Congiunzione astrale

di paige95
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Tempo di reazione



 
 
 
Base militare americana semidiroccata – confine Nord/Est di Kabul, 22 settembre 2018
 
Sarebbe stato un affronto al generale Flores e una soddisfazione per i nemici abbandonare la consueta base operativa, testimone di troppo sangue nelle ultime ore. Christian aveva sfruttato le sue remote ascendenze su Beatriz, in primis la fiducia che lei dimostrava ancora di riporre nelle sue doti decisionali. Era lo stesso luogo a ricordare loro quanto non fosse contemplata la resa e quanto fosse categorico non rendere vano il sacrificio di soldati che sapevano gettare lo sguardo su un epilogo lieto, avevano donato la vita per scorgerlo.
I giorni trascorsi avevano messo a dura prova l'ottimismo del tenente, il ferimento dell'amico giornalista lo aveva scosso, non aveva voluto prendere in considerazione la drammatica eventualità fino ad una manciata di ore prima quando l'impensabile si era concretizzato. L'ambasciata stessa aveva posto il reportage di Samuel sotto la sua ala protettiva, l'incolumità del civile era diretta responsabilità del militare. Aveva creduto di preservare la vita del giovane costringendolo a debita distanza dalle imprese più rischiose, era tassativo che non si dovesse ripetere l'incidente che lo aveva coinvolto a bordo dell'elicottero pilotato da Gwendoline e Christian, invece era stato bravissimo a compromettersi da solo. Il seal aveva dato per scontato che non si sarebbe opposto all'ideologia dominante tra le truppe nemiche, aveva riposto le sue speranze nel naturale timore di un giornalista alle prime armi. Alla resa l'unico ingenuo si era rivelato essere il marine, un ufficiale che aveva quasi il doppio degli anni di Samuel, onorificenze e una notevole esperienza per mare e per terra. I dottori che lo avevano preso in cura continuavano a ripetere quanto fosse stato determinante l'intervento del collega natìo che aveva contenuto con tempismo l'emorragia. Christian avrebbe voluto esporsi di più per lui, non gli fu nemmeno consentito donare il proprio sangue per le trasfusioni, i gruppi erano incompatibili. Erano in attesa che il cielo rivolgesse una minima attenzione a Samuel, lo assistesse nella fase più critica. Il tenente non riusciva a contemplare di dover comunicare la notizia di una simile perdita alla maestra di sua figlia; gli mancava il fiato al solo pensiero, era sicuro che non avrebbe trovato né la forza né il coraggio per una simile prodezza.
Christian era riuscito a sopportare qualunque inconveniente da quando era tornato ad abitare il suolo afghano, ma non era riuscito a resistere all'impotenza nei confronti dell'amico. Continuava a ripetersi che lui non doveva soffrire, era un civile, non aveva scelto di combattere, non aveva scelto di impugnare armi, non aveva scelto di ferire altri esseri umani nelle cui vene scorreva sangue dello stesso colore. Accettava ogni cicatrice su di sé, ma non su Samuel, non contro un civile indifeso. Alla fine aveva ceduto a quei farmaci in cui Katherine gli aveva raccomandato di rifugiarsi quando la sua mente era troppo stanca di pensare ad eventi nefasti. Aveva ceduto per rendere le lacrime che aveva versato in solitudine meno rassegnate. Era spaventosa l'idea che non avesse nemmeno cercato di comporre il numero di sua moglie, che non si fosse rifugiato nel suo conforto. Il dolore di Katherine era il suo, non poteva sovraccaricarla di preoccupazioni a chilometri di distanza, non se la sentiva più.
Flores aveva ragione, seppure non avesse la minima idea di ciò che Christian fu costretto sopportare in passato, la sensibilità che provava in guerra lo stava uccidendo più delle pallottole; la sua coscienza era inadatta, ma non la sua anima. Se fosse rimasto accanto a Samuel, era certo che sarebbe stato in grado di difenderlo, era convinto che ne avrebbe avuto la facoltà, invece non lo aveva protetto. La macchia della colpa si era allargata sul cuore, avrebbe continuato a provarla anche se Samuel si fosse ripreso. Aveva trascorso la sua peggiore notte da quando si trovava al fronte. Era stato fedele alle prescrizioni mediche, non aveva abusato degli ansiolitici, era pur sempre un soldato che faceva della lucidità la sua migliore arma; l'avevano aiutato a calmare il tremore che minacciava di perseguitarlo anche durante le ore di sole in cui era stato impegnato nei turni di sorveglianza in rigorosa solitudine.
Aveva trascorso l'ultima notte e l'ultima giornata a riflettere, a riscoprire ottimismo, a cercare la luce in fondo ad un tunnel troppo oscuro e spaventoso. I pensieri non avevano cessato di tormentarlo nemmeno verso l'imbrunire; in tutta onestà non provò a reprimerli, lasciò che essi scorressero liberi nella sua mente, non aveva il tempo di imbrigliarli per preservare la sua salute psichica. Aveva mangiato poco e niente tutto il giorno, doveva sicuramente risultare pallido e debole, ma nessuno osò puntualizzare il suo stato di malessere. I militari intorno a Christian continuavano a discorrere quasi ignorando la sua presenza, era stato di poca compagnia per una ragione di cui tutti erano già al corrente. Le voci dei compagni d'armi giungevano a lui ovattate, se avesse dormito qualche ora avrebbe anche smaltito i farmaci, invece la tensione sembrava essere più resistente. Aveva inteso i racconti del soldato Campbell sulle condizioni del nosocomio, ne era stato un triste testimone e negli occhi del giovane sfilava tutta la sofferenza per le vittime. Le rarefatte parole che Christian captava provocavano pungiglioni alle tempie.
Alexander non omise i dettagli più crudi della sua prigionia, non si preoccupò della presenza di Gwendoline, contava sulla sua tempra, ammesso e non concesso che avesse davvero rivelato proprio tutto. Aveva visto medici sfiniti lottare contro la morte e con pochi strumenti a disposizione; militari disarmati e spesso uccisi per avere addosso l'onta del nemico. Non era orgoglioso di essere in vita, ne avrebbe pagato le giuste conseguenze, ma non prima di aver concluso una missione di cui faceva parte da svariati mesi. Con il senno di poi, avrebbe preferito la morte a cicatrici che non gli facevano affatto onore, si sarebbe risparmiato un macigno sulla coscienza e l'espressione disgustata del soldato Ward che pendeva sulla sua testa come una condanna e che trafisse Alexander come una lama da parte a parte. Solo lo sguardo duro del comandante Reyes riuscì a distrarlo dall'idea di aver perso l'affetto di Gwendoline. 
«Soldato Campbell, sai di dover rispondere davanti alla corte marziale per i crimini che hai commesso?»
Il militare le stava rispondendo accondiscendente, ma dalle sue labbra uscì appena un sibilo. Christian aveva sbattuto un palmo contro il ripiano a cui era appoggiato per disincantarsi dai pensieri a cui aveva ceduto una volta in più. Si alzò dalla posizione raccolta che aveva assunto e si fece sostenere dalle mani rimaste a contatto con il tavolo. Attirò l'attenzione su di sé, come se si fossero accorti solo in quel momento della sua presenza.
«Penso che la corte marziale non scalpiti di processarlo nelle prossime ore. Converrai con me, comandante, che altre questioni siano molto più urgenti. Prima di tentare un'offensiva voglio tutelare le condizioni dei pazienti. Attaccando rischiamo la loro vita già precaria, dobbiamo evacuarli in sicurezza, altrimenti rimarranno uccisi da fuoco amico»
Beatriz lo stava ascoltando, nonostante negli ultimi giorni fossero stati discorsi già affrontati anche in privato. Si rivolgeva a lei con contenuta disperazione e sfoggiando sotto gli occhi i segni delle ore che aveva trascorso, quelli erano inequivocabili. Non riusciva ad ignorare i suoi discorsi sulla protezione dei civili, spesso malediceva se stessa di cedervi e di non riuscire ad infondere anche a lui lucidità. Una parte di lei era sicura che il tempo non avesse spento la scintilla che aveva sempre scorto nel cuore del parigrado, era stato fedele alle aspettative che l'annuncio dell'ambasciata sulla presenza di Christian al fronte aveva portato con sé. 
«Quelle persone hanno bisogno di aiuto umanitario, non di armi. Almeno non subito»
Christian fissava la sua interlocutrice supplicandola di ascoltarlo, ma non sempre lei ricambiava lo sguardo; la pregava con pacata dolcezza come se in quell'ospedale fosse rinchiuso qualche suo caro. Era stanca anche lei e lui persisteva ad ostentare simili discorsi con una tale convinzione che chiunque avrebbe finito per arrendersi all'evidenza. 
«Non ricominciare, Richardson»
Il tono era incrinato, faticava a mostrare autorità e distacco, più per le argomentazioni che per la persona che le stava proferendo. La guerra l'aveva indurita senza che lei dovesse impegnarsi più di tanto a dimostrare che una donna non era preda delle emozioni. Christian non si preoccupava di ostentare sensibilità, contrastava qualsiasi preconcetto con spontaneità; se fosse stato meno preda della sofferenza per le condizioni del giornalista, Beatriz era certa che lui stesso ne sarebbe stato fiero, lei lo era molto di lui. Le stavano scoppiando le tempie e non si preoccupò di nasconderlo, coprì la fronte con un palmo della mano e cercò di alleviare il dolore con lenti massaggi circolari. Christian non si arrese nemmeno davanti all'evidente cedimento fisico dell'ufficiale, non perdeva occasione di accentuare l'importanza delle sue parole. Era sua intenzione convincerla con qualunque mezzo fosse a sua disposizione. 
«Sono sincero»
«Oh lo so bene»
Beatriz aveva tolto con uno scatto le mani dal viso sfinito per rispondergli. Aveva impiegato notte e giorno per rifinire un piano accettabile e Christian glielo stava demolendo, come d'altronde aveva infierito sulla sua gioventù. Si chiese per quale ragione non avessero affidato l'unità al controllo esclusivo del tenente, non riusciva a capire il motivo che li aveva convinti a coinvolgerla. Richardson era perfettamente in grado di portare a termine la missione, certo con le sue modalità, ma almeno nessuno dei due avrebbe perso tempo prezioso a discutere per far prevalere la propria opinione.
Gwendoline aveva assistito in silenzio allo scambio di battute che era presto diventato a senso unico e non le passarono inosservate le occhiate complici che si stavano scambiando i due ufficiali: lesse dispiacere nello sguardo del comandante Reyes e compassione in quello del collega.
«Uno scontro a fuoco all'interno delle mura pone a rischio troppe vite ed io non sono disposto a perderle se c'è un'alternativa»
Resistere ancora a lungo alle convinzioni di Christian non avrebbe giovato, si augurava solo che non avrebbe mandato all'aria una missione per assecondare uno spirito fanciullo che francamente in guerra, seppur apprezzabile, rimaneva fuori luogo da parte di un soldato. Udì un silenzioso e confidenziale Ti prego, Beatriz, anche se lui di fatto non pronunciò nulla di simile.
Il comandante decise di essere accondiscendente basandosi sulla fiducia che riponeva nelle sue abilità di militare, le conosceva bene e sperò che il tempo non le avesse sciupate, si rifiutava di credere che lui non avesse escogitato un piano di assalto, seppur meno apertamente aggressivo del suo. 
«Sentiamo, cos'hai in mente?»
Si decise finalmente a rivolgersi a lui soffiando la domanda per accentuare il suo grado di stanchezza. Christian la tenne in sospeso senza malizia, era quasi incredulo che lei avesse accettato di accogliere le sue proposte; cercò di essere più convincente possibile, se ci avesse creduto lui aveva possibilità che ci credesse anche lei.
«Entriamo tu ed io, sotto copertura. Simuliamo una ferita, sotto il burqa[1] non sarà difficile, fingiamo di essere due civili in cerca di aiuto medico. Il problema è uscire da lì, non entrare disarmati»
«Vuoi fingere che io sia la tua consorte?»
Lo guardò accigliata per l'idea da principiante che aveva proposto. Aveva in mente di svestire abiti militari per indossare quelli civili. Era una soluzione singolare da parte di un ufficiale, quanto suicida.
«Se dico che sei mia sorella, rischio che ci chiedano i documenti. Se non gradisci, lo chiedo a qualcun'altra. Non mi offendo, non c'è alcun problema»
Era stato inaspettatamente acido nei suoi confronti, avrebbe dovuto essere il contrario visto che Beatriz aveva deciso di assecondarlo. Forse era solo in pena per l'ospedale e quindi scattante, eppure quei modi poco eleganti che non lo avevano contraddistinto in quelle ultime ore trascorse insieme al fronte non erano ancora emersi. La donna aveva assistito svariate volte a modi bruschi durante il loro addestramento anni prima, li rivide in quell'occasione, la spaventò sapere che la guerra tirava ancora fuori il peggio di lui. Sperò fosse solo una sua impressione, attribuì la colpa alla giornata soffocante che lui aveva trascorso, alla lontananza dalla sua famiglia, ad un reporter amico gravemente ferito. Insomma, si rifiutava di credere che la sua sensibilità di tanto in tanto potesse anche cedere il passo alla durezza, non gli si addiceva affatto. Sicuramente erano rimasti in sospeso molti conti tra loro, ma era certa fossero problemi a cui dovesse fare fronte solo lei, in fondo era stata lei ad essere abbandonata.
«Il piano deve passare sotto il mio beneplacito, sulla carta dirigo ancora io questo reggimento e se qualcosa dovesse andare storto ricordati che finiamo tu ed io davanti all'ambasciatore. Siamo entrambi responsabili per la riuscita della missione»
Christian non aveva nulla in contrario a condividere le responsabilità, non avrebbe proposto una simile azione, non l'avrebbe esposta ad un pericolo, se non fosse stato convinto che potesse rivelarsi la decisione migliore. Beatriz non ne se rendeva conto, lui non osava manifestarlo, ma in cuor suo non aveva smesso di volerle bene; aveva sempre desiderato il suo bene, anche quando era certo che il suo comportamento avrebbe lasciato intendere l'esatto contrario. Se l'avesse amata avrebbe desiderato condividere la vita con lei, non era amore ciò che aveva provato per la compagna, se ne rammaricava per averla illusa e forse un giorno sarebbe anche riuscito ad ammetterlo davanti a lei. Ciò che aveva provato e continuava a provare per il suo comandante era un bene immenso, un bene che portava con sé l'istinto di proteggerla anche da se stesso, perché ne era convinto, accanto ad un giovane ferito lei non avrebbe mai trovato serenità. 
«Allora pare ci servano abiti civili. A te e a Ward spetta la ronda, stasera»
«No, ti sbagli, è il turno di Gwendoline e Alexander. Avrei bisogno anch'io di qualche ora di riposo, se non ti dispiace»
Accennò un sorriso stanco e Beatriz non si oppose nemmeno a quello. Il comandante Reyes si congedò con amarezza in compagnia degli appunti di un piano che non era destinato a fruttare.
La recluta chiamata in causa dai superiori si avvicinò al marine e venne accolta da un'espressione paterna. Christian era certo che la ragazza non avrebbe gradito i suoi tentativi di creare spazi di confronto tra lei e il giovane sopravvissuto. In realtà Gwendoline pensava ad altro, almeno per il momento. 
«Mi faccia capire, lei vuole entrare per la seconda volta disarmato in un covo di talebani? Non pensa di sfidare un po' troppo la fortuna?»
«Avrà Beatriz le armi sotto il burqa, per una volta le tradizioni opinabili di questo popolo ci torneranno utili»
Ebbe di nuovo la sensazione che tra i due ufficiali ci fosse un certo grado di confidenza. Aveva menzionato il comandante chiamandola per nome, non era nelle sue abitudini perdere il rispetto dettato dai ruoli. Gwendoline stava per chiedergli spiegazione, dando sfogo alla sua impulsività e alla sua sfacciataggine; convenne però con se stessa che ci fossero questioni più urgenti da affrontare. 
«Non conoscete la lingua afghana»
«Il comandante in quanto donna non avrà facoltà di parola ed io ricordo qualche espressione efficace da esperienze precedenti»
«Qualche espressione?? Si sta prendendo gioco di me, capitano? Se lei parla americano, la giustiziano sul posto»
Era sinceramente spaventata e preoccupata per lui, non provò a nasconderlo. Nemmeno Christian si premurò di placare l'ansia della giovane.
«Devo correre il rischio, Gwen, altrimenti rendo vani questi mesi lontani dalla mia famiglia»
«Non conosco sua moglie, ma sono certa che non sarebbe d'accordo con lei»
Provare a dissuaderlo citando Katherine era un colpo davvero basso, a cui lui rispose con un tono triste.
«Chiedo al medico afghano che ha salvato Samuel qualche ripetizione sulla lingua locale, mi sembra ben disposto all'aiuto»
«Sta sottostimando i rischi. Capitano, la prego»
«Mi fido del tenente Reyes, è sempre stata in gamba e lei sarà al mio fianco. Prendo ogni precauzione possibile»
La fissò con determinazione lasciandole intendere i suoi sospetti. Quasi sicuramente aveva conosciuto il nuovo comandante prima di quella missione. Si sentì esclusa dal passato del seal, ma rincuorata. Intraprendere l'argomento sarebbe stato indiscreto e lui aveva tutto il diritto di non rispondere al suo spirito di curiosità. Gwendoline decise di fidarsi, era sempre stato un uomo coscienzioso e un militare preparato; se lui si fidava del comandante Reyes, avrebbero dovuto farlo tutti, c'erano le possibilità che il piano riscontrasse un grande successo. La ragazza decise di spostare la conversazione altrove, anche se fu ancora più imbarazzante per lei. 
«Cosa spera di ottenere lasciandomi sola con Alex?»
«La pace, nulla di più»
Christian le rispose quasi distrattamente, ma con sincerità. Era impegnato a sciogliere la cordicina che portava al collo insieme alla fede nuziale. La rigirò tra le dita manifestando nostalgia. Fece sussultare Gwendoline quando si avvicinò a lei quanto bastò per legarla sul suo petto. Si mostrò confusa e in estremo imbarazzo per quel gesto; non osò nemmeno sfiorare il metallo prezioso, si limitò ad osservarlo con rispetto.
«Ho bisogno che tu la custodisca fino al mio ritorno. Pensi di potermi fare questo favore? È un simbolo occidentale, sarebbe da imprudenti mostrarla alle guardie armate che si trovano di fronte all'ospedale»
 
Boschi di platano – confine Nord/Est di Kabul, 22 settembre 2018
 
Il tenente Richardson, per quanto sensibile, non aveva previsto il disagio che i due avrebbero dovuto condividere durante la ronda serale lungo i confini della base. Gwendoline persisteva in un profondo mutismo e Alexander non riusciva ad intendere se si trattasse di una sorta di punizione per averla delusa. Il giovane non osava avvicinarsi a lei, fu la ragazza ad intraprendere nella sua direzione qualche occhiata compassionevole. Era stata costretta dai superiori, stava eseguendo gli ordini, in caso contrario non avrebbe gradito avventurarsi con lui in un fitto bosco per sventare agguati. Lo fissava più di quanto avrebbe voluto, attraverso la luce soffusa dell'imbrunire il viso di Campbell risultava indurito e scalfito dalle cicatrici; era triste e provato dalla sofferenza. Le parve di scorgere maturità nel suo sguardo. L'esperienza di Alexander aveva segnato entrambi e ciò che feriva di più Gwendoline era la certezza che non avrebbe più colto dolcezza nei suoi occhi. Avrebbe voluto domandargli tanti dettagli per consentirgli di sfogare le sue pene e convincersi che il suo compagno di addestramento avesse ancora l'anima pulita. Una tale esperienza avrebbe trasformato chiunque, ma lei non riusciva ad accettare che avesse cambiato l'unica persona cara che l'avesse affiancata nei giorni più difficili della sua vita. Non l'aveva abbandonata quando le era mancato il padre, era stata la sua unica salvezza. Non riusciva a capacitarsi come un uomo che le aveva dimostrato così tanto, avesse ceduto infine al male.
Gwendoline era zoppicante senza la sua stampella, ma cercò di dissimulare, non desiderava che lui la sfiorasse per sostenerla fisicamente. Era convinta che Alexander avesse colto le sue difficoltà e avesse rispettato le sue volontà. Ebbe il sincero impulso di rivelargli quanto le fosse mancato, quanto fosse stata preoccupata per lui, quanto lo amasse anche con il rischio di essere respinta da lui. Non l'aveva mai intimorita a tal punto, si erano sempre scambiati pareri, avevano sempre collaborato nel corso degli addestramenti, avevano una buona affinità. La giovane recluta sentiva che la fiducia tra loro aveva subíto un colpo e non era ciò che aveva sempre sperato per loro. Rivolgersi a lui equivaleva discutere, aveva perciò mantenuto il silenzio e non aveva lasciato che lui la riempisse di giustificazioni a cui lei avrebbe rischiato di cedere in nome di un sentimento represso.
Gwendoline procedeva a debita distanza dal soldato. Notò che Alexander aumentava i metri tra loro, soprattutto in lunghezza per riuscire ad essere sempre qualche passo avanti a lei; una mossa che lei interpretò come un tentativo per proteggerla in caso di pericolo, sperava tanto fosse una scelta intenzionale da parte sua. Le era mancato davvero, le era mancata la sua ombra su di sé. Era concentrata sull'incedere lento del compagno, quando un suo stesso passo la bloccò sul posto. Non osò muoversi, il piede non affondava nella terra umida, il suolo non era morbido. Scelse la prudenza, i segnali erano chiari anche per una recluta inesperta come lei.
«Alex?»
Abbassò qualsiasi barriera difensiva nei confronti del giovane, le ultime ore trascorse insieme tra diffidenza e delusione sembravano essersi dissolte. La mente era stata offuscata dalla preoccupazione, la voce era spezzata, Campbell avrebbe dovuto intuire che la ragazza non si trovasse in uno stato di quiete, ma la attribuì alle difficoltà nella loro comunicazione. Alexander si mostrò irritato, i suoi nervi erano al limite della sopportazione e il rapporto in bilico con lei non lo stava rasserenando. 
«Ti sei decisa a parlarmi?»
Il giovane si voltò verso Gwendoline con uno scatto, la trovò immobile e pensierosa. Ward abbassò gli occhi tesi sulle sue scarpe e il compagno eseguì il medesimo gesto spaventato. 
«Credo di non aver pestato un ramo»
La carnagione chiara della ragazza perse qualche gradazione di colore e lui ebbe la stessa reazione.
«Calma»
Alexander la ammonì con le mani di non compiere movimenti bruschi. Si avvicinò a lei con cautela, non avevano previsto che potessero incorrere in qualche mina ben appostata. Furono vani i tentativi di Gwendoline di dissuaderlo negando con il capo, lui si era abbassato sulle caviglie per scrutare da vicino l'arma che teneva in ostaggio la recluta. Temeva che rimanesse ferito insieme a lei, ma non poté fare altro che mantenere alta la concentrazione per evitare di innescare il meccanismo e coinvolgere entrambi. Alexander, dal canto suo, non sembrava porsi il problema sul rischio che stava sfidando. Estrasse un coltello militare da un taschino della giacca della divisa e con delicatezza senza esercitare pressione spostò la terra che gli impediva una buona visuale.
«Non mi risulta tu sia un artificiere»
Non lo era, ma si sentiva dannatamente in colpa per essere lui al suo fianco e non il capitano che avrebbe saputo come aiutarla. In quelle condizioni avrebbe solo potuto condividere il destino di Gwendoline ed era una magra consolazione. Campbell recuperò la ricetrasmittente e ammise la sua incapacità nel provare a disinnescare un qualsiasi ordigno.
«Tenente Richardson, mi sente?»
Passò solo il tempo di un singolo e fugace pensiero, Christian aveva avviato subito la comunicazione. 
«Forte e chiaro. Vieni avanti, Campbell»
«Abbiamo un problema, Gwendoline è rimasta bloccata su una mina antiuomo. Sa come renderla innocua senza danni?»
Alexander rivolse un'occhiata complice in direzione del cielo lasciando intendere a lei che l'unica perdita di cui gli importasse davvero era la vita della ragazza. Era intenzionato a colmare le sue mancanze, cancellare il dolore che le aveva inferto, era consapevole di quanta sofferenza provasse già; per tenere fede al suo impegno però doveva concedere un futuro ad entrambi. Era tutto nelle sue mani sotto la guida del marine.
Il silenzio della sera inquietava, era quasi fastidioso. Intravedeva a malapena Gwendoline nell'oscurità, il fascio di luce proveniente dalla torcia rischiarava l'espressione tesa della ragazza.
Christian si era concesso qualche secondo per riflettere e reagire in modo lucido alla notizia.
«Campbell, devi rendere visibile con cautela la mina. Sposta tutta la terra che puoi. Non fare pressione per alcun motivo»
Il tono del seal era impaziente, ma Alexander provò ad ignorare l'urgenza che gli stava imponendo il superiore. Tolse con le dita i residui di sottobosco accanto agli ingranaggi; aveva rivelato l'ordigno in minima parte per il timore che potesse esplodere in anticipo. Fu costretto a slacciare qualche bottone della divisa per consentire all'aria di settembre di rinfrescarlo e di asciugare il sudore. 
«Capitano. Cosa faccio ora?»
Sentì il tenente sospirare, consapevole dell'ardua impresa che i due giovani erano chiamati ad intraprendere. Era preoccupato per loro, dalla base si sentiva impotente.
«Capitano»
«Serve qualcosa che sostituisca Gwendoline e che abbia un peso non inferiore ai quaranta chili»
Alexander scrutò con urgenza l'ambiente circostante, ma non trovò qualcosa che corrispondesse ai parametri. Quando tornò con lo sguardo sulla ragazza, la fissò illuminato e dispiaciuto. Lei aveva capito, le stava comunicando quel senso di protezione che le era mancato per mesi, ma non poteva accettare un simile sacrificio. Ignorò le silenziose suppliche della compagna e si rivolse al superiore con stoicismo. 
«Nei paraggi solo io peso più di quaranta chili. Quante possibilità ho di riuscire a sostituirmi a lei?»
«Non più del venti percento. Vi mando subito un artificiere, Alexander non muoverti» 
Christian si mostrò nervoso e Gwendoline condivideva lo stato del marine, entrambi sapevano che era escluso qualsiasi tentativo di persuadere il giovane. Si trovava su una mina innescata, ma le era ancora consentito ribellarsi. Era disperata e non le rimase che rompere il silenzio di quella radura sfogando tutto il suo dolore.
«Alex, no!»
«Non mi ucciderà, al massimo rimedio una ferita, ne ho tante»
Cercò di sorriderle, sminuì il carico esplosivo della mina. Non era un artificiere, ma sapeva riconosce un ordigno che avrebbe potuto al massimo recidere un arto, poca cosa a confronto della vita di Gwendoline. Si alzò dalla sua posizione accovacciata senza smettere di tranquillizzarla mantenendo in viso un'espressione rilassata. Nei momenti peggiori perdeva le parole davanti a lei, proprio come quando mesi prima si era ostinato a portare a termine la sua missione per liberare l'ospedale. Quella sera era diverso, non avrebbe commesso alcun errore di calcolo, sarebbe riuscito a portarla in salvo.
«Alex, io non voglio. Ascolta il capitano, per una volta dà retta a chi ne sa più di te!»
Era scettica. Tentò a dissuaderlo con sussurri carichi di disperazione; cercò di mantenere un contegno per restare immobile, ma iniziava ad incolpare la sua stupidità per aver creato una situazione simile, se fosse rimasta accanto al suo braccio non sarebbe mai successo. Il tenente le aveva ripetuto spesso di essere meno impulsiva ed ora pagava insieme al compagno il prezzo della sua imprudenza. Era certa che Alexander cercasse il modo di ottenere il suo perdono, ma la verità era che non le doveva alcuna spiegazione, loro in fondo erano niente.
«Neanche io voglio che tu sia in pericolo»
Le fece cenno di allungare le mani per coordinare meglio lo spostamento dei due in contemporanea. Gwendoline non lo fece e tentò un'ultima azione ribelle. 
«Alexander, io ti amo!»
La fissò quasi stranito e contrariato sul momento inopportuno che aveva scelto per confidargli i suoi sentimenti. Non aveva mai nemmeno sospettato che lei potesse ricambiarlo, la rivelazione non lo aveva reso insicuro sul da farsi, ma lo distrusse. Fu il tenente a riportare l'attenzione del giovane sull'importanza del suo successo.
«Ragazzi, siete ancora lì? State bene?»
«S-sì, capitano. Procedo, non posso aspettare il suo artificiere, sta diventando troppo rischio per Gwen»
Gli offrì una ragione in più per salvarla, non per tirarsi indietro. Lasciò scivolare la radio tra le sterpaglie, la accompagn
ò a pochi centimetri da terra per essere certo che uno spostamento d'aria non compromettesse l'equilibrio precario della mina. Non attese che fosse lei ad afferrargli le mani, la costrinse senza dimenticare di essere delicato. Ignorò il respiro pesante di Gwendoline, era impegnata a trattenere uno sfogo. Lo vide poggiare un piede accanto al suo, si sfiorarono. Le diede un leggero strattone per allontanarla, ma fu in quel momento che udirono un rumore inquietante sotto le loro suole. La ragazza chiuse gli occhi, non era intenzionata a muoversi e ad abbandonarlo al suo destino, fu lui a spostarla di peso accanto alla sua schiena per provare a farle da scudo.
Nei secondi successivi non si innescò alcuna esplosione. Alexander prese la coraggiosa iniziativa di sollevare il piede, anche se era certo che l'allarme non fosse rientrato.
«Andiamo via»
Serio e preoccupato, recuperò la ricetrasmittente per avvisare subito il tenente in caso di scampato pericolo e afferrò il braccio di Gwendoline per trascinarla via il prima possibile. Fecero un centinaio di metri in rigoroso silenzio. Solo quando fu sicuro di essere a debita distanza dalla fonte di pericolo le concesse di procedere da sola, senza una guida che la conducesse fisicamente e le dettasse il ritmo dei passi. 
«Ho colto bene? Hai detto che mi ami?»
La lasciò libera di spostarsi lontano, ma lui si piantò al suolo e non si mosse, decise che era giunto il momento di parlare. Aveva avuto prova di quanto fosse effimera la loro vita, ogni istante di respiro al fronte poteva rivelarsi un'occasione persa.
«Può essere che per paura mi sia scappato. Volevo fermarti e non sapevo in quale altro modo riuscirci»
Gli stava mentendo e ne erano certi entrambi. 
«Ti è scappato?? Lo pensi o non lo pensi?»
«Lo pensavo. Ora non so più se voglio amare un uomo che non sa prendere la decisione giusta»
Riconosceva la verità dietro le sue parole. Era stata spietata e sincera. Senza lei accanto aveva optato per scelte opinabili. Gwendoline non immaginava quanto avesse bisogno di lei, almeno tanto quanto lei di lui. Sentiva di averla persa prima di poter rivendicare tra loro un qualsiasi legame sentimentale. La situazione non migliorerò nemmeno dopo aver rischiato la vita insieme, lei prese la via in solitudine, portando avanti il suo turno di ronda esattamente come lo avevano iniziato. Udirono in lontananza lo scoppio della mina, erano stati fortunati, qualcosa doveva essersi inceppato nel meccanismo e la dea bendata aveva girato il volto dalla loro parte. Gwendoline si era accertata con uno sguardo che Alexander stesse bene, associò l'esplosione ad un pericolo, ma non prese in considerazione la distanza di sicurezza tra loro e l'ordigno.
L'udito fine del giovane gli consentì di percepire altre presenze umane, passi che procedevano nella loro direzione. Ancora una volta le afferrò il polso contro la sua volontà, la appiattì tra sé e un tronco di grandi dimensioni per nasconderla. Da quella posizione Gwendoline scorse più nitide le cicatrici del ragazzo grazie al favore dell'influsso lunare; le vide quasi pulsare come se sfogassero e custodissero un tragico vissuto. Ebbe l'istinto di accarezzarlo, ma si trattenne. Fu lui a cullarla con un respiro caldo e agitato che a quella distanza tra loro le sfiorava viso e collo. Alexander era concentrato sui movimenti che udiva oltre il platano, non la stava degnando di uno sguardo, ma lei non smise si fissarlo. Lo vide imbracciare il fucile già carico e pronto all'uso.
«Cosa fai?»
«Mi preparo»
L'uomo che conosceva non avrebbe ostentato sangue freddo, avrebbe trovato una via di fuga e insieme avrebbero cercato un riparo da occhi a loro sconosciuti. Non erano più sullo stesso piano, solo lei era rimasta una recluta inesperta. Semmai la corte marziale avesse lasciato cadere le accuse contro di lui, era certa lo avrebbero premiato con qualche grado e Gwendoline non poteva esserne orgogliosa, non lo riconosceva più. Lo vide puntare l'arma contro il buio, non sparò solo perché i passi sospetti si udivano sempre più lontani, ma era stato nelle sue più sincere intenzioni premere il grilletto. Non era quella la protezione che cercava da lui. Alexander tornò a concentrarsi su di lei e lesse una chiara delusione. 
«Tutto bene?»
La vide smarrita e non poté evitare di porgerle un bacio sulla fronte. 
 
Los Angeles, 23 settembre 2018
 
Delilah era - contro ogni previsione - seduta accanto a Nathan. L'avvocato aveva invitato a casa loro la moglie per una consulenza professionale, ma aveva messo in conto che ci fossero alte probabilità che lei rifiutasse. Aveva avuto poca fede nella sua persona, ma le aveva chiesto aiuto ed era corsa, nonostante il luogo dell'incontro l'avesse lasciata contrariata. 
Nathan le aveva offerto un caffè, si era accomodata dove erano soliti accogliere gli ospiti. Lei era ancora la legittima padrona, il fatto che non desiderasse più esserla non poneva in discussione un dato di fatto. Le dedicò attenzione, si premurò che si sentisse a suo agio. 
Aveva cercato il fidato contributo della donna con la quale aveva condiviso buona parte della vita come era solito fare, sapeva di poter contare sulla sua discrezione e sulle sue competenze scientifiche. La dottoressa non si era opposta, benché portasse sul volto i segni un periodo non proprio brillante. Nathan ebbe svariate volte la tentazione di domandarle come stesse; si trattenne per il timore di mostrarle una confidenza indesiderata.
L'avvocato avrebbe dovuto concentrarsi sul caso che aveva tra le mani e per il quale l'aveva convocata, eppure non poteva fare a meno di scrutarla mentre era impegnata a decifrare in modo molto professionale i referti medici che lui stesso le aveva fornito. Non era sicuro che avrebbe trovato qualcosa di interessante, ma non sapeva da dove iniziare se non dalla documentazione che gli era stata resa disponibile dalle autorità di San Diego, dove si sarebbe tenuto il processo. Avrebbe dovuto declinare una questione aperta da ventitré anni; i nuovi elementi emersi non erano una garanzia di successo e una prova era il tempo che stava impiegando Delilah ad esaminarli. Avevano a disposizione un intero relitto precipitato in acque continentali, corpi irriconoscibili se non da oggetti personali corrosi dalla salsedine e un affare mediatico che era giunto dall'altra parte del Paese grazie al Los Angeles Times[2] e che Nathan non era certo di riuscire a reggere mentalmente. Eppure la vicinanza della moglie, anche se sporadica, gli stava offrendo nuove energie e la certezza di riscoprire la grinta di un tempo. La prima udienza dalla riapertura del caso era ancora lontana, ma non voleva farsi trovare impreparato nel ruolo dell'accusa in favore della parte offesa. Voleva vincere e riscoprire fiducia nelle sue capacità, ultimamente si era affievolita.
Nathan continuò a fissare la donna concentrata a sfogliare il plico di fogli redatto dal medico legale che aveva coordinato le autopsie sotto la giurisdizione della città di San Diego. Delilah si era accomodata in prossimità del bracciolo del divano opposto al suo, un dettaglio che a lui non sfuggì e ciò gli provocò dispiacere, pur certo che potesse essere stato un gesto non voluto, le concesse il beneficio del dubbio.
«Come sta tuo padre?»
«Un po' meglio, ma deve sottoporsi a cure specifiche se vuole essere certo di invecchiare»
Era seria, ma sul suo viso non vi era più l'ombra del cedimento a cui aveva assistito al St. Vincent Medical Center. Per anni era stata per lui una garanzia di tenacia. Era difficile credere che non percepisse lo sguardo del marito su di sé, lo ignorava con discrezione, ma Nathan non riusciva ad essere altrettanto discreto, le mura di casa avevano assunto nuove sfumature da quando lei era tornata, seppure per un casuale frangente. Si maledisse, forse aveva sbagliato a domandarle aiuto; aveva ragione lei, qualche tempo lontani li avrebbe aiutati ad intraprendere strade diverse. Più la figura di sua moglie gli attraversava gli occhi, più era certo di non riuscire a lasciarla andare, a vederla sparire dalla sua vita. Avrebbe potuto risparmiare ad entrambi il momento che stavano vivendo in quell'abitazione tra ricordi vissuti e mancati, tra lacrime e sorrisi. Avrebbe voluto lo avesse rimproverato, non che accettasse di correre in suo soccorso; avrebbe preferito si fosse imposta e gli avesse dato appuntamento solo in sede in divorzio, un ostacolo che avrebbe devastato entrambi.
Delilah si convinse a posare gli occhi su di lui disincantando la mente dai referti.
«È esattamente come lo ricordi, non sono riuscita a cambiare il suo cuore come avrei voluto. Però riusciamo a comunicare ed è già qualcosa»
Gli accennò un sorriso compiaciuto, da cui l'avvocato dovette spezzare lo sguardo per non restarne ammaliato.
«Mi fa piacere saperlo»
«Allora, Nathe. Cosa cerchi di preciso tra questi referti?»
«Un movente. Una causa per lo schianto dell'aereo»
«Pensi sia stata una responsabilità dei piloti?»
«Non lo so, cerco solo di trovare una qualsiasi spiegazione»
A Delilah non sfuggì la nota malinconica nella sua voce. Aveva preservato sensibilità, era certa fosse rivolta alla natura del caso e non alle sue difficoltà professionali. Era inevitabile per l'avvocato lasciarsi coinvolgere in simili tragedie. La contagiò, la donna assorbì il suo stesso umore, argomenti tristi non avrebbero potuto distendere la nebbia di tensione tra loro.
«Certo, è il tuo lavoro. Dunque, sono passati molti anni e i corpi non si sono conservati nel migliore dei modi a metri di profondità sui fondali, quindi è stata esclusa l'attendibilità di molti esami autoptici. Hanno trovato sabbia e alghe sugli abiti, lesioni traumatiche post mortali, morsicature di animali acquatici, macerazione e saponificazione»
«Delilah, non sono un medico, me lo puoi spiegare in parole povere?»
«Nathe, se l'aereo è precipitato nell'oceano, queste persone possono solo essere spirate per asfissia acuta e conseguente arresto cardiaco»
Glielo disse con ovvietà, convinta che anche un avvocato con studi diversi potesse giungere a quella considerazione. Il marito viveva di speranze, ma la realtà era scritta nero su bianco ed era incontrovertibile, oltre ad essere molto dolorosa per un legale a cui servivano disperatamente elementi di accusa.
«Accenna allo stato di salute dei piloti?»
Non ebbe il coraggio di ricordargli quanto non fosse rimasto più molto degli esseri umani che erano stati, la morte aveva cancellato le tracce del loro passato e i medici non avevano il potere di creare organi e tessuti da analizzare. Delilah gli riservò un'espressione dispiaciuta, a cui lui rispose con una buona reazione, nonostante l'evidente svantaggio. L'uomo le allungò un foglio, ulteriori prove che provenivano da indagini della scientifica. La dottoressa Clark intravide un nome di persona, la denominazione di un medicinale familiare e la foto dello stesso.
«Il comandante Ashton Hall aveva in tasca questi farmaci. Erano nel suo sangue al momento del decesso, secondo te?»
Si concesse qualche istante per riflettere, conosceva bene le loro proprietà, ma gli stava fornendo solo responsi negativi che non sarebbero stati utili all'avvocato. Le dispiacque sconfortarlo, più di quanto non fosse già.
«Non possiamo conoscere le abitudini del pilota sulla base delle analisi. Dovresti contattare qualcuno che fosse nella sua cerchia più intima di conoscenze»
«A cosa servono?»
«Sono benzodiazepine, più comunemente noti come ansiolitici assunti per via orale, ma è difficile dire se ne abbia abusato»
«Potrebbero aver influenzato le sue facoltà di volo?»
«Non credo, qualcuno se ne sarebbe accorto in tempo su un aereo di linea»
Delilah rimase impotente davanti al marito. Lo vide coprire il volto con le mani in evidente stato di sconsolazione, lo udì sbuffare contro i palmi. Era deluso da se stesso.
«Non è la strada giusta»
«Mi dispiace, Nathan»
«Tu non hai colpe»
«Mi hai chiesto aiuto, posso provare a dare un'occhiata più attenta se mi concedi qualche giorno»
«Ti ringrazio, non riesco a concentrarmi come vorrei»
«Va male in tribunale?»
«Va tutto male da quando ci siamo lasciati»
Il botta e risposta con la moglie lo confuse a tal punto da osare confidenze che aveva giurato di trattenere nella mente il più a lungo possibile. Mortificato, posò i gomiti sulle ginocchia e stropicciò le palpebre con indice e pollice. Perdere lucidità non era nel suo stile, non avrebbe giovato né al ruolo di avvocato né alla sua vita privata.
«Mi dispiace, mi ero ripromesso di non tornare sull'argomento con te»
Tentò di giustificarsi per evitare che lei scappasse. Non era un rischio così remoto, vi era la grossa possibilità di infastidirla e lei non avrebbe retto un minuto in più al suo fianco, confermando la tesi che non fossero pronti ad intraprendere una sincera amicizia.
«Non preoccuparti e mi dispiace che la fine della nostra relazione abbia inciso sulla tua carriera. Speravo tanto che il tuo nome brillasse di più nell'albo degli avvocati»
Le sorrise sarcastico, cercò di tenere a freno i pensieri, ma gli risultò particolarmente difficile non difendersi dal colpo che la moglie gli aveva assestato. Non avevano mai desiderato che il loro divorzio si trasformasse in una battaglia, avevano lasciato scivolare le accuse del coniuge comprendendole, ma senza alcuna condivisione. Delilah definiva spesso loro stessi incompatibili, ma Nathan era certo fosse solo una scusa dietro cui ripararsi per rendere meno dolorosa e più naturale la loro separazione. Con il beneplacito di entrambi avevano abolito le discussioni tra loro, riuscivano a fermarsi sempre un minuto prima che esse sfuggissero al controllo. Era un grande segno di maturità per due giovani sposi che non intendevano infierire l'uno sull'altra, anzi allontanarsi sarebbe dovuto rappresentare un bene per la vita di entrambi.
«Delilah, voglio solo che tu sappia che ero felice e se ti ho dato ragione di credere il contrario, è stato un errore mio»
Si portò una mano al petto per accentuare i sensi di colpa che nutriva nei suoi confronti. Dopo aver provato il vuoto lasciato dalla moglie nelle sue giornate, ebbe la prova concreta di aver perso una parte della sua serenità, la stessa che gli consentiva di svolgere con raziocinio ogni mansione quotidiana. Delilah ricambiò lo sguardo dell'uomo, ma fu la reazione di un istante in cui si nutrì di tutte le energie positive che quel frangente ormai raro le infuse. Posò subito dopo la vista altrove, ricoprendo i panni della dottoressa Clark, benché ultimamente anche quella obiettiva posizione fosse stata macchiata da dolorose questioni personali.
«Mi stanno aspettando in ospedale, ho in programma una visita importante con un paziente»
«Certo, grazie per la disponibilità»
«Non ho potuto fare molto, ma ci rifletto»
Si sforzò di essere cordiale e di ignorare la noncuranza con la quale la moglie aveva evitato un argomento scomodo; in fondo era stata chiara, non voleva più parlarne, Nathan stava solo rispettando un volere infraintendibile. 
La donna si alzò e recuperò la sua borsa. Non ebbe bisogno che lui la accompagnasse alla porta, ma la tentazione di voltarsi un'ultima volta verso le mura che aveva chiamato casa per almeno dieci anni vinse sui tormenti. Non riusciva a prevedere cosa sarebbe successo dopo che la penna avrebbe apposto la sua firma sulle carte del divorzio, non sapeva quale destino sarebbe spettato alla loro abitazione, in fondo era di entrambi ed entrambi avrebbero dovuto prendere una decisione. Sarebbe stato il momento più doloroso, quello che avrebbe posto fine ad una porzione indimenticabile della sua vita ed era ingenua a credere che potesse scappare da essa. Tutto si sarebbe sgretolato dopo quel fatidico giorno, esattamente come ogni cosa era fiorita nel giorno delle loro nozze. Ebbe la tentazione di domandare al marito se le pratiche di divorzio si fossero sbloccate, ma non trovò l'enfasi giusta. Preferì soffermarsi sui dettagli della casa che forse non avrebbe più avuto modo di osservare così composti, posizionati negli angoli che avevano concordato insieme.
«È tutto come lo hai lasciato»
Sembrava leggerle nella mente come il più attento dei compagni, come il padre mancato che avrebbe voluto essere, come l'avvocato che non difendeva mai chi era nel torto, gli occhi dei suoi assistiti erano una prova inconfutabile per selezionare i suoi clienti.
«Anche tu? Sei rimasto come ti ho lasciato?»
«Intendi un uomo solo e disperato che non fa altro che pensare a come salvare il proprio matrimonio prima che venga ufficializzato il divorzio? Ma tu non farci caso»
Le rispose con dolcezza.  La dottoressa alluse ad una compagnia esterna al loro rapporto, ma la risposta del marito le fu sufficiente. 
«Devi vincere quel processo, ho letto in redazione da mio padre che sono morte tante persone e meritano giustizia. Hai molte responsabilità, ma io credo in te»
Non stava offrendo al consorte la possibilità di replica, aveva spalancato la porta con urgenza, quando lui la richiamò alzandosi in piedi per incentivare la sua supplichevole richiesta.
«Delilah! Se io ti dimostrassi che il nostro rapporto può ancora funzionare, tu mi concederesti una seconda possibilità?»
Si mostrò speranzoso, le iridi color tenebra luccicavano. Se non fosse stato tanto doloroso deciderlo Delilah avrebbe quasi sorriso davanti ad un evento di cui lui, era certa, non si stesse nemmeno accorgendo. Le sarebbe mancata più di tutto la sua semplicità. Dovette prendere un respiro per formulare una frase di senso logico, per non lasciare che la sofferenza incontrasse la commozione e si sfogasse in lei in un manifestarsi di sfoghi umorali confusi.
«Avvocato Rogers, conserva le tue energie per il caso che ti è stato affidato. Temo non si possa salvare ciò che eravamo anni fa»
«Sei una eccellente cardiologa, come puoi dirlo? Tu salvi tutti»
La elogiava con sincerità ed orgoglio. 
«Appunto, Nathan, e so che ci siamo spezzati il cuore. Non mi sembra il caso di infierire, conserviamo una parte della nostra anima per il futuro che ci attende»
Lo disse con rassegnazione, senza rabbia. Troncò il fiato a Nathan facendo scattare la serratura con decisione. Le mura si svuotarono all'istante di buone speranze. Aveva portato con sé ottimismo, ma senza di lei era sparito di nuovo tutto. Non riuscì più a concentrarsi sul lavoro, i pensieri lo bloccavano sulla sua vita privata, sul matrimonio e su ciò che potesse ancora recuperare. Negli ultimi giorni era sempre più viva l'idea di opporsi alle intenzioni della moglie. Era quasi certo che avrebbe perso il processo contro Delilah, non che avesse prove schiaccianti a suo sfavore, ma non poteva costringerla al suo fianco.
Avrebbe solo voluto tornare indietro nel tempo, non lasciare che si deteriorasse tutto. Avrebbe voluto comprendere prima il disagio della donna che continuava ad amare. Avrebbe voluto non domandarle alcun sacrificio. Sembrava troppo tardi per riavvolgere il nastro dei suoi sbagli.
 
Ciao, cari lettori e care lettrici!
Spero sia risultato credibile questo capitolo. È stato complesso scriverlo dal punto di vista narrativo, si sono incrociate tante ricerche su più fronti. Chiedo scusa nel caso qualche lettore più esperto di me riscontri imprecisioni, ho cercato di passare in rassegna le notizie più attendibili a riguardo.
Continuo a lasciare aperti molti interrogativi su Delilah e Nathan, ne sono consapevole, ma non è ancora giunto il momento opportuno per rivelarli.
Per le altre questioni, ammetto di aver sempre lasciato in bilico anche il rapporto tra Gwendoline e Alexander, di proposito non ho voluto sbilanciarmi troppo sul legame che li unisce, in questa occasione dovrebbe essere un po' più chiaro, ma conto di riprendere in mano il percorso che ha portato entrambi in Afghanistan e quindi anche quanto sono stati coinvolti nel loro rapporto. 
Su ciò che accadrà dovrei aver gettato qualche importante spunto e prevedo un po' di movimento nei prossimi capitoli. 
Vi ringrazio come sempre di cuore per continuare ad accompagnarmi in questo viaggio, siete l'anima di questa storia ♡
Spero a presto!
Un abbraccio 
-Vale
 
[1] Abito, solitamente di colore nero o blu, che copre sia la testa sia il corpo. All'altezza degli occhi può anche essere posta una retina che permette di vedere parzialmente senza scoprire gli occhi della donna.
[2] Il giornale di San Diego è un inserto del Los Angeles Times da febbraio 2018.
 




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