Chapter
2:
“Un
gatto di porcellana”
“Con
che cosa ti hanno minacciato?”
Il
poliziotto mi osserva stupito da dietro la scrivania, forse
è
un bancone.
Cerca
di trattenersi, non vuole scoppiare in una risata fragorosa davanti a
me.
Ieri
sera poi mi sono addormentato e mi è toccato venire di
mattina
a fare una denuncia. L'idea di raccontare la verità
però
forse non è stata buona, direi che è stata la
peggiore
dell'ultima settimana. Perché non usare quella del mitra, mi
chiedo.
“Con
un fallo gigantesco”. Provo a dirlo nella maniera
più
discreta possibile ma per lui è la goccia che fa traboccare
il
vaso.
Inizia
a ridere, non riesce a trattenersi, chiama perfino un collega che
stava passando.
L'attenzione
si focalizza su di noi.
“Vieni!
Ce n'è un altro!”. Un altro?
Quello
nuovo è abbastanza grassoccio e avanti con gli anni. Lui
è
serio, non la trova una cosa simpatica; appena arrivato mi lancia
un'occhiata severa e inizia a parlare. “Questa storia
è
ridicola”.
Ma
è la verità!
“Però
essendo il settimo caso questa settimana dobbiamo crederti”.
Sobbalzo.
Il settimo caso? Mio dio quante vittime hanno fatto con quel coso?
“Non
posso credere che sia accaduto ad altre sei persone”
commento.
L'uomo
con cui avevo parlato all'inizio, un giovane dalla carnagione
abbronzata, mi riprende: “A cinque di loro è
andata bene,
come a te, poiché hanno ricevuto solo minacce”.
“L'altro?”.
“Ha
provato a reagire e...” sta per ridere di nuovo.
“... è
successo”.
Successo?
Cosa?
Ci
penso alcuni secondi: possono essere successe molte cose, ma una
sembra la più probabile, cioè: quelle
pazze
hanno fatto quella cosa con quel
coso a quel poveretto?
“Ma
è enorme!” dico all'improvviso immaginandomi la
scena.
Loro
annuiscono, uno serio e l'altro ridacchiante.
“Si
trova all'ospedale, infatti, la cosa è piuttosto
grave” mi
dice il vecchio.
Poi,
senza una ragione ben precisa, parte con una spiegazione.
“Noi
le chiamiamo le Yao, o le Yoa, oppure: Ayo, Oya, Oay o Aoy. Non
sappiamo di preciso quale sia il loro nome”. Sì,
in parole
povere mettete insieme le lettere scritte sulla maschera, sarei
capace anch'io. “La prima segnalazione risale a
lunedì”.
Faccio
un piccolo calcolo: oggi è giovedì, quindi
è
quattro giorni fa.
“A
te cosa hanno rubato?”
Ok.
Ora
che cosa dico?
Come
glielo spiego che avevo una rivista porno yaoi in versione fumetto
nel cassetto?
Devo
inventarmi qualcosa.
“Un
gatto di porcellana”.
“Un
gatto di porcellana?” mi riprende il vecchio.
Dannato
vecchio! Se ci fosse stato solo l'altro magari l'avrebbe creduto,
sembra abbastanza stupido.
Comunque
devo ammettere che non ha senso.
“Senti:
abbiamo la lista di ciò che hanno preso fin'ora e direi che
non è nel loro stile prendere un gatto di
porcellana”.
Un
gatto di porcellana! Ma come mi è venuto in mente?
“Capisco
che può essere imbarazzante ma devi dircelo”.
Sospiro.
Sospiro. Sospiro. Non posso mica dirlo davvero!
Probabilmente
inizio a sudare, con la mano destra mi gratto prima la fronte e poi
la nuca. Il mio volto arrossisce, lo sento cambiare colore.
“Era
forse un gatto di porcellana che assomigliava vagamente a un
pene?”
mi consiglia il più anziano.
Io
annuisco, è la risposta che fa meno male tra le possibili.
“Capisco.
E tu che ci facevi?”. Io direi anche di smetterla.
Non
era una domanda in programma. Posso non rispondergli, non è
una cosa che interessa ai fini della denuncia ma se non dico niente
penseranno qualcosa che di sicuro non mi piacerà.
È
giunto il momento di inventarmi una storia, questa volta senza gatti
di porcellana.
“Ho
una zia molto eccentrica” e ora come proseguo?
“Sapete, mi sono
trasferito qui proprio ieri per studiare e lei ha insistito
affinché
lo portassi con me. Ha davvero la forma di un gatto ma in
realtà
è... quello. Secondo lei porta fortuna,
insomma:
secondo il suo culto pagano”.
Se
avessero un minimo di cultura a riguardo potrebbero contraddirmi.
Cosa c'entra il paganesimo con i falli? Spero che non siano ferrati
sulla cosa
“Capisco”
leggo lo stupore su di lui, per fortuna è ignorante in
materia
di paganesimo. “Mi dispiace che il tuo primo giorno sia stato
così
sconvolgente”.
“Non
si preoccupi” rispondo. “Non sarà questa
cosa a farmi
giudicare il posto”.
Iniziano
a pormi altre domande, cose più tecniche.
Nome,
cognome, data di nascita e simili.
Si
arriva alla via. Non la ricordo, così estraggo il foglietto.
“Via
Isola Verde numero quarantacinque”.
“Al
sesto piano?”
“Sì”
rispondo senza pensarci.
Passano
alcuni secondi prima che mi chieda come cavolo facciano a saperlo.
Divento sospettoso.
Forse
sono complici o più probabilmente Sabrina ha fatto una
denuncia prima di me.
Oppure
è stato un gatto di porcellana.
Ok,
devo smettere di pensarci.
*
Quando
torno a casa la incontro, proprio davanti alla porta
dell'appartamento: ha suonato il campanello ma nessuno ha risposto e
così è in procinto di andarsene. Oggi indossa una
maglietta nera, con varie scritte rosse in una lingua dell'est che
non conosco. I pantaloni invece sono degli short di jeans.
Rimane
immobile davanti al portone quando mi vede, posso notare il suo volto
illuminarsi appena.
Mi
saluta con la mano prima di parlare. “Cristian, ti stavo
cercando”.
“Dimmi
tutto”.
Intuisco
già cosa vuole dirmi, sarà qualcosa che ha a che
fare
con il furto.
“Ieri
notte qualcuno è entrato nella mia soffitta e ha fatto un
po'
di casino. Volevo sapere se te hai sentito qualcosa”.
Faccio
finta di nulla. “Dei ladri?”
“A
quanto pare”.
Scuoto
la testa amareggiato. Fingo dannatamente bene a volte. “No,
non ho
sentito nulla”.
Ho
fatto la cosa giusta, ergo, la migliore: non potevo mica dirle di
aver raccolto un fumetto da quelli caduti e successivamente averlo
ceduto alle pazze armate di fallo. Lei sospira abbassando lo sguardo.
“Guarda
che lo so che ne hai preso uno ieri sera”.
Perfetto:
non credevo che avesse una vista così acuta, sulla schiena
poi. Sa cosa ho fatto e probabilmente deduce cosa è successo
dopo, i suoi occhi innocenti mi stanno minacciando.
Non
saprei spiegare il modo con cui degli occhi minacciano qualcuno,
però
ora sento di dover ammettere tutto. Deglutisco, ma lei precede una
qualsiasi altra mia reazione. “Leggi tra le righe, Cristian,
voglio
sapere se ce l'hai ancora o ti è stato preso”.
Ne
parla come se fosse una cosa di valore. “Mi è
stato preso”.
Con
forza sbatte un pugno contro il muro ingiallito vicino alla porta,
credo che abbia perso la pazienza. Poi la osservo meglio: non
è
arrabbiata, forse è sconfitta. Sono confuso, seriamente
confuso da ciò che è accaduto ieri e dalla
reazione di
questa giovane sconosciuta.
“Sabrina...
mi dispiace” provo a dirle.
“Lascia
stare. Hanno vinto un'altra volta”.
“Non
capisco”.
Lei
mi dice di lasciare perdere e io obbedisco. Ora sono sicuro che lei
ha qualcosa che la lega alle tre ladre sodomizzatrici; è a
conoscenza di vari punti che non vuole dire. Lei è informata
dei fatti, lo deduco con facilità.
Hanno
vinto, così ha detto, ma vinto a cosa? Gioca forse a
nascondere la roba per vedere se le ladre la trovano? Oppure
è
qualcosa di più serio: una guerra nascosta.
Non
si confiderà con me, ci conosciamo da un solo giorno, ma la
curiosità mi implora di capirci qualcosa di più.
Potrei
spiarla o seguirla anche se non ne sono capace.
Ora
mille possibilità mi frullano nella testa: tante opzioni,
tante conseguenze, tante probabili risposte.
La
seguirò stanotte, non ho nessun altro programma in agenda.
Stanotte
perché le cose losche si fanno di notte, appunto.
*
Sono
rimasto in casa tutta la sera ma lei non è uscita.
Sono
rimasto vestito e con le chiavi pronte per ore ma non l'ho sentita
scendere per le scale.
Sono
rimasto sul divano cremisi con l'idea di un pedinamento da film.
Sono
rimasto qui come un cretino dietro un'idea cretina.
Alla
fine mi sono deciso a fare una passeggiata ed eccomi qui, in una
stradina deserta all'una di notte. Passeggio nel silenzio totale,
circondato solo da insegne di negozi chiusi, panchine e qualche
albero.
Non
mi pento di ciò che ho fatto, l'idea era buona, è
stata
lei a non permetterne l'attuazione. Non è stato neppure
tempo
sprecato quello, alla fin fine non avevo nient'altro da fare.
Mi
imbuco in un vicolo stretto, circondato da due alti palazzi, alla
fine dovrei sbucare in una via più grande proprio vicino al
portone. Mi sembra di stare in un canyon, quelli dei film, solo che
è
buio e non ci sono indiani e cowboy.
Ritiro
il paragone con un canyon.
Sono
stanco: sto ritornando verso casa.
Un
fruscio sospetto. Di notte sono sempre molto attento ai rumori, ho
una innaturale paura per ciò che può accadere nei
luoghi isolati e apparentemente deserti. Per i vicoli, le scale, le
case abbandonate, i cantieri chiusi e i cimiteri.
Mi
volto di scatto e vedo un foglio di giornale mosso dal vento.
Un
altro rumore: una macchina che parte. Paura inutile.
Rumore:
un gattino che salta sul cassonetto. Spavento inutile.
Rumore:
una vecchia che si è affacciata al balcone. Sobbalzo
inutile.
Rumore:
due loschi individui sono apparsi vicino a me, uno è davanti
a
me e uno è dietro di me. Adesso credo di dovermi
preoccupare.
Sono
gemelli, identici. Hanno una felpa nera e un cappuccio sulla testa,
ma il volto è ben illuminato: mento spigoloso, piccolo naso
e
occhi di un colore indefinito. Come due gocce d'acqua.
Sono
anche alti e grassocci, insomma persone che vorresti incontrare in
un vicolo isolato.
Non
dico nulla, vado avanti e mi avvicino sempre di più a quello
che mi para la strada, e che riesce a occuparla.
Passaggio
ostruito, non posso proseguire.
“Scusi,
si può spostare?” domando con un filo di voce e
tanta
follia.
“Questo
è il nostro territorio” dice quello dietro di me.
“Un
vicolo?”.
“Sì,
un vicolo”.
“Avete
solo questo vicolo?”
Sembra
scocciarsi. “Sì, abbiamo solo questo
vicolo”.
“La
cosa suona ridicola”. Non ce l'ho fatta a trattenermi. A
volte mi
domando se la mia bocca non è comandata da qualcun altro.
Parla senza che io ne abbia il controllo, dice cose tra le
più
disparate.
Forse
ho una bocca senziente. Rimaniamo alcuni secondi in silenzio, loro
non sembrano intenzionati a parlare e io sto rimuginando sulla mia
bocca.
“E
così questa è la vostra via”. Mi tocca
iniziare
perfino una conversazione, tanto vale fare una domanda sul tempo.
Quello
davanti fa una smorfia. “Sì, proprio
così”.
“Allora?”
domando. Che è la loro via l'ho capito ma a me non interessa
molto. Vediamo di sbrigare questa cosa velocemente che voglio tornare
a casa.
L'uomo
alle mie spalle sospira, quello davanti fa spallucce.
“Nulla,
così tanto per dirtelo”.
“Mi
fa piacere. Io sono nuovo, appunterò questa cosa nel mio
diario segreto”. Mi sembrano abbastanza stupidi,
così come
non capisco il loro modo di fare. Cercherò di assecondarli,
mostrandomi amichevole.
“Interessante,
mi sembrava di non averti mai visto”.
Nuovi
attimi di silenzio.
“Ora
posso passare?”
Ci
pensano un po' su, entrambi. Vedo quello che ho davanti scuotere il
capo.
“C'è
una cosa che dobbiamo chiederti. Per quale motivo pensi che ti
abbiamo fermato?” Per dirmi che è la vostra via,
ovvio.
“Dobbiamo chiederti dei soldi”.
“In
prestito?” ci scherzo un po', non sono così svegli
da
arrabbiarsi.
Rimangono
immobili, non sanno come rispondere così prendo nuovamente
la
parola. “Comunque non ho il portafoglio con me, mi
dispiace”.
È
la prima volta che provo a fregare individui del genere, anche
perché
è la prima volta che li incontro. Nel mio paese non
esistono.
Guardandoli
bene sembrano due ippopotami gonfiabili vestiti da persone cattive,
ma non sono cattivi. Solo un altro animale gonfiabile potrebbe cadere
nel loro tranello; non mi stupisce abbiano solo un vicolo. Quello
dietro fa una serie di rumori strani, mi volto e lo vedo frugare in
una tasca. Estrae un biglietto con le istruzioni, manco fosse una
lista della spesa.
“Allora
dobbiamo farti del male”.
Idiota
lui e chi ha scritto quel foglio. Idiota io che sono uscito di notte
in un luogo sconosciuto.
“Non
vorrete mica farlo davvero?” ora inizio a non sentirmi al
sicuro.
La follia è svanita.
Ieri
sera vengo minacciato da un fallo gigante, stasera da due ippopotami.
“Mi
dispiace, ma il capo ci ha detto questo”. Quello davanti a me
sembra davvero rammaricato. Povero diavolo. Non credo in Dio, ma se
esiste deve intervenire subito affinché un innocente non si
faccia male.
Stomp.
La mia testa si gira nuovamente.
Prima
che qualsiasi altra cosa possa accadere una figura è caduta
davanti a me. È piombata al suolo come un sacco
dell'immondizia gettato dalla finestra. È in piedi grazie a
un
atterraggio da film e ora si guarda attorno. In mano ha un porro, un
lungo porro.
I
due sono spaventati dalla verdura, chissà perché.
La
guardano con gli occhi sgranati.
“Marco”
sospira guardando colui che si trova davanti a me.
“Mirko”
sospira voltandosi verso quello dietro.
Se
incontro la loro madre mi congratulerò per la scelta dei
nomi,
assolutamente.
“Sabrina”
rispondono loro.
Nessuno
che abbia detto “Cristian” chissà
perché.
“Cristian”
sospira lei lanciandomi un'occhiata. Mi rimangio ciò che ho
appena detto, qualcuno ha detto il mio nome. Evviva!
“Ciao
Sabrina” rispondo cortesemente. Aspetto per alcuni secondi un
chiarimento che non arriva e mi faccio avanti. Perché la
gente
piomba dal cielo e due stupidi pretendono di chiedere un pegno? E
perché c'è un porro, ditemi per quale assurdo
motivo
lei maneggia un porro.
“Posso
sapere che cosa sta accadendo?”
“Un
secondo” mi risponde lei scattando in avanti.
Il
tonfo del metallo che sbatte contro una testa. Poi si volta, giusto
il tempo di saltare oltre di me e arrivare all'altro. Il tonfo del
metallo risuona un'altra volta.
Come
fa il metallo che sbatte? Tipo: Sdeng?
Nel
mio diario segreto dovrò scrivere che la mia vicina ha
appena
picchiato due uomini con una verdura dalla dubbia provenienza.
Comunque:
mi sono perso da qualche parte... non ci capisco più nulla.
Cioè, devo correggermi: non capisco quasi più
nulla di
ciò che sta accadendo. Una cosa mi è chiara: il
porro
mi ha salvato.
È
successo molto velocemente, ma in poche mosse li ha stesi entrambi
armata di quello. Ora capisco il loro spavento.
“Eccomi”
sospira avvicinandomi a me.
I
due stanno rantolando al suolo, me ne assicuro con un'occhiata rapida
prima di tornare a fissare la mia vicina. “Grazie”.
Mi fanno
quasi pena, dev'essere stato un porro di piombo.
Lei
sospira e mi dice di seguirla, mi sta conducendo a casa.
“Erano
amici di mio fratello, a volte gli piace giocare al boss e alla banda
di criminali”.
Capisco
e questo gioco comprende anche il fare del male agli altri? Insomma,
che educazione ha ricevuto costui?
“Ultimamente
sono diventati più aggressivi, insomma, sono stati messi
alle
strette. Il quartiere non è più loro e li
appartiene...”
“Solo
un vicolo” la precedo.
Sabrina
annuisce con un sorriso. “Vedo che ne sei al
corrente”.
“Perché
hanno perso il quartiere?” mi sembra di parlare di una cosa
seria,
non di un gioco per ragazzini cresciuti (male). Lei invece la prende
come una sciocchezza, a sentirla sembra quasi che mi stia raccontando
delle sue barbie.
“Qualcun
altro lo ha preso. Sono stati cacciati”.
“Da
chi?” alla mia domanda lei si volta di scatto fermandosi.
“Se
posso saperlo...” aggiungo mettendo le mani avanti a me.
“Indovina?
Dalle stesse che ieri sono venute da te: le Y.A.O.I.”.
Sono
perplesso. Cos'è questa sigla? Sono una band musicale pop?
Magari
le vedrò suonare.
“Loro?”
“Sì,
loro”.
Arriviamo
al portone, lo apre ed entriamo. Rimango in silenzio fino alla
seconda rampa di scale, poi le domando: “Il tuo porro
è di
metallo?”
Lei
si ferma. Era davanti a me, qualche gradino avanti, con l'oggetto
della discussione in mano. “No, è un porro
normale”.
Allora
come hai fatto a tramortirli?” ora sono io che mi fermo,
mentre lei
riprende il cammino.
Aspetto
alcuni secondi, il tempo che impiega per pensare a una risposta; alla
fine si affaccia una rampa più in alto. “Non fare
domande,
Crist”.
“Crist?”
la mia attenzione è stata sviata verso questo diminutivo.
“Sì,
Cristian è lungo e così l'ho
abbreviato”.
“Ma
è orrendo”.
Non
ribatte e continua la scalinata, per seguirla mi tocca fare una breve
corsa lungo le rampe.
Torna
tra noi il silenzio fino al quinto piano, quando la lascio davanti
alla porta.
Mi
saluta con la mano, per evitare di fare ulteriore rumore vista la
tarda ora; io non posso resistere però, sento il dovere di
dire qualcos'altro, tanto per chiudere la conversazione.
“Questo
posto è pieno di cose strane”.
Lei
apre la porta e sta entrando “Non hai visto ancora
nulla”.
La
porta si chiude piano e senza far rumore.
La
conversazione è rimasta più aperta che mai.
La
mia mente è rimasta più confusa che mai.
La
casa è ancora più puzzolente che mai.
La
finestra è ancora più rotta che mai.
Là
fuori c'è gente più pazza che mai.
Dovrei
finirla adesso.
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