Capitolo 7
Ormai
sono
settimane che guardo sempre accigliata la tazza del caffè di
prima mattina. No,
non ho mai sofferto di quel comune disturbo per il quale non si
può parlare ad
una persona, prima che abbia bevuto la bevanda magica, che fa sembrare
il posto
un mondo migliore. Fortunatamente, le mie capacità cognitive
sono subito
attive, non appena mi sveglio. Però, ultimamente, non sembra
essere affatto
così. Sono rare le notti in cui riesco a dormire
serenamente, ormai gli incubi
sono diventati un costante tormento, ogni qualvolta mi addormento. I
sogni
piacevoli sono diventati una rarità, come quello che ho
fatto qualche giorno
fa, di cui ricordo veramente pochissimo; l’unica cosa sicura
è che mi ha
lasciato addosso una sensazione piacevole.
È
una settimana
che non vado all’università. Dopo quella specie di
attacco di panico che ho
avuto, non me la sono sentita più di ritornarci. Credo che
con quella fuga
precipitosa mi sia giocata la mia scarsissima credibilità. A
mia discolpa,
posso dire che in quel momento il mio cervello è andato nel
panico totale;
dopotutto, chi non andrebbe in crisi in quel modo, dopo aver letto una
scritta
del genere? Ma non
è questo l’aspetto
peggiore. La mancanza di sonno sta giocando dei brutti scherzi al mio
umore, che
sta diventando molto ballerino. Non di rado mi capita di avere degli
scatti
d’ira per degli episodi veramente insulsi; situazioni su cui,
fino a qualche
settimana fa, neanche ci avrei fatto caso. Ieri sera ho fatto una
scenata a dir
poco assurda a Giuseppe, perché era venuto
all’appuntamento con soli due minuti
di ritardo. Devo chiedergli scusa immediatamente, non meritava di
essere
trattato in quel modo. Anche in famiglia le cose non vanno meglio,
ugualmente
subiscono i miei costanti sbalzi d’umore. Infatti, sono
diversi giorni che mi
riservano sguardi a dir poco inquietanti. Devo fare ammenda con
parecchie
persone. Non sono così, non lo sono mai stata! Ultimamente
queste visioni sia
oniriche, che ad occhi aperti, mi stanno mandando fuori di testa.
Forse, dovrei
chiedere l’aiuto di un professionista. Magari mi aiuterebbe a
capire cosa mi
sta succedendo, ma ci voglio pensare bene, magari è solo un
momento dovuto al
forte stress a cui mi sto sottoponendo.
«Se
continui a
girare il cucchiaino nella tazzina, rischi di
bucarla…»
La
voce di mio
fratello mi ridesta dai miei pensieri. Mi guarda con aria leggermente
preoccupata, il che è una novità assoluta.
«Come?!»
«È
da cinque
minuti buoni che stai rigirando il caffè con aria assente.
Mi vuoi dire cosa ti
sta succedendo?»
Mi
mordo il
labbro inferiore con i denti, fino a farlo quasi sanguinare. Cosa posso
rispondergli? Non so neanche io cosa mi sta accadendo di preciso. Devo
dirgli
che sogno di venire uccisa brutalmente, quasi ogni notte? Che
all’improvviso
appaiono delle scritte, alquanto strane, sui libri che consulto per la
tesi? Che ho visto
una donna in abiti
seicenteschi nel riflesso del vetro del bagno e poi per strada? Non
riesco a
capacitarmene io, figuriamoci se riesco a dirlo?! Sicuramente mi
prenderebbe
per pazza! Ed avrebbe anche ragione!
«Niente
Nico,
sono solo stressata e sai benissimo come reagisco quando sono sotto
pressione…»
«Sai
che non me
la bevo questa cazzata, vero?»
«Cosa
vuoi dire?»
«Che
sei una
pessima bugiarda, lo sei sempre stata. Quando menti arrossisci
sempre.»
«Non
sto
arrossendo! Ho solo caldo.»
«Immagino
che i
sei gradi fuori per te siano una temperatura tropicale, considerato che
hai
caldo.»
«Sei
il solito
idiota! Sono solo in quei giorni lì…»
«Certo…Ascoltami,
non voglio forzarti, ma vederti così tesa e stressata mi
preoccupa un po’. Devo
preoccuparmi?»
«No,
è solo un
periodo un po’ storto e pieno di cose da fare. Dammi un
po’ di tempo e vedrai
che tornerò la solita rompiballe.»
«Lo
spero.»
«Ci
puoi
contare!»
Bene
ho fatto
preoccupare anche Nico, che di solito è quello
più imperturbabile della
famiglia. È quasi fuori dalla cucina, quando si volta
nuovamente verso di me.
«Ah,
dovresti
chiedere scusa a Giuseppe. Ieri sera le tue urla si sentivano fin
qui…e siamo
al terzo piano. Sai benissimo che se provi a lasciarlo ti disconosco
come
sorella.»
Ed
eccolo che è
ritornato il solito stronzo, ma non posso far a meno di sorridere.
Sentivo la
necessità di questo sprazzo di normalità. Seguo
immediatamente il suo
consiglio, corro subito a chiamare Giuseppe.
Parlare
con Nico,
anche se non gli ho rivelato la verità, mi ha fatto
veramente bene, oltre che
piacere. Se quel testone di un fratello mostrasse più spesso
il suo lato umano
ne sarei molto felice, ma mi accontento delle piccole vittorie.
Per
essere metà
marzo è davvero caldo. Ebbene sì, dopo diversi
giorni di clausura ho deciso di
uscire nuovamente di casa, dopotutto una tesi ha bisogno di molte
ricerche, no?
Il terzo libro che mi ha prestato la contessa Francesca si è
rivelato pieno di spunti
interessanti su cui far luce, ma sono problematiche che voglio
affrontare in un
secondo momento; ora voglio concentrarmi sul fondo De Gemmis. Dalla
biblioteca
nazionale non ho ancora ricevuto risposta: dopotutto cosa saranno mai
quasi tre
mesi di attesa, per avere un responso? Dalla biblioteca De Gemmis hanno
riposto
in giornata, appena qualche ora dopo aver inviato la mail e questo
depone molto
a loro favore. L’ingresso è sotto un arco di
pietra calcarea con volta a
crociera. Appena entrata, l’odore della carta stampata mi
investe inebriandomi.
Inspiro a pieni polmoni quel dolce profumo; è una delle
fragranze che amo di
più. Non giudicatemi male, ognuno ha i suoi gusti, i miei
sono solo un po’
strani, tutto qui. Alla reception c’è ad
attendermi una signora un po’
paffutella, dai lunghi capelli neri, intenta a parlare con un ragazzo
che
sembra avere la mia età. L’espressione che mi
rivolge è a dir poco supplice; ho
come la vaga impressione che voglia essere salvato dalla sua collega,
che lo
sta subissando di chiacchiere.
«Buongiorno,
sono
Carlotta Fiore. Ho un appuntamento con la Dottoressa Costa alle 10.00.
Sono un
po’ in anticipo, spero non sia un problema.»
«Buongiorno»,
risponde prontamente il ragazzo «non credo. Francesca, puoi
chiamare la
Dottoressa?»
Della
conversazione telefonica capisco ben poco. Parla talmente veloce, che
ci
vorrebbe un interprete per capire cosa dice. Forse riesco a intuire
perché il
ragazzo mi abbia rivolto quella muta richiesta di soccorso. La voce del
portiere mi riporta alla realtà.
«Prego,
mi segua.
La Dottoressa è al primo piano, nel suo ufficio; le faccio
strada.»
«Per
favore dammi
del tu, abbiamo la stessa età!» Gli dico mentre
saliamo le scale.
«Hai
quasi
trent’anni anche tu?»
Lo
guardo
scioccata, non può avere l’età che mi
ha detto! Non la dimostra per nulla.
«Mi
prendi in
giro.»
«Sono
serissimo,
ma stai tranquilla, non sei la prima che reagisce in questo
modo.» Mi sorride
leggermente compiaciuto. «Cosa studi?»
«Fra
qualche mese
mi laureo in Beni Culturali, poi proseguirò con
Archeologia.»
«Allora
sarai una
futura collega!»
«Come?!»
«Anche
io sono
laureato in Archeologia. Archeologo non praticante per la
precisione.»
«In
che senso?»
«Che
considero
quello dell’archeologia un capitolo chiuso della mia vita. A
quasi trent’anni
non avevo ancora voglia di avere la testa china sui libri, per
chissà quanti
altri anni. Siamo arrivati. La seconda porta a sinistra. A
dopo!»
La
dottoressa
Costa è una signora di mezz’età molto
graziosa. Non è molto alta, all’incirca
quanto me, ed ha un fisico molto asciutto. I capelli neri, che ricadono
morbidamente sulle spalle, incorniciano l’incarnato ambrato
del suo viso. Fin
dal primo momento si è dimostrata cortese, disponibile e
molto interessata alla
mia ricerca. Mi ha rivelato di essere la prima persona, di cui avesse
memoria,
che chiedeva di quella particolare sezione del fondo librario.
«Sei
la prima
dopo quattrocento anni che potrà leggere la corrispondenza
di Maria D’Avenia.»
«Davvero?»
«Certo!
Anche la
famiglia De Gemmis ha continuato a negare l’accesso a quegli
incartamenti. Ma,
avendoci donato tutta la loro collezione libraria negli anni Sessanta,
possiamo
disporne come meglio crediamo.»
«È
una notizia
fantastica! Quando posso cominciare le ricerche?»
«Da
subito.
Vieni, ti accompagno nella sala in cui è custodito il fondo.
Non ti verrà a
disturbare nessuno, è una stanza riservata alla
ricerca.»
I
tre faldoni
presenti sul tavolo superano di gran lunga le mie aspettative:
traboccano di
documenti! Ogni folio è conservato in una speciale
cartellina trasparente, in
modo tale da poter visionare, senza nessuna difficoltà, il
contenuto.
«Tutti
questi
documenti sono stati digitalizzati, in modo tale che nessuno tocchi
direttamente con mano gli originali. Ogni cartellina ha un proprio
codice: è sufficiente
inserirlo nel database sul pc, collocato su questa scrivania, per poter
accedere alla copia digitale. Ti lascio i faldoni, in modo tale da
poter avere
un riferimento cronologico: tutta la documentazione è in
ordine temporale.
Ovviamente, non devi mai sfilare i documenti dalle loro cartelline,
intesi?»
«Certo!
Non si
preoccupi! Se avessi la necessità di stampare qualche
documento?»
«Puoi
farlo
tranquillamente. Potrai prendere i documenti stampati dalla
fotocopiatrice alle
nostre spalle. Direi che è tutto. Se hai bisogno del mio
aiuto digita
venticinque sul telefono qui presente. È il mio interno. A
dopo!»
«Grazie
mille
dottoressa, a dopo!»
Sono
ore che
leggo senza sosta tutta la documentazione che mi capita sotto mano. Gli
occhi
iniziano a bruciare, ma non riesco a staccarmi dallo schermo; le
notizie che
sto leggendo sono davvero incredibili. Nessun libro che ho consultato
fino ad
ora si era avvicinato a quanto scritto qui dentro, solo quelli che mi
ha
affidato la contessa sono leggermente paragonabili a quanto trovato.
Devo
trattenermi dallo stampare tutto il materiale o rischio seriamente di
finire
tutta la risma di carta presente nel vassoio della fotocopiatrice.
Guardo
l’orologio e impallidisco: le 14.30 ed ho il treno alle
15.08. Praticamente ho
a malapena il tempo di chiudere tutto e precipitarmi in stazione,
considerato
che sono venti minuti di camminata.
Prendo
i fogli
dal cassetto e comincio a sfogliarli velocemente, per controllare che
tutte le
stampe siano venute correttamente. Sono quasi a metà quando
noto qualcosa di
strano. Un’immagine. Sono sicura di non aver stampato nulla
del genere. Guardo
meglio il foglio ed impallidisco. Sulla pagina è raffigurato
il volto della
donna che ho visto nello specchio del bagno di casa, che mi fa
l’occhiolino.
Sento
le forze
venire meno.
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