The Grave's Villa

di aurora giacomini
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28.07.21

 

 

The Grave's Villa

 


1
Incubi

 

 

Hellstreet era deserta quella notte, come tutte le notti precedenti. Deserta e silente. Non il verso di un gufo, non il volo di una civetta, niente grilli o cicale. Nulla.

Tutto sembrava destinato a rimanere immobile e silenzioso come se il tempo si fosse inspiegabilmente dimenticato di scorrere. Ogni cosa lasciava presagire che quella notte sarebbe stata eterna.

All'improvviso, uno dei lampioni che proiettava insieme ai gemelli un fascio arancio, emise uno sfrigolio e la luce si spense. Poi toccò al fratello vicino, e quello dopo ancora. In meno di un minuto, Hellstreet fu completamente buia.

In quella oscurità ci fu un movimento. Qualcosa di quasi violento nell'immobilità che aveva regnato fino a quel momento.

Era possibile intercettare la figura solo attraverso un bagliore che, a giudicare dalla distanza dall'asfalto, dovevano essere degli occhi. Occhi di un colore innaturale, quasi minaccioso. Occhi viola. La figura stava trascinando qualcosa, indizio dato unicamente dal suono. Doveva essere qualcosa di pesante. Probabilmente un corpo.

 

Clare aprì gli occhi. Il respiro ansante riempì la stanza. Non attese di calmarsi, gettò d'un lato le coperte intrise di sudore e paura e corse alla finestra che si affacciava su Hellstreet.

I lampioni erano accesi e alcune macchine, forse quelle di coloro che tornavano da una festa, spezzavano ad intervalli irregolari la quiete della notte.

“Clare...” la voce impastata dal sonno causò un sussulto alla ragazzina. “Di nuovo?” La domanda fu seguita da un fruscio di vestiti e coperte. Alcune molle gemettero sotto il peso della piccola sagoma delineata delle luci arancioni che filtravano dalla finestra.

“Torna a dormire, Tom.” Fu la replica perentoria eppur velata d'incertezza.

“Ma...” la frase fu interrotta da uno sbadiglio esageratamente teatrale, “ma come faccio a dormire con te che mi fai ansia?” Concluse Thomas. Non aveva tutti i torti: non è piacevole dormire con qualcuno che una notte sì e l'altra pure si sveglia facendo rumore.

“Ho detto torna a dormire-” uno squittio terrorizzato trasformò la e in delle i molto lunghe e acute. Era stato il rompo di un tuono e la luce abbagliante che lo aveva preceduto appena, a costringere Clare a tuffarsi letteralmente nel letto del fratello minore.

“Non ti voglio nel mio letto,” iniziò a protestare Tom, “non voglio che ci fai pipì!”

Clare lo guardò con indignazione, “perché dovrei fare pipì nel tuo letto? Non sono mica una mocciosa come te!”

“Ho sentito te e la mamma l'altro giorno: hai sporcato il letto! Che schifo! Non voglio dormire nella tua sporcizia!”

“Sono diventata una signorina, idiota! Non l'ho fatto apposta! E' una cosa completamente naturale...”

La luce si accese e i due fratelli gemettero e chiusero gli occhi, abbagliati dal lampo bianco del lampadario. Nessuno dei due aveva sentito i passi della madre lungo il corridoio.

“Clare, non chiamare tuo fratello idiota. E tu, Tom, lascia in pace tua sorella.”

“E' lei che è entrata nel mio letto!” Strillò il bambino che sentiva di essere completamente dalla parte della ragione. “L'ha fatto di nuovo: si è svegliata e mi ha svegliato!”

Clare scese mestamente del letto di Tom e si coricò sul suo materasso, dando le spalle ai membri della sua famiglia.

Sentì sua madre sospirare e avvicinarsi. Sprofondò leggermente verso di lei quando la donna si mise seduta sul bordo. “Mettiti i tappi, Tom. Cosa li ho comprati a fare?”

“Mi fanno sudare le orecchie.” Fu la risposta risentita. “Mi danno fastidio! Perché devo essere io a fare cose fastidiose quando lei potrebbe semplicemente non fare rumore di notte?!” Era piuttosto orgoglioso del suo ragionamento: qualcosa che non faceva una piega e che era riuscito ad esprimere nel migliore dei modi.

“Thomas...”

“Perché non posso avere una stanza tutta mia? Il vecchio studio di papà è deserto.” Borbottò. Clare non poteva vederlo, ma era certa che Tom avesse quella sua solita espressione risentita, quella che gli piegava all'ingiù i bordi della bocca e gli faceva luccicare gli occhi. 

Clare sentì il respiro di sua madre perdere appena il ritmo, ma non disse nulla. Donna non era ancora riuscita a superare la morte del marito, scomparso prematuramente in un incidente d'auto un paio di mesi prima. Qualcosa che era suonato piuttosto strano a Clare e Thomas, dal momento che loro padre prendeva sempre l'autobus.

Clare pensava di sapere cosa fosse successo a suo padre: gli incubi con la creatura erano comparsi la stessa notte in cui lui, suo padre, non era tornato a casa. Era stata quella cosa a prenderlo. E nessuno le credeva.

Tom sbuffò, però i suoni provenienti dalla sua parte di stanza dissero a Clare che aveva infine ubbidito.

“Clare...” Donna le posò una mano sulla spalla, “di nuovo quel brutto sogno?”

La ragazzina tentò di reprimere le lacrime, “perché nessuno è andato a controllare nella vecchia villa dei Grave?” Il sogno s'interrompeva sempre allo stesso punto, ma lei sapeva che era quella la destinazione della creatura degli occhi viola.

“Non è lì.” Replicò Donna con un sospiro.

Se non lì, dov'era dunque il corpo del dottor Richard Guilty? No, era in quella villa, o per lo meno ci era stato.

“Come possiamo esserne sicuri se nessuno controlla?” Quella sera si sentiva ancora meno incline del solito a lasciar perdere. “Altre persone sono scomparse da quella notte... anche dei bambini.”

“Rammenti cosa ho detto a proposito dell'entrare in quel vecchio edificio?”

Clare sospirò e si sforzò di rispondere: “che se qualcuno ci entra finisce schiacciato... è tutto marcio e il minino movimento causerebbe un crollo.” Recitò le parole che aveva sentito ormai troppe volte, poi aggiunse: “ma se è tanto pericolosa, perché il sindaco non la fa demolire?”

“I soldi non piovono dal cielo, Clare.” Rispose Donna. “La prossima volta che ci sarà un temporale più violento del solito verrà giù da sola, a quel punto sarà molto più facile spostare semplicemente i resti.”

Clare rimase in silenzio ad ascoltare le gocce d'acqua battere sulle tegole. Si chiese se il temporale di quella notte sarebbe stato abbastanza. Immagino la vecchia villa collassare su sé stessa, poi, con la luce del sole, le ruspe spostare le macerie e i corpi di suo padre e degli altri scomparsi. Quell'immagine ruppe definitivamente gli argini. Le lacrime cominciarono a scorrere accompagnate dai singhiozzi.

“Sfogati, piccola mia.” Le disse Donna, massaggiandole la schiena. “Piangere va bene. Non devi tenerti tutto dentro.”

 

Clare si addormentò stremata dal pianto. Quella notte non sognò più la creatura, sogno invece suo padre, i suoi strani occhiali ed il suo sorriso. Poi i toni divennero cupi: suo padre entrava nella villa che improvvisamente aveva un volto: la porta una bocca nera di cui le travi sembravano denti marci e aguzzi, le finestre vitrei sguardi.

Provò a fermarlo, ma la casa lo prese.

 

Si svegliò e vide che era giorno. La luce malaticcia, giallognola e grigiastra le dissero che il tempo non era mutato nell'arco della notte. Ma una cosa era cambiata: Clare aveva preso una decisione.

Rimase diversi minuti stesa immobile ad ascoltare i tuoni e la pioggia. Poi si alzò.





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