Defective

di Nikij
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Capitolo 2

 

Terence camminò a lungo nei corridoi, alla ricerca del bagno, della mensa… di qualsiasi cosa. Tu tutto quello che vedeva erano porte chiuse, ma nessuno in giro.

Teneva i vestiti che aveva raccolti prima stretti al petto, una parte di lui voleva di corsa tornare nella stanza. Non poteva dire che gli fosse familiare, ma almeno gli sembrava sicura.

Una porta davanti a lui si aprì. Ne uscì un ragazzo alto, spalle larghe, i lunghi capelli biondi legati in una crocchia fatta male: alcuni ciuffi gli ricadevano morbidi sul volto assonnato, tra le mani teneva un fagotto di vestiti uguali ai suoi.

Il ragazzo si lasciò andare a uno sbadiglio, Terence rimase fermo un istante di troppo chiedendosi se fosse meglio o no chiedere informazioni. Il ragazzo lo notò con la coda dell’occhio e gli rivolse un caloroso sorriso.

«Terence!»

Si trattenne dal alzare gli occhi al cielo. Con questo facevano tre persone che lo conoscevano, mentre lui non se ne ricordava una.

Lo sconosciuto gli si fece incontro, era più basso di lui, ma aveva il fisico più muscoloso, Terence si fece quasi indietro.

Sentì una voce indispettita da dietro la porta chiusa.

«Digli di andarsene!»

«Salutamelo!»

Il ragazzo rise sotto i baffi. «Julia ti saluta.» Si avvicinò ancora di più e gli passò un braccio sulle spalle, poi lo spinse nella direzione da cui era venuto. «Che ci fai da questa parte del corridoio, mi sei venuto a prendere? Che carino. Sei ancora in pigiama, magari oggi non hai finito apposta l’acqua calda.»

«No, non l’ho fatto.» Terence era confuso, perché avrebbe dovuto? Era una cosa che faceva normalmente?

«Grandioso! Allora oggi gliela finisco io a Sora.» Rise di gusto. Poi cominciò a elencargli quello che ci sarebbe stato a colazione quel giorno, niente sembrava troppo appetitoso, ma lo stomaco di Terence brontolò lo stesso. L’altro rise di nuovo.

 

Riccardo si crogiolò nell’acqua calda diversi minuti più del dovuto. Fu risvegliato dal torpore letteralmente da una doccia d’acqua ghiacciata. Si lasciò sfuggire un’esclamazione di sorpresa.

Terence rise dall’altra parte del muro.

«Ridi, ridi… a te non è finita quella calda?»

«La sto facendo fredda...»

«Bestia!»

Terence si lasciò andare a un’altra sincera risata.

Riccardo era rimasto troppo sorpreso dall’acqua per ricordarsi che Terence non rideva mai così. Ci sarebbe arrivato più tardi quando avrebbe ripensato alla giornata, ma non avrebbe poi saputo che farsene di quell’informazione, archiviandola lontano, per quando poi gli sarebbe servita.

«Come va nella Prima squadra?»

Terence rimase in silenzio un attimo, le sue risa si spensero.

«Bene.»

Riccardo aspettò che il ragazzo aggiungesse qualcosa, ma sentì solo l’acqua spegnersi e la porta aprirsi mentre Terence probabilmente finiva di asciugarsi e rivestirsi.

Uscì anche lui, Terence stava finendo di indossare la canotta nera. Gli ricadde morbida sul fisico allenato. Riccardo pensò, come pensava sempre, che fosse molto affascinante, certo che molti sulla nave gli andassero dietro: il soldato più bravo, il pupillo di Yules. Oltre che ad essere bravo era anche gentile e cordiale, se si ignoravano gli occasionali momenti di superbia e le scenate tra lui e Sora.

Vide Terence fermarsi davanti allo specchio, sembrò studiarsi come se fosse la prima volta che si vedeva riflesso. I suoi occhi si fermarono evidentemente sulla striscia di metallo che aveva attorno al collo, il metallo brillante creava un forte contrasto con la sua pelle nera. Sarebbe stato più affascinante se fosse stata una scelta nel suo vestiario e non un collare con una matricola. Riccardo portò una mano al proprio collo, le sue dita incontrarono il metallo freddo, c’erano dei giorni in cui riusciva a dimenticare di averla addosso. Era lì, pesante nella sua presenza nonostante sembrasse pronta a rompersi. Aveva cercato di toglierla, romperla, spaccarla in mille pezzi, ma il metallo era aderente e le sue dita avevano scavato nella pelle attorno senza riuscire a trovare appiglio nel metallo.

Sentì il collo formicolare, conscio della presenza di quello che era a tutti gli effetti un collare. Decise che poteva bastare per il momento, prima di aggiungere altri graffi a quelli che erano da poco guariti.

Batté le mani. Terence sobbalzò e si girò a guardarlo.

Riccardo indossò il suo sorriso più credibile. 

«Ora che abbiamo finito l’acqua calda a Sora, colazione?»

 

Terence si sentiva ancora intontito. Forse la caduta dal letto lo aveva reso più stupido. Non si era accorto di avere addosso un collare, aveva notato solo dopo quello di Riccardo, ma non aveva fatto domande riguardo alle cicatrici sul suo collo. Poteva immaginare.

Anche Orion e Dario lo avevano? Probabilmente. Decise che la cosa migliore da fare era sedersi e godersi la colazione, riprendersi un attimo, poi cercare di capire perché tutti sembrassero conoscerlo e tutto il resto.

Riccardo parlava a macchinetta da quando avevano lasciato il bagno, probabilmente Terence avrebbe fatto meglio ad ascoltare per cercare di capire meglio la situazione, ma a metà del corridoio aveva cominciato a sentire odore di cibo e qualsiasi forma di raziocinio aveva deciso di lasciare il posto al grido del suo stomaco; gli sembrava di non mangiare da una vita.

 

Riccardo entrò nella mensa assieme a Terence, ma scivolò via tra la folla non appena ebbero varcato la soglia. Sora non gli faceva paura ma non voleva nemmeno far scoppiare l’ennesima lite davanti a tutte le altre squadre. Si andò a sedere al tavolo assegnato alla Seconda squadra in attesa degli altri due.

La sua mano corse ad accarezzarsi piano il collo mentre il suo sguardo era perso, sovrappensiero. Si riscosse solo quando Julia si sedette di fronte a lui, i lunghi capelli neri le cadevano sulle spalle, le davano un’aria regale. Sora era probabilmente in fila, come capitano prendeva lui la razione per tutti.

«Potreste gentilmente avvertirmi la prossima volta che decidete di finire l’acqua calda di tutta l’Unità?»

Riccardo alzò le spalle con espressione angelica. «Di che parli, anche io l’ho fatta fredda.»

«Che spara-stronzate! Aspetta che ti frigga il culo in Arena.»

«Tradimento!»

«L’acqua calda alla mattina è più importante della nostra amicizia.»

«Immagino.»

Sora si avvicinò al tavolo con la colazione per i tre, appoggiò tutto sul tavolo e si chinò a dare un bacio fugace alla guancia bronzea di Julia, poi sedette trattenendo a stento un sorriso ebete.

«Avete finito?»

«Hai deciso tu di avere la ragazza nell’altra Unità.»

Riccardo affondò il cucchiaio nel budino scuro senza replicare. Cercò Terence nella folla, per nessuna ragione in particolare in realtà, si sentiva un po’ male ogni volta che doveva scappare via solo per tenere lui e Sora lontani. Due bambini. Alzò gli occhi al cielo e rise, gli altri due si scambiarono un’occhiata senza capire.

Riccardo mandò giù il boccone e si rivolse ai suoi compagni. «Che formazione proviamo dopo in Arena?»

 

Terence rigirò nervosamente l’anello di ossidiana che portava al medio della destra.

Sentiva gli occhi di diverse persone addosso, ma sparivano prima che lui potesse incrociare lo sguardo con loro.

Si sentì sollevato, immensamente, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla e la voce di Dario che lo canzonava.

«Aspetti un invito scritto per metterti in fila? Orion ha detto che oggi salta, ma io sto morendo di fame. Prendi per tre comunque, tanto andrebbe buttata la sua razione.»

Lo spinse verso la fila e andò a sedersi in un tavolo dalla parte opposta a dove sedevano Riccardo e la sua squadra.

“Sora” pensò a quel nome mentre la fila avanzava lentamente. Chissà cosa c’era che non andava tra di loro.

Lanciò uno sguardo di sottecchi al tavolo. Il suo decantato arcinemico era mano nella mano con la ragazza al suo fianco. Sembrava sereno, concentrato nella sua conversazione, concitato mento spiegava qualcosa agli altri due. Ma sorridente.

Il sorriso svanì quando si voltò e incontrò il suo sguardo. Gli occhi a mandorla si chiusero in due fessure e con uno scatto gli diede di nuovo le spalle.

Quando arrivò al banco della mensa l’uomo gli consegnò un enorme vassoio con tre porzioni, Terence ricambiò il sorriso cordiale e si andò a sedere al tavolo con Dario.

Mangiò sovrappensiero cercando di ordinare quelle che per lui erano state le nuove conoscenze della giornata, ed era solo mattina.

Sarebbe stata una lunga giornata.

 




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