Gli Ultimi Maghi

di Zobeyde
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L’APPESO

 
 




Jim fu svegliato circa tre ore più tardi dai rumori provenienti dall’accampamento, già in attività dai primi barlumi del giorno.
Seccato e indolenzito, si raggomitolò tra le lenzuola e seppellì la testa sotto il cuscino; la sentiva pesante come un macigno, invasa da un groviglio sensazioni e immagini di uno dei sogni più strani che avesse mai fatto…
D’un tratto, il ricordo della notte appena trascorsa lo colpì come una palla di cannone e spalancò gli occhi. Si girò sulla schiena e rimase a fissare il soffitto di legno piegato a botte della sua cabina, mentre gli eventi del sogno si facevano più nitidi e si rendeva conto che non si era affatto trattato di un sogno.
Sono a New Orleans. Ieri notte, sono stato aggredito da due criminali. Mi hanno legato, picchiato e poi hanno cercato di affogarmi. Sono quasi morto.
La sensazione dei capelli ancora umidi sulla nuca, i segni della corda sui polsi e il bruciore della guancia ferita si intensificarono, gettandolo nuovamente nel panico.
Ma non sono morto. È arrivato un tizio, vestito come se fosse in ritardo per una serata di gala. Ha fatto esplodere una pistola e messo ko un gigante di cento chili solo guardandolo. Mi ha parlato di magia, vera magia. E mi ha proposto di diventare suo apprendista.
Jim sbatté le palpebre, mentre il senso di quelle ultime parole si imprimeva nella sua testa. Ho conosciuto un altro mago.
Per anni ci aveva sperato con tutte le forze di non essere l’unico, che esistessero altri veri maghi nascosti e in attesa di essere trovati, ma in nessuna compagnia che avevano incrociato esistevano persone in grado di fare quello che sapeva fare lui, neanche tra i Dimenticati, e tutti gli incantatori visti dal vivo si erano rivelati delle gigantesche delusioni. Certo, c’era stato Houdini: Joel King aveva accompagnato lui e Arthur a una delle sue ultime esibizioni pubbliche a Montreal, l’evasione dalla cassa di tortura cinese. Tra tutti i finti maghi, lui era il suo preferito, sebbene ciò che spacciava per magia non fosse che il frutto di una fenomenale preparazione fisica e vari escamotage.
Ma quel tizio dell’altra sera…cosa lo rendeva diverso?
Era buio pesto, ragionò tra sé. Ero terrorizzato e mezzo svenuto.
Senza contare che si era bevuto un quarto del Mississippi e che per quel che ne sapeva, poteva aver riportato una commozione celebrale.
Un impostore, ecco chi era Solomon Blake. Teatrale e con una buona parlantina, sicuramente. Il classico riccone annoiato, che si dilettava con l’occulto quando non era impegnato ad acquistare a prezzi stracciati proprietà in bancarotta.
Però mi ha salvato la vita.
Questo non poteva ignorarlo e non voleva neanche immaginare cosa sarebbe accaduto se non fosse intervenuto. Allungò la mano sulla mensola sopra il letto e toccò la superficie liscia del bigliettino che Blake gli aveva lasciato.
Lo ispezionò un’altra volta ancora.
Piantagione Winters. Blake aveva minacciato Donnie riferendosi a se stesso come al “Corvo Bianco” e facendo intendere di conoscere suo nonno. Si riferiva solo all’aver rilevato la sua proprietà, lasciandoli col culo per terra, o magari c’era un altro motivo per cui i Winters lo temevano? Che avesse a che fare con le sue capacità?
“Quello che ti sto offrendo va oltre il semplice controllo, aveva detto.Posso darti la possibilità di spingerti oltre i tuoi limiti, di sperimentare, raggiungere vette che non immagineresti. Posso darti il potere, non è quello che hai sempre voluto?”
Lo era davvero? Jim si agitò sotto le coperte, sempre più indispettito e, anche se non voleva ammetterlo, combattuto.
Ma poi, chi si credeva di essere quel Blake? Sbucava all’improvviso e si metteva a blaterare di certe cose come se conoscesse tutto di lui. In effetti sì, sapeva parecchio, magari si era trovato a passare da Avalon in New Jersey e qualche chiacchierone del posto gli aveva raccontato tutta la storia: “Tom Doherty? Me lo ricordo, come no! Possedeva una fattoria in fondo a quel viale alberato, proprio in cima alla collina. Ci viveva col figlio, James. Poi c’è stato quell’incendio…”
Il senso di irritazione di Jim si tramutò subito in malessere, mentre un’immagine, appesa tra il sogno e la veglia, riemergeva da quel luogo riservato ai ricordi più oscuri. L’immagine di un fienile in fiamme, l’odore soffocante del fumo, il rumore delle grida che riecheggiavano nel tardo pomeriggio…
Erano anni che non ripensava più a quel giorno. Dopo il suo ritrovamento, si era rifiutato di aprire bocca con chiunque nel circo per almeno tre mesi, al punto che tutti si erano convinti fosse muto. Crescendo era diventato il nipote e il cugino di tutti, ma se per caso gli si faceva qualche domanda a proposito della sua casa, dei suoi genitori, allora ammutoliva di colpo e tornava a essere il ragazzino schivo e taciturno di un tempo. Così, ormai nessuno provava più a indagare.
Ma quel Blake sapeva cosa era successo. Sapeva chi era davvero e cosa era in grado di fare.
“Tu pratichi vera magia, innata e irrequieta. Il che la rende potenzialmente pericolosa.”
Potenzialmente pericolosa…
Gli incidenti nel circo erano all’ordine del giorno. Si trattava di imprevisti, nessuno si era mai davvero fatto male... anche se la sera prima forse si era spinto un po’ troppo oltre con quei fulmini.
Ma in fondo, che spettacolo di magia sarebbe senza il fascino oscuro di un’autentica minaccia? Era ciò che la gente voleva, no? Brivido, imprevisto, suspense. Ed era quello che lui desiderava offrire quando era sul palco. Era un illusionista da circo e si era sempre limitato a questo. Ma avrebbe potuto essere qualcosa di più, volendolo…
Avrebbe potuto essere uno stregone. Potente, ricco e temuto: nessuno avrebbe osato fare il prepotente con lui; il denaro non sarebbe mai stato un problema e avrebbe messo in scena spettacoli leggendari. Senza contare che avrebbe tenuto alla larga gli Accalappiatori e sarebbe riuscito a ritrasformare Joel King con un semplice schiocco di dita…
Non era quello che aveva sempre voluto?
 

La tenda di Madame Margot era situata poco lontano dal tendone principale; quando Jim vi mise piede, quella mattina, si trovò immerso in un trionfo di tappeti ricamati e cuscini impregnati dell’odore della salvia.
L’indovina era seduta in poltrona con indosso una vestaglia di chintz a stampa floreale, i folti capelli neri raccolti in un foulard e un bocchino d’argento tra le dita affusolate.
«Santo cielo!» esclamò appena lo vide. «Tesoro, che hai fatto alla faccia?»
«Niente.» Jim si girò per nascondere i segni del pestaggio. «Sono inciampato.»
Margot posò la sigaretta in un posacenere a stelo, dopodiché si alzò per rovistare tra i suoi bauli. «Vieni qui alla luce.»
Jim avrebbe preferito sorvolare, ma andò ugualmente a sedersi su un pouf di velluto, mentre la donna assicurava i lembi della tenda per far entrare più luce naturale possibile.
«Mhm.» Gli prese il mento tra le dita per esaminare i danni. «Inciampi un po’ troppo spesso per i miei gusti. Dovrò chiedere ai ragazzi della sicurezza di accompagnarti quando te ne vai in giro.»
«Uh, avrò la mia scorta personale? Come le celebrità!»
«No, avrai delle tate. Come i bambini.» Margot sospirò. «Promettimi che farai attenzione: sei prezioso per tutti noi, Jimmy, molto più di quanto immagini.»
Da un piccolo scrigno estrasse un barattolo di vetro pieno di una sostanza oleosa e profumata; ne prese un po’ sul dito e lo passò delicatamente sulla sua guancia. Jim avvertì una sensazione di prurito e alzò istintivamente una mano per grattarsi, ma Margot gli diede un buffetto sul dorso. Trascorse forse un minuto e solo allora lei gli diede il permesso di toccarsi. Dolore e graffio erano spariti.
«Sai, dovresti iniziare a venderla quella roba» commentò Jim. «È miracolosa, faresti un affare.»
Margot ridacchiò. «Sono ricette tramandate dalle donne della mia famiglia da generazioni: la mia povera Baba si rivolterebbe nella tomba se sapesse che gli Americani ne hanno fatto un business.»
«Solo perché ai morti i soldi non servono» le fece notare Jim, ottenendo in cambio un sospiro divertito.
Margot mise via le sue pomate e gli offrì invece un vasetto pieno di lokum, che il ragazzo accettò senza farsi pregare.
Tra i membri della compagnia, la moglie del direttore era l'artista più misteriosa: colta e raffinata, aveva girato il mondo e conosceva ben sei lingue, ma parlava poco del suo passato. Tutti nel circo erano d'accordo che fosse una nomade dei Balcani, anche se ostentava l'accento solo con i clienti. Secondo alcuni usava un nome falso e altri ancora dicevano che fosse stata un tempo una donna molto potente; stando a Vanja Svanmör, un corteggiatore respinto aveva messo in giro la voce che praticasse magia nera, che fosse addirittura una spia: così si era data alla fuga attraverso l'Europa, finendo in Irlanda, ed era stato allora che il suo destino si era incrociato con quello di Maurice O'Malley, che l'aveva accompagnata negli Stati Uniti.
«Allora» disse, tornando a sedersi in poltrona. «Sbaglio o c’era qualcosa di cui volevi parlarmi?»
Jim si leccò le dita sporche di zucchero. «Ehm, sì, avrei bisogno di un consiglio.»
«Sono tutta orecchie.»
«Però non riguarda proprio me, è per un mio amico.»
Un lampo di divertita astuzia balenò negli occhi verdi di Margot. «E chi è?»
«Non credo tu lo conosca…comunque, questo mio amico ha incontrato una persona, che gli ha fatto una proposta un po’ strana…non quello che pensi!» si affrettò ad aggiungere, e lei ridacchiò di nuovo. «Si tratta di una specie di offerta. Il punto è che sembra troppo bella per essere vera, perciò, mi chiedevo…o meglio, lui si chiedeva, quale decisione dovrebbe prendere. Se accettare o rifiutare.»
L’indovina lo fissò per un momento, il volto posato sulle dita intrecciate. «In pratica, vuoi che legga il suo destino?»
«Di solito ci azzecchi.»
«Grazie. Mi lusinga che tu riponga tanta fiducia nelle mie doti.»
«Non intendevo…»
Ma Margot stava sorridendo. «Siediti qui, avanti.»
Mentre lui prendeva posto sullo sgabello di fronte al tavolino, l’indovina estrasse un involto di seta nero e lo srotolò con cura.
«Niente sfera di cristallo?» domandò Jim, osservandola mescolare il mazzo di tarocchi con gesti veloci e sicuri.
«Quella è solo uno specchio per le allodole, caro. Ma loro.» Margot posò il mazzo a faccia in giù e picchiettò l’unghia laccata di rosso sul dorso dell’ultima carta. «Loro non mentono mai. Taglialo in tre parti.»
Jim eseguì.
«Visto che il tuo misterioso amico ha deciso di mandarti avanti al suo posto» proseguì Margot, col tono di chi ha deciso di stare al gioco. «Subirà le conseguenze delle scelte che farai in sua vece. Te la senti?»
«Ehm, sì.»
«Ottimo. Quale mazzetto scegli?»
Il ragazzo indicò quello al centro – gli sembrava il più ordinato – e l’indovina riunì le carte tenendolo in cima. Infine, dispose una dozzina di tarocchi sul tavolo seguendo uno schema preciso.
«Mhmm.» L’espressione di Margot si fece concentrata. «Interessante.»
Anche Jim osservò le carte. I bordi screpolati e le figure sbiadite indicavano quanto fossero vecchie, molto più di Margot. Ma un tempo dovevano essere state delle autentiche opere d’arte, dipinte a mano in uno stile che ricordava le illustrazioni sui libri di fiabe.  Tra coppe, spade e figure umane, riconobbe Le Bateleur[1], proprio al centro della configurazione.
«Questo sono io!»
La carta raffigurava un uomo con indosso una tunica bianca e rossa, che indicava il cielo con la bacchetta nella sua mano destra e la terra con la sinistra.
«Ne sei sicuro?» inquisì Margot, con voce asciutta.
Jim sollevò gli occhi dalle carte, ma nell’espressione della donna non riuscì a leggere nulla. Il suo sorriso però era scomparso.
«Non lo so. Ma è una buona carta, no?»
«Non esistono buone carte e cattive carte. Gli Arcani sono linee guida, ma possono assumere significati diversi a seconda delle relazioni che intrecciano tra loro». Tacque alcuni secondi, continuando a fissarlo. «Lo straniero che hai conosciuto ti ha promesso qualcosa che tu desideri da tempo, ma di cui allo stesso tempo hai paura. Non sai se fidarti di lui, ma non sai neanche se puoi fidarti di te stesso, per via di qualcosa accaduto molto tempo fa.»
Jim quasi saltò sullo sgabello. «Caspita, sei forte.»
«Il Giudizio indica che c’è un evento nel tuo passato che ti tormenta» spiegò Margot. «Leggo rabbia, ma anche rimorso.» Un’altra pausa. «Ma il tuo futuro è…sospeso.»
«In che senso?»
«C’è una sorta di biforcazione. Forze opposte si scontrano per ottenere qualcosa.» L’unghia rossa della donna seguì una linea invisibile, che collegava una schiera di figure: la Regina di Denari, il Re di Spade, e poi…
«L’Appeso.» Lo disse sottovoce, come rivolta a se stessa. «Indica l’incapacità di decidere. La sensazione di essere legati a troppe cose contemporaneamente. Oppure, qualcosa che è stato trattenuto troppo a lungo.»
La fronte di Margot si increspò sempre di più mentre proseguiva la lettura; allargò le carte sul tavolo, tornò a riesaminare quelle già viste.
«L’Appeso si sovrappone al Matto, il furore giovanile, l’inesperienza…ma per fortuna è seguito dal Fante di Bastoni: perciò affronterai un viaggio turbolento, ma avrai qualcuno al tuo fianco che ti sosterrà. Oh, vedo anche un Due di Coppe, la nascita di un legame. Forse un amore…»
Jim s’illuminò. «Bene!»
«…ma poi c’è una sequenza di Spade: quindi, uno dei due soffrirà.»
Il sorriso del ragazzo sfumò in una smorfia. «Come non detto.»
«Qualcuno ti sta ingannando» proseguì Margot, accigliata. «Il Mago e il Diavolo… in qualche modo influenzano l’Appeso. Non sarà facile scoprire dove si nasconde la verità. Ma non è finita qui.»
Indicò una carta che raffigurava una torre colpita da un fulmine; due personaggi, di cui uno incoronato, precipitavano urlando.
«La Maison Dieu[2]: presagio funesto. Un cambiamento improvviso, violento. Qualcosa che si pensava fosse sicuro e invece presto crollerà.» Infine, Margot fissò intensamente l’ultima carta, posizionata proprio davanti a Jim: uno scheletro che brandiva una falce. Non aveva nome.
I loro sguardi si incontrarono sopra la configurazione.
«Be’, se gliela pongo così al mio amico verrà un mezzo infarto.»
L’indovina si adagiò contro lo schienale della poltrona con un sospiro stanco, massaggiandosi la tempia.
«È stata una lettura intensa» spiegò, di fronte allo stupore di Jim. Finalmente, tornò a rivolgergli uno dei suoi sorrisi familiari. «Ma questo genere di letture impegnative sono anche quelle che preferisco.»
«Io non ci ho capito molto» confessò il ragazzo, grattandosi la testa. «Insomma, il mio amico deve accettare o no l’offerta?»
«Le carte parlano di un viaggio.» Margot si strinse nelle spalle. «In cui qualcuno ti accompagnerà, ma non posso dire se migliorerà la tua vita …o quella del tuo amico. In ogni caso, presto accadrà qualcosa che cambierà il tuo destino e quello delle persone a cui sei legato: meglio farsi trovare pronti.»
Jim annuì, sforzandosi di nascondere la sua delusione. Non sapeva bene cosa aspettarsi, ma sperava in qualcosa di un po’ meno vago. Certo, parlare chiaro non era mai stata la specialità di Margot e di solito lo divertiva l’espressione un po’ angosciata che avevano i clienti che lasciavano la sua tenda. La stessa che, probabilmente, aveva lui in quel momento.
Non che ci credesse sul serio a certe cose, né si riteneva particolarmente superstizioso…ok, magari evitava di passare sotto una scala o di rovesciare il sale a tavola, ma non lo facevano forse tutti?
«D’accordo» disse, alzandosi. «Ehm, riferirò al mio amico quello che hai detto. Senza tralasciare la parte sulla sofferenza, la morte e la distruzione, ovvio. Quella gli piacerà.»
Margot sorrise con fare enigmatico. «Confido che il tuo amico saprà fare la scelta giusta.»
«Come fai a dirlo?»
«Il Mago.» Margot poggiò l’indice sull’Arcano interessato. «È colui che indaga i grandi misteri dell’universo: chi possiede una conoscenza tale non si lascia ingannare facilmente dalle apparenze.»
L’indovina intrecciò nuovamente le dita e vi poggiò sopra il mento, osservando divertita l’espressione confusa di Jim.
«Perciò, se davvero ritieni che il Mago sia la sua carta buona, non avrà nulla da temere.»


Il taxi ci impiegò più di venti minuti ad arrivare. Jim lo aspettò davanti all’ufficio postale da cui aveva effettuato la telefonata, percorrendo il marciapiede avanti e indietro con le mani in tasca, in lotta tra l’impazienza e la tentazione di tornarsene all’accampamento e non pensarci mai più.
Alla fine, il taxi arrivò e Jim porse all’autista il biglietto ricevuto da Blake, augurandosi che la storia della corsa già pagata non fosse un bluff.
Il tassista mise in moto senza fare domande e prese subito una strada che conduceva fuori città; superarono una landa desolata di binari arrugginiti e fabbriche, dopodiché il paesaggio urbano sfumò nell’indistinta orizzontale delle campagne. Seduto sui sedili posteriori, Jim guardò oltre il finestrino le assolate coltivazioni e i gruppetti di corvi neri appollaiati sui fili del telegrafo e sentì che qualsiasi scrupolo, esitazione o dubbio lo avevano abbandonato gli uni dopo gli altri come orpelli inutili.
L’auto intanto abbandonò la via maestra, per immergersi nell’ombra di un rigoglioso bosco di platani. Una manciata di minuti dopo, frenò davanti a una cancellata in ferro battuto.
«Siamo arrivati, ragazzo» lo informò il tassista. «Tornerò a prenderti fra un paio d’ore.»
Jim scese dal taxi col naso per aria. La monumentale insegna “Winters Plantation”, che torreggiava sulla cimasa, era ormai arrugginita e la W si era staccata.
Si fermò di fronte al cancello, intontito dall’afa e dal tenace frinire delle cicale, ma non sapeva come annunciare il suo arrivo. C’era un campanello, da qualche parte? Oppure doveva mettersi a gridare…?
Non ebbe bisogno di pensarci ulteriormente, perché il cancello si schiuse da solo, emettendo un mesto cigolio. Di fronte a lui, adesso si apriva un lungo viale fiancheggiato da querce maestose.
E così, l’ignara vittima varcò la soglia della casa infestata, pensò trattenendo un brivido. Non cominciavano così tutti i racconti dell’orrore che aveva letto?
Il che, però, solitamente avveniva durante notti buie e tempestose, e non nella piena luce di un languido pomeriggio d’estate. E poi, quanti protagonisti di storie dell’orrore erano pure dei maghi?
Jim prese un respiro profondo, dopodiché, avanzò verso l’ignoto.


https://www.youtube.com/watch?v=4-43lLKaqBQ&ab_channel=TheAnimalsTributeChannel
 

[1] Le Bateleur: Il Mago, prima carta degli arcani maggiori dei tarocchi.
[2] La Maison Dieu : La Torre, è la sedicesima carta degli arcani maggiori dei tarocchi; è conosciuta anche come Il Fulmine.




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