Bloody Castle - L'ultima strega

di Nana_13
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Capitolo 11

 

Aria (parte 2)

 

 

“Forza, dovete metterci più impegno. Siete troppo lenti.” 

Dean girava tra loro sdraiati per terra e, dall’alto della sua posizione, impartiva direttive e comandi neanche fosse a capo di un plotone dei marines. 

“Facile parlare se non stai facendo niente.” borbottò Cedric per tutta risposta, forse pensando che in quel modo non lo avrebbe sentito. Speranza vana.

“Risparmia il fiato e continua.” lo rimbeccò Dean infatti, senza neanche degnarlo di uno sguardo.

Mentre tentava di portare a termine l’ennesima flessione senza stramazzare al suolo, Juliet iniziava a rimpiangere di aver pensato che l’idea avuta da Mark di chiedere a Dean di allenarli fosse buona. Tutto era partito da qualche giorno prima, quando Margaret aveva portato Rachel con sé per insegnarle i primi rudimenti della magia e loro erano rimasti in casa senza sapere come impiegare il tempo. Ayris trascorreva gran parte della giornata fuori, in città per delle commissioni, a occuparsi delle pecore o nella serra a raccogliere erbe per le pozioni di sua zia. Sospettava fosse anche un modo per non ritrovarseli sempre tra i piedi. Quindi avevano pensato di farle un favore trovandosi qualcosa da fare e, parlandone insieme, alla fine Mark li aveva convinti. Gli sarebbe piaciuto continuare con l’addestramento appena iniziato dagli Jurhaysh, che aveva dovuto interrompere per andare a Bran. Secondo lui, non avrebbe fatto male nemmeno a loro e in un primo momento Juliet l’aveva creduta un’ottima occasione per imparare un minimo di autodifesa, visto che ogni volta che le era capitato di ritrovarsi faccia a faccia con un vampiro se l’era cavata solo grazie alla presenza di qualcuno più esperto di lei e quella situazione cominciava a stancarla. Non voleva più pesare su nessuno. Ora, però, vedendo quanto in realtà fosse difficile stare al passo, e soprattutto faticoso, tutta la determinazione con cui era partita stava lentamente vacillando.

Non ne era certa, ma ormai dovevano essere trascorse almeno un paio d’ore da quando avevano iniziato. Sentiva il fiato farsi ogni secondo più corto e, nonostante fuori la temperatura non superasse i dieci gradi, grondava di sudore. Per fortuna, Margaret le aveva dato da bere un infuso di sua invenzione che le aveva fatto passare il raffreddore in meno di due giorni, altrimenti un bel febbrone non glielo avrebbe tolto nessuno. 

Del tutto indifferente ai suoi mille tormenti, Dean le si avvicinò, piegandosi sulle ginocchia e Juliet lo intravide con la coda dell’occhio. 

“Come procede?” le chiese, senza lasciar trapelare il minimo segno di tenerezza. Era evidente quanto prendesse sul serio quello che stava facendo.

Lei però non era sicura che volesse davvero saperlo e in ogni caso non aveva la forza di rispondergli, perciò non lo fece, limitandosi a continuare con le flessioni per quel poco che riusciva ancora a muoversi. Iniziava a non sentire più i muscoli delle braccia, ammesso che di muscoli si potesse parlare.

Dean recepì comunque il messaggio. “Okay, tutto chiaro.” disse con una punta di ironia, prima di alzarsi. A quel punto, forse intuì che per quel giorno poteva bastare con il riscaldamento individuale perché li invitò a rimettersi in piedi e, dopo aver concesso una misera pausa di cinque minuti, tornò subito alla carica. “Bene, direi di ripassare la tecnica per liberarsi da un aggressore.” stabilì pratico. 

A Juliet prese subito lo sconforto. Non era da molto che avevano iniziato con l’autodifesa, perché a sentire Dean era un livello fin troppo avanzato per loro. Così in un primo tempo li aveva sfiancati con una serie di esercizi per rinforzare i muscoli, cosa per cui si era rivelata già abbastanza negata. Figurarsi cosa avrebbe potuto combinare con il corpo a corpo.

Comunque obbedì senza fiatare quando le disse di girarsi di spalle. Dopodiché lo sentì avvicinarsi e tentò di scacciare l’imbarazzo quando avvertì i loro corpi entrare in contatto e le sue braccia circondarla, per poi stringerla a sé a simulare un tentativo di aggressione. 

“Ora apri i palmi, ruotali verso l’esterno e spingi con tutta la forza che hai.” 

Non era semplice per lei concentrarsi sentendo il suo respiro sul collo, ma si impose di focalizzare l’attenzione solo su ciò che doveva fare. Seguendo le sue istruzioni, distese completamente le mani e iniziò a spingere, non senza sforzo perché la presa di Dean era ben salda. Aveva come la sensazione di trovarsi stretta in una morsa e per un momento pensò che non ce l’avrebbe fatta. Tuttavia, la voglia di dimostrargli le sue capacità era troppa e alla fine, con un’ultima forte spinta, riuscì a liberarsi. 

Quando si voltò a guardarlo, lo trovò con un’aria di composta soddisfazione dipinta in faccia. “Brava, hai capito come si fa.” le concesse, prima di fare cenno a Mark di venire al suo posto. “Ora prova con lui.” 

Mark le si avvicinò, circondandola con le braccia come aveva visto fare da lui e subito dopo la strinse a sé, ma lo fece con così poca forza che Juliet riuscì a toglierselo di dosso senza troppa fatica.

Ovviamente Dean si accorse subito che era stato troppo facile. “Rifatelo, ma stavolta stringi di più.” 

“È talmente gracile… Potrei farle male sul serio.” replicò Mark reticente.

“Credi che a un vampiro importerebbe qualcosa? Avanti, non stiamo perdendo tempo qui.”

La colpì non poco l’atteggiamento asettico con cui gestiva la situazione, come se non avesse a che fare con loro ma con degli estranei che aveva avuto il compito di addestrare. Comunque, lasciò che Mark ci mettesse più forza senza lamentarsi.

Soddisfatto, Dean la guardò. “Bene, prova di nuovo.”

Juliet annuì, ripetendo gli stessi movimenti; solo che stavolta fu più difficile perché Mark aveva preso alla lettera le direttive e le teneva le braccia bloccate contro il petto. Già provata dagli esercizi precedenti, non riusciva a trovare la forza per contrastarlo. D’istinto allora le venne un’idea: sfruttando l’unica parte del corpo ancora libera di muoversi, con un colpo di bacino spinse Mark lontano da sé e lo costrinse a mollare la presa. Purtroppo si rese conto di averci messo più foga di quanto intendesse veramente quando lo sentì emettere un lamento strozzato. Senza volerlo, lo aveva preso proprio nelle parti basse.

Il ragazzo si piegò su se stesso, finendo in ginocchio con le mani chiuse a protezione del punto dolorante. 

“Oddio, mi dispiace tanto!” esclamò mortificata, chinandosi all’istante accanto a lui per constatarne le condizioni, mentre alle sue spalle Cedric si abbandonava a delle grasse risate. “Scusami, non volevo. Io…”

Con un gesto della mano, Mark provò a tranquillizzarla, nonostante si vedesse lontano un chilometro che stava soffrendo. 

Più seccato che altro, Dean si portò una mano sugli occhi, rassegnato. “Basta con i piagnistei, riproviamo.”

Juliet però non era dello stesso avviso, anzi, si stupì che lo avesse anche solo proposto e gli rivolse un’occhiata incredula. “Stai scherzando? È chiaro a tutti che questa roba non fa per me.” sentenziò, alzandosi in piedi. 

“Ma che dici? Ce l’hai fatta, sei riuscita a liberarti.” ribatté lui, sorpreso dalla sua reazione.

“Sì, ma per farlo l’ho quasi castrato!”

Per non aggiungere altra agitazione alla sua, Dean sospirò paziente, cercando di riportare la calma. “Lo scopo di queste lezioni è riuscire a difendersi dai vampiri. Cosa farai quando uno di loro ti attaccherà? Ti preoccuperai della sua salute? Perché, credimi, a loro non importa della tua.” 

Juliet non lo avrebbe mai messo in dubbio. Sapeva perfettamente che aveva ragione, ma il punto era un altro. Con tutta la buona volontà, lei non sarebbe mai stata in grado di usare la violenza su qualcuno e, quando per sbaglio ci riusciva, i rimorsi di coscienza la perseguitavano per giorni. Era fatta così. Non poteva farci niente. “Senti, forse è il caso di lasciar perdere. Forse dovrei tornare a cucinare, che è la cosa che mi riesce meglio.” disse infine, visibilmente giù di tono. 

Alzando un sopracciglio, Dean le trasmise con il solo sguardo la sua opinione in proposito. “Quindi vuoi arrenderti.” constatò. “Hai così poca fiducia in te stessa?”

Juliet dovette sforzarsi per continuare a guardarlo, vergognandosi di se stessa.

“Odio ammetterlo, ma stavolta Yoda ha ragione.” intervenne Cedric a quel punto, apostrofando Dean con uno dei suoi tanti soprannomi. Quello però era davvero azzeccato. “Non è giusto che tu non abbia la possibilità di imparare a difenderti, Juls.” 

“Lo so e, credetemi, lo vorrei tanto. È solo che… non mi piace la violenza e detesto l’idea di fare male a qualcuno, chiunque egli sia.” Con aria affranta si sedette su uno dei gradini del porticciolo. “Mi dispiace. Sono solo un peso inutile.”

Fu allora che Dean compì un gesto inaspettato, come ancora più inaspettate furono le parole che le rivolse subito dopo essersi chinato di fronte a lei e averla guardata negli occhi. “Questo non devi pensarlo. Non sei affatto un peso. Anzi, se non fosse stato per te, a quest’ora i tuoi amici sarebbero morti di fame.”

“O morti e basta.” gli fece eco Cedric, concordando per ben due volte con lui. “Insomma, quando ci facciamo male sei l’unica a sapere cosa fare.” 

Anche Mark annuì, ancora dolorante per la botta ricevuta. “Giusto. Nei videogame o nei giochi di ruolo, il gruppo di eroi ha sempre un guaritore. E tu sei questo, sei la nostra guaritrice.” 

L’amico allora lo guardò, aggrottando la fronte stranito. “Ma quanto sei nerd?” fece, scuotendo la testa. 

Per tutta risposta, Mark gli rifilò un pugno leggero sul braccio, prima che entrambi iniziassero a ridere. 

Il loro battibecco ebbe il potere di risollevarle il morale e Juliet li seguì subito, sentendosi risollevata. Avrebbe potuto giurare di aver visto anche Dean concedersi una sottospecie di sorriso, ma durò un attimo. Subito dopo, infatti, tornò a guardarla serio.

“Il tuo ruolo di guaritrice, se così vogliamo chiamarlo, non ti preclude di imparare l’autodifesa. Perciò forza.” disse, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi. “Riprendiamo, che ce n’è di lavoro da fare.”

 

Nel frattempo, Rachel era alle prese con i suoi primi tentativi di generare volontariamente la magia. Finora, infatti, ogni manifestazione dei suoi poteri aveva avuto luogo in modo casuale e del tutto indipendente dalla sua volontà. Adesso invece si trattava di concentrarsi su ciò che realmente sentiva di poter fare, sull’energia che avvertiva scorrere dentro di sé, ed esternarla nel concreto. 

Il primo esercizio che Margaret le stava facendo fare consisteva nel materializzare una lingua di fuoco dal palmo della mano e incendiare un mucchietto di legni secchi accatastati in un angolo del laboratorio. Solo che ormai ci stava provando da giorni, con risultati a dir poco deludenti. Un po’ di fumo grigiastro e qualche scintilla erano stati il massimo che era riuscita a ottenere, e francamente non capiva perché, visto che qualche sera prima aveva quasi rischiato di ammazzare tutti con l’energia scaturita da una delle sue sfuriate. Cos’era cambiato da allora?

Innervosita, aveva anche provato a dirle di cambiare esercizio, ma lei aveva risposto che quello delle fiamme era un modo per verificare il tipo di elemento da cui i suoi poteri derivavano e venivano alimentati. Ogni strega infatti, aveva spiegato, durante il suo addestramento imparava a padroneggiare tutti e quattro gli elementi presenti in natura, ma solo uno le apparteneva veramente e riusciva a sfruttare al meglio. Nel caso di Margaret era il fuoco e di conseguenza riteneva che anche il potere di Rachel, essendo sua discendente, traesse origine dallo stesso elemento. 

“Concentrati.” le mormorava a poca distanza, senza staccare gli occhi dalla sua mano aperta. “Libera la mente. Non devi pensare a nulla che non sia il calore delle fiamme. Devi sentirle bruciare sulla pelle.” 

Glielo aveva ripetuto almeno un milione di volte da quando avevano iniziato e Rachel perdeva sempre più la speranza di riuscire nell’intento. Anzi, a dire la sincera verità ormai non credeva neanche più di poterci riuscire. Con il braccio teso verso quel mucchio di legna marcia e nessun’ombra di successo si sentiva ridicola.

“Non ti stai concentrando.” la rimbeccò Margaret pungente.

Rachel sbuffò esasperata. “Sì, invece.”

“No, con la testa sei altrove. Se pensi di riuscire a dominare la magia senza credere in essa, sei sulla cattiva strada.” 

“Se solo la smettessi di parlare…” replicò tra i denti. Se continuava così era molto probabile che la fiammata l’avrebbe lanciata addosso a lei.

Margaret però andò avanti imperterrita con i suoi rimproveri. “Non è questo il punto. Una strega che crede nel suo potere è in grado di manifestarlo in ogni situazione, non solo nel silenzio assoluto. Tu invece sei ancora scettica. Hai già dimenticato la prima regola?”

Rachel la ricordava bene, così come le altre. Uno dei primi insegnamenti che aveva ricevuto era la cosiddetta “regola delle tre C”: cuore, concentrazione, controllo. La base di qualunque incantesimo. Nel cuore risiedeva tutta la convinzione di una strega, il credere fermamente nei suoi poteri e in ciò che potevano fare. Il secondo e il terzo passaggio sarebbero venuti in seguito, ma quello era il primo traguardo da raggiungere e guarda caso si stava rivelando anche il più difficile per lei. Tutti i dubbi che l’avevano assalita fin dal primo momento continuavano a girarle nella testa, nonostante i suoi sforzi di scacciarli via.

Un rivolo di sudore le scese dalla fronte, mentre ormai il formicolio al braccio sollevato da ore diventava insopportabile. Finché tutto a un tratto non ce la fece più. Esausta, mollò definitivamente. “Basta, non ce la farò mai.” si arrese, accasciandosi su se stessa.

“Potresti smetterla di piangerti addosso?” ribatté Margaret in tono frustrato e un cipiglio che assomigliava in maniera incredibile al suo quando si arrabbiava. “Non ci riesco, non sono in grado...  Tu non ci credi abbastanza, ecco la verità. La tua mente è ancora troppo ottusa, troppo chiusa per concepire l’esistenza della magia.”

“Ci ho provato, okay? Sono quattro giorni che non faccio altro, eppure niente! A questo punto non ti è venuto il dubbio che forse c’è qualcosa che non va? Forse ti sei sbagliata, non sono così promettente come pensavi…”

Lei proruppe in una risata quasi di scherno. “Non temere, so riconoscere una dote naturale quando la vedo. Quindi non provare a far ricadere la colpa della tua scarsa autostima su di me.”

Sentirla parlare in quel modo la lasciò a dir poco basita. Mai una volta in vita sua, da quando aveva sviluppato il dono della ragione, qualcuno l’aveva accusata di avere scarsa autostima. Anzi, forse era l’unico difetto da cui poteva dire di essere esente. Invece ora arrivava quella donna da un’altra epoca e la giudicava senza neanche conoscerla. Pazzesco.

Dall’altra parte, Margaret ignorò completamente gli occhi sgranati con cui la stava guardando e passò subito all’argomento successivo. “Come speri di riuscire a creare la pozione per curare il vampirismo se non possiedi nemmeno la forza di volontà sufficiente ad accendere un fuoco?” le chiese con un’espressione che trasudava superiorità.

Rachel avrebbe tanto voluto trovare il modo di togliergliela definitivamente dalla faccia. “Non lo so. Magari dovresti farlo tu, visto che sei così abile.” la provocò, rispondendo alle sue maniere con altrettanta strafottenza. Aveva quasi la sensazione di confrontarsi con un genitore, qualcuno che ha il potere di dirti cosa fare ma che proprio per questo ti ostini a contrastare. Con Margaret però c’era qualcosa di diverso. Lei aveva secoli di esperienza sulle spalle e non si sarebbe lasciata mettere nel sacco da una diciottenne.

Sfoderato un ghigno sornione, la guardò come se avesse deciso di accettare la sfida. “Buona idea.” Detto ciò, sollevò la mano e, senza neanche darle il tempo di realizzare, le scagliò contro una sfera di fuoco. 

Non erano molto distanti, ma all’ultimo secondo Rachel riuscì comunque a tuffarsi per terra ed evitare che la colpisse. Si riparò la testa con le mani, serrando gli occhi finché non fu sicura di averla scampata, e la cosa funzionò, perché il fuoco andò a finire proprio nell’angolo in cui c’era il calderone per le pozioni, incendiando la legna sottostante; a quel punto sollevò di nuovo lo sguardo su Margaret. “Sei impazzita?” boccheggiò incredula. 

La donna sogghignò ancora, mentre sul palmo della sua mano guizzava allegra un’altra sfera di fuoco. “Visto che le maniere tradizionali sono inefficaci, ho deciso di cambiare approccio. Forse così sarà più stimolante. Coraggio, difenditi!” 

In pochi attimi Rachel si ritrovò quel proiettile di nuovo addosso, solo che stavolta non si fece trovare impreparata. L’istinto di sopravvivenza ebbe la meglio sulla paura e sentì un flusso caldo di energia percorrerle tutto il corpo. Allora distese entrambe le braccia davanti a sé e un potente fiotto d’aria scaturì dalle sue mani, spegnendo il fuoco all’istante come se avesse soffiato su una candela.

Rimasta a corto di fiato, per diversi secondi Rachel restò impalata con le braccia ancora mezze sollevate e il petto ansante. Cos’era appena successo? 

“Proprio come immaginavo…” ragionò Margaret tra sé, arricciando le labbra. 

Niente al mondo l’avrebbe distolta dal proposito di strangolare quella psicopatica se non si fosse decisa a parlare chiaro. “Cosa? Cosa immaginavi?” le chiese con voce roca, più spaventata e incredula che arrabbiata.

Dopo essersi presa un altro istante di riflessione, Margaret tornò a guardarla. “Il tuo elemento non è il fuoco.” concluse, non riuscendo a nascondere una punta di delusione. 

“Come sarebbe?” La stressava da giorni con la storia delle fiamme dalle mani e adesso le veniva a dire che quello non era il suo elemento?

“No, la reazione di poco fa ha dimostrato che si tratta di altro. È evidente che la tua magia tragga alimento dall’aria.” 

Quella rivelazione la lasciò interdetta. Per qualche strano motivo non aveva mai pensato che il suo elemento potesse essere diverso da quello della sua maestra e scoprirlo non fu subito facile da assimilare. Tuttavia, ora che ci rifletteva, la cosa era piuttosto plausibile. Quella volta alla villa dei von Eggenberg era stata proprio una forte folata di vento a spaventare il lupo e immaginava di essere stata lei stessa l’artefice del fenomeno. 

Dal canto suo, Margaret sembrò accettarlo più rapidamente. “Beh, buono a sapersi.” Con un sospiro soddisfatto si mise le mani sui fianchi. “È probabile che sia per questo che non riuscivi a far uscire le fiamme. In effetti, avrei dovuto pensarci prima.”

-Già, prima di cercare di uccidermi- fu subito il pensiero di Rachel, anche se non lo disse ad alta voce. Dentro stava provando una serie di emozioni contrastanti, un misto di disappunto per i metodi a dir poco discutibili utilizzati dalla sua precettrice e al contempo di euforia per ciò che era riuscita a fare. Quest’ultima era l’unica cosa che le impediva di rivoltarsi contro Margaret per il suo tentativo mancato di eliminarla.

“Direi che per oggi abbiamo fatto abbastanza.” sentenziò infine la donna. “Meglio rientrare, sarà quasi ora di cena. Riprenderemo domattina.”

Rachel non avrebbe potuto essere più d’accordo. Si sentiva a pezzi e tutto quello che bramava era un bagno caldo e un materasso. Così annuì senza fare obiezioni e attese che Margaret spegnesse il fuoco sotto il calderone, per poi lasciare la grotta e avviarsi insieme a lei verso casa.

Sul retro del cottage incrociarono Dean e gli altri, reduci dall’ultima estenuante sessione di allenamento. Quando Juliet glielo aveva detto le era sembrato strano e il dubbio che per l’amica si trattasse di un’impresa superiore alle sue forze l’aveva subito attraversata, ma poi aveva preferito non fare commenti. Prima di tutto perché non voleva offenderla e poi perché tanto non le avrebbe dato retta.

“Ehilà, Morgana!” la salutò Cedric, che da quando avevano scoperto dei suoi poteri si divertiva ad affibbiarle nomi di streghe famose. “Com’è andata oggi? Fatto progressi?” 

Rachel evitò di lanciargli un’occhiataccia perché era stanca e non voleva dargli corda. Immaginava il motivo di tutto quell’interessamento verso i suoi passi avanti, tuttavia non si era mai azzardata a fargli credere chissà cosa, per non dargli false speranze. Anzi, a essere sincera credeva che riponesse un po’ troppa fiducia in lei e nelle sue capacità. “In un certo senso… Ho scoperto che il mio elemento è l’aria.” riferì secca, senza sbilanciarsi oltre.

Juliet si mostrò subito entusiasta della cosa. “Forte!” esclamò fomentata, mentre si infilava in casa subito dopo di lei.

“Un momento, non aveva detto che probabilmente era il fuoco?” chiese Mark a Margaret in tono un po’ confuso.

Lei annuì. “Sì, era ciò che credevo. Ho dato per scontato che l’avesse ereditato da me, ma a quanto sembra non è andata come mi aspettavo. La magia riserva sempre delle sorprese.”

Mancavano ancora un paio d’ore alla cena, così ne approfittarono per rimettersi in sesto e concedersi un meritato riposo; poi Juliet si mise ai fornelli insieme ad Ayris e le spiegò come valorizzare delle semplici verdure bollite per accompagnare il pesce che la ragazza aveva preso la mattina al mercato. Non si era mai dimostrata molto socievole nei loro confronti, soprattutto con Rachel, verso la quale sembrava provare quasi una sorta di gelosia. Aveva sempre la sensazione che la loro presenza lì non le andasse a genio. In quel modo sperava quindi di trovare qualche appiglio che le permettesse di entrarci in sintonia. 

Alla fine, comunque, venne fuori un pasto di tutto rispetto e Margaret, dopo aver atteso che finissero, annunciò che sarebbe andata di sopra a riposare. Rachel la seguì pochi minuti più tardi, scambiandosi un bacio distratto con Mark, che infatti rimase perplesso ma non disse niente. Era probabile che la capisse, visto che anche loro faticavano a reggersi in piedi dopo l’allenamento intensivo di quel pomeriggio.

Lui e Cedric, infatti, non fecero attendere il letto più di tanto e Juliet sorrise comprensiva mentre li guardava trascinarsi al piano di sopra. C’erano ancora i piatti da lavare, quindi si mise subito all’opera. Prima se la sarebbe sbrigata, prima avrebbe potuto seguirli. Con una certa sorpresa da parte sua, Dean aiutò lei e Ayris a sparecchiare le ultime cose rimaste sul tavolo e a metterle nel lavabo. Tra loro c’era ancora dell’imbarazzo, perciò lo lasciò fare senza necessariamente parlare di qualcosa, anche se ce ne sarebbero stati di argomenti. Quel non detto che aleggiava sopra le loro teste da un pezzo non sembrava trovare un punto di svolta. 

Sollevato appena lo sguardo dal tavolo mentre raccoglieva le posate, controllò che non la stesse guardando, sentendosi subito un po’ stupida. “Non ci sarai andato giù troppo pesante oggi?” Le parole le uscirono di getto, senza che ci riflettesse più di tanto. 

Dean sogghignò. “L’iniziativa è partita da voi. Io non ho mai detto che sarebbe stata una passeggiata.” rispose, facendola ridere.

In fondo, non aveva tutti i torti. Se l’erano cercata. 

Sistemate le ultime cose, Ayris avvertì nel solito modo freddo e anaffettivo che sarebbe uscita per dar da mangiare alle pecore e sbrigare altre faccende; dopodiché se ne andò, lasciando lei e Dean soli in cucina. 

Era proprio la situazione che Juliet avrebbe preferito evitare, in ogni caso pensò che la cosa migliore fosse continuare con quello che stava facendo e comportarsi normalmente. Mentre ripuliva per l’ennesima volta il ripiano, però, sentiva i suoi occhi addosso. Se ne stava appoggiato alla parete a osservarla, se ne era accorta da prima, e non capiva perché. Non lo aveva mai fatto da quando erano lì.

D’un tratto sentì uno strano impulso dentro che la spinse a voltarsi e, quando i loro sguardi si incontrarono, fu come se li avesse colti lo stesso istinto e si sorrisero a vicenda. Dean sembrava sereno e al contempo determinato, quasi avesse raggiunto una sorta di equilibrio dopo tutto quel tempo trascorso nell’incomprensione reciproca.

A quel punto, Juliet si sentì pronta a esternare un pensiero che si teneva dentro dal pomeriggio. “Grazie per oggi, per aver detto che non sono un peso.” esordì, con voce più ferma del previsto. “Mi ha fatto piacere sentirlo da te.”

Le labbra di Dean si piegarono leggermente. “Lo penso davvero.”

La sensazione che provò quando lo vide guardarla in quel modo non fu la solita tempesta ormonale, piuttosto la consapevolezza che qualcosa tra loro era cambiato, che finalmente era arrivato il momento di mettere da parte il passato e pensare al presente. “Dean…” mormorò, senza riuscire ad andare avanti. Avrebbe voluto dirgli tante cose, ma chissà perché la voce non usciva. 

Come spesso accadeva, però, lui parve intuire i suoi pensieri e Juliet lo capì quando vide i tratti del suo viso rilassarsi. 

In pochi passi la raggiunse, per poi attirarla a sé e baciarla con un’enfasi che di solito non gli apparteneva. Solo a Bran, poco prima di entrare in quella galleria, si era lasciato andare senza preoccuparsi delle persone intorno. La differenza era che lì si era trattato di un bacio di addio. Quello, invece, era un bacio di inizio.

Seppur in ritardo, alla fine reagì, gettandogli le braccia al collo e assecondandolo con tutta la convinzione possibile. Si sentiva al settimo cielo e poco dopo non riusciva già a capirci più niente. Quando poi avvertì le mani di Dean percorrere lentamente la linea dei suoi fianchi, fino a sfiorarle un lato del seno, fu scossa da un fremito, il cervello andò completamente fuori uso e da quel momento a dominarla fu il puro istinto. 

Senza sognarsi di protestare, si lasciò spingere delicatamente contro il bancone, ormai pronta a cedere, e un gemito sommesso le uscì involontario nell’istante in cui dalle labbra scese a baciarle il collo. Da quando si conoscevano non era mai arrivato a tanto.

Aveva la testa annebbiata al punto da non rendersi nemmeno conto che si trovavano nella cucina di Margaret e che quello non era decisamente il posto più adatto. O forse non le importava.

Per fortuna, ci pensò lui a essere razionale per entrambi. Intuito ciò che stava per succedere, Dean si interruppe, allentando la presa e ripristinando un po’ di distanza fra loro, pur continuando a tenerla stretta a sé.

“Scusa, è stata colpa mia.” le sussurrò, guardandola negli occhi. 

Ancora scombussolata, in un primo momento fece davvero fatica a riprendere a respirare in modo regolare; poi però deglutì, cercando di darsi un minimo di contegno ed evitare di svenirgli tra le braccia. –Eh, no. Non puoi fare così- pensò con il battito cardiaco a mille. Come gli saltava in mente di prendere certe iniziative e poi tirarsi indietro? Rischiava di farle venire un infarto. “No…” rispose in tono precario. “Credo di averci messo del mio.”

Non voleva essere ironica, ma lui rise lo stesso, prima di cambiare di nuovo espressione e tornare serio. “Credevo che mi avresti respinto.” ammise. “Come devo interpretare la cosa?”

Per un istante quella domanda la lasciò interdetta. Come se fosse mai stata davvero in grado di respingerlo. Quindi si abbandonò a un sospiro. Sapeva bene che il suo era un modo per chiederle se fosse finalmente riuscita a perdonarlo e per una volta conosceva già la risposta. “Non ti dirò che quanto successo con Claire sia acqua passata, perché se lo facessi mentirei. Mi è impossibile dimenticare quella notte e lo sai, ma dopo tanto riflettere sono arrivata alla conclusione che le tue azioni avevano un senso, uno motivo preciso, anche se non potrò mai condividerlo.” Fece una pausa, soppesando ogni pensiero. Non voleva apparire come la solita ragazzina iperemotiva. “Ho anche capito che è inutile continuare a reprimere ciò che provo, mi farei solo più male. Perciò ho deciso che voglio riprovarci.” 

Per quanto cercasse di mantenere la sua compostezza, vide il suo viso illuminarsi nel sentirle dire quelle parole.

“A una condizione, però.” si affrettò allora ad aggiungere.

Dean rimase ad ascoltarla con attenzione.

“Devi giurarmi che non mi mentirai e non mi escluderai mai più dalle decisioni importanti.” gli impose determinata.

Dapprima un po’ spiazzato, non ci mise molto ad annuire, consapevole di doverlo fare. “Te lo prometto.”

Le labbra di Juliet si piegarono in un timido sorriso soddisfatto. Stava dicendo sul serio, glielo leggeva negli occhi. Con la mano salì ad accarezzargli una guancia, come sempre liscia e senza un filo di barba, ritrovandosi tutto a un tratto a riflettere sul fatto che da quando lo conosceva non gliel’aveva mai vista crescere. -Che cosa stupida da pensare in un momento simile- si disse.

Per tutta risposta, Dean la coprì con la sua e le loro dita si intrecciarono, prima che si voltasse leggermente per baciargliela. Lo guardò chiudere gli occhi, mentre respirava il suo profumo; poi tornò di nuovo su di lei. 

“Ti confesso che stavo per perdere le speranze.” disse alla fine. “Temevo di non avere più alcuna possibilità.”

Juliet annuì appena, anche lei seria in volto. “Per un po’ l’ho creduto anch’io.”

Fu allora che Dean esordì con qualcosa che non si sarebbe mai aspettata. “So di averti ferito e mi dispiace, non immagini quanto. Non ho mai voluto che soffrissi e, anche se tuttora penso di aver compiuto l’unica scelta possibile, se potessi tornare indietro e risparmiarti tanto dolore lo farei senza esitare.”

Presa in contropiede da tanta franchezza, Juliet impiegò qualche secondo a elaborare una risposta. Con lui era sempre così. Ogni volta riusciva a sorprenderla rivelando un lato di sé che mai avrebbe sospettato. “La colpa non è tutta tua, Claire ha contribuito parecchio.” riconobbe, cercando di rassicurarlo. “Non dev’essere stato facile per te, come non lo è stato per noi. E poi stai cercando di rimediare, me ne sono resa conto. Hai accettato di allenarci e quello che hai fatto per Mark… Riprendere l’orologio. È stato davvero un bel gesto.” 

Dean distolse lo sguardo per un attimo, come faceva di solito quando era in imbarazzo. “Sì, beh… L’orologio era suo. Non mi andava giù che se lo tenesse quel tizio.” 

A Juliet sfuggì un sorriso. Come sempre si ostinava a trincerarsi dietro la sua scorza dura, quando avrebbe potuto semplicemente ammettere di averlo fatto perché teneva a Mark e alla loro amicizia. Ormai il suo carattere non aveva più segreti per lei, riusciva a leggergli nella mente. 

Con il cuore gonfio di felicità si tuffò tra le sue braccia, cercandovi rifugio, e Dean la strinse a sé. Così, mentre si beava di quel raro momento di pace e silenzio, chiuse gli occhi e sospirò sul suo petto, liberando la mente da qualsiasi brutto pensiero. 

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Mentre osservava l’oceano infrangersi sugli scogli, Rosemary rifletteva sui recenti avvenimenti e su quanto le fosse costato deludere Nickolaij. Naturalmente conosceva bene la situazione tra lei e Byron e la scarsa stima che nutrivano l’uno nei confronti dell’altra, perciò le aveva ordinato di accompagnarlo in quella missione. Non avrebbe potuto infliggerle punizione più degradante. Ad ogni modo, la riuscita dell’incarico dipendeva dalla sua capacità di tenere a bada l’avversione per Byron e concentrarsi solo sull’obiettivo. 

Ora, però, la sua pazienza stava raggiungendo il limite. Era trascorso del tempo dalla partenza e si trovavano ancora in Portogallo. Ci erano voluti due giorni per raggiungere quel tratto di costa e da altrettanti lei e i due uomini che si era portata dietro di rinforzo se ne stavano lì su quella spiaggia con le mani in mano, aspettando che quel mago da strapazzo si decidesse a dare loro qualche indicazione precisa su dove fossero finiti Dean e i suoi amici umani. Dopo aver assicurato di conoscere la loro posizione, infatti, d’un tratto si era accorto di non poterli più seguire, perché aveva perso il contatto con la runa con cui aveva marchiato il ragazzo che avevano scambiato con Claire. -Gran bell’affare- pensò infastidita. Chissà se quei due alla fine erano riusciti a rimetterla in riga come da suo ordine. Riguardo alle modalità, non le interessavano. Aveva dato loro carta bianca. L’importante era che recepisse il messaggio.

Tornando a Byron, erano ore che se ne stava rintanato nella tenda a cercare di ristabilire il contatto, costringendola a un’esasperante e infruttuosa attesa. L’unica certezza era che i fuggitivi fossero in Scozia, anche se non riusciva a capire la logica dei loro spostamenti. Dopo essere passati per l’Italia, dove secondo Byron un paio di vampiri avevano provato a fermarli senza successo, si erano spostati in Austria e ora erano da tutt’altra parte. Perché? A cosa era servito tutto quel giro? Forse a depistarli, ma non avrebbero potuto scappare in eterno ed era sicura che Dean se ne rendesse conto. Allora cos’altro aveva in mente? 

Una violenta folata di vento la investì e le scompigliò i capelli, facendole salire ancora di più il nervoso. Ora basta, aveva aspettato fin troppo. Così si diresse a passo deciso verso la tenda, superando Benedict e Isaac che giocavano a dadi a gambe incrociate sulla sabbia. Lo avrebbe tirato fuori a forza da lì dentro, se fosse stato necessario. Ma non lo fu.

Quasi nello stesso momento, Byron scostò i lembi che chiudevano l’entrata e si palesò davanti a loro. Il suo volto un po’ funereo non prometteva nulla di buono.

“Allora?” gli chiese subito, senza perdersi in chiacchiere.

Lui rimase impassibile, nonostante ciò che stava per dirle non fosse incoraggiante. “Niente. Le rune non indicano alcun punto preciso sulla mappa. So che sono in Scozia, ma il Vegvisir è scomparso, dunque mi è impossibile scoprire esattamente in quale punto si trovano.” concluse con una pacatezza a dir poco disarmante.

E lo diceva così? Non c’era modo di rintracciarli se non quello di setacciare la Scozia palmo a palmo, cosa che avrebbe richiesto settimane, e lui sembrava quasi tranquillo. “Che vuol dire scomparso?” Mary non capiva un accidente di rune e altre diavolerie simili, ma che la situazione non fosse delle migliori era abbastanza chiaro anche a lei. “Com’è possibile?”

Byron si concesse un istante di riflessione. “Le opzioni sono due: in qualche modo devono aver scoperto della sua esistenza e lo hanno rimosso, anche se non vedo come, o più probabilmente il ragazzo è morto.” sentenziò infine.

A Mary però quell’ultima ipotesi non piaceva affatto, oltre a trovarla poco plausibile. “C’è Dean con loro, non lo permetterebbe. Dev’esserci un’altra spiegazione.” 

“Qualora ci fosse, ne sarei lieto quanto voi. Purtroppo non so quale possa essere.”

Lei sospirò spazientita. “Se il ragazzo è morto, c’è il rischio che anche agli altri sia toccata la stessa sorte e in tal caso sarebbe davvero un grosso problema, quindi prega che non sia così.” L’agitazione che stava provando era palese e si rifletté sulla sua voce. Nickolaij si aspettava che gli portassero qualcosa di concreto e stavolta la punizione in caso di fallimento non sarebbe stata tenera come le precedenti. Ne andava della loro vita. 

“Eh, no. Quel bastardo non può cavarsela tanto facilmente.” si intromise Isaac con quel suo tono ottuso, infilandosi a sproposito nella conversazione. “Voglio essere io a cancellarlo dalla faccia della terra.”

Reprimendo il senso di fastidio salitole nell’esatto istante in cui lo aveva sentito parlare, Mary lo rimise a posto con una sola occhiata fulminante. “Devo ricordarti che Sua grazia ha ordinato di consegnargli Dean vivo. Non oserai disobbedirgli?” Si era già pentita da un pezzo di aver consentito a quel bestione molesto di venire con loro, dopo che lui aveva insistito dicendo di voler vendicare il suo compare, Alekseij, ucciso da Dean durante la sua intrusione al castello. Avrebbe preferito di gran lunga portare Carlos, che di solito la accompagnava in missione insieme a Benedict e del quale apprezzava la scaltrezza e l’estrema discrezione, ma Nickolaij lo aveva lasciato al comando del gruppo di istanza a Siviglia, perciò aveva dovuto accontentarsi. 

Raggelato dal suo sguardo, il vampiro abbassò gli occhi, ritrovando l’umiltà perduta. “Certo che no, Milady. Chiedo scusa, Milady.” bofonchiò patetico.

“Ebbene, cosa suggerite di fare mia Signora?” fece Byron, ignorando quella dimostrazione di inettitudine e degnandosi di guardare solo lei.

Mary sapeva bene che stava solo fingendo di mostrarsi deferente nei suoi confronti e che la trattava con accondiscendenza perché si credeva superiore, quando in realtà non era altro che un viscido arrivista, ma si guardò bene dal farsi vedere risentita. Non gli avrebbe dato quella soddisfazione. “Se da qui hanno potuto spostarsi in Scozia tanto rapidamente, dev’esserci per forza un portale nelle vicinanze.” rifletté. Quindi si fece portare una mappa per avere un quadro più chiaro dei prossimi spostamenti. Il portale più vicino era solo a pochi chilometri da dove si trovavano ora e probabilmente era lo stesso usato da Dean. 

“Vi renderete conto di quanto occorrerà per trovarli.” osservò Byron, intuendo dove volesse andare a parare. “La Scozia è grande e noi non disponiamo di molto tempo.”

“Sì, lo so da me. Grazie tante.” replicò lei, accantonando i buoni propositi con cui era partita. “Intanto auguriamoci che siano ancora lì e che siano vivi. Poi, una volta arrivati, penseremo al da farsi.”

 




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