Again...?

di Exentia_dream2
(/viewuser.php?uid=1138793)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Regali di Natale
 
 
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso dall’ultima volta che aveva sentito suo padre richiamarlo per un comportamento che riteneva sbagliato, ma proprio mentre accadeva, Draco aveva cominciato a sorridere.
Continuava a stare seduto con stravaccato sulla sedia, le braccia aperte sullo schienale e le gambe larghe. Lucius aveva dilatato le narici di fronte a quel gesto di ribellione – l’ennesimo – e finalmente aveva deciso di tacere.
Draco non conosceva il vero motivo per cui era stato mandato a chiamare e non se l’era nemmeno chiesto. In realtà, da giorni, avvertiva il bisogno di confrontarsi con l’uomo che aveva di fronte – così simile a lui, così diverso da lui.
«Bene, eccoci qui» aveva detto dopo minuti di silenzio durante i quali Lucius aveva continuato a guardarlo con sprezzo.
Se a Draco fosse importato ancora il parere di suo padre, probabilmente avrebbe cominciato a sentirsi in soggezione, a muovere i muscoli per sedersi composto e, invece, ringraziando tutti i Fondatori e il Dio in cui credevano i Babbani, si rese conto che ormai non gliene fregava più niente.
Che quegli sguardi disgustati non gli facevano più alcun effetto. Che ogni parola che usciva da quella bocca sottile non lo feriva, non lo avrebbe ferito mai più.
«L’ultima volta sei venuto con Potter» osservò Lucius, spalle al muro e braccia incrociate sul petto.
«Colpevole» Draco sorrise appena, puntando gli occhi in quelli del padre.
Era stato un uomo capace di incutere timore con un solo movimento del mento e adesso sembrava essere soltanto il riverbero di ciò che era stato fuori da quella prigione, ma, nonostante questo, lui non potè fare a meno di guardarlo e affondare in quelle iridi che parevano ghiaccio cristallizzato, uno dei tratti che li aveva accomunati dal primo respiro di vita e lo avrebbe fatto fino all’ultimo respiro di morte – così simile a lui, così diverso da lui.
«Sei caduto talmente in basso, Draco.»
«Sono un uomo libero.»
Lucius non aveva avvertito il colpo o, forse, era stato bravo a non farlo vedere, perché gli si sedette di fronte e gli consegnò una busta chiusa. «Questa è per tua madre» disse, senza guardarlo negli occhi.
Nei gesti meccanici che compiva c’era tutta la rabbia per non aver ricevuto alcuna risposta la volta precedente, non sapeva che Draco non aveva consegnato alcuna lettera a sua madre né che non si sentisse minimamente il colpa per averle nascosto le parole del marito.
La prese, comunque, riponendola con cura nella tasca interna del mantello e poi, finalmente, rivolse lo sguardo sul viso di suo padre: sembrava invecchiato di cent’anni, le spalle curve e i capelli in disordine che gli facevano perdere del tutto l’alterigia con cui si era sempre presentato al mondo, perché fuori da quelle mura Lucius Malfoy aveva fatto paura, ma adesso riusciva a fare solo tenerezza.
«Perché tu lo sappia» cominciò. «Mia madre non leggerà nessuna delle tue lettere. E per rendere davvero difficile la tua permanenza qui, voglio dirti una cosa che ti farà accapponare la pelle.»
«Mi basta guardarti, per quello.»
«Ho intenzione di invitare Hermione Granger a cena, raccontarle tutto quello che è successo al Manor durante la permanenza di Voldemort…»
«Non osare nominarlo!» Lucius si alterò, allontanando la sedia con un gesto deciso della mano e arrivando a fiatare sul viso del proprio figlio: gli sembrò diverso, maturo, sconosciuto perché per la prima volta da quando Draco era entrato in quella cella, Lucius non rivedeva più se stesso nei suoi lineamenti.
«Non osare nominarlo…» disse di nuovo a voce bassissima.
Draco non lo ascoltò e riprese il suo discorso da dove l’aveva lasciato: «Ho intenzione di dirle tutto quello che accadeva, di vedere comparire il mio nome nel libro degli eroi che sta scrivendo.»
«Tu non sei un eroe» sussurrò suo padre, ma anche questa volta lui fece finta di non aver sentito.
Si avvicinò lentamente, le mani in tasca a dimostrare ancora una volta quanto la sua ombra, quella che faceva tanto timore al ragazzo che era stato adesso, all’uomo che era, non provocava alcun effetto.
«E ti giuro che ho intenzione» riprese. «di amarla come merita di essere amata.»
Nonostante tutto, l’unica cosa di cui era realmente convinto era che avrebbe aiutato Hermione a mettere un punto per finire il libro che Silente le aveva chiesto di scrivere: mancavano soltanto le proprie testimonianze, lo sapeva bene, eppure, nel momento in cui aveva assicurato a suo padre di trovare il coraggio per invitare a cena l’unica donna che avesse mai amato, nel momento in cui gli aveva giurato che l’avrebbe amata come aveva sempre meritato, qualcosa in lui si era distorto e gli aveva presentato in una sequela d’immagini senza senso tutte le volte che l’aveva vista insieme a un altro, facendo promettere a se stesso che in nessun modo si sarebbe riavvicinato a lei.
Gli occhi di Lucius si cristallizzarono nel momento esatto in cui il suo cervello metabolizzò quelle ultime parole e, se fosse stato possibile, sarebbero esplosi per la meraviglia e il disgusto che quelle parole avevano causato in lui.
Forse, soltanto in quell’istante, capì di essere rimasto solo, di non avere più alcun potere sui componenti della propria famiglia e, anzi, che per loro non esisteva più.
E fu come morire, vedere il proprio corpo sfracellarsi al suolo, in una caduta infinita di schegge che ferivano un corpo già martoriato dalla stanchezza, dall’inerzia, dalla solitudine, dalla pazzia che poco alla volta gli aveva logorato il cervello, facendogli credere possibile un ennesimo ritorno di un Signore che non aveva avuto scrupoli a sacrificare giovani vite – come quella di suo figlio – ed era soltanto colpa sua se adesso, all’intero Mondo Magico, Lucius Malfoy appariva come uno stupido uomo mosso da fili invisibili che si piegava a piangere una sconfitta che non aveva mai voluto accettare. Fino a quel momento.
Draco le vide tutte, quelle emozioni, attraverso le rughe sul viso di suo padre e dopo tanto tempo finalmente capì quanto in profondità dovesse andare una lama per colpire il cuore di una persona.
Si inginocchiò fino ad arrivare all’altezza di Lucius, che adesso ansimava in preda a chissà quale crisi, e gli sorrise vittorioso, perché adesso non era più lui quello a uscire sconfitto da ogni loro incontro – lui. Aveva vinto lui.
E se Draco era stato capace di vedere la volta precedente le crepe sul volto di Lucius, lui stesso se ne stava accorgendo in quel momento −  che non era infallibile, che non era intoccabile. Non più.
Se ne rese conto nell'attimo in cui il muscolo cardiaco all'interno della gabbia toracica perse un battito e per la prima volta in tutta la sua vita si sentì scisso a metà: da una parte la voglia di rivalsa nei confronti di chi l'aveva lasciato marcire in una sudicia prigione, dall'altro la voglia di poter respirare aria pulita e andare lontano da tutto e da tutti, compresi moglie e figlio, facendoli soffrire la propria mancanza e facendo provare loro il terrore di averlo perso per sempre, in quella legge del contrappasso che vedeva solo lui come unico protagonista− chiuso in cella a soffrire la mancanza del Manor, di sua moglie, consapevole di aver perso tutto e questa volta per sempre.
Per questo motivo, decise di non sollevare il capo e nascondere a Draco il proprio sguardo, inconsapevole del fatto che il figlio, tornato a sedersi, già sapesse che era sul punto di crollare, di cadere e pezzi e, finalmente, vivere come aveva sempre meritato: con l'anima morta e il corpo capace di sostenersi e sopravvivere. 
Draco scostò leggermente la sedia, si alzò in piedi, girando attorno al tavolo che li separava e giungendo di fronte a lui.
«Te l'avevo detto, che avrei trovato un modo per ucciderti» disse con voce bassissima che riuscì a far tremare le mura dell'antico carcere.
Lucius continuò a tenere la testa bassa anche quando rimase da solo: i pugni che stringevano più forte la tunica erano l'unico segno che fosse ancora vivo, che non fosse stato pietrificato, che respirasse ancora.
E, dentro, a fare da contrappeso alla sua inarrestabile caduta, brillava fiocamente e sempre più debole la fiammella della speranza che Voldemort sarebbe tornato in vita per ristabilire l'ordine giusto dell'Universo Magico.
Draco poteva soltanto immaginare in che modo suo padre stesse vomitando tutto ciò che si erano detti, ma decise che non gliene importava niente e proseguì a scendere le scale, lasciarsi alle spalle le porte della prigione e il proprio passato, compiere un altro passo verso la redenzione.
Fu soltanto un attimo di tentennamento a fermarlo, a costringerlo a chiedersi quanto in realtà avesse ancora paura dell’uomo che era rinchiuso lì dentro, impossibilitato a vivere una vita degna grazie alle sbarre che lo costringevano in due metri quadri di aria; la risposta fu immediata: Lucius non gli provocava più alcun tipo di timore, perché ormai era finalmente fuori dai giochi, morto nonostante fosse ancora vivo.
Una volta fuori da Azkaban, Draco non si stupì di trovare Blaise all'interno del proprio appartamento. 
«Buon Natale» lo salutò l'amico.
«Buon Natale a te… a cosa devo questa visita?»
«Oh, ti prego, non essere così formare, Auror Malfoy: sono qui per fargli gli auguri e per darti il mio regalo.»
«Io non ho niente per te.»
«Il tuo regalo sarà accettare il mio regalo, ecco qui.»
Draco lo guardò stranito, pensò che i preparati del matrimonio gli avessero risucchiato tutta la materia grigia che Blaise aveva avuto nel cranio fino a poco tempo prima, ma la voce dell’altro lo ridestò dai propri pensieri.
«Solo, non aprirlo adesso… prima la lettera, poi questo, d’accordo?»
«Di quale lettera parli?»
Blaise infilò una mano nella tasca, estraendo un pezzo di carta ripiegato più volte su se stesso: gli aveva dato una sbirciatina qualche volta, ma nei passaggi in cui i pensieri scritti diventavano più intimi faceva scorrere veloce gli occhi per non immischiarsi, per lasciare all’amico in compito di leggere tutto ma proprio tutto quello che c’era scritto in quella lettera.
«Questa» disse dopo minuti interminabili.
Draco prese il foglio dalle mani dell’amico, lo guardò come si guarda il proprio riflesso nello specchio, leggendoci dentro parole che non conosceva, spaventandosi per quanto quella pagina gli pesasse sulle dita e l’unica parola che uscì dalle sue labbra fu un nome sussurrato che lo svuotò di tutta l’aria che aveva in corpo: Hermione.
Blaise annuì, mentre lui cominciò ad annegare in ricordi che non aveva mai vissuto, vedendo lei allacciarsi al collo una collana che terminava con un ciondolo a forma di cuore – la sua promessa, Mia, tuo per sempre.
 
So che ti sembrerà assurdo, mi chiedo tutt’ora quale forza mi stia muovendo,
eppure sono qui a scriverti per dirti che mi dispiace per tutto.
Per dirti che hai ragione: ho sbagliato.
E se quello che mi hai detto è vero, allora accetterò le tue motivazioni,
me le farò bastare e le nominerò basi solide su cui ricostruirmi.
Tu, però, mi devi ancora qualcosa e su questo non accetterò un no come risposta:
la tua storia.
Sì, la tua storia, quella che non conosco, quella che non hai mai raccontato a nessuno.
Perché tu ci hai salvati, mi hai salvata e il tuo nome merita di comparire nel libro degli eroi,
affinché tutto quello che hai fatto venga reso noto anche agli altri che ancora ti additano,
com’è giusto sia.
Ti prometto che lascerò fuori tutto quello che siamo stati, le ragioni per le quali adesso siamo quelli che siamo,
ti prometto che sarà un incontro di lavoro soltanto, niente di più.
Ti prego di pensare alla mia proposta, di mettere da parte tutti i motivi che ti farebbero dire di no.
Questo è un regalo da parte mia, ma soprattutto è un regalo che devi fare a te stesso.
Troverai l’indirizzo del locale in cui ti aspetterò dietro questo stesso foglio.
Nel caso decidessi di non venire, capirò anche la tua ritrosia.
                                                                                                        Con affetto, Hermione.
 
 
 
Draco ripiegò la lettera, la poggiò sul tavolo e allontanò veloce le mani come se si fosse scottato ad accarezzare quelle parole; Blaise, invece, gli allungò la scatola che conteneva il regalo che gli aveva fatto per quel Natale: una vecchia bottiglia vuota senza etichetta, macchiata dall’alcol rinsecchito in più punti.
«Una Passaporta» spiegò dopo aver ricevuto uno sguardo confuso. «Lei è a Edimburgo.»
 
~•~
 
 
 
Trascorrere il Natale a casa di mamma e papà le era servito per acquietare se stessa, per sbrigliare i nodi ai propri pensieri e mettere finalmente in moto le dita e mantenere la promessa fatta a Silente mesi prima.
Aveva cominciato a scrivere a Draco la mattina del venticinque dicembre, convinta di impiegare giorni e giorni prima di decidersi a inviare quella lettera e, invece, un’ora dopo essersi seduta alla propria scrivania, aveva delegato un gufo affinché consegnasse la posta.
Adesso, stretta nel cappotto e nella sciarpa, spostava il peso da una gamba all’altra in attesa di veder comparire il destinatario della lettera: non aveva ricevuto risposta, erano trascorsi giorni in cui era rimasta intenta a guardare il cielo nella speranza di veder comparire un gufo, un falco, un volatile qualsiasi che le portasse parole scritte da Draco e invece niente.
Silenzio, solo silenzio.
Era un’attesa che se la stava mangiando viva, la costringeva a torcersi le dita, a tirarle fuori dalle tasche nonostante il gelo scozzese.
Edimburgo, che le era sembrata una città magica, adesso le appariva come la tomba di tutte le proprie speranze, perché il riverbero di capelli biondi che riflettevano la luce della luna le facevano sempre voltare il capo nell’illusione che appartenessero a lui, perché ogni volta che le sembrava di riconoscere nei passi la sua camminata, alla fine, si trovava delusa dalle proprie aspettative.
Cominciò a pensare che lui non sarebbe mai arrivato, che avrebbe dovuto trovare un modo per ingoiare quel rifiuto che non aveva mai lasciato spazio alla speranza di poter divenire un consenso.
Era quasi pronta a sentire su di sé gli occhi curiosi di chi aveva appuntato la sua prenotazione, un tavolo per due, vedere le labbra dei camerieri tendersi in una muta pietà, perciò diede le spalle alla strada e fece per aprire la porta del ristorante.
«Quanta fretta, Granger.»
La voce di Draco la sorprese fino a immobilizzarla: riusciva ad avvertire, nel tono che aveva usato, una punta di scherno e d’ironia, come se tutto quello che si erano detti giorni prima non fossero altro che rimasugli di un sogno che avevano condiviso.
«Grazie» gli disse non appena si furono seduti al tavolo più appartato del locale, senza aggiungere constatazioni ovvie.  
«Ho trovato un solo motivo per accettare la tua proposta, uno contro mille.»
«Sotterriamo l'ascia di guerra, diamoci tregua.»
«È soltanto per il tuo libro, vero?»
Avrebbe voluto dire di no, che quella tregua avrebbe potuto rappresentare un nuovo inizio, una strada da spianare per perdonare e perdonarsi e invece. «Sì.»
«Bene, Granger» cominciò lui, versando lo champagne che avevano appena ordinato nei flûte. «Al libro degli eroi»
«Al libro degli eroi» gli fece eco.
Le scappò un sorriso quando nella sua mente pensò che con tutte le parole che aveva scritto fino a quel momento, pagine piene di scuse e rimproveri e rimpianti dedicati a lui, sarebbe stato più giusto brindare al libro degli errori, di lui, di lei, ma ingoiò la risata assieme allo champagne e poi semplicemente stette in silenzio a osservarlo.
Per la prima volta da quando si erano rincontrati, Draco gli sembrò tranquillo, totalmente diverso dall'uomo con cui aveva parlato alla festa di Aria e Blaise. Forse, pensò, anche lui ha sentito il peso dello sguardo degli altri addosso, proprio come lei, che però degli altri adesso ne aveva fatto un punto cardine per riavvicinarsi a lui, perché Harry la sosteneva, Ginny la sosteneva, Ron la sosteneva.
Se qualcuno li avesse visti in quel momento, senza conoscere nulla riguardo al loro passato, avrebbe invidiato il loro modo di guardarsi, di toccarsi senza premeditarlo, di ridere di quei sorrisi esplosi che nascono dal cuore, eppure.
Eppure Hermione avvertiva sempre più forte i muscoli tendersi nella direzione di Draco, combattendo con se stessa affinché le mani restassero al proprio posto, alleggerendo l’aria con argomenti di poca importanza, ridendo ai ricordi di quando erano bambini.
Fu Draco a spezzarle qualcosa dentro, a far crollare le barriere che aveva eretto per mantenere la promessa che gli aveva fatto, quando disse: «A volte ci penso ancora… a noi, intendo.»
Hermione vibrò di un’emozione che le portava alla mente parole che gli martellavano la lingua da troppo tempo, la loro eco lontana persa tra polvere e libri. «Draco, io non…»
«Siamo praticamente cresciuti insieme: abbiamo cominciato a ringhiarci contro quando avevamo ancora denti da latte» la interruppe. «Eri odiosa, davvero.»
Lei questa volta scoppiò a ridere, non riuscì a trattenersi dal ricordargli di quanto fosse stato odioso lui, con la puzza sotto il naso e l’atteggiamento di chi pretende che al mondo esistano solo quelli come lui e le sembrò strano trattare con tanta leggerezza argomenti e idee che un tempo li avevano visti fermi su due fazioni diverse.
Nessuno dei due fece caso al tempo trascorso all’interno del locale, nessuno dei due aveva davvero mangiato qualcosa e quando uscirono, dopo aver pagato il conto, Draco tirò fuori il pacchetto di sigarette, accendendone una con l’accendino che gli aveva regalato Kelly, Hermione spostò lo sguardo lungo la strada illuminata dalla luce calda dei lampioni.
Camminarono un po’, la magia della capitale a fare da sfondo ai loro passi, agli occhi che di tanto in tanto si cercavano, si perdevano, si amavano in una lingua sconosciuta all’altro; entrambi stettero in silenzio, spaventati dalla voglia di dire tante cose che non avevano niente a che fare con la Seconda Guerra Magica – di quello ne avevano già discusso − : Hermione era stata paziente, aveva avuto la capacità di porre domande mirate, chiare e Draco si era rivelato essere alla sua altezza concedendo risposte precise, che facevano a meno di riempirsi di termini che poi non rivelavano niente.
In quegli attimi, lei aveva spesso calato il capo per la vergogna di aver giudicato una storia che non conosceva, paure speculari alle sue che aveva sempre deriso; lui, d’altro canto, aveva fatto in modo che lei non si colpevolizzasse per quelli che erano stati giudizi emessi da una bocca che non era a conoscenza di quello che accadeva nelle stanze del Manor.
Quando giunsero nei pressi di una ringhiera sotto cui scorreva silenzioso il fiume, lui le posò una mano dietro la schiena per invitarla a guardare in basso.
Non avrebbe saputo dire cosa lo spinse a parlare, a rievocare parole che avevano ferito entrambi, forse gli astri in alto che illuminavano fiocamente la sera, forse il sorriso di lei che osservava il corso d’acqua; provò a lottare contro se stesso, ma alla fine si dichiarò sconfitto in un filo di voce che lei riuscì a sentire soltanto perché gli era vicina: «Non volevo ferirti.»
Si voltò a guardarla, consapevole di aver mosso un passo falso, di aver infranto una promessa accordata nel mutismo che si era protratto lungo il cammino per giungere in quel punto della città, e si stupì di trovarla già pronta a rispondere: gli avrebbe detto che aveva rovinato tutto, gli avrebbe fatto colare addosso iridi arrabbiate e orgogliose, rinfacciandogli che sì, l’aveva ferita, distrutta, annientata e che il loro patto di sotterrare l’ascia di guerra era andato in mille pezzi solo per colpa sua.
Hermione, invece, gli poggiò le mani sul petto, nel punto preciso in cui nascevano i battiti del suo cuore, sollevò lentamente lo sguardo e le punte dei piedi fino ad arrivare a sfiorargli le labbra. «Io non esisto lontana da te» gli sussurrò.
Lo guardò, senza chiudere mai gli occhi, sperando di scorgere all'interno delle sue iridi la stessa emozione che aveva mosso lei a fare uno dei tanti passi indietro che si era promessa di compiere − mai più vigliacca, mai più bugiarda.
Draco le coprì le mani con le proprie, scendendo fino ai polsi, il déjà-vu di una notte di pioggia lo assalì come un maremoto, scaraventando sentimenti e tutto contro le pareti del cervello e del cuore − resta tutta la notte, resta anche domani.
Adesso, le promesse e i giuramenti che aveva fatto a suo padre sembravano vacillare sotto il peso del terrore, delle immagini in cui lei era insieme a un altro e non accanto a lui, il silenzio con cui l’aveva lasciato andare dopo averlo pregato di amarla: si sentì ferito, tradito, illuso e, più di ogni altra sensazione, regnò quella della consapevolezza di averla persa nel momento in cui aveva chiuso la porta della sua camera a Hogwarts, nel momento in cui era sceso dall’Espresso e si era separato da lei ripetendo a se stesso che basta, basta.
Nonostante tutto, comunque, calò le palpebre e si allontanò da lei quel tanto che bastò a entrambi a capire che quella distanza era l'unico modo per annullarsi, per finire una storia che non sapeva finire, per dirsi un addio che era rimasto in bilico per anni in attesa di diventare un finalmente sei qui.
«Non puoi farmi questo… non puoi farmi anche questo» fu il fiato arrendevole e stanco con cui lo disse a far vacillare la propria decisione, la voglia di non volerla più nella sua vita per salvarla da se stesso, per salvarsi da se stesso.
«Questo, cosa?» cominciò Hermione.  «Non ti ho mai fatto niente, se non per riflesso: sei stato tu il primo a ferire, Malfoy.»
La tranquillità della serata appena trascorsa, i sorrisi che si erano scambiati, gli sguardi, tutto sfumò in quell'accusa che la fece accartocciare su stessa e bruciare, come il foglio di giornale su cui spiccava l'articolo dell'arresto di Lucius Malfoy, ma Draco non vide nulla di tutto questo, se non l'orgoglio e la fierezza con cui lei gli rivolse quella frase.
«Non sono stato io ad andare via.»
«Sì, lo hai fatto, la sera dei diplomi.»
«Sei stata tu a volerlo.»
«Oh, certo: perché non è un Malfoy ad andare via, sono gli altri a dirgli di andarsene, vero? Io non te l'ho mai chiesto!» quasi urlò.
Lui, però, non si fece scuotere dalla rabbia che le vedeva in viso e, anzi, sollevò l'angolo delle labbra in un sorriso cattivo. «Lo hai fatto» disse infatti. «E non solo con le parole.»
«Tu non mi hai creduto!»
«E a quanto pare avevo ragione: sei stata capace anche di rifarti una vita, di spogliarti per un altro uomo e poi tornare da me solo per distruggere l'altra vita che stavo provando a costruire.»
Questa volta, Hermione non riuscì a rispondere immediatamente, dentro le si agitavano dentro i ricordi degli anni trascorsi a Hogwarts, di tutte le volte che entrambi si erano aiutati soltanto per scavare più in profondità il baratro che li stava dividendo.
In un attimo di lucidità, però, fisse a se stessa che quella era una bugia, che l'unica ad aver scavato era stata lei perché lui le aveva sempre teso una mano per aiutarla a risalire. Tuttavia, l'orgoglio dell'ex Grifondoro tornò prepotente a battere contro la lingua quando lo incolpò per l'ennesima volta − colpevole a priori, mai innocente fino a prova contraria − e disse: «Sei stato con la Parkinson.»
Draco sgranò gli occhi per un attimo, un lago sciolto di iridi e momenti vissuti in una camera del settimo piano − non ti ho mai tradita. Con nessuna, perché ti amo. «Sai che non è vero.»
«Io non ti credo.»
«Bene, allora siamo pari adesso. Te l'avevo detto che era una guerra inutile» lo sai anche tu che nessuno dei due vincerà.
«Sì, siamo pari.»
Il silenzio che calò immediato fu talmente pesante che entrambi si voltarono a guardarsi intorno: il mondo non aveva smesso di esistere, le persone continuavano a passeggiare voltando di tanto in tanto la testa nella loro direzione, eppure tutti e due continuavano a sentirsi altrove.
Le ferite che si erano inferti stavano cominciando a sanguinare, il dolore era arrivato poco a poco e poi tutto insieme quando erano finite le parole, le accuse, le verità che ancora una volta si erano taciuti; tagli superficiali e profondi che si erano fatti a vicenda − con la lama di un coltello che si erano passati di mano troppe volte, Lucius con lui, lui con Bellatrix, Bellatrix con lei, lui con lei.
Draco sollevò di nuovo lo sguardo, dopo aver perso parti di se stesso tra i vicoli di un paese che non era il suo e maledicendosi per essere caduto di nuovo ai piedi di Hermione non appena lei lo aveva chiesto; annuì per dare conferma a quello che si erano detti poco prima.
Le diede la schiena, volgendo poi il capo sulla propria spalla, per dedicarle un’ultima occhiata. Era pronto per andare via, pronto per chiudere lì tutto – l’epilogo della loro storia, il suo ricordo, le sue parole, il suo sorriso, tutto quell’amore.
Mosse un passo in avanti, il piede a poggiarsi lentamente sull’asfalto come se fosse stato immerso in una bolla che gli impediva di comandare il corpo, in cui la gravità era un concetto estraneo, quando Hermione disse ancora: «Io non esisto lontano da te.»
 
Angolo Autrice:
Non so in che modo chiedervi scusa per questo immenso ritardo, davvero… vorrei farlo in tutti i modi possibili, ma non so farlo.
Mi rendo conto che il capitolo non è all’altezza dell’attesa che avete dovuto sopportare e mi dispiace, ma siamo quasi agli sgoccioli di questa storia e vi ringrazio per tutte le belle parole che le avete dedicato.
Ora vi lascio, promettendo che tornerò presto.
 

 




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3988350