ricerca quantitativa e qualitativa. Prima, però, ti devi studiare tutta una serie di definizioni.» A quel punto lui tira fuori una serie di fogli che dovrebbero servirle da vademecum e, ci potrebbe giurare, ha visitato gli stessi siti che le sta stilando la notte prima. Difficile non palesare entusiasmo, soprattutto quando le capitano sotto gli occhi una serie di vocaboli sin troppo conosciuti: «Fangirl, fandom, fan fiction, fan video...» Si rende conto di averli letti a voce alta solo qualche secondo dopo, ma quando ormai se ne accorge l'espressione del suo interlocutore è già fissa su di lei, sembra ammonirla sardonicamente con lo sguardo. «Riesci a crederci? Roba da non avere una vita» infila le mani nelle tasche, un leggero cenno di diniego col capo. «Faremo uno studio sul fenomeno. E temo che avremo bisogno di campioni. Per cui se ne conosci qualche disagiato o disagiata... povera te, ma mettiti in contatto con queste persone.» Campione di disagiata numero uno sull'attenti, tra l'altro della specie peggiore: fangirl, amministratrice di pagine, fan writer e video maker. Marta ha sempre pensato che se fosse stata lasciata sulla Torre come Raperonzolo per diciotto anni, non se ne sarebbe lamentata così tanto. A patto di avere un Wi-Fi al quale rimanere connessa, ovviamente. Tuttavia, ricomporsi è fondamentale per non dare nell'occhio. Il manuale della fangirl prevede una regola non scritta fondamentale: fingere finché non si convince, poiché rendersi un soggetto inimmaginabile equivale ad essere la meno sospettabile. «Veramente proponete stage di questo tipo, qui?» «Che c'è, lontano dalle tue aspettative?» Al contrario, è il sogno recondito della sua vita da fangirl — vita che, stando alla dispotica posizione del suo collega, deve fingere di non conoscere affatto. «No, no, era solo una semplice curiosità.» «Bene. Anche perché è troppo tardi. Prenditi pure la raccolta dati, ma non condividerla con nessuno» le intima afferrando un giubbino leggero dalla matassa di cappotti abbarbicati sull'unico
attaccapanni della sala. «E vai a studiarli. Domani ti voglio preparata, cominceremo di buon mattino.» Improvvisamente sembra che abbia tutto l'intento di liquidarla in poche battute, forse si è ricordato di un impegno importante. O forse, molto semplicemente, non vede l'ora di togliersi di mezzo la nuovissima piattola alla quale ha dovuto spiegare per filo e per segno una noiosissima bega burocratica. Questa circostanza, però, non frena Marta dal seguirlo altrettanto celermente, sfidando la dolenza che le sta iniziando a provocare il suo nuovissimo acquisto. «Ma... il redattore? A chi devo far capo?» Si agita all'improvviso, accorgendosi anche di aver alzato il tono di un'ottava, poiché il coro di voci alle sue spalle si tramuta lentamente in un imbarazzante silenzio. Seguono alcune risatine di circostanza e mai come allora sta rimpiangendo il gran vociare. Sarebbe comunque preferibile alla certezza che si sta pian piano facendo largo nella sua mente, portandola a dannarsi per la sua lingua lunga e la capacità di ricezione di un criceto che dev'essere stato sbattuto dalla ruota girevole alla più tenera età. «Ce l'hai davanti. Per quanto sconvolgente per te, questo covo di scimmie urlatrici ha sempre portato a termine qualsiasi progetto.» Alcune volte dovrebbe esserci concessa la capacità di scavarci una bella buca nel bel mezzo del nulla e sostarci dentro per il tempo necessario, tanto per evitare le responsabilità della vita. Marta si tappa d'istinto la bocca, conscia dell'inutilità del gesto, come direbbe sua nonna ormai il patatrac è fatto. Tutto quel che riesce a dire si traduce in una sequela di sillabe che non si traslitterano in un discorso compiuto: «Scusi, io — proprio non sapevo — » La vendetta è un piatto che va servito freddo, ma anche un po' acido, poiché il suo redattore non perde tempo a pronunciarsi, come se si fosse già studiato quell'invettiva. «Ora lo sai. Riccardo Domizi, piacere. E la prossima volta, quando incontri un collega di lavoro, sarebbe almeno il caso di presentarti. Così, tanto per.» E il suo nuovissimo, pseudo passivo-aggressivo redattore da lì ai prossimi tre mesi scompare dietro la porta di vetro, infilandosi nell'ascensore di gran lena. Probabilmente pensa che sia una persona maleducata e in effetti, quando ha varcato la soglia dell'ufficio, il primo pensiero non è andato alle buone maniere. Rimedierà, ne è sicura, anche perché per una volta la sua buona stella l'ha assistita, almeno professionalmente parlando. Quindi si avvia verso la porta senza voltarsi di spalle, certa che l'intero Ufficio stia solo aspettando che si allontani a sufficienza per poter spettegolare senza pietà, e d'altro canto non ha nemmeno le energie per controbatter loro. In verità Marta sta ancora mettendo a fuoco quanto accaduto nell'ultima mezz'ora, convincendosi infine che non si annoierà affatto in Redazione, sebbene abbia molti punti da guadagnare agli occhi
dei colleghi e, soprattutto, del suo capo. Nulla che una maratona televisiva sino a perdere i sensi non possa risolvere, pensa Marta, ricorrendo ancora una volta alla soluzione più gettonata della sua vita.
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