Il castello errante di Klavier

di ChrisAndreini
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Il castello 

 

Un bussare frenetico alla porta destò Apollo dal sonno profondo che l’aveva accompagnato l’intera notte. 

Per un secondo, un piacevole singolo istante, non si ricordò della disavventura del giorno precedente, e credette che qualcuno lo stesse chiamando per il suo turno alla mensa.

Poi il dolore alla schiena, ai muscoli e al corpo in generale, dovuto anche all’aver dormito seduto su una sedia, oltre che alla scampagnata del giorno precedente, lo riportarono alla realtà.

Anche se… com’era possibile che qualcuno bussasse alla porta nel mezzo delle lande desolate?! 

Sollevando appena la testa e lanciando un’occhiata confusa alla porta, venne sorpreso dalla voce profonda del fuoco del giorno prima, che urlò in modo da farsi sentire anche ai piani superiori.

-Truce, la città portuale!- disse a qualcuno che Apollo non conosceva, e sentendo degli affrettati passi sulle scale, finse di stare ancora dormendo, per non incorrere immediatamente a domande sconvenienti tipo come era entrato lì nel mezzo della notte, e cercare di capire meglio la situazione.

-Arrivo!- sentì una voce femminile raggiungere la sala, piena di energia, e avvertì la ragazza alla quale apparteneva fermarsi di scatto proprio davanti a lui.

-E questo nonnino da dove spunta fuori?- chiese, sorpresa, avvicinandosi così tanto che anche con gli occhi chiusi Apollo sentì il suo sguardo tagliente e la sua vicinanza pericolosa.

Rischiò quasi di tradirsi, ma venne salvato da Phoenix.

-Meglio se ci pensi dopo, continuano a bussare- le ricordò, divampando in direzione della porta.

-Giusto! Giusto!- Trucy lasciò perdere Apollo, e prese un mantello e un cappello, che indossò diventando un omone di mezza età molto più alto.

Aprì la porta, e Apollo osò lanciare un’occhiata in quella direzione per capire cosa stesse succedendo.

C’erano due uomini in divisa, e lo scenario dietro di loro non sembrava affatto quello delle lande, ma quello di una città marittima.

Okay, questo era strano.

Che si fossero spostati durante la notte? Ma così tanto? Le lande erano molto distanti dal mare. E le principali città marittime erano nel regno di Kurain, governato dai Fey.

-Mastro Wright è in casa?- chiese una delle due guardie, in tono ufficiale.

-È fuori al momento. Di cosa avete bisogno?- chiese quella che fino a poco prima era una ragazzina, ma al momento aveva aspetto e voce di un uomo di mezza età.

-La guerra è alle sue fasi più dure, e serve il sostegno di ogni mago e strega in circolazione. Preghiamo che Mastro Wright possa offrirci il suo aiuto- rispose la seconda guardia, in tono esaltato, porgendo verso la ragazzina-uomo una lettera sigillata dalla ceralacca reale della famiglia Fey.

…un momento… i Fey?! Ma la famiglia reale di quel posto erano i von Karma.

Apollo cercò di osservare meglio, e, con sua grande fortuna, nonostante l’età la sua ottima vista era rimasta.

…sì, quello era il marchio Fey.

-Informerò Mastro Wright della visita- promise la ragazzina, prendendo la lettera e mettendola in una tasca interna al mantello.

Rendendosi conto che probabilmente nel giro di pochi istanti si sarebbe voltata e l’avrebbe beccato, Apollo provò a fingere nuovamente di stare dormendo, ma quando diede le spalle alla porta e tornò in direzione del camino, si rese conto che il suo piano non poteva funzionare, perché il fuoco, Phoenix, lo guardava fisso, con espressione che sembrava proprio dirgli “So che sei sveglio, non ci provare”.

Con un silenzioso sbuffo, Apollo finse di stiracchiarsi e di essere ancor assonnato, e quando l’uomo di mezza età chiuse bruscamente la porta e tornò ragazzina, sobbalzò nel notare che fosse sveglio.

-Ohh! Hey! Ben svegliato, nonnino! Come sei entrato?- chiese, avvicinandosi a lui e gettando la lettera verso il fuoco.

Phoenix si scansò appena in tempo, e con riflessi invidiabili, May, che Apollo non si era nemmeno accorto si fosse svegliata, intercettò la lettera al volo e la portò sul suo trespolo, tenendola con attenzione nel becco.

-Trucy! Non puoi bruciare un richiamo ufficiale dei Fey- il fuoco rimproverò la ragazza, che si sedette accanto a lui e lo guardò con occhi da cucciolo.

-Ma dai, sappiamo entrambi che Klavier non accetterà mai l’invito! Lui odia le guerre- si difese la ragazza, sicura di sé. Sembrava essersi dimenticata dell’intruso.

Apollo avrebbe potuto stare zitto, fermo e non farsi notare, ma gli venne spontaneo annuire.

-La guerra è una faccenda orrenda- borbottò tra sé, attirando l’attenzione dei tre soggetti nella stanza.

-Infatti… tu chi sei?- Trucy ritornò a torchiarlo, avvicinandosi e squadrandolo attentamente. I suoi occhi azzurri divennero rossi. Apollo si sentì parecchio in soggezione.

-Mi chiamo Apollo… mi ha fatto entrare May- rispose, con la massima sincerità, indicando l’uccello, che posò la lettera da un lato e si librò in volo per atterrare sul suo cappello, per confermare ciò che aveva detto.

Si preparò ad ulteriori domande, indagini, magia usata contro di lui, e adocchiò la porta chiedendosi se la fuga fosse ancora un’opzione.

Ma la ragazzina sorrise, e i suoi occhi tornarono azzurri.

-Okay! Benvenuto, Apollo! Resti solo oggi o ti unisci a noi? Sappi che dovrai lavorare per ottenere vitto e alloggio!- spiegò, sollevando un dito.

Sembrava lei il capo del castello.

-Uh…- Apollo fu in procinto di rifiutare l’offerta e rimettersi in viaggio verso il paese più vicino, ma poi incrociò gli occhi eterocromatici di Phoenix, ed esitò.

Avevano un patto, dopotutto, non poteva andarsene.

La difficile risposta venne interrotta da un bussare frenetico alla porta.

Trucy si alzò, e riprese cappello e mantello, ritornando l’uomo di mezza età.

-Kingsbury- la informò Phoenix.

Trucy si avviò alla porta e girò una manopola posta sul pomello. Quando l’aprì, il mare era sparito, e altre due persone, sempre della guardia reale, erano sull’uscio.

-Mastro Gavin è in casa?- chiese una delle guardie, in tono duro.

-È fuori ma potete riferire a me- rispose Trucy versione adulto.

-La guerra procede inarrestabile, e il sostegno di maghi e stregoni è fondamentale. Il re chiede personalmente aiuto- la seconda guardia diede un’altra lettera a Trucy, questa volta con il marchio dei von Karma.

Okay… cosa stava succedendo in quella casa?!

Dov’erano?!

Apollo si alzò, e si avviò alla finestra, per controllare il panorama.

E rimase senza parole.

Era alla capitale. La capitale dei von Karma. Riusciva addirittura a vedere il castello in lontananza. Poteva essere la sua via più veloce per spezzare la maledizione.

Come… com’erano arrivati fin lì?!

Trucy afferrò la lettera, fece qualche convenevole per liberarsi delle guardie, e poi richiuse la porta e si tolse il travestimento.

-Questa almeno posso bruciarla? Dubito fortemente che se anche Klavier decidesse di partecipare alla guerra parteciperebbe con i von Karma!- Trucy tornò verso il fuoco agitando la lettera e pronta a gettarla dentro.

-Purtroppo temo che se fosse obbligato a partecipare alla guerra, opterebbe per farlo dalla parte dei von Karma. Gli è molto più difficile rifiutarsi- commentò Phoenix, in tono misterioso.

Trucy sbuffò, e mise la lettera dentro un enorme volume.

Era tutto talmente disordinato che Apollo dubitava fortemente l’avrebbe in futuro ritrovata.

In effetti in quel castello serviva proprio qualcuno che facesse le pulizie.

Anche se… più cose vedeva lì dentro, meno aveva voglia di essere immischiato in tali faccende.

Magia, demoni, persone maledette, Klavier… e anche tradimento. In qualche strano modo quei tipi intrattenevano affari sia con i von Karma che con i Fey… Apollo non voleva rischiare di finire in troppi guai. Gli bastava essere stato maledetto dalla Farfalla Velenosa.

Prima che potesse elaborare una strategia per scappare, o che Trucy ritornasse a torchiarlo, la porta bussò nuovamente per la terza volta quel giorno.

-Città portuale- avvertì Phoenix, Trucy sbuffò, riprese nuovamente cappello e mantello, e tornò alla porta.

Apollo era ancora alla finestra, e finalmente capì il trucco.

Perché quando Trucy girò la manopola accanto alla maniglia, il panorama cambiò con essa, tornando la piccola città marittima che probabilmente si trovava a Kurain.

Apollo era a bocca aperta.

Non si erano spostati, semplicemente potevano raggiungere tre destinazioni con il giro di una maniglia.

Quindi il palazzo del re era a completa disposizione di Apollo in ogni momento.

Così come il mare… e le lande, e… c’erano quattro possibili destinazioni sulla maniglia, chissà dove portava la quarta.

-Sono venuta per la pozione per mio padre- nel frattempo Trucy aveva aperto, e aveva accolto una ragazza molto allegra dei capelli neri legati in una coda alta e vispi occhi verdi.

-Oh, ciao Kay! Certo, te la prendo subito, aspetta qui- Trucy la fece accomodare poco oltre l’uscio e iniziò a cercare in mezzo a tutto il ciarpame che occupava la stanza.

C’era proprio bisogno di un uomo delle pulizie.

-Tu sei uno stregone?- chiese Kay, incuriosita.

Apollo scosse violentemente la testa.

-Assolutamente no!- ci tenne a specificare. Lui odiava gli stregoni, la magia e tutta quella roba. Non voleva averci niente a che fare e non per spezzare la sua maledizione. Poi sarebbe tornato a casa, avrebbe ripreso quel brutto lavoro all’orfanotrofio, e sarebbe rimasto lì il resto della sua vita… sembrava una prospettiva orrenda.

Ma almeno avrebbe avuto un resto alla sua vita, che in quel corpo anziano non sarebbe durata molto.

-E allora cosa fai qui? Chiedi un incantesimo?- chiese Kay, continuando ad essere piuttosto curiosa.

-No- Apollo non voleva dare troppe informazioni personali.

-Quanti anni hai?- Kay però aveva una gran parlantina.

Apollo le lanciò un’occhiataccia.

-Non sono domande molto educate da fare- le fece notare.

-Essere curiosi non è una cosa negativa. La curiosità porta alla verità!- Kay gli fece un occhiolino.

-Sono l’uomo delle pulizie- si lasciò sfuggire alla fine Apollo, cercando di trovare una giustificazione alla sua presenza lì e allo stesso tempo evitare le domande più sconvenienti.

Trucy, Phoenix e May si voltarono di scatto verso di lui, sorpresi dalla sua affermazione.

Probabilmente Apollo non avrebbe dovuto deciderlo da solo, ma era bravo a fare pulizie, lì ne avevano chiaramente bisogno, e Apollo sapeva che sarebbe dovuto restare in quel castello a causa del patto stipulato con Phoenix.

-Senza offesa, ma non mi sembra tu stia facendo un ottimo lavoro- osservò con estrema maleducazione Kay, ridacchiando e guardandosi intorno.

-È il mio primo giorno! Non ho ancora iniziato!- si difese Apollo, estremamente offeso da quella mancanza di rispetto per gli anziani.

Il fuoco scoppiettò allegro nel camino, e sebbene gli occhi e la bocca fossero tornati nascosti subito dopo la reazione all’iniziativa di Apollo, il ragazzo capì che stava chiaramente ridacchiando tra sé.

Se Apollo avesse avuto il potere di tornare indietro nel tempo, non avrebbe mai stipulato un patto con lui!

-Oh, capisco… allora buon lavoro per il futuro!- la ragazzina si recuperò con un grande sorriso, e prima che Apollo potesse ribattere, Trucy tornò con una pozione dallo sgargiante color verde.

Non sembrava molto salutare, ma Kay la prese con occhi brillanti, e tirò fuori un paio di monete d’oro dalla sua borsa a tracolla.

-Oh, no, lascia, offre la casa- Trucy rifiutò il pagamento e aprì nuovamente la porta per congedare la ragazza, che ringraziò una decina di volte e uscì fuori salutando tutti con energia.

Trucy si tolse cappello e mantello, e sospirò, stancamente.

-Tre visite e non ho neanche fatto colazione- si lamentò, facendo il muso -Nonnino, cosa vuoi per colazione?- chiese poi ad Apollo, recuperando all’improvviso tutta l’energia.

Apollo rabbrividì a sentirsi chiamare nonnino. Era vecchio, è vero, ma nell’animo era ancora un ragazzo di 21 anni.

-Ti prego chiamami Apollo- sussurrò, avviandosi al tavolo che probabilmente era utilizzato per il pranzo ma che al momento era stracolmo di roba -E per la colazione… va bene tutto- aggiunse poi, adocchiando il cibo riposto in un angolo. A differenza di tutto il resto sembrava ben organizzato.

Era abituato a pasti piuttosto modesti, pappa d’avena, pane e un po’ di formaggio. Neanche ricordava l’ultima volta che aveva mangiato della carne. Lì ce n’era parecchia davvero appetitosa.

Trucy, che aveva già preso del pane e del formaggio, sembrò notare la direzione del suo sguardo, e un sorriso furbetto le apparve sul volto.

Si voltò verso il fuoco, che sembrava essersi distratto e scoppiettava pigramente nel camino.

Quando notò l’attenzione di Trucy indirizzata verso di lui, divampò più energicamente.

-No, Trucy, sai bene che solo Klavier può usare il fuoco!- la intimò, mentre lei iniziava ad avvicinarsi con uova e pancetta.

-Dai, ti prego, solo questa volta!- lo sguardo furbetto lasciò posto a due occhioni da cucciolo che avrebbero sciolto anche la più intransigente delle governanti dell’orfanotrofio di Apollo. E quelle donne non si erano mai fatte sciogliere da nessun bambino nei ventuno anni che Apollo era rimasto lì, quindi gli occhi da cucciolo di Trucy erano davvero notevoli.

-No, Trucy, non posso!- Phoenix probabilmente era abituato a tale attacco letale, o forse estremamente leale al suo padrone, ma resistette con determinazione d’acciaio.

-Dai, papà, non vuoi fare un favore alla tua figlia preferita?! Abbiamo anche un ospite anziano che ha bisogno di una calda e abbondante colazione!- Trucy insistette, e fu accompagnata da Maya, che divertita dalla situazione che si era andata a creare, si trasformò in un piccolo gufo dai grandi occhi dolcissimi e iniziò a darle man forte nella sua quest per convincere Phoenix a farle cucinare.

Apollo rimase come spettatore, e tutto ciò che lo colpì di quello scambio, fu che Trucy aveva chiamato il fuoco “papà”… come era possibile? Era una mezza demone? Era stata adottata? Ma chi mai avrebbe voluto avere un demone come padre? Beh, Trucy era magica, a quanto Apollo aveva capito, quindi forse anche lei aveva fatto un patto con il demone, per ottenere quei poteri.

Apollo ci capiva davvero troppo poco di queste cose per averne la certezza, ma a prescindere da ciò che Trucy era o dai poteri che aveva, sembrava davvero una brava ragazza. E Apollo era suo malgrado toccato che stesse facendo tutto quel teatrino solo per lui.

Sorrise tra sé, e aprì la bocca per dire alla ragazza di non preoccuparsi, che gli andava davvero bene tutto, ma il fuoco lo anticipò, brillando con molta meno intensità all’improvviso, e sollevando una nuvola di fumo, come se avesse appena sospirato.

-Va bene! D’accordo! Mi avete convinto. Cavolo, non riesco ancora a resistere a quegli occhioni- cedette… davvero molto in fretta, nell’opinione di Apollo, e si mise a disposizione per diventare il fuoco da cucina.

Trucy saltellò sul posto, felice di averlo convinto, e Maya le passò una padella che mise prontamente su un reticente Phoenix, che però non si lamentò ulteriormente.

Apollo si alzò, e si avvicinò.

-Posso aiutare in qualche modo?- offrì la propria disponibilità. Dopotutto, se doveva restare lì, era il caso di mettersi d’impegno fin da subito.

-Alla cucina ci penso io, non preoccuparti, nonnino. Ma se riesci a pulire qualche piatto e posata… sai… temo siano tutte sporche- ammise, indicando la pila di piatti luridi accumulati su un bancone.

Apollo aveva visto di peggio, quindi si avviò nella zona e iniziò ad esplorare i dintorni per capire anche come pulire non solo i piatti, ma anche poi tutto il resto.

Alla fine non era niente di infattibile, anche se con quel corpo anziano e acciaccato avrebbe dovuto fare parecchie pause durante la pulizia.

Iniziò a lavare i piatti in un angolo. Chissà quanti ne servivano. Di umani erano solo loro due, e dubitava che a May servisse una forchetta, anche se un piatto era meglio prepararglielo. Apollo iniziò a pensare che si stesse dimenticando di un dettaglio importante.

-Che dici, papà, Klavier tornerà per la colazione? Ne faccio una porzione anche a lui?- chiese Trucy al fuoco, facendo irrigidire Apollo.

Giusto, Klavier!

Quello non era un posto normale, Apollo era nel castello di Klavier! Doveva stare attento a lui e ai suoi scagnozzi, per quanto amichevoli e amabili potessero sembrare. Apollo era finito dalla padella ad un letterale fuoco, e doveva mantenere la mente lucida se voleva sopravvivere.

Sperò con tutto il cuore che Klavier non tornasse presto.

Purtroppo, mentre Phoenix sembrava in procinto di rispondere, la maniglia della porta girò da sola, attirando l’attenzione di tutti, e pochi istanti dopo la porta si aprì facendo comparire l’ultima persona che Apollo avrebbe voluto rivedere nella sua vita.

I dubbi che ancora non credeva del tutto possibili vennero confermati, quando nel castello fece il suo ingresso il magico e attraente quadro vivente dagli occhi di zaffiro responsabile della sua tremenda ordalia.

Ma non era ancora certo che fosse Klavier, giusto?

-Klavier!! Sei tornato!- lo accolse Trucy, sorridendo allegra e lasciando perdere per un attimo la cucina per accoglierlo.

…sì, quello era Klavier. Ovvio… naturale… e Apollo non poteva neanche tirargli un pugno in quel bel faccino che sembrava essere scolpito sul marmo. Che vita ingiusta.

Apollo cercò di farsi piccolo e invisibile, e si nascose dietro una pila di piatti ancora da lavare, sperando di essere notato il più tardi possibile.

-Ciao Trucy! Come sta la mia assistente preferita?- chiese Klavier, sorridendo alla ragazzina e scompigliandole i capelli con affetto.

-Mi sta usando per cucinare!- si lamentò Phoenix, dal focolare.

Klavier osservò la scena piuttosto sorpreso per qualche secondo, poi scoppiò a ridere.

-Beh, non posso biasimarla. L’odorino che sta uscendo è ottimo, ce n’è anche un po’ per me?- chiese, avvicinandosi e iniziando a cucinare al posto di Trucy, che ne approfittò per andare nel luogo dove aveva riposto una delle lettere di reclutamento. May sembrò accorgersi di ciò che voleva fare e prese la seconda lettera che aveva riposto nel suo nido.

-Sono arrivate queste, mentre eri via. Sia per Wright che per Gavin- spiegò Trucy, porgendo le lettere.

Apollo, dal suo nascondiglio, non riuscì a vedere bene Klavier, ma il suo tono di voce non sembrò affatto contento dei due inviti.

-Oh, capisco- sembrava fredda. Bastò a mettere i brividi al ragazzo trasformato.

-Ho provato a bruciarle seduta stante, soprattutto quella di von Karma, ma papà ha detto che dovevo dartele- Trucy, al contrario, era in piena visuale di Apollo, che la vide scuotere la testa e alzare le spalle.

Poi la vide immobilizzarsi e guardarlo strano, e Apollo intuì che Klavier avesse intascato le lettere, o quantomeno non le avesse bruciate.

-Purtroppo Phoenix ha ragione… meglio non bruciarle per il momento- sentì Klavier dire, in tono rigido ma che cercava di essere rilassato.

-Vuoi… stai valutando l’idea di andare in guerra?- chiese Trucy. Appariva devastata alla prospettiva.

Qualsiasi replica di Klavier venne interrotta dalla voce di Phoenix, che cambiò bruscamente argomento.

-Oltre alle lettere, Trucy oggi ha regalato una pozione a Faraday- fece la spia, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della presunta figlia.

-Ehi, non guardarmi così! Da contratto devo dirgli tutto!- si difese Phoenix, chiaramente dispiaciuto.

Klavier ridacchiò.

Wow… che bella risata.

…CONCENTRATO, APOLLO!

Il ragazzo iniziò a muoversi lentamente dietro la pila di piatti nel tentativo di vedere meglio lo stregone.

Non perché volesse bearsi della sua straordinariamente attraente faccia, ma per capire, magari, dalla sua espressione, cosa potesse passargli per la testa in quel momento.

-Capisco il voler aiutare le persone, Trucy, ma non possiamo fare beneficenza. Siamo pur sempre tre bocce da sfamare… quattro, se contiamo il costo del legno per Phoenix. E il cibo non possiamo crearlo dal nulla con la magia- spiegò, in tono paterno.

Apollo finalmente riuscì a scorgerlo. Guardava Trucy con affetto, come un fratello verso una sorellina. Era affascinante. Apollo si perse appena ad osservarlo. La sua esistenza sembrava un incantesimo. Non poteva essere così di natura!

-A proposito di questo…- Trucy cominciò probabilmente ad introdurre la quinta bocca da sfamare appena giunta, ma Apollo fece un lavoro migliore di lei perché, distratto dalla faccia innaturale di Klavier, non si accorse di essersi appoggiato troppo ai piatti in bilico, ed essi caddero a terra sfracellandosi al suolo, mostrando Apollo, e attirando l’attenzione di tutti quanti nella stanza.

Ci furono parecchi secondi di silenzio sbigottito, dove tutto fissavano Apollo con confusione e preoccupazione… forse. In realtà Apollo era troppo occupato a fissare Klavier negli occhi, in quegli zaffiri lucenti, che lo guardavano del tutto increduli, confusi, e preoccupati. Era senza parole, immobile e congelato sul posto. Così come Apollo, che se non fosse stato così scosso, sicuramente si sarebbe nascosto nuovamente dietro un’altra fila di ciarpame per distogliersi da tanta attenzione.

Trucy fu la prima a riprendersi.

-Nonnino, non ti muovere! Rischi di farti male con tutti i cocci di vetro! Aspetta lì!- prendendo le redini della situazione, impose ad Apollo di restare fermo, poi sollevò le mani e i piatti rotti iniziarono a muoversi lontano da lui.

Apollo distolse lo sguardo da Klavier per fissare la magia. Ormai sarebbe dovuto essere abituato agli incantesimi, maledizioni, demoni e quant’altro, ma rimase comunque un po’ spaventato dal fatto che agisse così vicino a lui.

Inconsciamente, fece un passo indietro, rischiando di mettere il piede su un coccio bello grosso.

Ma prima che ciò potesse capitare, Klavier schioccò le dita, e sia Apollo che i cocci iniziarono a fluttuare a mezz’aria.

Apollo venne immediatamente trasportato accanto a Trucy, che sorpresa dall’improvvisa magia del suo capo ritirò le mani al petto e lo osservò confusa.

I cocci, invece, iniziarono ad andare l’uno verso l’altro, riformando i piatti, che tornarono nella stessa identica posizione di prima, impilati, e sporchi, l’uno sull’altro.

Una volta che il pericolo fu scampato, e tutto tornò normale, l’attenzione si rivolse nuovamente verso Apollo, che arrossì, senza sapere bene come giustificarsi per il terribile errore. Non era proprio un bel modo di cominciare il lavoro.

-Sapete… la schiena… la vecchiaia è una brutta bestia- cercò di atteggiarsi nella parte di un anziano inerme.

Klavier aggrottò le sopracciglia, ma Trucy fu più veloce a parlare, e prese Apollo per un braccio, pronta a sostenerlo nel caso fosse caduto di nuovo.

-Mi dispiace, nonnino! Ti ho chiesto troppo? Hai bisogno di riposo? Ah, è perché non hai mangiato, vero? Siediti, ti porto subito la colazione, tanto hai già pulito abbastanza piatti!- Trucy lo fece sedere e si avviò nuovamente verso il fuoco, che però le fece cenno verso Klavier.

Lui infatti sembrava in procinto di chiamarla, anche se continuava a fissare Apollo, che al contrario cercava di guardare ovunque tranne che il mago.

-Ah, giusto!- Trucy nuovamente lo anticipò, capendo i segnali del demone, e si rivolse a Klavier con gli stessi occhi da cucciolo mostrati poco prima verso Phoenix -Lui è Apollo, un nuovo membro della nostra famiglia, e l’uomo delle pulizie. Ne abbiamo parecchio bisogno! Ed è stato raccomandato da May, non possiamo mica lasciarlo in mezzo alla strada- Trucy fece ottima pubblicità verso Apollo, che accennò un sorrisino impacciato, senza avere la minima idea di cosa stesse passando nel volto impassibile del mago che fino a pochi giorni prima era solo uno spauracchio per incoraggiare i bambini a comportarsi bene. Un mostro che Apollo era convinto che non avrebbe incontrato mai, e che ora aveva visto già due volte… e avrebbe visto ancora di più se iniziava davvero a vivere e lavorare lì.

Sicuramente non l’aveva riconosciuto… Apollo sperò con tutto il cuore che non lo avesse riconosciuto. Non voleva rispondere a domande sul perché fosse invecchiato di sessant’anni nel giro di un giorno. Soprattutto perché non poteva rispondere a tale domanda. E poi avrebbe rischiato di dire il motivo per il quale era rimasto lì, ovvero il patto con Phoenix, e dubitava che Klavier volesse rompere il contratto che aveva con Phoenix.

-No, certo che no. Sai che non chiudo mai la porta in faccia a chi ha bisogno di aiuto, soprattutto se è stato raccomandato da May- Klavier accettò la supplica di Trucy, e accarezzò la testa dell’uccellino, che gli vorticò intorno e poi si appollaiò sul cappello di Apollo, con una certa soddisfazione.

Lo sguardo impassibile di Klavier si aprì in un sorriso gentile, ed estese la mano verso Apollo.

-Piacere di conoscerti, Apollo- lo accolse.

Quindi, alla fine, non l’aveva riconosciuto.

Meglio così! Molto meglio così! Meglio ripartire su nuove basi!

Perché però il suo cuore sembrava essere appena sprofondato nel petto?

Apollo cercò di reprimere quella sensazione, e si alzò per stringere la mano del suo nuovo datore di lavoro e persona alla quale un giorno avrebbe tirato un pugno per tutto quello che gli aveva provocato.

-Il piacere è mio- mentì, sperando che la voce non fosse uscita troppo tremante.

-Benvenuto in famiglia, nonnino!- Trucy gli porse un piatto di pancetta e uova davanti, e lo abbracciò da dietro con affetto, lasciandolo non poco spiazzato.

-Uh? Che?- borbottò, confuso.

-Trucy, presenta la famiglia- la incoraggiò Phoenix, dal camino, divertito dalla confusione evidente sul volto di Apollo.

Anche Klavier ridacchiò, e tornò a cucinare ciò che rimaneva della colazione per tutti gli altri.

-Giusto! Non sai ancora nulla della gerarchia. Allora… io sono la figlia minore, a proposito, ho quattordici anni, e sono la giovane strega più promettente di Kurain!- si presentò Trucy, con entusiasmo.

-Tra qualche anno mi supererà- la complimentò Klavier, che aveva usato la propria magia per evocare degli effetti speciali atti ad esaltare meglio la sua presentazione.

-E sono io il capo della baracca, anche se tutti dicono il contrario- continuò Trucy, in tono solenne.

Klavier, Phoenix e anche May annuirono.

-Poi Klavier è il mio fratellone, ed è il finto capo della baracca, solo una facciata- indicò lo stregone, che salutò Apollo con un affabile sorriso.

Apollo evitò nuovamente il suo sguardo. Quel sorriso era troppo accecante per lui!

-Phoenix è il papà, anche se più mio che di Klavier. E May è la zia, sorella del papà- continuò la presentazione Trucy, indicando i due.

-Scusate se lo chiedo, ma… siete davvero tutti… insomma…- era una famiglia parecchio singolare, e non si somigliava nessuno, ma ad Apollo venne spontaneo chiedersi se fossero davvero una famiglia, o se fosse solo un gioco creato per accontentare Trucy.

-Siamo una famiglia per scelta, Apollo! E tu sei il nonno!- Trucy confermò che era una specie di gioco, e Apollo impallidì.

-Non potrei essere il simpatico maggiordomo e basta?- chiese, cercando di allontanarsi dalla possibilità di essere il padre di Phoenix.

-Suvvia, non devi sentirti a disagio! Ora… vuoi essere il padre di Phoenix, o il suocero?- chiese Trucy, che non sembrava voler accettare un no come risposta.

Apollo aveva tantissime obiezioni da fare, ma non riuscì a farne uscire fuori alcuna.

Perché il suo cuore aveva iniziato a battere fortissimo all’idea di essere finalmente parte di una famiglia.

Non ne aveva mai avuta una prima, oltre a Clay, che comunque era stato più che altro il suo migliore amico, e il pensiero di essere entrato a far parte di quella di Trucy, per quanto costretto, era terrificante e allo stesso tempo meravigliosa.

Non obiettò ulteriormente, e mangiò la sua colazione godendosi l’atmosfera festosa che si respirava al tavolo.

Altro che castello inquietante, quella era una reggia accogliente.

 

…una reggia accogliente e lurida!

Subito dopo colazione, i membri del castello si erano dispersi, e Apollo aveva cominciato il proprio lavoro di pulizia.

E aveva sottovalutato quanto sporco fosse quel castello.

Solo l’ingresso avrebbe impiegato l’intera mattinata.

Per fortuna, dopo aver mangiato, Apollo si era sentito molto meno acciaccato rispetto al giorno precedente, e aveva abbastanza energia per lavorare senza interrompersi troppe volte.

E May, la sua salvatrice alata, si era messa subito a disposizione per aiutarlo un po’, principalmente passandogli oggetti che gli servivano o spostando quelli che Apollo non riusciva a raggiungere.

Sembrava divertirsi parecchio a stargli vicino. Apollo non credeva di essere così interessante, ma era ben felice del suo aiuto.

Era molto meglio di quello di un fuoco di sua conoscenza, che al contrario non faceva altro che scoppiettare immobile nel camino e commentare di tanto in tanto.

-Lì hai mancato un punto!-

-Secondo me sarebbe più utile pulire prima la zona cibo e poi pensare alle pozioni-

-Ah, no, effettivamente le pozioni potrebbero mischiarsi con il cibo, quindi è meglio mettere le pozioni al sicuro per prime-

Apollo cominciava a non sopportarlo più.

-Se sei così bravo perché non lo fai tu?- sbottò all’ennesima provocazione, mentre sistemava tutti i libri ammassati in un angolo spolverandoli e rimettendoli in ordine alfabetico.

-Ehi, sto cercando di essere d’aiuto. Ti aiuterei anche ma sono bloccato qui- si difese Phoenix, occupando tutto lo spazio disponibile con il proprio fuoco per mostrare i propri limiti.

-Che razza di demone non può spostarsi a piacimento?- Apollo indagò, suo malgrado incuriosito da tali limiti. Non aveva mai avuto la possibilità di studiare i demoni, o gli stregoni, o in generale la magia.

Non avrebbe voluto farlo in ogni caso, ma ora che ci si trovava, era meglio cercare di imparare qualcosa.

-Un demone che deve assicurarsi che questa casa resti in piedi, si muova, ed esista contemporaneamente in tre luoghi fisici e uno…- la spiegazione di Phoenix venne interrotta quando si rese conto che iniziava a dare troppe informazioni, e guardò Apollo con un certo sospetto.

Apollo decise di non chiedere dove portasse la quarta manopola della porta, e in ogni caso non l’avrebbe chiesto, perché era troppo occupato a restare a bocca aperta da tutto il resto.

-Aspetta, tu ti occupi della casa? Tipo… sei tu che la fai muovere?- chiese, sorpreso.

-Duh… movimento, struttura, protezione da qualunque mago o strega voglia entrare…- spiegò Phoenix, dandosi parecchie arie.

Apollo aveva abbandonato l’espressione irritata per lasciar posto ad un vero fascino nei confronti del fuoco davanti a lui.

-Wow… ammirevole!- ammise, con occhi brillanti.

-A dire il vero non ho ancora capito come tu sia riuscito ad entrare, ma suppongo che il fatto che sia stata May a portarti abbia contribuito…- Phoenix si fece pensieroso, e lanciò un’occhiata all’uccello, che nel frattempo si era trasformato in un pavone e stava spolverando i libri con la grande coda piumata.

Sollevava più polvere che altro, ma si stava divertendo almeno.

-Beh, suppongo sia perché non sono un mago- gli fece notare Apollo, con ovvietà, tornando poi a lavoro.

Aveva finito di sistemare i libri, quindi era il momento di lavare.

Sollevò le maniche della camicia per evitare di bagnarle, e sobbalzò quando il fuoco divenne enorme all’improvviso.

-Cosa c’è?!- chiese, sorpreso.

-Dove l’hai preso quello?- chiese Phoenix, allarmato, indicando il polso di Apollo, dove indossava un bracciale dorato dai particolari disegni.

Apollo lo strinse con fare protettivo.

-È l’unica cosa che ho della mia famiglia, perché?- chiese Apollo, avvicinandosi al fuoco. Se l’aveva riconosciuto, forse sapeva qualcosa della famiglia di Apollo. Certo, lui dubitava potesse essere coinvolta con demoni, ma magari i demoni sapevano cose in generale, e Apollo avrebbe potuto ricevere risposte.

Phoenix fissò il bracciale senza dire una parola per parecchi secondi, ma dal colore del fuoco, che passò dal rosso, all’arancione, al viola fino a raggiungere un forte giallo, una persona che lo conoscesse bene avrebbe potuto intuire cosa gli stesse passando per la metaforica testa.

Apollo non capiva affatto.

E May era troppo occupata a spolverare per interessarsi alla loro conversazione e dare ad Apollo qualche dritta su come interpretare il mistico fuoco demoniaco.

Alla fine, Phoenix tornò rilassato e al normale pigro scoppiettio.

-Niente… ho sbagliato- mentì, era chiaro come il sole che stava mentendo.

-Cosa sai di questo bracciale?- Apollo insistette, indicandoglielo con forza.

Phoenix si ritirò come scottato… cosa alquanto impossibile dato che era un fuoco letterale.

-Cosa sai del mio contratto che mi tiene ancorato a Klavier?- rigirò la frittata, facendo ritirare Apollo.

-In che senso?- stavano parlando della sua famiglia, perché all’improvviso Phoenix chiedeva del loro contratto.

-Nel senso che se spezzi il mio contratto, ti darò anche le risposte che cerchi sulla tua famiglia-  spiegò Phoenix, aggiungendo una nuova clausola al contratto che i due avevano stipulato.

-Ehi, ma non è giusto! Avevamo già il nostro accordo!- si lamentò Apollo, irritato.

-E ti sto offrendo un’informazione in più. Dovresti ringraziarmi, papà- Phoenix non sembrava intenzionato a cedere, e Apollo non aveva gli occhi da cucciolo di Trucy, quindi difficilmente sarebbe riuscito a convincerlo.

-…suocero!- obiettò Apollo, che non voleva essere imparentato con lui neanche per finta.

-Anche se in effetti penso che tu sia più in lizza per il ruolo di figlio, a questo punto- borbottò tra sé Phoenix, pensieroso.

-Cosa?- Apollo si avvicinò.

-Nulla… non dovevi pulire? È quasi ora di pranzo!- Phoenix lo rimise a lavoro, e Apollo obbedì, anche se avrebbe voluto indagare ulteriormente.

Suppose che avrebbe avuto tempo in seguito.

Il resto della pulizia continuò senza troppi problemi. Apollo si sentiva meno vecchio mentre faceva una cosa alla quale era davvero abituato, e dopo pranzo Trucy si unì a lui nei piani superiori, aiutandolo con un po’ di magia e parlando un po’ di lei.

Apollo provò a chiederle come fosse finita nel castello di Klavier, ma Trucy rispose solo che era la sua apprendista, e il ragazzo decise di non insistere.

Klavier non si fece vedere per tutto il giorno, e la sua camera fu l’unica che Apollo non riuscì a pulire.

Non che se ne lamentasse, voleva avere a che fare con Klavier il meno possibile, ma doveva ammettere di essere curioso circa le sue attività.

Fu solo al tramonto, mentre Apollo e Trucy stendevano i panni nelle lande aiutati da May versione aquila gigante, che Klavier uscì nuovamente da casa.

-Il castello non sembra neanche lo stesso. Sei davvero un portento, Apollo- sorrise affabile al ragazzo trasformato in vecchio, e si avvicinò al trio.

-Ci serviva proprio! E il nonno è pieno di energie! Davvero una bella aggiunta al gruppo!- esclamò Trucy, con entusiasmo.

-Ti prego, chiamami Apollo- sussurrò Apollo, anche se si stava ormai arrendendo ad essere diventato nonno.

Klavier allargò il sorriso.

-Già… la nostra piccola famiglia si fa sempre più numerosa, ne sono felice- accarezzò il capo di May, e si sistemò meglio il mantello sulle spalle.

-Stai uscendo?- chiese Trucy, intuendo il perché di quel gesto.

Klavier annuì.

-Ho degli affari da sbrigare. Trucy, assicurati che Phoenix abbia legna in abbondanza, e cercate di non rientrare troppo tardi. Le lande diventano pericolose di notte- Klavier spiegò la situazione senza spiegarla del tutto. Più Apollo lo vedeva interagire con gli altri, più gli sembrava freddo. Gentile, sì, ma finto.

Eppure, quando l’aveva salvato dalle guardie ubriache era sembrato così autentico nelle sue emozioni.

Strano…

-Sarà fatto. Lo sai che sono in gamba!- Trucy mise le mani sui fianchi, orgogliosa di sé, e Klavier le scompigliò i capelli.

-Dovrei tornare stanotte. Vedrò di prepararla io la colazione, domani- promise, salutando sia Trucy che May con dei cenni, e poi rivolgendosi ad Apollo.

I loro sguardi si incrociarono solo per un istante, poi Klavier distolse i propri occhi.

-Spero ti riposerai bene, stanotte- gli disse, stringendogli leggermente la spalla per offrire sostegno, prima di rientrare nel castello.

Il cuore di Apollo aveva saltato un battito a quella stretta. Sentiva proprio una strana energia provenire da quell’uomo.

Decise di non pensarci, aveva del lavoro da fare!

 

Nel bel mezzo della notte, dopo una missione di ricognizione piuttosto ardua, Klavier tornò al castello dalle lande. Stanco, sporco, e con un occhio color cremisi che ci avrebbe messo qualche ora a tornare azzurro.

-Stai usando troppa magia, ultimamente- gli fece notare Phoenix, a bassa voce, accogliendolo in casa con un cipiglio severo.

-Scusa, papà- ribatté Klavier, sarcastico, avvicinandosi al fuoco e sedendosi davanti a lui, molto provato.

Phoenix sospirò, sollevando una nuvoletta di fumo.

-Lo dico solo perché mi preoccupo per te. Lo sai che ci sono certi limiti che è meglio non superare quando si fa un patto con un demone- gli ricordò. Klavier annuì, tenendo bene a mente le sue parole.

-La guerra là fuori è orrenda- commentò poi, ripensando a ciò che aveva visto. Il mare di fuoco, tutti quei soldati feriti, e per cosa?! Per il delirio di onnipotenza di due persone ai lati opposti che nel frattempo restavano al sicuro nei propri castelli protetti da centinaia di incantesimi.

Klavier aveva tentato di evitare i maggiori danni alla popolazione, ma ora che i regnanti di entrambi i regni avevano iniziato a reclutare maghi senza scrupoli nei loro ranghi, era diventato difficile intervenire senza farsi notare.

-Forse dovresti solo… lasciare che la guerra proceda e restare lontano- provò a suggerire Phoenix, anche se non sembrava molto convinto neanche lui all’idea.

Klavier tirò fuori le lettere ricevute quella mattina.

Avrebbe voluto poterle bruciare senza esitazioni, ma sapeva di non poterlo fare.

Lanciò un’occhiata verso May, che dormiva della grossa sul suo trespolo, e lanciò verso Phoenix la lettera dei Fey, che bruciò in pochi istanti.

Poi osservò quella di von Karma, senza osare aprirla, ma tenendola stretta tra le mani tremanti.

-Credi che Edgeworth sappia che sono io?- chiese a Phoenix, preoccupato all’idea che Edgeworth l’avesse trovato nonostante gli incantesimi di protezione.

-Sì, ma conoscendolo ti darà qualche giorno per incoraggiarti a venire a palazzo di persona. Temo che non potrai rifiutarti- gli fece presente Phoenix, ben poco incoraggiante.

Klavier sospirò, e intascò la lettera di reclutamento, troppo stanco per pensare ad un modo di evitare il destino.

Si alzò e si avviò verso le scale per andare a fare una doccia.

Si fermò quando notò il volto di Apollo illuminato appena dal fuoco che passava oltre le tende che coprivano il suo giaciglio di fortuna. Avrebbe dovuto presto includere una nuova stanza da letto per farlo dormire più comodamente.

Klavier lo osservò qualche secondo, rapito da quanto in pace sembrasse in quel momento, profondamente addormentato, e con la maledizione che aveva abbandonato del tutto il suo corpo per quelle poche ore di sonno.

Avrebbe voluto poterlo aiutare, ma sapeva di non avere il potere di farlo.

Klavier non si era mai sentito così in colpa nei confronti di qualcuno. L’aveva cercato per sette anni, e l’aveva condannato con una sola conversazione. Avrebbe dovuto stargli alla larga, incoraggiarlo ad andarsene da quel castello finché era in tempo, portando Trucy e May con sé per permettere a tutti e tre di ricominciare la propria vita. Ma non ce la faceva. Era così bello poterlo vedere così, anche se da lontano.

E per quel poco che a Klavier rimaneva, ora che Edgeworth l’aveva finalmente trovato, desiderava goderselo il più possibile.

E sperare, in fondo al cuore, che un giorno avrebbe mantenuto la sua promessa.

 

 

 





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