Infrangere
il silenzio
Tutt’intorno, rosso
silenzio.
L’infermeria di Hogwarts l’aveva
accolta con qualche sussurro di apprensione e conforto, l’odore squillante delle
pozioni curative, la vista pungente del sangue di un altro – era
sopravvissuta solo quella, impressa dietro le palpebre chiuse.
«Gli effetti passeranno
da soli, ma voglio tenerti d’occhio. La prossima volta ci penserai bene prima
di fare senza chiedere a me.» Madama Chips l’aveva redarguita e le aveva
assegnato un letto, per poi tornare alle proprie incombenze: Hermione non era
il suo paziente più esigente.
«Noi andiamo da Hagrid,
non l’abbiamo ancora visto da quando è tornato dall’Asia. Gli porteremo i tuoi
saluti.» Harry e Ron l’avevano accompagnata ed erano stati
istruiti sugli appunti da prendere per le lezioni successive, nel caso in cui
avesse dovuto assentarsi, poi l’avevano lasciata a rimproverarsi mentalmente.
Hermione non poteva più
fidarsi delle proprie sensazioni e non aveva nessuno da incolpare se non se
stessa. Sosteneva ogni forma di tolleranza, ma c’erano parti dei suoi due mondi
che era bene non mischiare: se fosse prudente o meno assumere antidolorifici
Babbani in associazione a una pozione dal medesimo effetto, aveva avuto ogni
intenzione di scoprirlo, con l’auspicio di potenziarne l’efficacia. I programmi
scolastici del sesto anno erano più articolati e impegnativi: stare dietro a
tutti i corsi che frequentava le aveva garantito i voti desiderati nelle ultime
verifiche mensili e un mal di testa molesto che si trascinava da giorni e
l’aveva condotta all’esasperazione.
Non sentiva più dolore, grazie
a una fiala ricevuta da Madama Chips qualche ora prima e una compressa
proveniente da casa ingerita con acqua; tuttavia non percepiva niente più di
reale. Le sensazioni erano divenute inaffidabili, in certi frangenti
impossibili da prevedere, per un’interazione farmacologica di cui non era a
conoscenza. C’erano sofferenze in grado di spingere a gesti sconsiderati; per
lei non documentarsi prima di agire lo era, se il risultato era giacere in infermeria
di domenica pomeriggio, alla vigilia di una nuova settimana scolastica.
Non c’erano molti
studenti alle cure dell’infermiera quel giorno, una tregua quieta per le sue
orecchie confuse. Qualcuno sarebbe giunto più tardi, per infortuni causati da
qualche modo creativo e incosciente di passare in compagnia le ore libere. E
lei che voleva solo trascorrerle ad anticipare un paio di argomenti, vincendo
le necessità del corpo che imponeva una pausa al cervello, aveva fallito.
Per Hermione era
inconcepibile non potersi fidare della propria mente.
Aprire gli occhi
significava scorgere il succo di zucca sul comodino con la gola
inspiegabilmente rovente, annusarlo mentre fischi acuti le ferivano i timpani.
Allungò un braccio per scaraventare il bicchiere lontano, infrangendo il
liquido fresco in macchie informi sul pavimento. Non udì il rumore dei cocci di
vetro, ma due lampi luminosi. Il trambusto richiamò però l’attenzione di un
altro paziente.
Aprire gli occhi
significava scorgere le macchie scarlatte sul cuscino di fianco al proprio, e
quelle erano inconfondibili. Il sangue non mentiva e quello di Draco Malfoy
era, a detta sua, così puro che versarlo doveva essere un crimine atroce.
«Granger, che diavolo
fai?» si lamentò strascicando la voce.
Hermione rimediò alla
propria irruenza facendo Evanescere ciò che rimaneva della bevanda, poi si
voltò a sinistra.
Nei mesi precedenti aveva
osservato quanto Malfoy fosse dimagrito in una divisa scolastica informe, come le
occhiaie scurissero in lunghe tracce di dramma un volto sempre più pallido. Del
Serpeverde sdraiato su un letto dell’infermeria poteva intuire il rilievo dell’arcata
costale sotto uno strato di vestiti, sottile come le braccia sul materasso. Le
torce alle pareti rischiaravano la piega insicura delle labbra, le iridi
spente.
«Che hai da guardare?»
Malfoy le sembrava
assente e angosciato e, considerata la vicinanza della sua famiglia con una
fazione di Voldemort sempre più cospicua, non poteva smettere di domandarsi le
ragioni. Il suo atteggiamento sospetto a Diagon Alley a inizio anno; voti
scolastici, fino a quel momento accettabili, in declino; le assenze dal
Quidditch, persino quelle aveva notato. Harry e Ron, soprattutto, non
condividevano i suoi interrogativi, perché un ragazzo di sedici anni non poteva
davvero essere un’arma nelle mani di Voldemort; ma loro erano stati ancora più
giovani, la prima volta che si erano trovati di fronte al nemico. L’orrore di
una guerra stava anche nel coinvolgimento collaterale di attori giovanissimi,
comparse su una scena di decadenza.
Hermione gli indicò due
gocce secche a lato del collo.
Il ragazzo le ripulì
rapidamente con la bacchetta. «Allora? Non hai mai visto del sangue così pregiato?»
Anche le sue usuali
provocazioni avevano meno forza, se pronunciate col tono disinteressato di una
mente proiettata su turbamenti affogati in uno sguardo vuoto.
«Ho sentito che sei stato
attaccato da un vampiro sulla riva del Lago Nero.»
Malfoy sbuffò. «Non sono
affari tuoi.»
«Lo sono di tutti, se un
vampiro impazzito si avvicina alla scuola» puntualizzò. Ma nessun altro
incidente era stato segnalato negli ultimi due giorni, gli insegnanti dovevano
aver già provveduto ad allontanare qualunque minaccia.
«Se ce ne fosse uno, potrebbe
farci il favore di colpire qualcuno come te.»
«Io saprei
difendermi» ribatté. Ma anche lui, senza dubbio: i vampiri non erano le minacce
più serie del Mondo Magico.
Un lampo d’ira – qualcosa
di più vivido, infine – saettò nel suo sguardo. «Tu credi di essere superiore?
Non sai quello che sono capace di fare.» Le dita si irrigidirono attorno alla
bacchetta usata prima.
«Sei stato attaccato da
un vampiro, Malfoy?»
«Quando chiudi un po’ la
bocca, Granger?»
«Cosa ci facevi da solo intorno
al Lago Nero durante la cena?»
«Noi non siamo amici. Non
sono affari tuoi.»
Malfoy si mise a sedere
al centro del letto e quel movimento brusco gli costò un capogiro. «Stai bene?»
gli domandò, abbandonando il tono esigente.
Per tutta risposta, lui
chiuse con la magia le tende attorno al proprio letto.
Quella notte Hermione
accolse con gratitudine il buio delle candele spente per il riposo dei pazienti
– nessuna luce stridula. Con il timore di cedere al sonno e a sogni ancora più
confusi della realtà, riprese a rimuginare a occhi chiusi sulla condizione di
Malfoy. Non riusciva a credere alle voci di corridoio che lo volevano in infermeria
a causa di un banale vampiro e non capiva perché non si fosse ancora
ristabilito abbastanza da lasciarla, dopo alcuni giorni dal presunto attacco. E
non esisteva mistero che lei non avesse voglia di risolvere, soprattutto se
riguardava uno studente su cui si era interrogata dall’inizio dell’anno
scolastico.
Uno strofinio di
lenzuola, un fruscio di carta le comunicarono che non era l’unica sveglia. Un
profumo di mandorle tostate mise in discussione la durata degli effetti collaterali
imprevisti. Se stavano scemando, i pesanti sospiri provenienti dal letto
accanto erano un’evidenza tangibile di un tormento di cui doveva sapere di più.
Cercò di fare piano,
mentre scostava le coperte e si metteva in piedi. Si avvicinò con la bacchetta
tra le dita alle tende che delimitavano la sua postazione per quella notte.
Nel momento in cui quelle
scomparvero, Hermione non ebbe il tempo di farsi trovare a letto, dove ci si
aspettava che fosse. Malfoy la vide alla periferia del proprio spazio, più
vicina di quanto non si fosse mai azzardata a essere; era sempre lui ad
avvicinarsi con intenti bellicosi, prima che smettesse di avvicinare chiunque – lei
l’aveva notato.
Il ragazzo reggeva ancora
la bacchetta con cui aveva colpito lo strato di tessuto spesso tra loro,
mostrando padronanza dell’incantesimo non verbale. Non c’erano tracce di
lacrime sulle guance ruvide e le iridi lucenti potevano essere un inganno della
luna. Il suo sussurro serpeggiò tra loro come una minaccia: «Potter ti ha
raccontato dello spettacolo di un Purosangue dissanguato e tu non vuoi perderti
il seguito?»
«Harry non avrebbe mai
dovuto usare quell’incantesimo» considerò Hermione a bassa voce, scuotendo la
testa. «Ma lui non c’entra con il motivo per cui adesso sei qui, e io voglio
solo capire.»
Malfoy batté un palmo
sulle coperte, la sua irritazione affondò nel materasso. «Trovati qualcos’altro
da studiare.»
«Hai delle macchie sulla
manica» notò. Avanzò di qualche passo e indirizzò un’occhiata alla parte del
corpo che non poteva ispezionare, coperta dalle lenzuola. «Stai sanguinando?
Vado a svegliare Madama Chips.»
Lui le bloccò il polso in
una stretta sorprendentemente vigorosa per uno a riposo da alcuni giorni. «No.»
«Malfoy, se stai…»
iniziò, ma si interruppe in un piccolo gemito, quando lui strinse più forte.
«Non c’è bisogno di
chiamare nessuno. E tu terrai tutto per te.»
Era evidente che Malfoy
fosse risoluto a non farsi aiutare, qualunque fosse la condizione che le stava
tacendo – sotto le lenzuola dell’infermeria, e soprattutto fuori di lì.
Delle due volte in cui il Serpeverde aveva perso del sangue, negli ultimi
tempi, solo la prima le era chiara: Harry l’aveva seguito nel bagno di Mirtilla
Malcontenta, con l’intenzione di dimostrarle che aveva torto e porre fine ai
dubbi. Accortosi di essere pedinato, Malfoy aveva reagito e Harry aveva
risposto all’attacco con una mossa incosciente. Ma non avrebbe osato un
incantesimo contro di lei sotto la vigilanza di Madama Chips, perciò gli puntò
con sicurezza la bacchetta sui vestiti e mormorò: «Tergeo.»
Tornò a guardarlo negli
occhi. «Posso aiutarti in qualche altro modo?» domandò, cauta.
Una smorfia contrasse il
volto di Malfoy, poi si voltò su un fianco, negandole qualcosa di più della
vista della schiena. La risposta, tardiva, fu un sussurro così lieve che lei temette
fosse ancora un inganno nella sua testa. «Nessuno può aiutarmi.»
Al mattino l’infermiera
della scuola la dichiarò, dopo un esame fisico, perfettamente in salute.
Mentre si preparava a
uscire, Hermione la udì spostarsi verso il letto di fianco al proprio.
«Signor Malfoy, lei
continua ad avere livelli ematici troppo bassi. Un’altra dose di Pozione
Rimpolpasangue.»
«L’ultima» intervenne la
voce severa del professor Silente.
Hermione sollevò di
scatto la chioma dall’interno della borsa. Non era una visione comune, quella
del preside al capezzale di uno studente.
Senza dare segno di
averla notata, il mago chiese all’infermiera di lasciarli soli. «Temo sia
giunto il momento di tornare nel dormitorio di Serpeverde, ma prima discuteremo
del motivo per cui sei rimasto qui.» Protese la bacchetta verso le tende
attorno al letto. «A te auguro una buona giornata, signorina Granger.» L’ultima
cosa che vide di quella situazione singolare fu il sorriso enigmatico del
preside, a comunicarle che era stato sempre cosciente del fatto che poteva
perfettamente sentirli.
Gli incantesimi non
verbali con cui lui tirò le tende e le insonorizzò imprigionarono la sua
curiosità in limiti soffocanti. Lasciava l’infermeria con più interrogativi che
risposte: sui lineamenti scavati di Malfoy, intrappolati nel groviglio dei
pensieri frenetici di Hermione, una smorfia taceva le sue angosce e una smorfia
gridava una brama impossibile di evasione.
♦
Tutt’intorno, grigio
silenzio.
Il corridoio del settimo
piano era poco frequentato, la pietra delle mura e qualche statua secolare
spettatrici dell’incerta, ma determinata, ricerca di Hermione. Se Harry e Ron
continuavano a sminuire i suoi quesiti, ci avrebbe pensato da sola a trovare
delle risposte.
«L’avete visto? È sempre
più magro.»
«Hermione, cosa vuoi che
ce ne importi se Malfoy non è in forma?»
«Piuttosto è importante
quando lo è in campo!»
Tenendolo d’occhio sulla
Mappa del Malandrino prestatale da Harry, aveva notato spesso la sua assenza
all’interno dei confini della scuola. Per alcuni giorni il puntino
contrassegnato con il suo nome non si era mosso dall’infermeria e poi era
tornato alle misteriose consuetudini delle settimane precedenti. Era stato nel
momento in cui Draco Malfoy era sparito proprio sotto i suoi occhi, nel mezzo
di un corridoio del settimo piano, che Hermione aveva compreso.
La Stanza delle Necessità
era vincolata a proteggere l’interno, se la richiesta veniva formulata
correttamente. Hermione ci aveva provato, ma non era riuscita a far apparire la
porta. Così, sotto lo sguardo muto di Barnaba il Babbeo nell’arazzo sulla
parete di fronte, poggiò la schiena al muro e attese.
Quando Malfoy comparve
nel corridoio, notò subito la sua presenza. Reagì con un’espressione di allarme;
misteriosa ansia scavava nel profondo cerchi scuri sotto gli occhi di grigia
tempesta.
«Cosa stavi facendo nella
Stanza delle Necessità?»
Non si aspettava davvero
una risposta. Malfoy accelerò il passo e il mantello svolazzò attorno alla sua
figura sottile. «Non sono qui per soddisfare le tue curiosità da saputella»
replicò, quando era già distante e le mostrava solo la nuca.
Hermione decise che
quello era il luogo migliore in cui scoprire qualcosa di più su di lui.
Tuttavia, quando lui era dentro, non poteva chiedere alla stanza di
raggiungerlo: prese ad attenderlo fuori sempre più spesso.
La prima volta che lui si
fermò qualche istante di più in sua compagnia, accadde perché era visibilmente
troppo stanco persino per scappare. Hermione non gli pose la domanda che le
balenò nella mente, perché lui non le avrebbe rivelato cosa gli toglieva il
sonno. Una rapida dose di zuccheri era qualcos’altro che sembrava mancargli,
perciò gli offrì una delle Cioccorane sequestrate a due giovani Tassorosso intenti
a farle saltellare in giro invece di mangiarle. «Tieni. Non ti farà del male,
neanche se viene dalla mia mano.» Fu la prima volta che Draco Malfoy le disse “grazie”.
Per l’occasione
successiva Hermione prese dal dormitorio dei ragazzi, giacché lei era ligia
agli insegnamenti dei genitori dentisti, una manciata di Gelatine Tuttigusti+1.
Lui non rifiutò e si lamentò del gusto spiacevole di peperoncino. «Passerà, non
brucerà per sempre.» Malfoy non le parlava dei suoi segreti, ma apriva la bocca
per i dolci magici; però, dopo quella rassicurazione, divenne persino più
pallido e non accettò altre caramelle.
Il ragazzo passava ore
intere all’interno della stanza nascosta e lei, nel frattempo, si accomodava
all’ingresso con un libro tra le mani. Non le disse più di lasciarlo stare, ma
non esibì mai un sorriso nel vederla.
Un giorno uscì reggendo
anche lui un volume della biblioteca – Hermione lo riconobbe perché l’aveva
utilizzato per apprendere l’Incanto Proteus per i Galeoni dell’Esercito
di Silente. Malfoy lo ripose in borsa, prima di considerare la sua posizione e,
con un profondo sospiro, lasciarsi scivolare per terra accanto a lei. Le lunghe
gambe distese, di fianco alle sue, non diedero segno di voler fuggire. Reclinò
il capo all’indietro, poggiandolo alla parete, e socchiuse gli occhi,
offrendole un minuscolo e prezioso istante di cedimento. Hermione gli ripeté
allora la più innocua delle proprie domande: «Sei stato attaccato da un vampiro?»
Lui non ruppe il silenzio, ma scosse il capo in modo lievissimo, confermando i
suoi dubbi.
In seguito lui prese a
lasciarsi andare in analoghe pose esauste sempre più vicino al suo corpo, rendendola
acutamente consapevole della vuota sensazione di non toccarlo. Arrischiò un
secondo quesito, più significativo: perché fosse sulla riva del Lago Nero
durante l’orario di cena. Volevo stare da solo, le rispose, e lei non si
azzardò a notare a voce alta che in quel momento sembrava invece che non lo
volesse. Draco accettava la compagnia di lei, che era rispettosa del suo
mutismo.
Qualcosa poteva dire con convinzione,
di Malfoy in quella situazione: aveva bisogno di supporto, non ne aveva altro.
Perciò non si negò in discussioni approfondite su argomenti che esulavano dal
programma scolastico del sesto anno, pur lungi dal considerarle innocue. Mentre
rispondeva sulla base di conoscenze derivanti da letture personali, Hermione
non smetteva di rimuginare sulle motivazioni che potessero spiegare il suo
interesse per incantesimi di livello M.A.G.O. e per le diverse modalità di
trasporto dei maghi.
Non sentì più profumo di
mandorle su di lui, anche nell’occasione in cui si avvicinò tanto da non
poterle nascondere il sentore intimo della pelle, buono in modo
sorprendente. «Vuoi ancora stare da solo?» gli domandò infine, ma l’assenza di
una fuga fu una risposta sufficiente e Hermione strinse le braccia attorno al
suo torace. Non sapeva per cosa lo stava confortando, ma era certa che lui ne
avesse bisogno.
Successivamente a una
lettura di Cura delle Creature Magiche e una visita a Hagrid, che per conto di
Silente viaggiava in cerca di sostegno contro Voldemort, ebbe la conferma di
un’ipotesi creativa – ma non doveva temere di pensare fuori dai confini sicuri,
se l’oggetto delle riflessioni era un Purosangue che l’aveva sempre disprezzata
e che, se nell’ultimo periodo non la rifiutava apertamente, era solo perché
aveva preoccupazioni maggiori della sua ascendenza. Così, quando Malfoy cercò
di nuovo il suo abbraccio, lei sfiorò con due dita leggere le punte dei capelli
e scese sul collo, dove un battito vitale scandiva i passi di un cammino arduo.
La cute era liscia, non c’erano le impronte dei denti di un vampiro – ma erano
ben pochi, i segni che Madama Chips non era in grado di cancellare, e lei non
poteva permettersi di scoprirgli l’avambraccio.
«Non c’era nessun vampiro
nei dintorni di Hogwarts» affermò, sicura.
Malfoy respirò tra i suoi
capelli. «Io questo non lo so.»
Hermione annuì. «I Kappa
hanno il loro habitat naturale in Giappone, ma a quanto pare anche le acque del
Lago Nero sembrano piacergli.»
Lui sollevò il capo,
stizzito. «Quella maledetta creatura stava per strangolarmi!»
Hagrid non era nuovo a
considerare gli animali come dei souvenir e Draco Malfoy si era trovato
accidentalmente troppo vicino al suo più recente acquisto. Gli esseri che si
nutrivano di sangue umano non erano molti ed era stato immediato restringere il
campo di ricerca, quando le era tornata in mente l’ultima destinazione del
Custode.
«Ma perché la Pozione
Rimpolpasangue non aveva effetto? Perché sei rimasto in infermeria più del
necessario?»
«Aveva effetto.»
Hermione inspirò a fondo,
ma qualcosa – solo in quel momento realizzò cosa – nell’aria mancava. «Torrone
Sanguinolento!» Da Prefetto, erano più le confezioni che le sfuggivano che
quelle che riusciva a confiscare e ogni volta il profumo di mandorle tostate le
ricordava l’analogo dolce Babbano dell’infanzia.
Essere ricorso a una
delle popolari invenzioni dei gemelli Weasley doveva essere un’ammissione
scomoda per lui, che si liberò da una vicinanza complessa e tornò a preferirle
il sostegno del muro.
«L’hai mangiato per perdere
sangue, così Madama Chips non poteva dimetterti. Pur di non lasciare
l’infermeria ti sei fatto del male!»
Malfoy sospirò. «Mi
sembra di non avere smesso» sussurrò. Il suo sguardo contemplò l’ingresso nascosto
della Stanza delle Necessità.
Hermione gli toccò il
mento per costringerlo a voltarsi. «Ma perché?»
Non ebbe più risposte per
quel giorno: lui sfuggì alla sua presa e alla sua compagnia, risoluto.
Malfoy non concedeva
niente se non ne ricavava qualcosa. Sulla base di quella constatazione Hermione
tornò ancora al settimo piano, con un libro che lui aveva richiesto invano in
biblioteca. «L’avevo preso in prestito io.»
Nei suoi occhi passò un
lampo di trionfo prima della gratitudine e Hermione seppe di aver contribuito
in maniera tangibile al suo obiettivo. Si stava muovendo ai margini della
propria salda morale e perciò non aveva rivelato agli amici di quella
indagine: era come accordare una dose minore di un veleno con l’obiettivo di
curare una dipendenza, offrirgli supporto nel tentativo di scoprire cosa
combattere. Ciò di cui era sicura era che nessuno contento del proprio compito
poteva avere quella faccia.
In cambio del volume
ottenne una risposta preziosa, consegnata con voce lenta e controllata: «Se
restavo in infermeria, alcune pressioni esterne dovevano allentarsi per
forza.»
Le era chiaro che la
genesi del suo schiacciante obbligo si trovava fuori da Hogwarts. «Ho visto
Nott» azzardò.
«Mi ha fatto il favore di
spedire una lettera a casa per informarli delle mie condizioni.»
Hermione gli prese il
polso sinistro; lui guardò le sue dita con occhi allucinati e lei fu certa che
le sarebbe sfuggito, se i polpastrelli si fossero spinti sulla pelle più sopra.
«Non potevi pensare di nasconderti a lungo da ciò che ti insegue.»
«Volevo solo più tempo»
esclamò, frustrato.
«Quello che hai già fatto
non sarà mai abbastanza per qualcuno. E tu non vuoi fare niente di più.»
«Cosa ne sai tu di quello
che voglio?» sbottò, compiendo un passo indietro.
Lo vedo.
Le sue azioni e il suo volto parlavano per lui, infrangendo con la forza della
disperazione un silenzio imposto. Un dovere indesiderato, più
scomodo della gloria facile che lui si sarebbe figurato, azzannava con maggiore
violenza di qualsiasi creatura magica.
«Cosa devi fare per
Voldemort, Draco?»
Lui le dimostrò di non
avere nemmeno il coraggio di ascoltare quel nome senza timore: una mano corse a
coprirle la bocca e lei non ripeté la domanda.
Le sue dita tremavano in
maniera impercettibile, mentre sfiorava il contorno del labbro superiore prima
di ritrarle. Hermione trattenne un sospiro e continuò a guardarlo, ma lui aveva
gli occhi bassi, fissi ancora sulla sua bocca e poi sull’arto che l’aveva
toccata senza disgusto. Fino a qualche tempo prima, se fosse stato obbligato a violentare
a quel modo il senso del tatto, si sarebbe pulito platealmente la mano sui
pantaloni. Ma non era stato costretto a toccarla; si sentì arrossire a
quella considerazione, nata da un interesse insistente che aveva preferito
ignorare.
«Non ti piacerebbe
saperlo» rispose infine.
«Non sei definito dalle
tue peggiori azioni.» Non c’erano macchie oscure tra i capelli di un biondo
pallido, né a sporcare iridi più espressive delle sue parole: lui era troppo
chiaro perché meritasse di essere definitivamente infangato da qualcosa da cui
non gli era consentito ritrarsi. Inspirò per farsi coraggio e gli prese il viso
tra i palmi. «E non sei obbligato a fare niente.»
Il ragazzo scosse la
testa in segno di diniego. Serrò le palpebre. «Io devo» singhiozzò.
Hermione non era pronta
alla visione che le si palesò dinanzi quando il cancello di carne posto a
protezione dei suoi occhi si spalancò di fronte a lei, che non aveva realizzato
di averne conquistato le chiavi: lucido, il grigio del suo sguardo, come la
pietra secolare attorno a loro. Aprì la bocca in un sospiro sorpreso.
Con un gesto rapido lui
sciolse il nodo della cravatta di Grifondoro e la strinse nel pugno. Le diede
le spalle e sparì tra le ombre del corridoio, la mano insistette all’altezza
del viso prima di riempire una tasca.
Hermione restò a
domandarsi, sgomenta, se la stoffa potesse assorbire un’ammissione bagnata di
fragilità. In una cornice di ciglia lunghe, una lacrima taceva un ordine
deprecabile e una lacrima gridava una ribellione inarrivabile.
♦
Tutt’intorno, verde
silenzio.
I corridoi di Hogwarts
erano divenuti insolitamente quieti, dopo che una luce magica aveva tracciato tra
le torri del castello il simbolo oscuro di Voldemort. Aveva lo stesso colore di
un Avada Kedavra e incuteva la medesima paura.
La scuola, in assenza del
preside, era stata violata dai Mangiamorte. I professori avevano messo al
sicuro gli studenti, ma Hermione aveva la Mappa del Malandrino e la fiducia di
poter ancora fare qualcosa per tirare via dall’oscurità quel ragazzo dalla
volontà troppo debole pure per scappare.
Sulla pergamena Malfoy
stava procedendo da solo e Hermione prese a correre più veloce, inseguendo la
fortuna di trovarlo per prima. Lo raggiunse ai piedi della rampa di scale
proiettata verso il punto più alto del castello. Proprio nella torre di
Astronomia lei aveva adocchiato la ricomparsa dei punti contrassegnati come
“Albus Silente” e “Harry Potter”.
«Draco!»
Lui non l’aveva vista arrivare,
ma udì la sua voce e si fermò. Si voltò, la bacchetta salda in una mano. Dalla
tasca dei pantaloni della divisa si intravedeva un frammento di tessuto rosso e
oro – lui l’aveva conservato.
Si precipitò verso di
lui. «Che cosa hai fatto?»
Un’espressione trionfante
gli deturpò i lineamenti – lui era candido solo nelle fragilità. «Quello che
dovevo. E tu sei stata utilissima, Hermione.» C’era un tono derisorio
che lei aveva amato dimenticare, la prima volta che la chiamò per nome.
Lo prese per il maglione
e ripeté la domanda, alzando la voce. Lui sembrò sorpreso dall’impeto che
gliel’aveva portata così vicina, ma non si ritrasse. Arrotolò un riccio sul
dito, ma tirò e le fece male. Sorrideva senza allegria. «Ho riparato una coppia
di Armadi Svanitori, uno era da Magie Sinister e l’altro nella Stanza delle
Cose Nascoste. Ho portato io i Mangiamorte a Hogwarts!»
Le loro conversazioni acquisirono
un senso e lei comprese precisamente la misura in cui l’aveva aiutato, con
l’offerta di un libro e nelle volte precedenti. Malfoy infine le parlava, nel
momento orribile in cui i suoi disegni stavano per compiersi. Rompeva il
silenzio come la tregua che lei aveva fabbricato tra loro. Hermione temette che
fosse troppo tardi per ripristinarla.
«Qual è l’obiettivo dei
Mangiamorte?»
Lui si rabbuiò. «Il mio
obiettivo.» Guardò le scale che conducevano alla torre, poi lei. «Lo
vedrai. Ti pentirai di avermi aiutato.»
La prese per mano e le percorsero
insieme, verso il luogo delle lezioni di Astronomia. Lui aveva passi più
lunghi, lei gli stava dietro per pura determinazione.
Sulla soglia la lasciò
andare. Irruppe all’interno e gridò: «Expelliarmus!»
Hermione varcò l’ingresso
un attimo dopo. Telescopi e mappe celesti, nell’aula, non preannunciavano
niente di insolito; ma in un angolo erano depositati due manici di scopa. Il
professor Silente le apparve stanco come non era mai stato, privato della
bacchetta. Harry non si vedeva da nessuna parte.
«Buonasera, signor
Malfoy. Signorina Granger.»
«L’ho vista arrivare in
volo da Hogsmeade» annunciò Malfoy, senza sprecarsi in convenevoli.
Il preside annuì.
«Naturalmente. E come hai fatto entrare i Mangiamorte nella mia scuola?»
Il ragazzo si vantò di
quanto aveva già confessato a Hermione.
«Molto bene, Draco. Non
resta che una cosa da fare, adesso, mi sbaglio?»
Malfoy tremava, ma alzò
la bacchetta contro l’altro mago. «Io sto per ucciderla.»
«No!» Hermione corse verso
il ragazzo, ma l’Incantesimo di Disarmo di Harry, che si era liberato del
Mantello dell’Invisibilità, lo raggiunse prima. Lei lo bloccò tra le braccia
con tutta la forza che aveva.
«Hermione!» esclamò
Harry, sorpreso.
«Noto che hai dato corso
alla tua curiosità, signorina Granger.» Era stato lo stesso preside in
infermeria a non permettere che si estinguesse. «Harry, sono sicuro che la tua
amica ti spiegherà tutto. Adesso vai a chiamare il professor Piton. Digli che
ho bisogno di lui, sa già cosa fare.»
L’amico non le sembrava
propenso a uscire. «Ricorda che hai promesso di ubbidirmi» insisté il preside,
e lui si arrese all’autorità del mago più anziano.
La bacchetta di Malfoy
era finita sul pavimento, ma Hermione non si arrischiò a lasciarlo andare.
Aveva la sciocca speranza che quella vicinanza potesse sortire qualche effetto;
rafforzò la stretta, ma lui era più forte. Le sfuggì prima che potesse liberare
una mano per bloccarlo con la magia, scattò e recuperò l’arma. Hermione sollevò
la propria per tenerlo sotto tiro. Silente non si era mai mosso per riprendere
quella sottrattagli.
Malfoy guardò lei e poi
il preside, gli occhi angosciati e terrorizzati.
«Signorina Granger,
abbassa la bacchetta.»
«Ma, signore, lei…»
Fu costretta a cedere,
come Harry un attimo prima. Pure disarmato, il professore manteneva la
sicurezza incrollabile di chi aveva tutto sotto controllo. Però lui era stato
appena minacciato e i Mangiamorte erano penetrati a Hogwarts, e la
responsabilità era unicamente del ragazzo che lei aveva abbracciato.
«Hai riflettuto sulla mia
offerta, signor Malfoy?»
«Non ho bisogno delle alternative
che lei ha da offrirmi! Sono qui con una bacchetta, sto per ucciderla.»
«Mio caro ragazzo,
smettiamo di prenderci in giro. Se fossi in grado di uccidermi, l’avresti fatto
subito dopo avermi Disarmato, non ti saresti fermato a fare questa piacevole
chiacchierata.»
«Io non ho alternative!»
esclamò Malfoy. Non era mai stato così pallido. «Devo farlo. Lui mi ucciderà, ucciderà
tutta la mia famiglia!»
«Io posso aiutarti,
Draco, come altri prima di te.»
«Non può, invece» ribatté
Malfoy. La sua bacchetta si agitava senza posa. «Nessuno può più aiutarmi. Mi
ha detto che se non lo faccio mi ucciderà. Non ho scelta.» C’era disperazione
nella sua voce, la resa di fronte a un’imposizione che non sapeva come
combattere.
Hermione lo afferrò,
attenta a tenersi lontana dall’avambraccio sinistro, che gli avrebbe rammentato
la minaccia che lo teneva prigioniero. «Certo che hai scelta!»
«Ti proteggeremo, ti
nasconderemo. Anche la tua famiglia» offrì Silente. «Passa dalla parte giusta.»
Hermione si fece più
vicina per guardarlo negli occhi e lui spostò la bacchetta affinché non le puntasse
contro. «Draco, tu non sei un assassino.»
«Tu, tutti voi, mi
sottovalutate! Sono arrivato fin qui, no?»
«Quello che hai già fatto
non sarà mai abbastanza per lui. E tu non vuoi fare niente di più» insisté, con
le stesse parole di alcuni giorni prima. Capì che, nonostante l’esperienza
magica decennale del preside, era lei ad avere più potere.
Poggiò le dita sul polso
che teneva la bacchetta.
Fu lui ad abbassarla.
Muto, non evocò il lampo verde che toglieva la vita.
Hermione lo abbracciò per
il tempo di un sospiro. Fuori dalla porta c’erano voci e passi pesanti in
avvicinamento, così decise in fretta: lo condusse verso le scope usate da Harry
e dal professor Silente. Lui ne impugnò una senza esitazione, lei mise da parte
ogni ritrosia di fronte alla minaccia incombente.
«Andate dalla
professoressa McGranitt» ordinò Silente. «L’Ordine della Fenice lo proteggerà,
hanno mie istruzioni.»
Volarono fuori dalla finestra
e atterrarono poco dopo, intorno alle mura profanate. Le vecchie Nimbus
caddero tra l’erba.
«E adesso?»
Lui pareva smarrito in un
modo mai sperimentato, privo di punti di riferimento. Le afferrò la mano, come
a sincerarsi che non lo lasciasse.
«Adesso sei libero,
Draco.»
Le rispose con un sorriso
incerto, poi tornò serio. «Io non volevo fare niente.»
Hermione gli passò le
dita libere tra i capelli, dello stesso colore della luna nel cielo violato di
Hogwarts. «Lo so. Non dovrai fare più niente.»
Lui non era come lei, che
avrebbe combattuto qualunque battaglia si fosse prospettata. Il mondo non era
fatto di soli eroi e lui aveva il diritto di compiere un passo indietro,
soprattutto se lo portava più vicino al lato giusto. A lei.
«Non dovrò fare più
niente» considerò anche lui, ritrovando una serenità perduta. Le sue labbra si
atteggiarono nuovamente in un sorriso, più largo del precedente. Avvolse un
dito nel riccio che le sfiorava la guancia. Ripeté le stesse parole, e anche
gli occhi vennero raggiunti da quell’espressione di leggerezza.
Fu il suo sorriso a
baciarla, mentre le braccia se la schiacciavano sul torace. Le sue labbra ad
assaggiarla, per un istante che era giocosa celebrazione e altro su cui non era
il tempo di rimuginare. Hermione glielo concesse, perché in guerra il futuro
era incerto e il presente garantiva l’unico piacere a cui aggrapparsi. Glielo
concesse perché era ciò che lei voleva, per quel momento.
C’erano prospettive su
cui non aveva controllo, impegni presi con un amico di fronte a una minaccia
più potente che mai. Ma Draco Malfoy la stringeva, la guardava, sorrideva:
nella piega delle labbra, un sorriso taceva la possibilità concreta di un nuovo
contatto e un sorriso gridava l’apertura a un futuro diverso.
♦
«Vedo
che hai avuto la buona idea di non farti ammazzare.»
«E
tu la buona idea di aspettarmi.»
«Non
avevo molto altro da fare, mi pare, mentre tu te ne andavi a salvare il mondo in
compagnia e io ero nascosto qui.»
«A
settembre potremmo andarcene in giro per Hogwarts insieme, che ne pensi?»
«Mi
diplomerò con un anno di ritardo per colpa tua?»
«Malfoy,
non ti sembra di stare parlando troppo?»
«Tu
baciami, Hermione.»
Note:
Gli effetti causati
dall’associazione tra antidolorifici Babbani e pozioni magiche non sono
descritti da J.K. Rowling e perciò li ho immaginati.
I vampiri non sono considerati
una minaccia troppo seria nel Mondo Magico e un mago con discrete capacità è in
grado di cavarsela.
In Harry Potter il
Principe Mezzosangue è Harry a porsi domande insistenti sulla situazione di
Draco Malfoy, in questa storia ho dato il suo ruolo a Hermione.
I Kappa sono descritti da
Newt Scamander come creature acquatiche che si trovano in Giappone e si nutrono
di sangue umano.
Alcune delle battute del
dialogo nella Torre di Astronomia sono tratte dal sesto libro della saga.
Nel penultimo paragrafo
Draco ha disarmato Silente ed è stato disarmato da Harry, affinché quest’ultimo
diventi padrone della Bacchetta di Sambuco. Anche se questa one-shot non la
racconta, ovviamente ci sarà una guerra e questo passaggio è fondamentale
perché Voldemort sia sconfitto nel duello finale nella Sala Grande.
Il dialogo in conclusione viene dal momento in cui Hermione e
Draco si ricongiungono dopo la battaglia finale. Dopo qualche settimana insieme
tra la morte di Silente e il matrimonio di Bill e Fleur (come in Harry
Potter e i Doni della Morte), lei non rinuncia a partire alla ricerca degli
Horcrux. In quei mesi Draco non frequenta Hogwarts perché sarebbe troppo
pericoloso mandarlo in una scuola controllata da Voldemort, dopo che si è tirato
fuori da quella fazione, e quindi è rimasto nascosto.
Ogni volta tornare da Draco
e Hermione è un piacere: la Dramione è la mia prima ship in questo fandom, da
più di dieci anni.
Vi ringrazio se siete
arrivati fin qui e sarò ben felice di sapere cosa pensate di questo racconto, come
sempre qui o su Instagram o su Facebook.
Alla prossima!