La Galassia del Sole

di Shade Owl
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Ironglass era una ricca e fiorente città posta sul terzo pianeta a partire dal Sole, una metropoli di metallo e vetro piena di palazzi così alti da raggiungere il cielo.
Il centro della città, che ne rappresentava la parte più moderna e ricca, era composto da palazzi elaborati ed eleganti, che riflettevano la luce del sole e mostravano l’aspetto più frenetico e operoso dell’agglomerato, più trafficato e rumoroso della periferia.
All’esterno del centro, invece, nel quartiere degli artigiani e dei meno abbienti, c’erano costruzioni più basse e di foggia inferiore, essendo essa la parte più vecchia della città, e un bosco che lei sapeva essere dimora di molti animali selvatici, alcuni anche piuttosto feroci, cresceva a breve distanza, sopravvivendo grazie all’evoluzione e ad alcuni programmi di protezione ambientale. Ed era proprio lì, in periferia, che Leon si trovava, camminando per le strade asfaltate e trafficate da autovetture vecchie e meno pregiate di quelle della Città Nuova, diretta alla bottega di Rowan Black. Secondo l’elenco informativo cittadino della stazione c’era solo un uomo con quel nome, e quindi sarebbe andata a colpo sicuro, sapendo già dove recarsi. La raggiunse in venti minuti di marcia.

In vetrina, saldamente assicurate dietro il vetro speciale per cui Ironglass era tanto famosa (più facile colpire una tigre nel didietro e riuscire a raccontarlo che sfondarne una lastra di un paio di centimetri), facevano la loro bella figura molte armi di ogni genere e foggia: armi bianche dalla lunga lama sottile, fucili e pistole, coltelli da lancio ed armature da guerra, mazze e grandi sciabole… un miscuglio di antico e moderno, forgiato nell’acciaio e modellato con abilità, assicurato nella vetrina in un’esposizione di eccellente e scintillante maestria mortale.
Chiunque fosse, Rowan Black decisamente ci sapeva fare, se davvero era stato lui a mettere insieme tutta quella roba.
Smise di guardare la vetrina e spinse la porta per entrare. Uno scampanellio accompagnò il suo ingresso, e il grande ambiente appena illuminato accolse la sua presenza. Oltre un lungo bancone di legno scuro e tarlato un uomo dalla pelle nera sedeva fumando una sigaretta e leggendo un giornale. I piccoli occhiali quadrati senza montatura gli oscillarono pericolosamente quando spostò il quotidiano per guardare chi era entrato. Sulla testa aveva una corta zazzera nera, dall’attaccatura alta per via dell’incipiente calvizie, che cercava di coprire con una vecchia coppola color marrone chiaro. Era chiaramente sulla cinquantina, ma poteva anche essere più vecchio, difficile a dirsi.
- Posso esserti d’aiuto?- chiese. Aveva una bella voce profonda e rassicurante, e mani nodose e piene di calli, abituate al lavoro - Cerchi qualcosa?-
- Cerco qualcuno.- rispose lei - Sono venuta per il Mastro Armaiolo. Ha qualcosa per me.-
L’uomo diede una profonda boccata alla sigaretta e si appoggiò allo schienale della vecchia e lisa poltrona girevole, osservandola con i suoi occhi scuri.
- Tu non sei di queste parti.- disse - Come mai cerchi il Mastro Armaiolo?-
- Glie l’ho già detto.- disse Leon, cominciando a spazientirsi - Ha qualcosa per me.-
L’altro si sporse in avanti, appoggiandosi con i gomiti al bancone e tenendo sollevata la sigaretta davanti al volto, con due dita.
- Togliti la tunica.- ordinò, serissimo.
Non avendo voglia di spogliarsi, Leon si limitò a sollevarla quel tanto che bastava da mostrare il bendaggio, subito sotto il ciondolo di vetro che aveva indossato una volta tornata nella sua camera, prima di partire.
- Non è ancora cicatrizzato.- disse, rimettendo a posto l’indumento - Ma è il Marchio del Sole. Se non mi crede, dovrà aspettare che i medicamenti facciano effetto, perché non ho voglia di togliere le bende.-
L’uomo la guardò per qualche tempo.
- Molto bene.- disse - Sei piuttosto giovane per essere una Figlia del Sole. Quanto hai, diciotto? Diciannove?-
- Ce ne sono stati di più giovani.- ribatté spazientita lei - Jeremy il Rosso, per esempio. O Benjamin Relean. Io non ho niente di diverso da loro, né da quelli più vecchi. Quentin Madregòd aveva appena sedici anni.-
Lui annuì lentamente, a quel che pareva vagamente impressionato.
- Molto bene.- ripeté, stavolta con più convinzione - Allora, credo di essere io colui che cerchi.-
Prese qualcosa da sotto il bancone, avvolto in un panno rosso scuro e legato con uno spago. L’involto era di forma prismatica leggermente squadrata.
- Questo è tuo, ora.- disse - Sarà utile per la tua missione, qualsiasi essa sia.-
Leon aggrottò un sopracciglio.
- Credevo di dover proteggere questo oggetto.- disse.
- Ah sì?- chiese il Mastro Armaiolo, appoggiandosi di nuovo alla sedia, senza manifestare alcuno stupore alla notizia - Io non ne so niente, signorina. Il mio compito è finito: ti ho fornito qualcosa con cui difenderti, come faccio sempre. I tuoi predecessori sono tutti passati da me, e quasi tutti loro credevano, sulle prime, di dover prendere in consegna uno dei miei manufatti per proteggerlo. Ma nessuno di essi ha saputo dirmi fino a quando, né il perché, e nemmeno di cosa si trattasse.-
Riflettendoci, nemmeno Leon sapeva per quanto tempo dovesse custodire l’oggetto. Né, in verità, di cosa si trattasse. Tutto ciò che sapeva, ad essere sincera, era che doveva andare dal Mastro Armaiolo per farsi dare…
- … ciò che mi occorre…- recitò lentamente, soppesando il piccolo involto, non più pesante di un pugno di biglie.
- Esattamente.- annuì lui, come se le avesse letto il resto della frase dalla mente - Io vi armo e basta, come hanno fatto coloro che mi hanno preceduto. Non vi consegno niente di vitale, tranne ciò con cui vi potrete difendere.-
Lei intascò l’oggetto, ancora confusa: allora, di cosa stava parlando Aulos? Cosa doveva proteggere? E, adesso che ci pensava, perché aveva usato il condizionale?
- Va bene.- disse alla fine Leon - Non c’è altro?-
- Mmmh…- disse il Mastro Armaiolo, pensieroso - Forse sì.- rispose. Prese qualcos’altro da sotto il bancone e lo lasciò sul ripiano: era una sorta di cintura, da indossare sopra a quella che già aveva, con una tasca speciale dalla forma quasi identica a quella dell’involto, e una piccola borsa dalla parte opposta, dalla fibbia in ottone - Potrebbe servirti a non perdere le tue cose. Io non ci faccio niente, e sarebbe inutile senza un’arma adatta alla sua tasca destra. E ti do anche un consiglio…- aggiunse - Se non sai che fare, torna da loro, e fai finta di niente. Molti degli altri fecero in questo modo, al tuo posto.- detto ciò tornò a leggere il giornale, senza più badare a lei.
Leon prese anche quella strana cintura e lo ringraziò, poi uscì dalla bottega, allacciandosela alla vita, anche se non sapeva bene cos’altro fare: non le era stato consegnato niente all’infuori del piccolo involto che, a quanto pareva, era un’arma da usare per difendersi. Forse avrebbe fatto meglio ad ascoltare il consiglio del Mastro Armaiolo che, per quanto strano, era l’unico che potesse seguire in quel momento. Non c’era altro che la trattenesse lì, tranne la scarsa voglia di tornare a bordo di quell’infernale trabiccolo che era il vagone della monorotaia per il trasporto pubblico.
Scelse dunque di prendersi cinque minuti di pausa per rilassarsi un po’ e posticipare la sgradevole esperienza, passeggiando senza meta tra le vie della periferia fino a trovare un parco pubblico dove le foglie avevano quasi totalmente abbandonato gli alberi.
Già… tra un mese qui sarà inverno… Pensò.
Era l’aspetto più disorientante del viaggio interplanetario: i periodi di rotazione e rivoluzione dei pianeti non erano tutti uguali, così come il loro clima. Capitava spesso di partire in estate e ritrovarsi in piena tormenta di neve.
Si sedette su una dura panchina di metallo, lasciando il suo sacco a terra lì vicino. Attorno a lei non c’era quasi nessuno, tranne un gruppetto di ragazzi, all’apparenza un po’ più vecchi di lei, che si divertivano a giocare a pallacanestro su un campo di cemento scrostato e umido.
Trasse l’involto fuori dalla tasca e lo osservò per qualche momento, poi ne svolse lo spago e la stoffa per esaminarne il contenuto: se era la sua arma, era necessario che la controllasse bene, almeno.
Un piccolo prisma di forma leggermente squadrata le rotolò in grembo; era lungo una ventina di centimetri o poco più, color rosso cupo come la stoffa in cui era avvolto, e si adattava perfettamente alla cintura. Alcune striature erano sagomate a intervalli regolari in orizzontale, forse per decorazione, forse perché avevano uno scopo pratico. A parte queste caratteristiche, non era affatto rilevante né per aspetto né per minacciosità. Non era un’arma… anzi, non serviva a niente. Lo prese in mano e lo strinse forte (e la sua non era una stretta da poco), e ancora non accadde nulla che fosse degno di nota, se non che lei si fece lievemente male al palmo. Scosse l’oggetto con energia, e il risultato fu sempre lo stesso.
- Bah…- sbuffò - Inutile.-
Sentì, alle sue spalle, il rumore di passi che calpestano la ghiaia, e si voltò lentamente: uno dei ragazzi che aveva visto giocare a pallacanestro si stava avvicinando a lei, le mani affondate nelle tasche del giubbotto. Si alzò in piedi, guardandolo negli occhi.
- Posso aiutarti?- chiese.
- Dipende.- disse lui. Aveva una voce ansimante, quasi isterica. Comprese subito che era un tossico in cerca di grana - Molla il malloppo, e potrò dirti se puoi o no.- e fece uscire di scatto una mano dalla tasca, impugnando un coltello a serramanico.
Leon non si lasciò impressionare da quello stuzzicadenti, ma quando sentì i passi del resto del gruppo, che evidentemente si era allontanato per fare il giro e prenderla alle spalle, non poté non pensare che senza qualcosa da usare come arma le sue possibilità di riuscire senza farsi niente si riducevano. Non che avesse paura di loro, ma erano cinque ragazzi più grossi di lei, e almeno uno aveva un coltello. Affrontarli a mani nude la seccava parecchio, e non aveva intenzione di ricorrere alle abilità dei Figli del Sole per così poco.
Una mano le calò sulla spalla, e lei si mosse con un’agilità talmente fulminante che quasi non riuscirono a vederla: si voltò, colpendo il braccio sull’incavo del gomito, poi diede un pugno alla mascella del suo proprietario e lo percosse di palmo al plesso solare, talmente forte da spedirlo lungo disteso, rantolante, indolenzito e momentaneamente incapace di parlare.
Per un istante i suoi compagni lo osservarono attoniti, poi decisero di lanciarsi all’attacco, e Leon ne stese due con un colpo a testa prima che gli ultimi rimasti (entrambi armati di un piccolo coltello a serramanico) le fossero addosso, sferzando l’aria con le minuscole lame, nel perfetto stile da rissa di strada, utile con chi non sa il fatto suo. Per lei non fu difficile evitare di venire tagliata, e si stava quasi annoiando, ma i due ragazzi davanti a lei erano ancora più stupidi di quanto avesse pensato all’inizio: scambiarono la sua espressione seccata per una concentrata e tesa, e cominciarono a sogghignare con aria di superiorità.
- Fai fatica, eh?- sghignazzò quello con la voce ansimante.
- Già… vedi che sudi…- ridacchiò l’altro, che stava già grondando come una fontana e faticava a parlare - Ti ci… vorrebbe proprio… una spada… magari…-
Schivato l’ennesimo fendente, Leon lo guardò inarcando un sopracciglio.
Ma si può essere più idioti? Pensò.
- Che me ne faccio di una spada, quando…?-
Appena le sue labbra pronunciarono la parola “spada”, sentì il braccio destro vibrare per le scosse provenienti dallo strano oggetto datole dal Mastro Armaiolo, e subito guardò la propria mano, ancora stretta lì attorno: dalla cima del prisma smussato stavano uscendo sottilissime bende che parevano fatte di metallo liquido, sinuose e rapide, le quali andarono ad unirsi e a fondersi sotto i loro sguardi increduli, modellandosi sotto la guida di una vita che parevano avere intrinseca nella loro stessa struttura. In pochissimo tempo, una spada era ben stretta nella sua mano, dalla lunga lama ondulata, simile a un raggio di sole, la guardia leggermente ricurva verso il basso. L’impugnatura, invece, era sempre e comunque il solito prisma smussato di poco prima.
quando ho questa? Pensò tra sé, terminando mentalmente la frase.
Sollevò la spada, più lunga di un suo braccio ma decisamente leggera. Quel gesto, atto solo ad osservare meglio la nuova arma, terrorizzò a morte gli ultimi due aggressori, che se la diedero immediatamente a gambe (uno dei due lasciò anche cadere il coltello). Sotto lo sguardo attonito della Figlia del Sole, la spada si ritrasformò quasi subito nelle bende di metallo liquido, che rientrarono nell’impugnatura senza lasciar traccia, e nel suo pugno ora c’era di nuovo il prisma smussato di prima. Del tutto dimentica di avere intorno tre persone svenute, si risedette un istante sulla panca ed esaminò meglio la strana arma.
- Spada.- disse forte e chiaro.
In un baleno, questa rispose alla sua chiamata, ritornando a configurarsi con rapidità ed obbedienza. Sentendo un certo fiotto d’eccitazione provenirle da questa nuova scoperta, Leon decise di fare un piccolo esperimento.
- Coltello.-
Di nuovo, il metallo si scompose in bende scintillanti e si riformò in fretta, in un lungo e affilato coltello da caccia, seghettato da un lato e liscio dall’altro. Incredibilmente, il prisma rispondeva ai suoi comandi come se niente fosse, assumendo la forma che lei gli chiedeva. Avrebbe potuto (e voluto) continuare per ore, ma un gemito proveniente da uno dei tre corpi lì attorno le ricordò che sarebbe sembrato strano, se qualcuno fosse passato e l’avesse vista lì, a fare esperimenti con un’arma che nemmeno conosceva, circondata da un gruppo di tossici svenuti, e a lei non andava di dare spiegazioni. Raccolse in fretta il suo sacco e si allontanò, decidendo di dirigersi alla navetta per tornare dai Figli del Sole e farsi dare maggiori istruzioni, seguendo il consiglio del Mastro Armaiolo. Ma, per quel che riguardava il fare finta di niente, non era sicura di riuscirci: una missione, lì ad Ironglass, doveva esserci per forza, era logico! Perché accidenti avrebbe dovuto fare tanta strada, altrimenti? Per un’arma che avrebbero potuto consegnarle senza tante cerimonie?

Era quasi arrivata alla stazione quando comprese che era bene rimandare ulteriormente la propria partenza: tutti i pianeti, dentro e fuori Helios, avevano molte forme di vita non umana, di origine animale e vegetale. Durante l’evoluzione naturale e l’industrializzazione del sistema, diverse specie si erano modificate e rafforzate per effetto della normale sopravvivenza del più forte e della nuova varietà di veleni e sostanze chimiche prodotti. Di conseguenza, quasi ogni pianeta di Hellios era popolato anche da esseri selvatici notoriamente indifferenti alle attività dell’uomo ma che, tuttavia, se feriti, arrabbiati o affamati tendevano ad attaccare ciò che trovavano.
Fu questo il caso della tigre.

Stavolta il capitolo è venuto più lungo.
Ringrazio John Spangler, Easter_huit e Biscottoalcioccolato, e anche Bindaz, ultima aggiunta. A presto!

 





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