A Sort Of Homecoming

di Aagainst
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20.

 

I'm coming for you
I'm coming for you and your simple existence
(State Champs-Simple Existence)

 

 

 

“Un concorso di bellezza per polli e mucche? Sei seria, Clarke?”. Scoppio a ridere, mentre osservo una Raven sconvolta e decisamente fuori luogo. È buffa, ma un po’ la capisco. Nonostante la sua famiglia sia di origine texana, lei è nata e cresciuta a Los Angeles e non ha mai assistito a nulla del genere. 

“Non è un concorso di bellezza, Rae. È una gara tra gli allevatori.” cerco di spiegarle. Mi ero completamente scordata della giornata di fine primavera, non avevo realizzato di essere arrivata a Polis proprio a fine maggio. La verità è che fino a qualche settimana fa i giorni passavano tutti uguali. Avevo perso completamente la cognizione del tempo, devo ammetterlo. 

“Posso chiederti perché festeggiate la fine della primavera anche se manca un mese all’inizio dell’estate?” mi chiede Raven all’improvviso, confusa. 

“Questa è una gran bella domanda.” rifletto, mentre continuo a camminare per i vari chioschi.

“Corn dog, ti prego ne voglio uno!” esclama entusiasta la mia amica, indicando uno stand che vende cibo. Alzo gli occhi al cielo e l’accompagno. Mi siedo ad un tavolo e l’aspetto, mentre lei si mette in fila. Mi guardo intorno. Ovunque è pieno di famiglie felici e bambini che mangiano zucchero filato o patatine o che giocano a pallone. Mi soffermo su un gruppo di ragazzi seduti sul prato, non molto distante da me. Uno di loro ha una chitarra in mano e, accanto a lui, una ragazzina sui diciotto anni sta cantando una canzone che non ho mai sentito, forse una loro creazione. La riconosco, è Gaia, la figlia di Indra. Mi alzo e mi avvicino, cercando di non fare rumore. Mi appoggio ad un albero e li ascolto. Sono bravi, anche se un po’ acerbi. Sospiro. Mi manca poter vivere la musica in semplicità. Mi chiedo se forse non sia meglio per me mollare tutto. Mi mordo il labbro. No, non lo farei mai. Il rapporto con la musica, anche se malato, è l’unica cosa che mi permette di andare avanti, nonostante tutti gli errori che ho commesso in questi ultimi anni.

“Ehi, ma tu sei Clarke Griffin!”. Alzo lo sguardo. Gaia e  i suoi amici mi fissano, un misto di emozione e incredulità negli occhi. 

“Oh, io ehm…” balbetto, imbarazzata. Scuoto il capo. Sono solo dei ragazzi Clarke, non c’è nulla di cui avere paura.

“Vi prego, non ditelo a nessuno.” mormoro. So che qui non sono a Los Angeles, ma la paura di ritrovarmi travolta da una mandria di paparazzi impazziti è troppo forte.

“Mia madre mi ha parlato molto di te. Ti allenava, giusto?” mi chiede Gaia. Annuisco, un po’ presa in contropiede.

“Spero non sia stata troppo cattiva.” dico. 

“Al contrario, ti ricorda sempre con molto affetto.” mi risponde. Ho un nodo in gola che tento di ignorare, per non scoppiare a piangere.

“Clarke, ecco dov’eri finita!”. Mi volto. Raven ci raggiunge, un enorme corn dog in mano. 

“Quanto dobbiamo dare ai ragazzini per il loro silenzio?” domanda, preoccupata. Scambio un’occhiata complice con Gaia e sorrido.

“Niente, signora. Sappiamo mantenere un segreto.” dichiara il chitarrista, un ragazzo dall’aria simpatica e dai capelli estremamente rossi. 

“Fantastico…”

“Trent. Trent Highmore.”. Cala un silenzio imbarazzato, interrotto solo dal tamburellare nervoso del ragazzino sulla chitarra.

“Bene Clarke, allora possiamo andare.” mi esorta Raven, impacciata. È visibilmente a disagio.

“Ci si vede, ragazzi.” saluto, per poi seguire la mia amica. Improvvisamente, mi fermo. Stringo i pugni, indecisa sul da farsi. 

“Che succede?” mi chiede Raven, preoccupata. La ignoro e mi giro. Gaia e Trent mi guardano, curiosi. Rimango ferma, con la bocca spalancata per non so quanto.

“Avete talento. Se volete, passate allo studio di Bellamy di tanto in tanto.”.

 

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“Notizie di Finn?” mi chiede Raven. Scuoto il capo. Non ho voglia di parlarne, è ancora una ferita aperta. È vero, sono stata io a lasciarlo, ma questo non vuol dire che non stia male. Non tanto per Finn in sé, ho sempre saputo che non era la persona giusta per me, semplicemente è così destabilizzante accettare che la strada che stavamo percorrendo era quella sbagliata.

“Rae, possiamo cambiare discorso e semplicemente goderci la giornata?”. La mia amica annuisce e mi posa una mano sulla spalla. Faccio per dire qualcosa, quando mi ritrovo per terra. Alzo lo sguardo. Di fronte a me, Lexa mi tende la mano, gli occhi più verdi che mai. I nostri sguardi si incrociano e mi si mozza il respiro.

“Clarke, se non ti spingi con i piedi non riuscirò mai ad aiutarti ad alzarti.” mi dice lei, riportandomi alla realtà.

“Uh… S-sì.” balbetto. Mi rimetto in piedi e mi sistemo pantaloni e camicia, tentando di darmi un po’ di contegno. 

“Tutto bene?” mi domanda Lexa, preoccupata. 

“Sì, alla grande. Tu piuttosto? Vedo che l’occhio nero e il labbro stanno iniziando a guarire.”. Lexa annuisce, con fare malinconico. Il suo viso è in condizioni decisamente migliori, ma ho il sospetto che chiunque la maltratti non abbia intenzione di fermarsi. 

“Sto molto meglio, sì.” risponde, infine. “Sono qui con Aden e Anya.”. All’improvviso, due braccia mi circondano la vita. Chino lo sguardo e sorrido quando mi trovo il figlio di Lexa avvinghiato contro.

“Ti avevo detto di non correre.” lo rimprovera Anya. “Oh, ciao Griffin. Raven.”  ci saluta poi. 

“Woods.” replico io, timorosa. Anya continua a incutermi un terrore atavico e mi comporto come una presa in territorio ostile, ossia evitando movimenti bruschi e parole di troppo. 

“Clarke, andiamo di là?” mi chiede, indicando il chiosco del tiro a segno. “Voglio un peluche, ma mamma non è capace.”

“Aden!” 

“No Lex, va bene. Ero un fenomeno anni fa, lo sai.” dichiaro, mentre imbraccio il fucile. Aden mi osserva, speranzoso. 

“Clarke, sei sicura?” si preoccupa Raven.

“Sicurissima.” rispondo, mentre prendo la mira. 

“Sono cinque colpi, se fa centro con tutti vince il polpo gigante.” spiega il proprietario del chiosco. Mi concentro e fisso il bersaglio. Dietro di me, Lexa tappa le orecchie di Aden, per proteggerlo dal rumore degli spari. Premo il grilletto. Uno. Due. Tre. Quattro. Ne manca uno.

“Se fa questo, avrà vinto.” osserva il proprietario del chiosco. Scrocchio le dita e prendo un respiro profondo. Aden vuole quel polpo e lo avrà. Imbraccio nuovamente il fucile. Socchiudo un occhio, per prendere meglio la mira. Il rumore sordo dello sparo è musica per i miei timpani. 

“Centro!” esclama il proprietario del chiosco. Aden esulta e abbraccia Lexa, che mima un Grazie con le labbra e io non posso fare altro che risponderle con il più sincero dei sorrisi. La osservo mentre si porta una ciocca di capelli dietro alle orecchie. Il livido che le contorna l’occhio è ancora ben evidente e il solo vederlo mi provoca una morsa al cuore. Non si merita tutto questo dolore, né se l’è mai meritato. 

“Mamma, ho fame!” esclama Aden e la sua vocina acuta mi riporta immediatamente alla realtà.

“Ora andiamo a pranzo, tesoro.” lo rassicura Lexa. 

“Viene anche Clarke?” chiede il bambino. Sgrano gli occhi, incredula. Non sono sicura di aver sentito bene. Lexa alza il capo e mi guarda, facendo scontrare i suoi occhi verdi con i miei. 

“Clarke, sei dei nostri?”. Mi guardo attorno, un po’ a disagio. 

“Oh, i-io… Ero con Raven e…”. Solo ora mi rendo conto che la mia migliore amica è svanita nel nulla. 

“Dove…?”

“È con Anya.”

“Oh.” mi lascio scappare. Lexa scoppia a ridere, divertita.

“Allora, sei dei nostri?” rilancia l’offerta.

“Solo perché me l’ha chiesto Aden.”.

 

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“Aden, mangia piano.” si raccomanda Lexa. Il bambino sbuffa e affonda la faccia nell’hot dog che gli abbiamo comprato.

“Aden!” lo rimproveriamo entrambe. Lui ci guarda, forse sorpreso della mia reazione. Probabilmente si aspettava di avermi dalla sua parte. Anche Lexa sembra stupita. E, se devo essere sincera, lo sono pure io. Lexa scuote il capo e prende un tovagliolo, per poi pulire la bocca di suo figlio. Mi affascina il modo in cui si preoccupa di lui. È suo figlio, è naturale, ma è un modo di fare così sconosciuto per me. Non perché non abbia mai ricevuto la stessa cura, al contrario. Il problema è che non l’ho mai avuta io, non negli ultimi sei anni almeno. E, forse, è giunto il momento di prendersi qualche responsabilità. Non sono più una bambina, dopotutto.

“Come sta andando con l’album?” mi chiede improvvisamente Lexa, forse più per intavolare una conversazione che per vero interesse. In fondo, lo sa benissimo che non ho lavorato un granché bene da quando l’ho trovata a casa sua in quelle condizioni. E come avrei mai potuto?

“Un po’ a rilento. Diciamo che ho avuto altro a cui pensare.”. La vedo rabbuiarsi e subito mi rendo conto di ciò che ho detto.

“Non sto parlando di… Insomma, io...” farfuglio. “Sto trovando più stimolante lavorare all’EP che all’album. Ecco perché vado a rilento.” spiego, infine. Lexa non sembra del tutto convinta, ma non fa altre domande. Tra noi cala un silenzio carico di imbarazzo, almeno da parte mia. La verità è che tra l’altro a cui pensare c’è anche lei e non solo perché sono preoccupata del fatto che possano picchiarla di nuovo. C’è qualcosa in Lexa, qualcosa che mi spinge a guardarla, a considerarla in modo diverso. O, forse, quel qualcosa è in me. 

“Mamma, l’ho finito.”. Ci voltiamo entrambe verso Aden. Sorridiamo. Il bambino mostra orgoglioso il piatto vuoto. Ha la faccia tutta sporca di ketchup ed è estremamente buffo. Lexa si appresta a pulirlo, aiutandosi anche con una bottiglietta d’acqua. Osservo la scena e sento una voragine nel petto. È tutto così domestico, così intimo. Mi ricordo quando ero io al posto di Aden, con mia madre che mi ripuliva e mio padre che rideva come un matto. Mi mancano quei momenti. Mi manca quel senso di libertà di quando ero bambina. E, più di tutto, mi manca mio padre.

“Ehi! Griffin! Woods!”. Ci voltiamo. Dietro di noi ci sono i campi sportivi ed è esattamente da lì che Indra ci sta chiamando a gran voce.

“Coach, non posso.” ribatte Lexa, indicando Aden. 

“Oh, sciocchezze Woods. Dai su, muovetevi.”

“Coach, non penso di essere vestita nel modo corrett-…” provo a dire, ma Indra mi interrompe.

“L’abbiamo già fatto questo discorso. Blake è già qui, sbrigatevi!”.

 

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Io, Octavia e Lexa contro Ontari, Monroe e Luna, mi sembra di essere tornata ai vecchi tempi.

“Chi si vede! Sei tornata fra noi comuni mortali?” mi saluta quest’ultima. 

“Sì Griffin, siamo degni di stare in sua presenza?” mi sbeffeggia Ontari. 

“Dacci un taglio, White.” mi difende Octavia. 

“Dunque, le regole le conoscete. Si giocherà da questo lato del campo per un tempo di dieci minuti, chi arriva per primo a 21 vince. Pronte?”. Annuiamo e l’arbitro procede con il sorteggio. Palla alle nostre avversarie, ovviamente. Mi volto verso Indra. Non capisco perché mi stia obbligando a giocare. 

“Coach, è sicura? Non gioco da anni.” 

“Non c’entra, Griffin. Non importa da quanti anni non giochi, ma come vuoi giocare ora.”. Credo di iniziare a capire il punto. Corro verso Ontari e le rubo la palla. Uno-due con Octavia e primo punto. 

“Così si fa! Avanti ragazze, avanti!” ci esorta Indra. 

“Ora ti faccio vedere io.” sibila Luna. Riconquista palla e segna l’uno a uno.

“Brava tesoro! Insegna a quella ragazzina viziata a giocare a basket!” le incita il loro allenatore. Atom e io non siamo mai stati grandi amici. Giocava nella squadra maschile e Indra l’ha sempre considerato pigro e scorretto quando aiutava coach Mike ad allenare i ragazzi. 

“Ti piacerebbe.” replico. Passo la palla a Lexa, che me la ripassa. La lancio ad Octavia. Lei evita Luna e poi Ontari. La palla è di nuovo nelle mie mani. Tiro. 2-1.

“A chi vuoi insegnare a giocare?” provoco Atom. 

“Griffin, ci alleniamo da un anno per questo giorno e non sarete voi tre a rovinarci la festa solo perché la nostra amata coach ha deciso di iscriverti all’ultimo momento.”. Lancio un’occhiata confusa ad Indra, che mi fa semplicemente segno di continuare a giocare. Sospiro. Non ho molta scelta. Anche perché le nostre avversarie ci hanno appena superate, portandosi sul 6-5. Ho di nuovo la palla nelle mie mani. Avanzo lentamente, per poi servire di rimbalzo Lexa. Tiro, canestro. 6-6. Sarà una lunga partita.

“Vai mamma!” esclama Aden, che è seduto tra Raven e Anya. Lexa gli sorride con dolcezza. La partita però è ancora lunga e le nostre avversarie agguerrite. Un canestro segue l’altro, senza esclusione di colpi. Cerco di marcare stretto Ontari. Lei si libera, ma mi tira una gomitata. 

“Ehi! Colpo scorretto! Arbitro, è fallo!” sento Raven urlare da bordo campo.

“L’ho appena sfiorata!” replica Ontari.

“Sfiorata? Sta sanguinando!” ribatte Lexa, frapponendosi fra lei e me. L’arbitro deve essere spaventato dal suo sguardo, perché nemmeno prova ad avvicinarsi per sedare gli animi. 

“Vuoi un altro occhio nero, Woods?” minaccia Ontari e Lexa avanza verso di lei, dandole uno spintone.

“Una bella rissa, come i vecchi tempi! Mi piace!” Octavia esclama, emozionata. A quelle parole, Lexa sospira. 

“No, nessuna rissa. Avanti, giochiamo.” dice poi. Mi aiuta ad alzarmi e io le sorrido.

“Stai bene?” mi chiede.

“Sì, è stata solo una botta.” rispondo, mentre mi perdo nei suoi occhi verdi. Dannazione Clarke, non ora.

“Due tiri liberi per la squadra di coach Oak-McFarrel.” ordina l’arbitro. Mi posiziono sulla lunetta, la palla in mano. Tiro. Canestro.

“Brava Clarke!” mi incita Monty. 19-20. Devo assolutamente segnare il prossimo. Prendo un respiro profondo. Fisso il canestro. Sono tutta sudata e la mia camicia è da buttare, ma non mi interessa. L’unica cosa importante è quel dannato anello di metallo. Tiro. La palla sbatte violenta su un lato del ferro, poi sull’altro. Il tempo si ferma, l’unica cosa che si muove è quel dannato pallone. Ho il fiato sospeso. Ancora un colpo sul ferro. Poi, non so per quale miracolo, decide di infilarsi nella rete. 20-20 a dieci secondi dalla fine e Indra chiama il time out. 

“Abbiamo il possesso. Non ho voglia di vedere quel pallone gonfiato di Atom vincere, quindi vedete di fare il meglio che potete, d’accordo? Intendo il vero meglio, metteteci tutte voi stesse.”. Non sono ancora pienamente sicura di quello che sta succedendo, del perché io mi sia lasciata trascinare in tutto questo, ma non importa. Octavia mi passa la palla. Un rimbalzo, due rimbalzi. Provo a superare Monroe, ma non ce la faccio. Manca pochissimo. Lexa è libera a destra. Le passo la palla. Lexa prende la mira. Tira. La palla si insacca nella rete. 21-20. Esulto, e Lexa mi abbraccia. Ci ritroviamo per terra vicine, forse troppo vicine. 

“Oh, io… Scusa.” mormora lei, rossa dalla vergogna. Non le rispondo e le sorrido. 

“Posso unirmi?” chiede Octavia, lanciandosi letteralmente addosso a me. 

“O, ma che fai?” mi lamento, fra le risate. Ancora per terra, mi volto a guardare Indra. La donna mi sorride. Sembra… Fiera di me? E, forse, un po’ lo sono anche io.





Angolo dell'autrice

Scusate se non ho aggiornato questa mattina!
Spero che questo nuovo capitolo vi piaccia, finalmente Clarke sta pensando di riappropriarsi della propria vita e dei propri desideri. 
Grazie mille per le recensioni e per leggere questa storia.

Fatemi sapere che ne pensate, a martedì!




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