Un enorme Ciao a
tutti voi! Eccomi con la mi prima fan fiction di cui non vi posso
anticipare nulla, se non che è una chicca per tutti gli
appassionati di Twilight!
1. Ricordi di vita.
Seduta sulla soglia dell’ingresso del campus cercavo di farmi
passare una sbronza di quelle colossali senza pensare che in quel
periodo erano molto, troppo frequenti, fu così che cominciai
a pensare in un’altra lingua, la mia lingua madre,
l’italiano.
Non ero più abituata a quella lingua, così
armoniosa e carica di suoni familiari, l’avevo abbandonata da
molto tempo assieme al resto della mia vita rimasto nello stivale come
un bagaglio lasciato a terra, quella sera però volevo
tornare al mio alloggio sana e salva e l’italiano mi faceva
stare lucida.
L’inglese invece era un altro paio di maniche, ce
l’avevo nel sangue, ed ero sempre stata convinta che un
motivo ci fosse, ed era per questo che ora mi trovavo lì, ad
Harvard ubriaca e stordita dal freddo.
Sentii che la lucidità necessaria per trovare il mio
alloggio tardava a tornare e quindi feci una cosa che in quel momento
sembrava molto sensata ma che si sarebbe rivelata molto pericolosa,
pensai all’Italia.
La prima cosa che mi venne in mente fu il mio dolce paesino di 500
anime nel cuore delle marche, una regione centrale dello stivale, San
Costanzo è adagiato sulle colline a ridosso di un piccolo
monticello e circondato da altri paesini la cui attività
principale erano delle piccole industrie e naturalmente
l’agricoltura.
Il ricordo del mio luogo di nascita mi suscitava sempre non poca
nostalgia, il profumo dell’erba bagnata di rugiada nelle
fresche mattine d’inverno, quello delle Belle di Notte nelle
calde sere estive e quello della imminente pioggia molto frequente nei
pomeriggi di mezza stagione.
Rividi casa mia, sopra quella fantastica collina, isolata da tutto il
resto del mondo come un eremo felice, vidi anche il nonno mentre mi
teneva per mano e mi faceva ammirare il paesaggio, odorava di erba e di
schiuma da barba, quel secondo padre fu per molti anni come un idolo
per me, ai miei occhi i suoi racconti di guerra erano come una lezione
di storia in diretta, nonché la dimostrazione della sua
profonda cultura.
Gli altri bambini non mi avevano mai preso seriamente in
considerazione, ero troppo strana, troppo diversa da loro con la mia
mania per i cani e i libri e con le mie assurde fantasticherie su
esseri fuori dal comune provenienti dalla saga di Harry
Potter. I miei genitori lavoravano per darmi un futuro
stabile a questo mondo e io passavo le mie giornate in un altro
secolo, più precisamente immersa in racconti dei
primi del novecento raccontati dalla viva voce di chi, come i miei
nonni, li aveva vissuti sulla pelle.
Poi lo scenario nella mia testa cambiò, erano passati tanti
anni, avevo scoperto la mia femminilità e con essa una
schiera di ammiratori pronta a passare una serata con me, ero
veramente bella quasi da far girare la testa.
Fu allora che i miei pensieri aprirono un cassetto che era rimasto
chiuso da tanto tempo, rividi gli occhi di lui sui miei, le sue mani
che mi correvano sulla schiena nuda, la mia felicità nel
vederlo ogni volta più bello e più
perfetto …
Poi tutto era cambiato … io ero stata
costretta ad andarmene …
Mi presi la tasta tra le mani imprecando perché la cicatrice
sul mio cuore si era riaperta e ricominciava a far male e la colpa di
tutto era solo mia!!! Che stupida! Avrei dovuto saperlo che i ricordi
erano pericolosi, comunque ora ero abbastanza lucida per leggere i
piccoli numerini di ferro appesi alle porte degli alloggi e feci per
alzarmi.
Ma il mio corpo come se stesse rispondendo ad uno stimolo naturale
s’irrigidì e fu allora che capii che qualcuno era
seduto accanto a me e mi osservava.
Alzai lo sguardo e vidi un ragazzo molto giovane che mi fissava con un
espressione incuriosita, era seduto al mio fianco ma ad una certa
distanza da me, quando si accorse che lo stavo guardando si
affrettò a salutarmi.
<< Ciao!>> mi disse.
Non risposi.
Non ero abituata a dare confidenza a persone appena conosciute quindi
mi alzai e me ne andai il più velocemente possibile,
c’era qualcosa nel modo in cui mi guardava che non mi
convinceva per niente, come se mi conoscesse da una vita.
Per non parlare del suo aspetto così simile ad un divo del
cinema muto … no! Non era possibile.
Corsi dentro, la lucidità era tornata quasi del tutto quindi
salii al mio piano, mi girai spesso indietro, sicura che qualcuno mi
stesse seguendo, ma non scorsi mai nessuno tranne un leggero spiffero
una volta o due.
Entrai in camera e accesi la luce per accertarmi di non aver sbagliato
stanza ma soprattutto di non aver beccato la mia compagna a letto con
uno dei suoi tanti <>.
Era sola e si irritò parecchio che io la svegliassi
così d’improvviso, doveva essere davvero tardi se
anche lei dormiva.
La mia compagna di stanza era una ragazza bellissima,
l’opposto mio, mora, molto alta, con degli occhi azzurro
cielo e la pelle olivastra, i tratti del suo viso erano perfetti come
se Michelangelo in persona li avesse disegnati su una tela che poi
aveva preso vita.
Anna frequentava giornalismo ma ero sicura che se avesse avuto successo
nella vita sarebbe stato più per doti fisiche e provenienza
familiare che per il resto.
Era la bellissima figlia di un famoso procuratore di Washington il
quale le aveva permesso di mantenersi nel lusso e di pagare la retta di
Harvard ad una figlia poco interessata allo studio e più
propensa al successo.
La vita che faceva le permetteva di stare in forma grazie alle
frequentissime sedute in palestra e a quelle ancor più
frequenti nei centri estetici, era una ragazza che avrebbe fatto
diventare verdi di invidia qualunque donna di questo pianeta, ma non me.
Era per questo forse che stavamo bene assieme, io ero completamente
disinteressata a qualunque cosa non riguardasse i miei studi di
management e lei da qualunque cosa non fosse … se stessa!
Il nostro rapporto non era dei migliori, ma a noi andava bene
così, ognuna faceva la sua vita e i venerdì e
sabato sera io cercavo sempre di tornare in stanza il più
tardi possibile per non disturbarla nel suo sport preferito.
Quella sera però spaventata com’ero
dall’idea che qualcuno mi stesse seguendo fui molto
più felice del solito nel vederla, devo confessare che ebbi
un moto di rabbia però vedendo che anche appena sveglia era
stupenda.
Chiesi scusa per l’irruzione rumorosa e mi infilai a letto,
sicura che avrei preso sonno di li a poco
Infatti mi svegliai la mattina dopo e mi sembrò che fossero
passati solo dieci minuti, in realtà guardai la sveglia e mi
resi conto che erano le 12 di domenica mattina, forse avevo dormito
troppo.
Anna non c’era, i suoi genitori la domenica la costringevano
ad andare a messa nella chiesetta protestante del campus, erano amici
del pastore.
Approfittando della sua assenza feci una doccia più lunga
del solito e mi sistemai i capelli in boccoli ordinati che mi
incorniciavano il viso.
Guardandomi allo specchio vidi con mia grande delusione che ero solo
l’ombra della principessa bionda che popolava i miei ricordi.
Di lei in me era rimasta solamente l’enorme massa di capelli
biondi che una volta forzavo in un liscio quasi perfetto, ma che di cui
ora invece assecondavo il riccio naturale.
La mia pelle era chiara come l’avorio e su di essa apparivano
i segni di una goffaggine che mi aveva accompagnato tutta la vita.
Il mio viso aveva dei bei tratti ma senza un filo di trucco sembravo
una casalinga disperata con problemi di acne, l’unica cosa
che avevo sempre apprezzato di me erano i miei occhi castani
incorniciati da folte ciglia biondo scuro e la mia bocca che somigliava
tanto ad una rosa appena dischiusa.
Ho sempre avuto l’abitudine di tenere i capelli sciolti per
via di un problema che mi aveva assillato durante la mia infanzia, le
orecchie.
Ero sempre stata convinta che quelle protuberanze fossero state la
ragione principale della mia stranezza in quanto erano esse per prime
la cosa più strana che avevo mai visto; erano
diverse l’una dall’altra.
La destra era molto piccola perché piegata su se stessa
nella parte alta ma era abbastanza diritta, la sinistra era enorme
confronto alla sua compagna e questa enormità era accentuata
dal fatto che era a sventola, sporgeva in avanti come se volesse uscire
dalla capigliatura per scoprire il mondo.
Questo difetto mi aveva reso lo zimbello della scuola già
all’età di sei anni e aveva reso la mia vita
sociale molto difficile, costringendomi a rifugiarmi nei libri e nella
mia fantasia.
Il resto del mio corpo era ormai deformato da anni di goloserie e di
anticoncezionali ma tanto tempo prima era affusolato e magrissimo, il
mio sedere era perfetto e il mio piccolo seno evidenziava il ventre
piatto sotto di lui.
Unici crucci erano l’altezza, uno scarso metro e 65, e le
cosce sempre leggermente più larghe di tutto il resto, per
il resto a quattordici anni ero il ritratto di una dea greca bionda.
Cercando di scacciare questi pensieri che mi mettevano sempre di
malumore mi vestii indossando un maglione rosa e un paio di jeans e mi
truccai per far sparire dal mio viso i segni della notte brava.
Accesi il computer per leggere le mail dall’Italia e risposi
a tutte con molta calma, non avevo assolutamente fame dopo la sbronza
della sera prima.
Pulii la camera certa che Anna al suo ritorno si sarebbe messa al
telefono con un centinaio di amiche invece di fare la sua parte di
faccende.
Come se mi leggesse nel pensiero appena finito entrò e mi
salutò ancora un po’ arrabbiata dalla sera prima e
apri il suo piccolo cellulare rosa cominciando a ciarlare del ragazzo
che aveva conosciuto ieri sera con un gruppo di ochette benestanti a
cui interessava solo di chi fosse il figlio.
Normalmente in quelle domeniche me ne andavo a studiare in biblioteca
perché le sue speculazioni a dir poco mi disgustavano, ma
ormai gli esami erano finiti era febbraio e i prossimi sarebbero stati
a maggio, avevo tempo, così mi decisi per una passeggiata
nel parco.
Il parco dell’università in quella fredda domenica
di febbraio era quasi deserto, nessuna coppietta stesa sul prato a fare
le fusa, nessun ragazzo steso sulle panchine a cercare di smaltire la
serataccia precedente, solo i patiti del jogging che correvano oppure
facevano stretching appoggiati ad un albero.
Camminavo piano, l’aria fresca mi accarezzava il viso era
molto piacevole anche perché nel college era sempre troppo
caldo per i miei standard, in Italia al mio paese venti gradi erano una
temperatura estiva.
Mentre camminavo senza meta mi accorsi di aver superato di
molto la parte del parco nella quale ero solita passeggiare , quella
più prossima all’entrata del college, fu in quel
momento che scorsi una panchina isolata e corrosa dal tempo proprio
sotto una quercia secolare.
Mi avvicinai e mi ci sedetti.
La panchina dominava la cittadina universitaria e sembrava stesse
lì da molto tempo, dimenticata anche dalle coppiette che
nelle sere estive popolavano il parco.
La quercia era robusta con un tronco intrecciato e radici che
fuoriuscivano dal terreno in maniera bizzarra; era degna di un bosco
magico, pensai tra me e me sorridendo.
Mi alzai dalla panchina per avvicinarmi al grande albero spoglio e
appoggiai le mani sulla corteccia ruvida ispezionandola in tutta la sua
circonferenza.
Ad un certo punto vidi una data intagliata sul tronco, senza pensare
troppo ai numeri incisi pensai che dovevano essere molto antichi,
almeno di una ventina di anni prima a giudicare dalla corteccia che ci
era cresciuta sopra come se l’albero stesse tentando di
rimarginare il taglio.
Poi d’improvviso il mio occhio cadde sulla data impressa
nella corteccia 06/6/2009 che in inglese significava 6 giugno 2009.
Scossa guardai l’orologio che portavo sempre al polso,ero
sicura che fosse il sei di Febbraio 2009.
Ma come era possibile?
Come aveva fatto la corteccia a rimarginare un taglio così
netto se la data impressa doveva ancora arrivare?
Qualcuno l’aveva forse vergata molto tempo prima? Ma a quale
scopo? E perché proprio quella data?
In quel momento scorsi con la coda dell’occhio un movimento,
mi girai di scatto e vidi il ragazzo della sera prima che mi guardava
seduto sulla panchina ma stavolta la sua espressione era molto
divertita.
Vi prego recensite!!!!
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