La chiave dei sogni

di Steelwolf1998
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Capitolo 3: La litigata storica parte 2
 
POV Alice
 
Il giorno prima,
“Mamma io vado”
“Ok. Ci vediamo più tardi”
“Ma’ dove va?” sentii mia sorella chiedere a mia madre
“Va da degli amici, se non ho capito male” mentì lei
Non capivo perché almeno non poteva saperlo, insomma fa parte della famiglia anche lei e non mi pareva giusto nasconderle la verità, papà lo sapeva e non si faceva problemi.
Scesi le scale e mi chiusi la porta d’entrata alle spalle, girando l’angolo andai dietro casa, dove c’erano solo macchine parcheggiate e nient’altro, sfiorai la chiave appesa al collo e questa si illuminò staccandosi e andandosi a poggiare sulla mano che tenevo aperta.
Era passato un anno in questo mondo, mentre nell’altro ne erano trascorsi addirittura tre e con il passare del tempo mi accorsi di star crescendo. Ma non fisicamente, no, quello che intendo è che i miei poteri crescevano di giorno in giorno man mano che conquistavo terreno o sconfiggevo qualche nemico, per non parlare del mio titolo da regina, da che ho iniziato a governare ho dovuto venire a conoscenza delle condizioni del mio popolo, ho scoperto di altri regni in guerra con il nostro da ormai secoli, solo per aggiudicarsi un po’ di potere in più, ho imparato la pazienza e la saggezza che una buona regina deve avere per prendere delle decisioni anche nei momenti più critici.
Iniziai a studiare la storia di come fù fondato, delle regine precedenti, ma soprattutto, mi spiegarono la storia della fontana più antica dell’intero regno.
Quella fontana si dice abbia 1991 anni e che la regina Dalia, colei che diede vita al regno, la fece costruire come amuleto per amplificare i poteri delle future regine, ma nessuno sa più la verità oramai.
Avvicinai la chiave al muro e dal nulla comparve una piccola serratura, infilai la chiave e apparve la porta, estrassi la chiave ed entrai. I miei vestiti cominciarono a cambiare, ogni volta che entravo un abito nuovo si creava, quel giorno comparve un abito lungo color pesca con corsetto a cuore e la gonna in tulle, dietro la schiena un fiocco con i lembi finali talmente lunghi da farmi da strascico, era magnifico.
Arrivata alla sala del trono vidi subito che qualcosa non andava.
Le guardie erano tutte armate fino ai denti, i consiglieri riuniti al centro del grande salone sembravano in panico mentre dalla finestra si vedeva un cielo plumbeo di nubi e…. FUMO?
“Primo ministro cosa sta succedendo?” chiesi allarmata avvicinandomi a loro facendo riecheggiare i tacchi, non appena si accorsero della mia presenza si zittirono di colpo e me fecero un inchino
“Vedete , vostra maestà, il regno di Artless ci ha attaccato da nord-ovest” rispose lui
“E quale sarebbe il problema? Abbiamo già sventato attacchi del genere”
“Vero, vostra Altezza, però stavolta hanno usato delle armi incantate da magia nera. I nostri soldati hanno provato in tutti i modi di contrastarli, ma senza molto successo” rispose un altro
“Che ne è stato dei feriti? E i cittadini?” chiesi preoccupata per le sorti del mio popolo
“Siamo riusciti ad evacuare la città prima dell’attacco. Mentre i feriti sono stati portati nelle stanze adiacenti al castello”
Pensai un attimo sul da farsi per risolvere la situazione e decisi che era giunto il momento di mettere in pratica le lezioni di scherma a cui mi sono sottoposta dopo l’incoronazione. Insomma non volevo di certo stare seduta mentre vedevo la gente stare male o morire, no, io avrei combattuto con loro, ma soprattutto per loro.
Schioccai le dita e una luce mi avvolse facendomi cambiare d’abito. Feci apparire un armatura composta di pantaloni con rinforzo per le gambe, un bustino che copriva le spalle e gli avambracci, una cintura con una spada sul fianco nel suo apposito fodero, la maglia ed i pantaloni al di sotto dell’armatura avevano i colori del regno, un porpora screziato con sfumature bianche, e per finire in bellezza una cappa con il simbolo della dalia a rappresentare il regno. I capelli mi si raccolsero in una coda alta e la tiara lasciò il posto ad un elmo non intero, ma che copriva la parte alta della testa.
“Vostra maestà non potete andare la fuori è un inferno”
“Non rimarrò nascosta a vedere il mio regno bruciare” detto questo mi girai e andando verso il portone e lo aprì. L’odore pungente del fumo mi fece storcere il naso ed il fuoco che lambiva le case si mischiava con i colori del tramonto creando delle sfumature che davano davvero la parvenza di essere negli inferi.
Iniziai a correre sguainando la spada e fendendo colpi ai nemici che si trovavano sul mio cammino. Vi starete chiedendo perché non usai i poteri, bhe semplice non potevo ancora. La capacità di combattere utilizzando la mia forza magica la imparai ad usare più tardi per questo chiesi che mi venisse insegnata l’arte della spada, per poter aiutare seppure poco.
Abbattei altri nemici mentre mi dirigevo verso il loro comandante e condottiero, re Bora, il quale avevo visto trovarsi nella piazza cittadina.
Arrivai e lo vidi che girava in torno alla fontana con fare incuriosito, cercò di toccarla ma questa gli diede una forte scarica elettrica che lo mandò riverso al tappeto con una velocità spaventosa, però dopo un attimo di stordimento si rialzò e con la spada in mano, verso la fontana, lo vidi sogghignare
“Vediamo ora se fai tanto la spiritosa” disse lui prima di abbassare le braccia
Presi coraggio e, correndo nella sua direzione, mi parai davanti alla fontana in posizione di difesa parando il colpo col la spada.
“Oh.. ma guarda un po’ chi abbiamo qui. La regina in persona è venuta a salutarci” disse divertito
Misi forza sull’elsa della spada e lo allontanai dalla fontana e da me
“Che scortesia potresti anche salutare, insomma oramai sono due anni che ci conosciamo” continuò lui, non notando alcun tipo di reazione da parte mia
“Bene come vuoi, vorrà dire che sentirò la tua voce quando urlerai agonizzante” rivelò scagliandosi contro di me, io feci lo stesso e le nostre spade si contrarono.
Non ero abbastanza brava per riuscire a contrastarlo, per non parlare del fatto che lui aveva più muscoli di me, era più grande di cinque anni ed  essendo nato qui era stato cresciuto in un modo completamente differente dal mio, però io non demorsi.
Purtroppo, però, la lealtà è qualcosa che di quei tempi, soprattutto in un mondo di quel genere, pochi possedevano e lui non faceva parte di quel gruppo ristretto di persone.
Mi colpì al fianco destro con un pugnale, io di rimando però lo colpii con l’elsa della spada nel plesso solare facendolo allontanare da me e accasciare a terra in cerca d’aria. Mi inginocchiai tenendomi la mano libera sul fianco malridotto sentendo il pugnale ancora lì. Decisi di lasciarlo stare per il momento e cogliere al volo l’occasione che avevo d’avanti.
Bora stava a pochi metri da me a terra con le braccia attorno al busto cercando di prendere dei respiri profondi, mi alzai e arrivatagli vicino, con le lacrime agli occhi, lo trapassai da parte a parte con la spada. La estrassi e lo sentii tossire e sputare sangue mentre cercò di parlare per l’ultima volta
“Complimenti… maestà… non pensavo… che una ragazzina… potesse battermi…” continuando a parlare tra un respiro e l’altro, continuò con un ghigno spaventoso sul volto
“Ricordati… morto un re… se ne fa un altro…” finì di dire iniziando a ridacchiare per poi spegnersi lì, di fronte a me, con gli occhi che, mano a mani perdevano luminosità lasciando uno sguardo spento su un viso pallido e inanimato.
Solo in quel momento mi permisi di cadere in ginocchio e togliermi il pugnale ancora nel mio fianco per poi gettarlo lontano, il dolore aumentò e la testa cominciò a girarmi. Iniziai a vedere doppio, scivolai a terra oramai priva di forse, due braccia mi afferrarono e mi portarono di nuovo al castello.
I soldati nemici si arresero avendo perso il loro condottiero e fatti prigionieri dai miei, gli venne data loro una scelta, siccome erano cittadini come tutti, gli vennero proposte due opzioni, la via della redenzione o quella della purificazione.
Non vi spiegherò in dettaglio cosa successe vi basti sapere che molti di loro scelsero la purificazione e non videro mai più la luce, mentre per quelli che scelsero la redenzione gli fù concesso di trasferire l’intera famiglia nel regno di Dalia e di riscattare il proprio ‘debito’ lavorando nei campi.
Dopo un ora di medicazione finalmente fui lasciata libera di rialzarmi da letto, però il fianco doleva da morire. Decisi che per quel giorno ero troppo stanca per andare avanti perciò tornai nel mio mondo sperando che una bella tachipirina mi aiutasse a far passare il dolore.
Il problema fù far vedere a mia madre la ferita e spiegarle che fondamentalmente stavo bene, ma lei volle a tutti i costi portarmi in ospedale a controllare le condizioni. I medici mi fecero una TAC e videro che ‘il pezzo di vetro’ non aveva fatto danni se non lacerare la pelle e qualche vaso sanguigno superficiale, ma per il resto stavo bene. Mi sistemarono la fasciatura dopo aver messo i punti alla ferita e mi diedero un antidolorifico per sopportare il tutto.
“Alice, sei sicura che domani vuoi andare comunque?”
“Si mamma, stai tranquilla ok? Sto bene, te lo giuro” provai a convincerla con scarsi risultati. Dopo poco sospirò facendo un segno di negazione con la testa e disse
“D’accordo, mi fido di te. Però se domani a scuola dovessi sentirti anche solo un giramento di testa chiamai subito che vengo a prenderti. È chiaro?”
“Cristallino” tornate a casa  preparai vestiti e cartella per il giorno dopo e andai a farmi una bella dormita, però così non fù. Nei sogni continuava a comparirmi il volto di Bora pallido con occhi totalmente neri e del sangue a colare al posto delle lacrime, continuando ad urlarmi ‘mosto’ oppure ‘assassina’. Quella notte dormii da schifo.
 
Mi svegliai di soprassalto sentendo subito un dolore intenso al fianco, mi alzai e mi preparai per andare a prendere l’autobus.
Erano le 7.45 quando arrivai davanti a scuola, siccome non ero proprio in vena di chiacchiere mi diressi subito verso la mia classe salutando di tanto in tanto i vari ragazzi che conoscevo.
Appena arrivai davanti alla porta dell’aula, che si trovava a destra dell’agorà, lasciai lo zaino scivolarmi dalla spalla e posandolo a terra mi ci sedetti di fianco sospirando per la piccola fitta di dolore -in teoria l’antidolorifico dovrebbe aver già fatto effetto- pensai sbuffando
“Aleeeeeee….” Una voce urlò dal lato opposto all’agorà. Osservai Sara corrermi incontro tutta agitata facendo voltare molti dei ragazzi che stavano stazionando davanti alle varie aule aspettando l’apertura di quest’ultime.
“Non puoi neanche immaginare cosa mi è successo ieri pomeriggio” disse tutta eccitata saltellando sul posto
“Ciao Teso, fammi indovinare, ti ha scritto il ragazzo che ti piace?” chiesi io curiosa
“No, purtroppo. Però è meglio, fidati”
“Cosa? Dai dimmelo lo sai che non sopporto le sorprese”
“OK-ok. Sono venuta a sapere che faranno un'altra stagione di teen wolf” mi rivelò infine facendo un urletto eccitato.
Presa dalla foga mi alzai di slancio e l’abbracciai, però quel movimento si rivelò essere altamente doloroso, respirai un paio di volte per cercare di calmare la fitta pulsare che sentivo, quando mi staccai da Sara cercai di avere l’espressione più normale possibile
“Hey Ale stai bene?” con scarsi risultati a quanto pare.
“Si si, tranquilla. È solo che stanotte non ho dormito molto bene” dissi su due piedi
Suonò la campanella e arrivò il professore ad aprirci la classe, aspettò che tutti fossimo entrati, fece l’appello e, una volta terminato, iniziò a spiegare le proprietà invariantive dei radicali.
Era passata circa un ora e mezza quando un foglio di carta atterrò sul mio banco, non mi servì girarmi per sapere da chi proveniva, ne avevo bisogno di leggerlo, il mio umore era già abbastanza nero senza che lui ci si mettesse del suo.
-qualcuno mi ricordi perché ho deciso di venire oggi a scuola- mi chiesi tra me e me massaggiandomi le tempie per far passare un principio di mal di testa che sarebbe arrivato da lì a poco.
Osservai infastidita il foglietto e, controllando che il professore fosse girato a spiegare, lo lanciai verso il cestino facendo canestro. Sara, che aveva visto tutta la scena, dall’arrivo all’andata del bigliettino, soffocò una piccola risata nascondendo il volto tra le braccia sul banco mentre dietro sentivo degli insulti poco velati verso di me per averlo ignorato. A quel punto fui io a nascondere una risata schiarendomi la voce piano così che il professore non mi sentisse.
Finite le due ore suonò il primo intervallo, io fui una delle ultime ad uscire insieme a Sara e venimmo subito agguantate dal nostro solito gruppo di amiche e amici, ci fermammo a parlare nel centro dell’agorà come praticamente facevamo tutti i gironi. Mi piaceva stare a chiacchierare con loro, rendevano la mia vita normale, o almeno questa parte di vita. Per tutta la durata dell’intervallo restammo li, ogni tanto arrivavano altri ragazzi che conoscevo a salutarmi o a raccontarmi delle novità della quale magari non ero a conoscenza. Quando ad un tratto Marco, il mio miglior amico dai tempi delle medie, arrivò dal dietro abbracciandomi. Effusioni del genere non erano delle rarità per me, ero io la prima che dispensava abbracci come se non ci fosse un domani, mi girai tra le sue braccia e ricambiai l’abbraccio, però quando sentii che la stretta di Marco si fece più serrata attorno alla vita facendomi ripartire il dolore al fianco decisi di allontanarmi di poco e continuando a chiacchierare come se niente fosse. Però faceva male, dio solo sa quanto.
Forse per il dolore, forse il casino che si era formato nella struttura o forse semplicemente la stanchezza, il mal di testa tornò a tamburellarmi le tempie, chiusi un attimo gli occhi e scossi la testa cercando di farmelo passare con scarsi risultati, anzi peggiorai solo la situazione, riaprendo gli occhi iniziai a vedere sfocato. Sentii come se tutta la stanchezza della battaglia del giorno prima, mi avesse colpito in quel momento, il suono della campanella mi fece spaventare e preso il braccio di Sara per restare in piedi, passandolo come gesto affettuoso, salutammo il gruppo e ci dirigemmo verso la nostra classe sperando di poter entrare subito per poter appoggiare la testa sul banco e domare quel senso di stordimento che mi aveva preso, peccato che così non fù.
Filippo stava appoggiato allo stipite della porta bloccandomi il passaggio rivolto verso i suoi amici
“Potresti per cortesia spostarti dalla porta?” chiesi con tutta la calma che avevo, che al momento era veramente poca, staccandomi dal braccio di Sara avendo ritrovato un minimo di equilibrio.
“Oo…Guarda chi si rivede. La nanetta con la sua amica” disse lui girandosi col busto per avermi di fronte. Sul volto un ghigno di sfida -dio quanto vorrei prendere a schiaffi quella faccia da idiota che si ritrova-
La pazienza era finita, ve lo avevo detto che era poca e quella fù la goccia che fece traboccare completamente il vaso, ero stanca del suo atteggiamento perciò decisi di dargli un avvertimento prima di fare qualcosa di più incisivo, visto che le mie mani fremevano per la voglia di essere alzate.
“Sottospecie di babbuino mal riuscito spostati o giuro che domani non riuscirai neanche a sederti”
Immaginate cosa fece lui? Iniziò a ridere, lì non ci vidi più.
Lo presi per la maglietta misi una gamba dietro il suo ginocchio destro e gli feci perdere l’equilibrio facendolo ricadere con la faccia a terra, mi sedetti sulla sua schiena tenendogli fermi i polsi dietro di essa e tra i denti dissi
“Ascoltami molto attentamente, perché lo dirò una volta soltanto, quando una persona ti chiede se per favore puoi spostarti sarebbe meglio farlo, prima di farti male seriamente. Per oggi ci vado leggera solo perché l’insegnante è già in classe, ma la prossima volta giuro che non sarò così magnanima”
Lo lasciai andare e girandomi mi diressi verso il mio banco, il problema fù il professore che avendo assistito a tutta la scena mi chiamò alla cattedra per farmi una ramanzina con i fiocchi.
“Come devo fare con voi due?” disse esasperato
“Lo so prof e mi dispiace un sacco, ma oggi proprio non era la giornata giusta per stare ai suoi giochetti, ho agito senza pensare”
“Sarà meglio che non succeda più anche perché varrebbe a dire espulsione e non credo sia quello che vuoi” disse con un tono di voce molto calmo e comprensivo voltandosi verso Filippo, che era rientrato in classe, dicendogli “Mancini vieni qui”
“Vai a posto De Rosa e che non si ripeta più. E ricordati che nell’secondo intervallo dorai rimanere in classe. Anche tu Mancini”
“Si, prof mi scusi”
“Non è a me che devi chiedere scusa”
“Sa bene che non glielo dirò mai” risposi io tirando una fulminata nella direzione di Filippo e andandomene al mio posto. Non ascoltai una sola parola di quello che si dissero Filippo e il professore, sentii soltanto in ‘Fil’ urlato da Sara accanto a me e un leggero sghignazzare.
Senza alcun motivo a me chiaro calde lacrime iniziarono a scendermi sul volto, dei piccoli tremiti, che collegai al freddo, si fecero strada sulle mie braccia. Presi dei respiri profondi e cercai di concentrarmi sulla lezione di storia, invano.
Finite le due ore appoggiai di nuovo la testa sul banco nascosta tra le braccia, contenta di poter stare da sola con i miei pensieri per un po’.
“Ale, io vado a prendere qualcosa da mangiare, vuoi delle caramelle o qualcos’altro?” mi chiese Sara. Quanto adoravo quella ragazza, era dolce e generosa, ma al tempo stesso sapeva essere spietata all’invero simile.
“No, Teso grazie sto bene così” dissi tranquilla senza alzare la testa, la sentii andare via e feci un sospiro di sollievo. Si è vero la adoro ma a volte mi piace stare per i fatti miei.
Ero così assorta nei miei pensieri che non sentii Filippo che mi stava chiamando, me ne accorsi solo quando sbatté le mani sul banco.
“Quando una persona ti parla sarebbe educato rispondere”
“Non se la persona che ti sta rivolgendo la parola è sgradita” risposi, senza muovere un muscolo, non sapendo neanche quale domanda mi avesse fatto
Non so perché lo fece ma mi afferrò all’avambraccio destro e mi strattonò tirandomi in piedi. Il problema fù che quel movimento, così brusco ed improvviso, mi fece pulsare la ferita con ancora più fervore di quanto già non facesse.
Una smorfia di doloro mi si dipinse sul viso involontariamente, sentii la sua mano staccarsi dal mio braccio e io finalmente libera portai entrambe le mani sul fianco premendo sperando di chetare quel pulsare incessante.
“Che ti sei fatta?” mi chiese -ma i cavoli suoi non sa farseli questo qui?-
“Non sono affari tuoi” risposi stizzita prendendo un respiro profondo e aspettando qualche secondo che il dolore si calmasse il minimo indispensabile per farmi arrivare in segreteria. Non mi importava se dopo avrei subito una doppia punizione per essere uscita dall’aula senza permesso, e neanche la miriade di domande che mi avrebbero posto sul perché volessi andare a casa.
Mi incamminai, sorpassandolo, verso la porta, però il mio corpo decise in maniera diversa.
La testa tornò a farmi male sentivo il cuore rimbombarmi nelle orecchie con un ritmo incessante e in aumento, la vista mi si appannò e in un attimo vidi il pavimento farsi sempre più vicino.
Chiusi gli occhi aspettandomi un impatto che però no arrivò mai, due calde braccia mi stavano sorreggendo, piano mi fecero girare e appoggiare alle sue ginocchia tenendomi un braccio dietro la schiena con fare protettivo.
Il dolore al fianco tornò a farsi sentire sempre più intensamente, non so se per panico o altro ma il mio cuore accelerò e così anche il respiro, avevo gli occhi chiuso e per cercare di riprendere il controllo del mio corpo, che al momento era veramente minimo, corrugai la fronte e mi concentrai su me stessa eliminando completamente l’esterno.
Se non fosse stato per Filippo che con tono preoccupato mi chiese
“Hey stai bene?”
“Lasciami stare. Starò bene. Devo solo riposare” risposi tra un respiro e l’altro, alzando il braccio cercando di allontanarlo, ma con il solo risultato di appoggiare la mia mano sul suo petto.
Sentivo la pelle liscia e il battito del cuore, che aumentava piano, attraverso la maglietta. Inconsciamente strinsi la mano a pugno stringendo quel lembo di indumento e piano aprii gli occhi osservandolo.
Stava osservando la mia mano, alzò lentamente lo sguardo verso il mio volto e in quell’istante i nostri occhi si incrociarono, quelle due pozze verdi ispiravano un tranquillità che non avrei mai pensato di vedere, ed è starno pensando alla persona di cui stiamo parlando, mi tuffai un quelle iridi così cariche di emozioni, a tal punto che una lacrima solitaria scese sulla mia guancia subito asciugata dalla mano di Filippo, mentre sentivo che le gote mi si porporavano di rosso per l’imbarazzo.
Lo osservai attentamente, non mi era mai capitato di vederlo da così vicino. Presi nota del più piccolo dettaglio del suo viso, soffermandomi un po’ di più sulle sue labbra, ora semi aperte, dall’aria così morbida e saporita.
Lo vidi avvicinarsi piano mentre osservava le mie labbra come se le volesse divorare, e parlando seriamente, lo volevo anche io. Il problema fù che la campanella suonò proprio quando mancavano pochi centimetri. Risvegliatomi da quella specie di trance mi accorsi di aver ripreso il pieno controllo del mio corpo, l’aprirsi della porta lo fece tornare con il busto dritto ma non si alzò, così decisi che mi sarei alzata per prima io, per togliere un po’ di imbarazzo da quella situazione e per riappropriarmi di qualche centimetro di spazio personale.
Il mio corpo la pensò diversamente però, fare anche solo lo sforzo di tirare su il busto mi provocò una’altra fitta mostruosa al fianco e di riflesso staccai la mano dalla maglietta di Filippo per portarla all’altezza della ferita, notai la sua faccia quasi delusa quando feci quel gesto.
“Ma che diavolo è successo qui?” chiese il professore inginocchiandosi di fonte a noi
“Dimmi Alice ti ha picchiata? Spinta? O molestata in qualche modo?” continuò lui
“Professore la prego si calmi. Ho solo avuto un capogiro e Filippo mi ha preso al volo prima che mi facessi male seriamente. Tutto qui” risposi con il tono più calmo che avevo nel repertorio
“Grazie Filippo. Ora sto bene” mi voltai verso di lui con un sorriso sulle labbra che tentai di farlo passare per vero, cosa che, notando la sua faccia, non aveva funzionato.
Riprovai ad alzarmi ma Filippo serrò la stretta sulla spalla sinistra facendo in modo che non potessi assolutamente muovermi
“Resta giù ti porto in infermeria” disse con un tono di voce incalzante, uno di quei toni che non permettono alcun tipo di risposta
“No Filip, lascia fare a me” disse un nostro compagno di classe che spesso me lo ritrovavo dietro le spalle, come se fosse la mia guardia del corpo.
“No!” disse lui, alzando la voce facendola quasi tuonare, sistemò meglio il braccio dietro la schiena e posizionò l’altro dietro le ginocchia ci tirò su tutti e due senza fare alcuno sforzo.
Non so perché lo feci però mi mancava il contatto con il suo petto, perciò riallungai la mano e
riafferrai l’indumento sentendo di nuovo il calore emanato da Filippo e il battito ritmico del suo cuore, sembrava una sinfonia di archi diretta da dal miglior maestro del mondo.
Ero incantata da quel suono che non mi accorsi di essere stata portata in infermeria e posizionata sul lettino. Me ne resi conto solo quando sentii qualcuno appoggiare la propria mano sulla mia, non so dirvi perché lo feci ma lasciai l’indumento e intrecciai le dite con quella mano, che dava tanta sicurezza.
Non sentivo niente in torno a me, solo il calore che mi irradiava la mano stretta alla mia mi faceva capire che ero sveglia e non in qualche mio strano incubo, ad un tratto sentii una voce dire qualcosa che non capii, così decisi di aprire gli occhi per vedere chi fosse, rimasi di stucco vedendo che Filippo era seduto sulla sedia in parte al lettino, lo sguardo verso il basso, una mano tra i capelli e l’altra… l’altra era intrecciata alla mia e non dava l’impressione di volersi staccare tanto presto
“Cosa mi stai facendo, eh nanetta?” disse più a se stesso che a me
“Semmai dovrei essere io a chiederlo a te, Fil” risposi sincera, non avevo mai provato qualcosa di questo tipo, non saprei neanche come definirlo. Alzò lo sguardo da prima sconvolto -penso non si aspettasse una risposta-, poco dopo mutò espressione e un timido sorriso aleggiò sulle sue labbra mentre i suoi occhi davano l’impressione di brillare mentre osservava i miei
“Rieccola”
“Che cosa?”
“La luce nei tuoi occhi” non ci stavo capendo niente, dov’era finito il Filippo che conoscevo io? Quello che appena poteva faceva in modo e maniera di scatenare una guerra. Sembrava completamente eclissato e quello che ho davanti non mi dispiace affatto.
Alzò la mano libera e mi sfiorò di nuovo il volto, mentre piano si avvicinò, ma stavolta non puntò alle labbra,cosa che un po’ mi deluse, il gesto che fece, però, rese la situazione ancora più romantica. appoggiò la sua fronte sulla mia e chiuse gli occhi, io feci lo stesso volendo di più da quel contatto, con la mano ancora sulla mia guancia iniziò a darmi leggere carezze su quest’ultima.
“Allora ci avevo visto giusto” quel commento ci riportò subito alla realtà così velocemente da lascarci senza parole per un attimo.
“Non so di cosa stia parlando prof” Filippo si riprese prima e rispose al professore con voce incerta
“Andiamo mi avete preso per un vecchio rimbambito?” disse questa frase mentre osservava, con un sopracciglio alzato, qualcosa che non capii, seguii il suo sguardo e notai le nostre mani ancora intrecciate tra loro, involontariamente il mio sguardo tornò sul suo viso, i nostri occhi si agganciarono di nuovo facendomi provare un turbine di emozioni che non credevo possibile.
“Ehm… preferite che ripassi più tardi?” chiese con un piccolo colpo di tosse, distolsi lo sguardo da quelle pozze verdi, mentre lui rispose
“N-no, Scusi. Torno in classe”
Sentii stranamente freddo dopo che se ne fù andato, non ne capii il motivo però le sensazioni che avevo provato solo standogli vicino erano state fantastiche.
“Alice sei sicura che va tutto bene?” chiese il professore ancora preoccupato per me
“oh, si! Non si preoccupi. Ora che ho riposato sto molto meglio. Mi spiace averla fatta preoccupare”
“È vero, ero preoccupato. Però, avevo notato il modo in cuoi Filippo ti teneva in braccio, ero sicuro che saresti stata bene li dove ti trovavi, nonostante tra di voi ci sia una vera e propria guerra”
Non seppi cosa rispondere, avevo notato un comportamento diverso nei miei confronti da parte sua.
-Forse dovrei provare a chiederglielo- pensai mentre, aiutata dal professore, mi rimisi in piedi e andai verso la classe di disegno.
Vidi la porta aperta perciò non bussai neanche e entrando vidi Filippo in piedi poco distante dalla cattedra spiegando cosa fosse successo nei 10 minuti di intervallo, notai che tralasciò alcune parti però il racconto era anche abbastanza attendibile.
“…non ne potevo più di stare solo con una nanetta del genere” lo sentii finire il discorso con il suo solito tono da menefreghista bastardo quale era.
“Strano eppure non mi sembravi così annoiato” risposi io incrociando le braccia, si girò e gli tirai uno sguardo talmente tanto torvo che non se lo sarebbe scodato per un bel pezzo. Senza aggiungere altro mi incamminai al mio banco, mi sedetti al mio posto e lo vidi fare lo stesso.
Sentivo come un buco nel petto dopo aver sentito quelle parole -che stupida che sono. Per lui non sono altro che una tra le altre. Hey aspetta un momento perché dovrei fare dei discorsi così con lui? Insomma stiamo parlando di Filippo Mancini, vincitore mondiale della medaglia d’oro come rompitore di palle, non ho tempo da perdere per uno così-
Per l’ora successiva mi concentrai, esclusivamente, sul progetto che stavo disegnando senza pensare minimamente a lui.
Quando la campanella suonò iniziai a mettere via tutto il materiale con molta calma, io avevo un vizio, dovevo essere una tra le ultime ad uscire dalla classe, però stavolta anche qualcun altro stava aspettando che la ressa fosse finita per uscire.
“Alice devo parlarti” lo sentii sussurrare da dietro l’orecchio, quel piccolo gesto mi fece prendere fuoco, sentii il volto bruciare, orecchie comprese. Non capivo perché quella sua vicinanza mi faceva provare brividi di freddo e al contempo un caldo assurdo, ripresi controllo della mente e risposi in un sussurro
“Non abbiamo niente da dirci” e mi allontanai da lui, o almeno ci provai. Mi si parò davanti impedendomi di proseguire
“Ne abbiamo, invece” aveva uno sguardo determinato, i suoi occhi mi tennero incatenata come fermata da delle catene invisibili, impedendomi di distogliere lo sguardo
“Va bene, ti ascolto. Ma solo 5 minuti e dopo non voglio più sentir parlare di questa storia, chiaro?”
Fece si con la testa e appoggiando la cartella, che precedentemente avevo messo in spalla, per terra mi appoggiai al primo banco che trovai.
“Sentiamo cosa vuoi dire oltre a quello che hai già detto prima? Che è stato sbagliato, che non conta nulla? Tranquillo lo so già! Io non interesso a te, come tu non interessi a me. E sinceramente mi va bene così” iniziai io visto che sembrava non saper da dove iniziare
“Ti sbagli. Non è stato sbagliato, per me conta. Non so perché sia capitato, però sono contento che sia successo”
“Allora perché prima ha detto così?”
“Semplicemente perché oramai conosco i nostri compagni di classe e sono tutti dei pettegoli, soprattutto Sara, e se vedono anche un minimo di comportamento diverso dal solito si mettono subito ad indagare. E io non voglio che si mettano in mezzo.” Mano a mano che parlava si avvicinò, posò le mani di fianco a me e le appoggiò al banco impedendomi qualsivoglia via di fuga
“Ma quindi prim…” venni interrotta dalle sue labbra che si posarono fameliche sulle mie.
All’inizio rimasi scioccata da quel bacio così dolce quanto possessivo, però dopo qualche secondo ricambiai e passandogli le braccia dietro la testa gli arpionai i capelli color mogano e mi strinsi a lui, le sue mani si staccarono dal banco e mi andarono a circondare la vita, notai che non toccò mai il fianco destro, cosa per cui gli fui grata, stando attento al tempo stesso a non forzarmi. Era tenero.
Ci staccammo in cerca d’aria ma senza allontanarci, ci guardammo negli occhi e rimasi piacevolmente colpita nel vedere il vero in quelle iridi così profonde e cristalline.
“Ragazzi dovreste uscire stiamo chiudendo le classi” la voce della bidella ci riportò alla realtà, ci staccammo e all’improvviso sentii freddo come se gennaio fosse arrivato in quel preciso istante.
Feci per recuperare lo zaino, ma lui arrivò prima di me.
“Non dovresti sforzarti se ti fa così tanto male il fianco”
“Pensavo che nessuno se ne fosse accorto” dissi abbassando lo sguardo, con due dita lui me lo fece alzare e agganciò i sui occhi nei miei
“Io si” e mi diede un altro bacio veloce, solo che stavolta era tenero, completamente differente dal precedente.
Restammo ancora un attimo a guardarci per poi incamminarci verso l’uscita della scuola fianco a fianco, però senza mai sfiorarci.
Se soltanto avessi saputo che da quel piccolo gesto sarebbe nato qualcosa di molto più grande non so se lo avrei rifatto tanto facilmente, però a ripensarci un sorriso mi increspò le labbra e pensai
-lo rifarei altre mille volte-




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