In requiem herōis
[e-rò-e] n.m. – chi dà prova di straordinario coraggio e abnegazione, specialmente in imprese guerresche; chi si sacrifica per affermare un ideale: morire da eroe; un eroe della
libertà, della fede…
Il bambino è immobile, seduto al suo
fianco sul divanetto di pelle di una stanza d’albergo da cui lui e sua madre
partiranno presto, verso un paese dove forse vivranno con meno rimpianti.
Ondate di dolore e rabbia, la rabbia di chi non capisce, s’irradiano da lui
come le increspature sulla superficie di un lago; Matt ha l’impressione che
dopotutto non ci sia alcun bisogno di avere dei sensi ipersviluppati per
percepire quei sentimenti, ed è sicuro che, se potesse guardarlo, vedrebbe che
il viso di Sami Nadeem è spento e i suoi occhi vuoti.
Si è sentito così anche lui. Ci si sente ancora, a volte.
«Voglio dirti
una sola cosa su di lui» esordisce, serrando il bastone tra le mani chiuse a
pugno, «ed è che era un uomo buono. Forse il migliore che abbia mai conosciuto.»
Il bambino
non ha reazioni. Matt sa che Seema sta ascoltando –
sente il suo respiro, e i suoi singhiozzi trattenuti da dita tremanti strette
al viso, dietro la porta chiusa. È a entrambi che sta parlando.
«Ho perso mio
padre quando avevo più o meno la tua età. Non è una cosa che mi faccia piacere
ricordare» ammette con un sorriso amaro, «perciò perdonami se non sarò molto
esaustivo su questo punto. Voglio solo dire che so cosa pensi: quando se ne
vanno, a noi non importa niente che lo abbiano fatto da eroi. A noi importa
solo che ci abbiano lasciato. E fa male.»
Sami tira su
col naso: il suo primo segno di vita. Il suo dolore si fa ancora più forte,
pesante, come una cappa d’afa in un pomeriggio di luglio. Matt lo rispetta, e
non osa toccarlo.
«So anche che
non vuoi sentirtelo dire» prosegue, «perché hai smesso di essere un bambino, e
non hai più fiducia nel tempo. Ma io credo di essere diventato adulto solo
quando ho accettato il fatto che mio padre era davvero morto da eroe; e
questo è stato non più tardi di poche settimane fa, Sami. Ci parlavo, o credevo
di farlo, in una palestra vuota. Lui mi ripeteva le sue ragioni, io rifiutavo
di ascoltarlo… finché non l’ho semplicemente fatto.» Scuote la testa,
frustrato. Non sa come altro spiegarlo, né ci prova. «All’inizio sembra che non
faccia differenza, ma ne fa. Tuo padre ha fatto una cosa che ha salvato questa
città… ha preferito morire, piuttosto che continuare a permettere al male di
vincere. E un giorno, quando penserai a questo, ciò che provi ora sarà meno
triste; e ti capiterà persino di provarne orgoglio, e sarà giusto così.»
Seema piange in corridoio. Il ragazzo riflette
con cura sulle sue parole, prima di mormorare: «Ma questo non lo farà tornare
da noi.»
«No, certo
che no.» Stavolta Matt tende un braccio fino a posargli una mano sul ginocchio,
teso e sottile. «Lo sai, la mia religione ci insegna il valore della speranza.
Ci promette che ritroveremo i nostri cari in cielo, quando verrà il momento, in
un mondo in cui non esisteranno più sofferenze… Non so se ci credo ancora,
quindi non intendo mentirti.» Sorride di nuovo, stavolta senza amarezza. «Ma se
c’è una cosa di cui sono sicuro, è che Ray Nadeem è
libero, adesso. Dovunque egli sia. E questa è una cosa buona.»
Anche Sami
piange, ora, e Matt si accontenta di restare in silenzio accanto a lui. Forse,
si dice, qualcuno non può essere salvato perché è destinato lui stesso a
salvare il mondo.
Io mi salvo solo se attraverso me si salvano gli
altri.
Vangelo di Matteo
Spazio dell’autrice
Non mi parlate, non mi toccate. Ieri sera
ho finito Daredevil e non ho ancora smesso di piangere su Ray. Ho
soltanto voluto dedicargli un pensiero, a lui e alla sua famiglia: meritavano
di meglio, tutti quanti.
La definizione iniziale della parola
“eroe” è tratta dal sito garzantilinguistica.it.
Aya ~