1- Il giorno più lungo
La
verità sul filo
Il giorno più lungo
“Nell’Ade, il regno dei morti,
vi sono le tre Moire,
che reggono le sorti degli dei e degli uomini:
Cloto dipana il filo della vita,
Lachesi ne misura la lunghezza,
Atropo lo recide.”
(dalla mitologia greca)
In quel caldo pomeriggio d’estate un bambino biondo si era
seduto
sotto un albero, ed era talmente intento a strappare ogni ciuffo
d’erba che gli capitasse sotto mano, da non alzare nemmeno la
testa all’avvicinarsi di un altro ragazzino pressappoco della
stessa età.
- Dai, Ed. Non fare così – disse piano il bambino
che si
era avvicinato, cercando di far ragionare l’altro –
Si
arrabbieranno, lo sai. Ed è solo il primo giorno…
- Non me ne importa niente! – sbottò quello
seduto, quasi
trattenendosi dal gridare – Che facciano quello che vogliono,
tanto peggio di così… che vuoi che gliene
importi, a
quelli, di due mocciosi in meno a cui badare?
- A me sono sembrate delle brave persone – ragionò
diplomaticamente l’altro, accovacciandosi a terra –
E poi
non è certo colpa loro se…
- Ma come fai, Al? – domandò improvvisamente il
ragazzino
seduto, lasciando perdere per un momento lo sterminio dei fili
d’erba, mentre gli occhi si fissavano in quelli del suo
interlocutore – Non sei furioso? Non ti fa andare fuori di
testa
il fatto che ci abbiano preso in giro in questo modo? Non
sei…
- Preoccupato, sì – il bambino che rispondeva al
nome di
Al abbassò piano la testa, sorridendo amaramente –
Sono
tanto preoccupato. Solo questo.
Tutta la rabbia di Ed scemò all’istante, lasciando
il
posto ad un senso di colpa piuttosto fastidioso. Non era lui, il
fratello maggiore?
- Lo sono anch’io – ammise – Ma sono
anche…
arrabbiato
per come si sono liberati di noi. Siamo solo due mocciosi
inutili che nessuno vuole fra i piedi?
- Dai, non prendertela – cercò di calmarlo Al
– In
fondo, a pensarci bene, è vero che siamo solo due bambini.
Chi
si sarebbe occupato di noi, mentre la mamma non c’era? Forse
l’unico modo per renderci utili era proprio
questo…
- Manca anche a me, Al – lo interruppe l’altro,
guardando negli occhi il fratello.
- Sì, lo so.
Il sole battente dell’estate appena iniziata era un invito
troppo
lusinghiero per le cicale, che non si erano fatte pregare per uscire
all’aperto e cantare i loro lunghi concerti.
Ascoltarle era come sentire il cicaleccio dei propri pensieri. Un
sottofondo a cui era meglio non prestare troppa attenzione,
perché avrebbe potuto stordire senza nemmeno rendersene
conto.
Le cicale tacquero un momento, mentre il sole illuminava
un’alta figura dai capelli neri e spettinati.
- Allora, voi due, cominciamo decisamente con il piede sbagliato. Siete
i fratelli Elric, giusto?
Un sonoro sbuffo accompagnò l’abbandono della
penna sul
tavolo, mentre il giovane uomo si stiracchiava lungo lo schienale della
sedia.
- Sai Riza, da un certo punto di vista non trovo corretto che veniamo a
conoscenza di certi dettagli riguardanti i ragazzi che ci sono qui. Chi
siamo noi per farci i fatti loro?
La donna che, di fronte a lui, stava diligentemente sistemando alcuni
elenchi, fece del suo meglio per trattenere un sospiro.
- Perché dobbiamo essere a conoscenza delle situazioni da
cui
provengono per riuscire a gestire eventuali problemi –
spiegò automaticamente, senza nemmeno staccare gli occhi dal
foglio.
- Ma non credo che, in fondo, siano affari nostri. Oltretutto sapere
certe cose potrebbe portarci a fare delle differenze tra loro, no?
- È per l’appunto il nostro essere adulti che
dovrebbe renderci capaci di gestirle.
L’uomo le lanciò uno sguardo poco convinto, per
poi tirare fuori un paio di fogli da una risma piuttosto spessa.
- Guarda questi. Sono i due che sono scappati durante
l’appello,
Edward e Alphonse Elric. Il padre è un famoso scienziato che
lavora per l’esercito, mentre la madre sta facendo una cura
intensiva per il cancro. E mandano i loro figli qui, in campeggio. Ma
che razza di gente è?
La donna alzò finalmente gli occhi, emettendo un sospiro
esasperato.
- Roy…
- Mentre quest’altra, Winry Rockbell: i suoi genitori fanno
parte
di “Medici Senza Frontiere” e si trovano in Africa,
a
salvare chissà quanti bambini malati. Ma mandano la loro
unica
figlia qui, opportunamente fuori dai piedi. Capisco che vogliano
proteggerla, ma…
- Roy Mustang
– scandì decisa la donna, non disposta a
sopportare oltre quelle chiacchiere – Mai sentito parlare di
privacy?
Del fatto che, essendo figure professionali, siamo tenuti a
non ficcare il naso e tanto meno a fare commenti inopportuni?
- Professionali?
– ripeté l’uomo, storcendo il naso
– Accidenti, Riza, se non sapessi per certo che non sei
sempre
così, mi chiederei se non sei fatta di legno.
- Hai finito di riordinare gli elenchi? – domandò
lei, imperturbabile.
- Uff, ma non sei stanca di tutte queste scartoffie?
- Finisci il tuo lavoro, io do un’occhiata ai menu di questa
settimana.
- Mi raccomando, fai in modo che ci siano broccoli e cavoli bolliti a
sufficienza – scherzò lui – Non sia mai
che uno dei
nostri sottoposti non vada in bagno puntuale come un
orologio…
L’occhiata che gli lanciò la donna lo convinse che
forse
era ora di mettersi seriamente al lavoro. Fu solo dopo qualche minuto
che Riza riprese a parlare.
- Comunque dev’essere messa davvero male, per lasciare che i
figli vengano qui. Scommetto che è stata un’idea
del
marito.
Mustang alzò gli occhi: - Parli della madre degli Elric?
Riza annuì.
- Nessuna madre lascia andare i propri figli, specialmente in un
momento simile.
- E cosa te lo fa pensare? Ci sono donne che non si farebbero scrupoli,
lo sai.
- Quei due fratelli… li ho guardati bene, ieri sera a cena.
Hanno l’aria dei bambini che sono sempre stati amati
–
ricordò lei.
- Interessante… e questo tuo lato materno che riaffiora
c’è sempre stato? Già che ci siamo, si
potrebbe
approfittarne…
Riza gli scoccò un’occhiata di fuoco.
- Lavora – intimò secca.
Sia a lui che ad Al interessava molto la mitologia,
quell’insieme
di leggende e racconti che contenevano l’essenza stessa di
tempi
e popoli. Avevano sempre saputo che il ventun giugno, giorno del
solstizio d’estate, era considerato quasi magico dalle
popolazioni celtiche.
Il giorno in cui la luce sconfigge definitivamente il buio, lo domina e
lo soggioga. Il giorno in cui comincia davvero il caldo, ma dopo il
quale le giornate iniziano inevitabilmente ad accorciarsi.
L’inizio dell’estate. Ma anche la sua fine, in un
certo senso.
Un giorno in cui i raggi del sole, sospesi tra astronomia e magia,
potevano cambiare qualunque cosa.
La luce abbagliante del primo sole d’estate può
mostrarti
davvero le cose, rivelartele per ciò che sono realmente. E
allora ci si chiede perché non può essere tutto
solo un
sogno.
Brutto o bello, incubo o no, basta che prima o poi ci si svegli.
- Non mi sembrate sorpresi – aveva detto la voce dolce di
Trisha
Elric, osservando in viso i propri figli. E intuendo che avevano
già capito ogni cosa.
- È solo che ultimamente… - aveva iniziato il
più
grande dei due, col colore degli occhi simile alle foglie
d’autunno - … eravate diversi. Tu e anche
papà.
“Diversi” era una parola che diceva tutto e niente.
Comprendeva sua madre che la mattina non riusciva nemmeno ad alzarsi
dal letto, la pelle ingiallita e sciupata, i capelli che cadevano a
ciocche. Comprendeva suo padre che improvvisamente aveva iniziato a
stare di più a casa, a preoccuparsi per la moglie e ad
accompagnare ogni tanto i figli a scuola.
Ed non ce l’aveva con la madre perché avevano
aspettato
tanto a metterli al corrente di ogni cosa. Sapeva che, per lei, dirlo a
loro avrebbe anche significato ammetterlo a se stessa.
Ma era anche certo che il padre li avesse tenuti volutamente
all’oscuro perché li reputava soltanto due
bimbetti.
Informare o meno due piccoletti come loro era indifferente.
Tuttavia non era stato per niente d’accordo quando avevano
proposto quella “soluzione”. Stare lontani per otto
settimane mentre la madre veniva sottoposta ad una terapia innovativa
in una clinica d’avanguardia gli era sembrato assurdo. Tanto
più perché era convinto che il padre se ne
sarebbe
tornato al lavoro, invece di starle vicino.
Fosse stato per lui, non l’avrebbero mandato da nessuna
parte. Ma
c’era anche Al. Al che aveva ragione, a dire che in fondo
erano
due bambini e forse sarebbero stati solo un peso, mentre la madre aveva
bisogno di riposo.
Al che, alla fine, l’aveva convinto a venire in quel posto.
In campeggio. A fare che, divertirsi?
Ma Al era come la mamma, se faceva una cosa la faceva per il bene di
qualcun altro.
Al contrario di lui, che per quanto sperasse nel contrario, era forse
il degno erede di suo padre.
- Perché state sempre da soli? – fu la domanda che
si
sentirono rivolgere un pomeriggio, dopo che erano passati circa due
giorni dal loro arrivo al campo.
- Perché ci facciamo i fatti nostri, al contrario di qualcun
altro – rispose secco Ed, lanciando un’occhiata
scocciata
alla bambina bionda che si era avvicinata senza timore. Anche lui e Al
erano biondi, ma non così. Quei capelli lunghi fino alle
spalle
sembravano riflettere la luce del sole.
- Io mi chiamo Winry, piacere – ribatté lei,
accucciandosi
davanti a loro nel prendisole estivo, per nulla turbata da quella
risposta maleducata.
- Io sono Alphonse, ma puoi chiamarmi Al. Lui è mio fratello
Edward.
- E non puoi
chiamarmi Ed – precisò quest’ultimo.
- Dai, fratellone… - fece Al, cercando di fargli passare la
modalità “orso”.
- Come “fratellone”? – chiese sorpresa
Winry – Non siete gemelli?
- No, lui è più grande di me di un anno
– rispose il più giovane dei due.
- Che strano, dovresti essere più alto… -
commentò
innocentemente lei, squadrandolo da capo a piedi – Ti nutri
abbastanza? Non è che ti manca del calcio? Latte,
formaggio…
- No, lui il latte non lo beve. Non gli piace –
spiegò Al con semplicità.
- Ehi, voi due, ma la fate finita? Chi sei tu per venire qui a farmi
queste domande?
- Oh, scusa – rispose la bambina, pensando sinceramente di
essere
stata un po’ inopportuna – È solo che i
miei sono
dei medici, ed è da quando sono piccola che sento fare
sempre
gli stessi discorsi. Forse mi si sono impressi in testa senza volerlo.
- Sei figlia di dottori? E allora perché sei qui? Non potevi
rimanere a casa con loro? – domandò Ed,
chiedendosi
perché mai qualcuno dovesse mandare i figli in campeggio se non
per liberarsene.
- I miei genitori sono in Africa – rispose lei –
Fanno
parte di “Medici Senza Frontiere” e lavorano in un
campo
profughi. Fino a un paio di settimane fa ero là
anch’io.
- E ti hanno mandato qui in vacanza? – domandò Al,
curioso, mentre anche Ed stava iniziando ad interessarsi alla storia di
quella ragazzina scocciatrice.
- Temporaneamente sì. Ma tanto lo so che entro la fine del
campo
mi troveranno posto in qualche collegio. Non mi faranno più
tornare là con loro, dopo quello che è successo
–
disse amaramente Winry.
- Cos’è successo? – si
ritrovò a chiedere Ed, che ormai pendeva dalle sue labbra.
- Ci hanno attaccati. Un manipolo di guerriglieri, di notte, anche se
non ho ancora capito il perché. Nel campo c’erano
solo
donne, bambini e feriti, che non costituivano una minaccia per nessuno.
Comunque sono morte almeno dieci persone, e anche se io e i miei
genitori non ci eravamo fatti niente, hanno deciso che rimanere
là era troppo pericoloso per me.
- Beh, in fondo non hanno tutti i torti… –
rifletté Al.
- Sì, lo so – ammise lei –
Però a me piaceva
stare là. E sono sicura che non vedrò i miei
almeno fino
a Natale.
Rimasero in silenzio per un po’, mentre il vociare di altri
bambini che giocavano a pallone giungeva fino a loro.
Dopo qualche minuto, il più grande degli Elric disse:
- Beh, se proprio vuoi puoi chiamarmi Ed.
Il viso di Winry si illuminò, mentre esclamava:
- Davvero? Oh, grazie! D’altronde, Edward mi sembrava troppo
lungo per uno così pic…
Il vociare dei sedici bambini che giocavano a pallone fu nettamente
sovrastato dalle urla di un unico ragazzino di undici anni che
strillava qualcosa come “nanerottolo” e
“tappo”.
Non riesco ancora a crederci! Prima al “Contest
sull’estate” indetto da Hikaru_Zani!! E poi al "Contest a Multisquadre" indetto da Rota23 e Happy_Pumpkin, dove abbiamo vinto anche come squadra per FMA.
Devo dire che tenevo molto a quest’edizione, in quanto sono
nata
in estate e questa è la mia
stagione. Ci ho messo tanto di mio,
in questa storia, e anche se so che non è il tipo di fic che
va
per la maggiore in questo fandom, spero che possa piacervi.
È un peccato che al contest siamo rimasti solo in cinque,
alla
fine, perché nell’edizione passata eravamo di
più.
Comunque faccio i
complimenti a tutti
i partecipanti e ringrazio il giudice! Personalmente trovo che il
banner sia quasi commovente...
In particolare, ringrazio Urdi,
il cui account mi ha dato l’idea per questa storia!
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