Sette minuti dopo la mezzanotte
Sette minuti dopo la
mezzanotte, mette il telefono a ricaricare sul comodino e socchiude gli
occhi. Atsumu sta bene.
L’aria
soffocante dell’estate s’insinua attraverso la
finestra spalancata, il rumore delle macchine lo culla fino a uno stato
di dormiveglia. Atsumu sta benissimo.
Pensa a suo
fratello: gli manca, ma è orgoglioso. Del ristorante, di
lui, di loro.
Quindi distende le
labbra. Quella è una di quelle notti in cui
l’appetito perenne si sopisce, in cui la smania,
l’insofferenza, la pressione martellante di migliorare come
giocatore si quietano e sprofondano, lasciando spazio alla
tranquillità che lo fa fluttuare privo di peso - brezza
leggera, lenzuola che fremono appena.
Quella sera
c’è equilibrio. C’è Atsumu,
ci sono i suoi piedi uno davanti all’altro, saldi e sicuri,
mentre si alternano su quel filo sospeso nel vuoto che non fa paura.
Atsumu non guarda in basso ma dritto davanti a sè, e scorge,
vede, l’inizio della nuova stagione come un’alba
brillante, piena di promesse. Lui è pieno di
promesse, straripante di talento e voglia di fare, voglia di far vedere
agli spettatori, a se stesso, ciò di cui è
capace. La sicurezza gli circonda le dita a spirali, anelli caldi che
somigliano all’estate.
Mentre sta per
assopirsi, Atsumu pensa che quella è una bella, bellissima
notte, che forse ha trovato il ritmo giusto, passi lunghi ma regolari
come il suo respiro.
Non
c’è niente che possa andare storto, niente che
possa turbare quello stato psicologico così difficilmente
ricercato. Sa quello che deve fare e lo farà nella maniera
più semplice ed efficace possibile. Nessuna distrazione,
davvero.
*
Sette minuti dopo la
mezzanotte, Shouyou sale sull’aereo che lo
riporterà a casa.
*
''Verrà a
vivere qui.''
''Chi?''
''Shouyou-kun.''
Sette minuti dopo la
mezzanotte, Atsumu si ritrova a biascicare a bassa voce, per evitare
che Bokuto o Sakusa possano sentirlo. L’equilibrio a cui
aspirava s’è spento come una candela non appena
Shouyou è saltellato a sorpresa in palestra. Cazzo, ha pensato Atsumu quando ha
visto come si muoveva sul campo, quando l’universo
è imploso e poi si è ricomposto - più
brillante, più dorato di prima. Cazzo,
cazzo, cazzo, devo dirlo a ‘Samu.
''La sua
abbronzatura,'' continua dunque, tenendosi il telefono appiccicato alla
bocca. ''Le sue cosce.''
''Cristo santo, sto
lavorando.''
E difatti in
sottofondo Atsumu sente il rumore dei piatti e dei coltelli. Osamu
è in vivavoce mentre prepara in cucina gli onigiri. Invece
di lasciarlo in pace come dovrebbe, Atsumu scrolla le spalle (i clienti
possono aspettare, c’è roba più
importante di cui devono parlare, tipo la sua sbandata colossale).
''Il petto. E le
braccia. Ha i capelli più chiari. Sembrano quasi rosa. Non hai la più
pallida idea.''
''Portalo al
ristorante,'' suggerisce l’altro, e Atsumu se lo immagina
ghignare. ''Così verifico di persona.''
Atsumu schiocca la
lingua. ''Non ci pensare neanche.''
Osamu riattacca.
Atsumu sospira e affonda il viso nel cuscino. Soffia forte
finché il respiro non gli scotta il naso.
Insomma, Atsumu
è davvero felice. Felice di rivederlo, felice che giochi con
loro. Cazzo, Atsumu è al settimo cielo. Non si è
dimenticato di quello che gli ha detto alle superiori, non si
è dimenticato di avergli promesso che avrebbe alzato per
lui, ma ritrovarselo nella stessa squadra dopo tutti quegli anni
trascorsi è… strano. Eccitante. Completamente
folle.
Si spalanca un baratro
sotto di lui. Non un baratro che spaventa, bensì una
voragine che offre centinaia di scenari e possibilità.
Atsumu si affaccia e guarda giù, la paura di cadere
proporzionale solo alla voglia matta di lanciarsi e di vedere cosa
c’è dentro, l’estasi che scocca nelle
vene come gli spari di una pistola.
Atsumu è
euforico, un delirio ubriaco gli strizza le viscere, è una
specie di ansia che però scaturisce da una cosa bella,
è la stessa sensazione che gli aggroviglia lo stomaco quando
inizia una partita. Battaglia, vittoria, sconfitta. Hinata Shouyou
è un campo da guerra.
Atsumu pensa che
sarebbe divertente provare. Che sarebbe divertente provarci con lui. Se
ne frega che è un compagno di squadra, se ne sbatte di
quello che potrebbe succedere se le cose andassero male. La pallavolo
è e rimarrà sempre più importante,
Atsumu darà il meglio di sè e
costringerà gli altri schiacciatori a fare altrettanto, a
prescindere dai rapporti che intercorrono fuori dal perimetro di gioco.
È curioso
di vedere, di scoprire, com’è Shouyou quando non
ha una palla in mano, se le iridi gli lampeggiano imbevute della stessa
fame mentre fa colazione la mattina, quando si lava i denti la sera.
Vuole sapere se sa cucinare, se è caotico come Bokuto, qual
è il suo piatto preferito, se gioca ai videogiochi, con
quante persone è stato (magari
è vergine,
pensa. Ti
piacerebbe,
sussurra la voce di suo fratello in risposta. Atsumu lo zittisce, poi
rivede il suo viso dorato tutto guance e lentiggini e a malincuore gli
dà ragione).
Vuole sapere se il
Brasile gli è piaciuto, se ha intenzione di tornarci, che
fine hanno fatto gli altri della Karasuno. Atsumu vuole sapere tutto.
*
Shouyou si innamora un
po’ di tutte le persone con cui gioca.
Non può
farci nulla, non lo riesce a controllare. Ama la pallavolo, ama chi la
pratica. La devozione dei giocatori nell’affinare battute,
ricezioni, alzate e tecniche speciali, brilla come il sole, lo scalda e
lo smuove. Quel luccichio di chi sacrifica la vita per quello sport gli
cattura occhi e anima, come fanno gli oggetti luccicanti con le gazze
ladre, come fanno i tesori con draghi. È colpa della grinta
che ci mettono, della voglia di vincere, del credere in se stessi e
nella squadra: Shouyou inevitabilmente si lascia infervorare.
Credeva che fosse
così anche con Atsumu. Credeva che la scossa lo
attraversasse solo sul campo.
Da quando vivono sotto
lo stesso tetto, però, da quando Shouyou è
tornato, c’è qualcosa di diverso che gli strizza
lo stomaco in una maniera stranamente perpetua (è
sempre lì,
pensa. Quella
cosa strana che gli svolazza nella pancia).
Non è solo
quando giocano, che ha voglia di baciarlo. È anche - e
soprattutto - quando la mattina gli prepara il caffè e ci
mette un cucchiaino e mezzo di zucchero (Shouyou in realtà
lo prende amaro, ma dopo il primo giorno non ha avuto il cuore di
correggerlo e ha scoperto che se è Atsumu a prepararlo, il
caffè gli piace in qualunque modo), oppure quando sbadiglia
con gli occhi ancora gonfi di sonno, o quando cammina in punta di piedi
per non disturbarlo mentre sta meditando.
Atsumu è
tipo... una campanella, ecco. Un tintinnio che si palesa quando meno se
lo aspetta, più volte al giorno. Shouyou magari si sta
lavando i denti, o sta spolverando il tavolo, o sta giocando a Mario
Kart con Bokuto, o si sta infilando le cuffiette prima di andare a
correre, e poi bam!!!, pensa ad Atsumu senza preavviso. Più
che campanella, forse è tamburo. Qualcosa di forte, insomma.
Rumorosissimo.
E poi pensa
all’odore dei limoni, perché i vestiti di Atsumu
emanano il profumo di quell’agrume che ogni tanto percepisce
pure se Atsumu non è a casa. O forse non sono i vestiti,
forse non è l’ammorbidente, forse è
proprio la sua pelle (vorrei
davvero tanto scoprirlo, pensa. È
possibile scoprirlo senza saltargli addosso?)
Sette minuti dopo la
mezzanotte, Shouyou ancora non dorme. Soffia via l'aria come un gatto
infastidito, si annoda le lenzuola fra le caviglie, gira il viso prima
a destra e poi a sinistra. Del sonno neanche l'ombra e questo lo
irrita, perché se c'è una cosa che ha imparato a
controllare quelle sono le sue abitudini.
Fissa la porta in
penombra. Pensa che Atsumu si trova a qualche metro di distanza, ci
sono solo un corridoio stretto e due porte che intercorrono fra loro.
Potrebbe scivolare via
dal letto, camminare in punta di piedi per non svegliare gli altri,
abbassare la maniglia senza neanche bussare e infilarsi sotto le
coperte accanto a lui.
E poi? E poi cosa?
Shouyou sbuffa di
nuovo contro la federa. Respira il calore del suo stesso respiro.
Stringe i pugni, dita premute contro i palmi. Pensa alle mani di
Atsumu, affusolate, quelle che quando si allena lo cercano per battere
il cinque o per accarezzargli i capelli. Le immagina intrecciate alle
proprie. Le immagina più calde, più strette,
più disperate.
Shouyou trema in mezzo
alle cosce. Gli piace.
Affonda più
forte la faccia nel cuscino e si morde le lingua, la gola chiusa e le
orecchie pulsanti. Si ripete il nome di Atsumu (Atsumu-san,
Atsumu-san, Atsumu-san) nella testa, si immagina di
mordergli il collo e graffiargli la schiena, incidergli mezzelune sulle
scapole. Respira più a fondo - l'odore di limoni, il naso
sfregato contro la clavicola, le braccia serrate. Sente gli ansimi, i
gemiti, le voci graffiate, pietra su pietra.
Immagina due figure
bollenti annodarsi su se stesse in un groviglio irriconoscibile, i
brividi gli dilaniano le interiora, arriccia le punta dei piedi e ha
voglia di stringerle attorno alle caviglie di Atsumu come due mollette (ha delle
belle caviglie,
pensa poi. Quand’è
che ho fatto caso alle sue caviglie? È normale fare caso
alle caviglie della gente?).
Infine si infila le
dita nelle mutande e finge che non siano le sue.
Fa caldissimo e
freddissimo, febbre, gira tutto con impeto mentre l'orgasmo sale.
Shouyou si sente ubriaco perso, avvelenato ma con qualcosa di dolce,
sta naufragando e non riesce a capire se il mare voglia farlo annegare
o sia gentile.
Lo
vuole lo vuole lo vuole lo vuole lo vuole.
*
Sette minuti dopo la
mezzanotte, Shouyou è sdraiato sul suo letto e Atsumu non
capisce se sia felice da scoppiare o se stia per morire.
''Facciamo un gioco,''
propone Shouyou.
''Che gioco?''
''Diciannove
domande.''
''Ma non ci si gioca
tipo a tredici anni?''
Shouyou lo guarda e
sgrana gli occhi.
''Perché
tredici anni?'' domanda, inarcando le sopracciglia (rosa. Sono rosa. Forse Atsumu
morirà davvero). ''A me piace. Ti aiuta a conoscere meglio
le persone, e io sono curioso. Tu no?''
Atsumu scrolla le
spalle. ''Immagino di sì,'' concede infine. Shouyou sorride,
si sistema meglio e strofina la guancia sul cuscino (sarebbe
bello,
pensa Atsumu, se
lasciasse le impronte delle lentiggini sulla federa. Sarebbe bello, gli risponde Osamu, se ti
versassi benzina nel cervello e andassi a fuoco. Ma ti senti, quando
pensi? Mi fai venire da vomitare).
''Allora inizio
io. Gelato preferito?''
''Cioccolato,''
risponde, ricacciando indietro suo fratello. ''Il tuo?''
''Pure,'' dice, e
scopre i denti. Atsumu vorrebbe leccarli. ''Dimmi una cosa strana che
fai.''
''In che senso?''
''Non lo so,
un’abitudine. Tipo che metti il sale sulle finestre
perché sei scaramantico. È un esempio,'' si
affretta a specificare Shouyou, vedendo che Atsumu ha già
spalancato la bocca.
''Uhm…''
Atsumu ci pensa. Un’abitudine strana? Non ne ha, tranne il
fatto che da quando vede Shouyou tutti i giorni, il mondo gli sembra
più dorato, come se camminasse su un raggio di sole. Ma
questo non può mica dirglielo.
''Non riesco a dormire
se non abbraccio il cuscino,'' dice di botto, poi si vorrebbe prendere
a sprangate in faccia per averlo fatto.
Shouyou ridacchia.
''È una cosa tenera.''
''Dimmene una tu.''
''Mmh,'' Shouyou ci
riflette qualche istante, poi schiude le labbra. ''Oh! Porto sempre i
calzini diversi!''
E come per
confermarlo, scalcia con le gambe e arriccia le dita dei piedi.
È vero,
sono diversi, uno è giallo e l’altro
è arancione. Atsumu non ci ha mai fatto caso.
''Questa è una cosa
tenera,'' risponde. Poi torna a guardarlo in faccia. Gli occhi di
Shouyou brillano. Atsumu potrebbe chinare il viso e…
''Hai mai baciato
Kita-san?''
''Cosa?'' Atsumu
starnazza. ''Kita-san? Perché avrei dovuto baciare
Kita-san?''
''Non lo so,''
borbotta Shouyou, e fa spallucce. ''Magari stavate insieme al liceo.''
''Ma che cazzo, no. Io
avevo paura di Kita-san. Ho ancora paura di lui,'' si corregge Atsumu.
Poi apre la bocca. Quello è il momento giusto per
chiederglielo. Non c’entra l’insicurezza, davvero,
ma deve sapere, è una
curiosità che ha da troppo tempo. ''Tu hai mai baciato
Kageyama?''
''No, ma ti pare?''
''Grazie agli dei,''
sbotta Atsumu, e sospira. Insomma, non c’entra
l’insicurezza - ripete a se stesso, e quasi se ne convince -
è solo che Kageyama è primo nel ranking, ha
partecipato prima di lui alle olimpiadi. Non gli andava che fosse il
primo anche in quello.
''Qual è la
cosa più strana che hai fatto mentre flirtavi con qualcuno?''
Atsumu ci pensa per
qualche istante. ''Mi sono finto Osamu.''
''Cosa?''
''Praticamente
c’era questa ragazza al liceo. Mooolto carina. Ma lei si era presa
una sbandata per ‘Samu - non chiedermi perchè.
Perciò mi sono tinto i capelli come lui e l’ho
invitata a uscire.''
''E se
n’è accorta? Cioè, che non eri lui.''
''Lasciamo stare,''
borbotta Atsumu - no, davvero, quello è un episodio che non
vuole ricordare. ''Tu?''
''Io ho fatto finta di
essere veggente.''
''Cosa?''
Shouyou ride. Ora
è veramente vicino. Quando si è avvicinato
così tanto? Atsumu potrebbe contargli le ciglia.
''Ero molto ubriaco.
Ed ero in Brasile. E c’era questo tizio, e allora gli ho
detto ‘lo sai, ho inventato una magia che mi permette di
capire se sei mancino o destrorso. Vuoi vedere se indovino?''
''È la cosa
più stupida che abbia mai sentito.''
''Vero,
però mi ha baciato. Quindi ha funzionato.''
Di
certo non per la tua teoria, pensa Atsumu. Magari anche
lui potrebbe fingersi veggente, in quel momento. Potrebbe fingere di
saper leggere le carte, o le foglie di tè. Potrebbe dirgli
che sa leggere le mani, e poi se le metterebbe in bocca. E poi lo
spoglierebbe, e gli leccherebbe ogni millimetro di pelle, e gli
conterebbe le lentiggini sulle spalle, e i cuscinetti delle vertebre.
È un po’ terrificante, in realtà,
l’intensità con cui Atsumu vorrebbe dargli tutto
quello che possiede, spiaccicargli la sua stessa anima addosso come una
palla di vernice, farsi esplodere come un fuoco d'artificio e
rimanergli impresso nelle pupille.
''Qual è la
cosa che ti eccita di più?''
Silenzio, secondi che
passano. Atsumu sbatte le palpebre, impiega un po’ a capire.
Si rigira quella frase nella testa un paio di volte, finalmente decifra
l’ammasso di lettere. Lo sguardo di Shouyou brilla, la
malizia incastonata fra le iridi come quarzi.
Tu, pensa. E sta quasi per
dirglielo, quel ‘tu’ è sulla punta della
lingua, basterebbe un soffio. Poi però si rende conto che
lui a quel gioco sta perdendo, che Shouyou sta imponendo il suo ritmo
come un avversario, e ad Atsumu perdere non è mai piaciuto.
Quindi ghigna a sua volta, i denti luccicanti di saliva.
''Vuoi che ti faccia
vedere?''
Lo sguardo di Shouyou
tremola appena, perchè hah, non se l’aspettava.
Quindi l’elettricità giunge impetuosa, si addensa
intorno a loro e li avvolge come una bolla, e smettono di esistere la
destra e la sinistra, il sotto e il sopra, c’è
solo Shouyou che è centro pulsante del suo campo visivo,
quindi si avvicina e-
''Hinata.''
Sakusa bussa alla
porta. L’incanto si spezza con il rumore secco di un
ramoscello. Atsumu si tira indietro, e nello sguardo di Shouyou
lampeggia qualcosa di grigio.
''Lo so che
è tardi,'' continua Sakusa, in un borbottio. ''Ma ti prego,
devi aiutarmi.''
La sua voce
è così devastata che persino Atsumu si
incuriosisce, accantonando per un momento la disfatta.
''Che succede?''
domanda Shouyou preoccupato, alzandosi dal letto.
''C’è
un verme sotto il comodino.''
In quel momento,
Atsumu vorrebbe avere un molotov.
*
Sette minuti dopo la
mezzanotte, Shouyou pensa che la felicità è fatta
di piccole cose.
Cose appena visibili,
rugiada destinata a svanire sotto il primo sole, ma dolce e umida.
Il buio della notte
è frammentato dai lampi che trapassano dalla finestra, i
tuoni rimbombano fra le pareti e il cielo vomita secchiate
d’acqua sulle tegole. A Shouyou la pioggia non piace, il
temporale invece sì. Gli fa venire i brividi dietro al collo.
Mentre ode lo scroscio
impietoso, pensa ad Atsumu e alle piccole cose che lo rigurardano e che
ha iniziato a segnarsi mentalmente da quando è arrivato in
Giappone, catalogandole nel cervello con le etichette colorate.
#1-
etichetta blu:
Atsumu canta. Sempre, mentre cucina, mentre pulisce, mentre si lava. Ed
è ossessionato dalla musica francese, perciò
oltre a cantare storpia tutte le parole di cui non conosce il
significato. Quando Shouyou gli ha chiesto perchè proprio il
francese, Atsumu ha detto che la trovava una bella lingua (e il fatto
che Shouyou il giorno dopo abbia comprato un libro chiamato
‘francese per principianti è un’altra
storia).
#2-
etichetta verde:
Atsumu ha un’ossessione per i capelli. Balsami, shampoo,
creme, maschere, nel bagno c’è di tutto. Si
decolora una volta al mese. Shouyou per adesso ha assistito due volte
ipnotizzato, mentre Atsumu si passava il pennello sulle radici con la
lingua stretta tra le labbra. (''Il mese prossimo,'' gli ha domandato
dopo Shouyou con gli occhi affamati, ''posso aiutarti?'' E Atsumu ha
detto ''sì'', poi il barattolo con la decolorazione si
è rovesciato e Sakusa li ha quasi uccisi.)
#3-
etichetta viola: Atsumu
colleziona magnetini. Non gli piace viaggiare, ma pretende che gli
altri riportino sempre roba da appiccicare al frigorifero.
#4-
etichetta rossa: Atsumu
deve sentire suo fratello almeno una volta al giorno, altrimenti soffre
come un cane (come se
fosse una specie di robot, tipo Wall-e, pensa Shouyou, e Osamu
è l’olio per non farlo cigolare).
#5-
etichetta verde scuro: Atsumu è
estremamente disordinato. Pulisce gli spazi comuni per amor del quieto
vivere con Sakusa, ma la sua stanza è il caos più
totale. L’armadio, però, brilla. Vestiti ordinati
per colore, per stagioni, per delicatezza (quelli da lavare a mano
separati da quelli che possono andare nella lavatrice), perfettamente
piegati affinché non ci sia bisogno di stirarli.
Atsumu i vestiti non
li presta a nessuno. Due anni che Bokuto prova a chiedergli una camicia
bianca, due anni che Atsumu scuote la testa. Shouyou una volta, dopo
che avevano vinto una partita, ha provato a chiedergliela per scherzo.
Atsumu l’ha guardato per qualche istante e poi ha detto
''sì, certo, puoi prendere tutti i vestiti che vuoi, non
devi mica chiederlo'' (e qualcosa dentro Shouyou è esploso).
#6-
etichetta non lo so
(non ha ancora un colore, per questa): Atsumu è difficile da
capire. È complesso, a discapito delle apparenze. Sembra la
persona più sicura del mondo, poi una volta ha bussato alla
sua porta e con un sospiro depresso si è buttato sul suo
letto, come se volesse finire risucchiato dal materasso. Alla fine,
Shouyou ha scoperto che era triste per un allenamento andato male
avvenuto tre settimane prima, e Atsumu non riusciva a smettere di
pensare alle ricezioni sbagliate. E Shouyou gli ha accarezzato la
schiena e dentro di sè si chiedeva come fosse possibile che
una persona così fiduciosa - a tratti arrogante - come
Atsumu, dubitasse di se stessa. È strano, è
incoerente, Atsumu è un groviglio sfaccettato di contrasti,
delle volte è megalomane, delle volte si schiaccia, si
chiude su se stesso come un riccio, come se volesse scomparire,
evaporare, per un minuscolo errore.
La fiducia sfacciata
lo rende bello da guardare, gli regala l’alone dorato che
hanno le divinità, le insicurezze lo rendono tenero, vero (e
Shouyou stravede per ogni suo estremo).
Un altro lampo, un
altro tuono. Atsumu è un raggio di sole. Shouyou si abitua
alla sua voce, ai suoi silenzi, impara a comprendere quando
è infastidito, quando è felice, quando si sente
umiliato. Impara qual è la cosa giusta da dire e il momento
giusto in cui farlo. Quando invece parlare non serve, ma basta
preparare il tè. E si sente orgoglioso, di aver compreso
così tanto, e si sente anche eccitato alla prospettiva che
c’è ancora così tanto da scoprire.
Atsumu si fonde con le
sue abitudini, o forse è Shouyou ad amalgamarsi a lui, e
diviene la lancetta che scandisce il suo tempo, e d'improvviso il
ticchettio dei secondi smette di fare paura.
Shouyou prende il
telefono.
''Kenma,'' dice,
quando l’amico risponde. ''Come faccio a sapere se sono
innamorato di qualcuno? Intendo, in maniera seria.''
Kenma impiega qualche
istante a rispondere, Shouyou sente in sottofondo i rumori di una
sparatoria e le dita che cliccano veloci sui tasti.
''Credo sia come con i
videogame,'' risponde l’altro, dopo qualche secondo. ''Se non
ti stufi dopo un po’, sei sulla strada giusta.''
''Perciò
devo solo aspettare?''
''Forse,'' dice, poi
impreca e soffia: crepa,
stronzo di merda!.
''Non dicevo a te, ovviamente,'' aggiunge in fretta. Shouyou ride.
''Però,''
continua poi, ''il fatto che tu me l’abbia chiesto significa
che c’è già qualcosa di diverso
rispetto alle altre volte.''
''Hai ragione!''
esclama Shouyou, spalancando gli occhi. ''Sei un genio!''
''Lo so,'' dice
l’altro. Poi esita. ''Ti prego. Mi va bene chiunque, tranne
Atsumu Miya.''
Shouyou ride. Per
quello è troppo tardi.
*
Sette minuti dopo la
mezzanotte, la retina degli occhi si fa più sottile, un po'
come se si sciogliesse. Atsumu immagina i bulbi dei suoi occhi
liquefarsi come plastica sciolta, colare lungo le orbite vuote. Il
senso oggettivo della vista viene rimpiazzato dal ricordo, in cui i
colori sono sempre o troppo spenti, o troppo vivaci per essere veri.
Poi i ricordi si
trasformano in incubi, e al buio, mentre i lampi biancheggiano sui muri
e i tuoni rimbombano nella piccola stanza, Atsumu ha paura.
Le mani sono premute
contro le orecchie, le palpebre così serrate da far male. Ma
la tempesta trova comunque il modo di oltrepassare la barriera fatta di
ciglia scure e pelle sottile, perché Atsumu ha gli occhi
chiusi ma il suo corpo - la sua anima - si trasformano in un colabrodo.
Il panico ha mille pertugi attraverso cui scivolare, mille modi per
infiltrarsi fra le ossa, nidificare, e far marcire il sangue di
terrore. Vede i fulmini e sente i tuoni, ma non sa se siano reali o
proiezioni del suo inconscio. Non importa, comunque.
Atsumu è
paralizzato. Non c'è niente di sensato nel modo improvviso
in cui diventa vulnerabile, nel modo in cui si sente morire, quando di
notte scoppia all'improvviso un temporale (e a lui la pioggia piace). E
lo sa, lo sa che i fulmini sono solo luce, lo sa che i tuoni sono
soltanto rumore, ma nonostante la consapevolezza oggettiva Atsumu
trema, batte i denti come se fosse in preda alla febbre.
Ma non può
fare altro che aspettare, attendere che il cielo smetta di ululare.
Vorrebbe suo fratello.
Vorrebbe che suo fratello lo abbracciasse, ma Osamu non c'è,
Osamu non c'è e lui si sente dilaniato come se avesse un
cavatappi in testa che gira, che gli arpiona le cervella.
Poi pensa a Shouyou. A
dividerli ci sono due porte e un corridoio.
Atsumu pensa che se
Shouyou fosse lì con lui, che se le loro mani, braccia,
gambe fossero avviluppate come edera, che respirasse il suo respiro,
che se sentisse le sue labbra, la sua fronte, allora forse la notte
riuscirebbe a fargli meno paura.
Potrebbe chiamarlo.
Potrebbe dare voce al grido ininterrotto nella sua testa.
Ma Atsumu stringe i
denti e si costringe a respirare. Pensa a Shouyou che fruga nel suo
armadio alla ricerca di vestiti da rubare. Pensa a quando glieli
restituisce e si sente un’ombra del suo odore. Pensa che
spegne il microonde un minuto prima per non sentire il beep che lo
infastidisce, che quando guarda la televisione il volume deve essere
sempre un multiplo di cinque. Pensa alla sua ossessione con le guide
turistiche, al fatto che vorrebbe andare ovunque e Atsumu si vergogna
come un cane perché a lui viaggiare non piace.
Atsumu ci prova, si
concentra sulle cose che ha scoperto, su quelle che vuole scoprire
ancora, tenta di sovrapporre il suo odore a quello stagnante della
tempesta, l'arancione caldo al biancore straziante dei fulmini.
Non funziona.
(La notte fa davvero
troppa, troppa, troppa paura.)
*
Sette minuti dopo la
mezzanotte, qualcuno soffia alla sua porta.
''Shouyou-kun? Sei
sveglio?''
Shouyou balza a
sedere, il materasso scricchiola provato dal suo movimento brusco.
''Certo,'' esclama a mezza voce, per non disturbare gli altri.
''Vieni.''
Atsumu schiude la
porta e ci scivola attraverso. Si siede sul letto accanto a lui e punta
gli occhi sulla parete.
''È
successo qualcosa?''
''No,'' risponde
Atsumu. ''Ma sono andato in cucina per bere e ho visto che avevi la
luce accesa, e non è da te, perché di solito vai
a dormire tipo prestissimo, perciò…''
Atsumu termina la
frase biascicando qualcosa di incomprensibile. Shouyou incurva le
labbra in un sorriso gentile.
''Non avevo sonno,''
spiega. ''Non so perché. A volte succede.''
Atsumu annuisce.
Shouyou lo osserva e vede le occhiaie violette incorniciargli gli
occhi.
''E tu?''
''Io cosa?''
''Tu perché
non dormi?''
''Come fai a sapere
che non dormo?''
''Perché
sembra che ti abbiano preso a cazzotti,'' risponde Shouyou. ''Hai le
occhiaie che ti toccano i piedi.''
''Beh, grazie mille,''
soffia Atsumu, stizzito.
Shouyou ridacchia.
''Non era un insulto alla tua faccia, Atsumu-san.'' Anche
perché, Atsumu è bellissimo a prescindere, ma
questo non glielo dice. ''Allora? Perché non dormi?''
''Non posso dirtelo.''
''E
perché?''
''È
imbarazzante.''
Shouyou lo fissa, lo
sguardo acceso di curiosità. Ora qualunque ombra di sonno si
è dissolta definitivamente. Shouyou vuole sapere.
''Giochiamo a
diciannove domande.''
''Ancora?''
''Non ti va?''
Atsumu si limita a
rivolgergli un’occhiata vispa, le pupille luccicanti come
quelli degli uccelli, poi scopre i denti in un ghigno e scrolla le
spalle.
''Va bene,'' dice
allora. ''Però devi giurare che non lo dici a nessuno,
perché è davvero imbarazzante.''
Shouyou promette,
Atsumu si fissa le gambe e Shouyou vorrebbe che si avvicinasse di
più, vorrebbe toccargli col piede il polpaccio,
infastidirlo, fargli il solletico. Vorrebbe, vorrebbe, vorrebbe.
Vorrebbe fare tante cose. C’è solo troppo
desiderio.
''Ho paura del
temporale.''
''Cosa?'' esclama
Shouyou, la sorpresa che lo porta a staccare lo sguardo dalle sue cosce
e a fissarlo sul suo viso. ''Dei temporali? Davvero?''
''Sì,''
annuisce Atsumu. ''Perdo completamente il controllo. Non capisco
più un cazzo.''
''Ma in questi giorni
ha fatto sempre il temporale.''
''Per quello non ho
dormito.''
''Perché
non me l’hai detto? Avrei potuto aiutarti.''
''Shouyou-kun, per
quanto tu sia bravo in tutto, non credo che tu sappia come controllare
il meteo.''
Shouyou esita.
''Potrei imparare,'' dice infine.
(Per te lo farei.)
Atsumu gli rivolge un
sorriso gentile. Adora quell’espressione, non la vede mai.
Atsumu di solito ghigna, perciò il suo sorriso privo di
malizia è qualcosa di raro. E gli sta benissimo. ''Lo sai,
dopo tutto quello che hai fatto forse ci riusciresti davvero.''
Shouyou ridacchia e in
quel momento quelle manciate di centimetri che li separano diventano
dolorose, bruciano come fuoco.
''E tu invece? Hai
paura di qualcosa?''
Shouyou apre la bocca
d’istinto per dire che no, non ha paura di niente. Poi
però si blocca e la richiude, riflette.
C’è qualcosa che lo manda nel panico
più totale? C’è qualcosa che lo
terrorizza sino a pietrificarlo?
''I posti chiusi,''
mormora quindi, un po’ spaesato. ''E tutto quello che mi fa
sentire intrappolato.''
In realtà,
Shouyou ha paura di tante cose. Qualunque obbligo lo rende
recalcitrante, qualunque imposizione dettata da fattori che non
dipendono da lui, iniziando dall’altezza con cui è
nato che l’ha ostacolato nella pallavolo. Shouyou ha paura di
tutte le cose che non può controllare, di tutto
ciò che è ineluttabile a prescindere dalla sua
volontà, di tutto ciò che lo muta in un pesce
nella rete, le corde che incidono la pelle sottile, che lo fa sentire
schiacciato da montagne. Per questo gli piace smentire le aspettative
delle persone, per questo gli piace sfidare gli altri e se stesso, per
squarciare i drappi che lo mummificano, per allargare le sbarre della
gabbia in cui si trova. Ma mica ci riesce sempre.
Atsumu gli stringe il
polso. Shouyou sbatte le palpebre e ritorna con la mente nella sua
stanza.
''Scusa,'' dice. ''Mi
ero incantato.''
Atsumu si limita a
stringergli il polso più forte.
''Credo che dovremmo
andare a dormire,'' osserva poi Shouyou, e Atsumu annuisce.
''‘Notte,''
risponde l’altro, e quando si alza Shouyou avverte un
bracciale di ghiaccio rimpiazzare la sensazione tiepida lasciata dalle
sue dita.
Resta, vorrebbe dirgli. Dormi qui.
Non dice niente, e
Atsumu si chiude la porta alle spalle.
*
Questa volta, Atsumu
non sa che ore siano. È notte, ma potrebbero essere le
dieci, come le due, come sette minuti dopo la mezzanotte. Ha di nuovo
la faccia schiacciata contro il cuscino, le mani serrate a pugno contro
le orecchie. Vorrebbe premere più forte, perforarsi i
timpani con gli indici per non dover più sentire.
Gli occhi sono cuciti
dalle ciglia. I lampi bianchi e i tuoni trovano il modo di raggiungerlo
comunque.
Atsumu respira. O
almeno ci prova. Nel caos che si apre a corolla dentro il suo stomaco,
in quella sistole e diastole di luce e rumore, prova almeno ad avere un
respiro regolare. Inspira, espira, inspira, espira, conta i secondi che
passano - troppo lenti, lenti, lenti, sembrano intrappolati nel
fango - e spera che ne manchino pochi alla fine della tempesta.
Qualcosa cigola, ma
Atsumu percepisce quel rumore a malapena, troppo concentrato a tenere a
bada quella marea di sconforto che si gonfia nello stomaco come i peli
rizzati di un gatto. Quando qualcosa gli tocca la guancia,
però, sbarra gli occhi e sobbalza.
Nella penombra, scorge
il viso di Shouyou che lo guarda preoccupato. Un lampo lo illumina,
Atsumu ha giusto un istante per pensare che sia stupendo (persino
adesso?, domanda la voce sconvolta di Osamu, ricordati che ti stai cagando sotto), poi chiude di nuovo gli
occhi e preme più forte le dita contro le orecchie
perché sa che il tuono sta per arrivare.
E difatti il tuono
arriva, e quello è uno scoppio, e Atsumu affonda di nuovo la
faccia nel cuscino più incasinato di prima. La tempesta ora
è vicinissima, e c’è pure Shouyou che
lo fissa. Atsumu pensa che dovrebbe darsi un contegno, che dovrebbe
trovare almeno il coraggio per mandarlo via, non ci vorrebbe che
qualche istante, ma l’idea di aprire gli occhi è
un’utopia. Non riesce a muovere un muscolo, ha perso il
controllo.
Quello è un
terrore così vero, così intenso, che fugge dalla
razionalità. Non può scacciare Shouyou - lampo,
tuono -
non può scacciarlo, spera solo - lampo,
tuono forte, fortissimo - spera solo che non chiami
gli altri perché è già abbastanza
umiliante così.
Shouyou si sdraia al
suo fianco. Atsumu non lo vede, ma percepisce il suo corpo. Se solo non
ci fosse il temporale, se solo Atsumu non avesse così tanta
paura, (se solo, se solo, se solo), scoppierebbe di gioia - lampo,
tuono, lampo, doppio tuono - per favore
fermati, fermati, fermati.
Shouyou lo abbraccia.
Atsumu sente la manica del suo pigiama premere contro la guancia, le
sue dita che gli pettinano i capelli.
''Non posso mandare
via il temporale,'' dice Shouyou - è una voce che fa pensare
al sole, sole contro i cumulonembi. ''Però posso restare qui
e provare a far passare il tempo più veloce.''
No
grazie, vorrebbe
rispondere Atsumu. Lo
apprezzo molto ma te ne devi andare.
Poi però
rimbomba l’ennesimo tuono fortissimo, e l’istinto
di Atsumu è quello di schiacciare la fronte contro la prima
cosa che si trova davanti, come uno struzzo quando ficca la testa
sottoterra. Prima c’era il cuscino, adesso
c’è la clavicola di Shouyou.
Merda,
pensa
Atsumu.
Shouyou poggia la
fronte contro la sua. Un'ulteriore barriera contro la paura.
''C’era una
volta una bambina di carta*,'' sussurra Shouyou.
''Cosa?'' gracchia
Atsumu, la voce distorta, spezzata. ''Mi stai davvero per raccontare
una favola?''
''Potrei raccontare
barzellette,'' propone l’altro, ''ma non sarebbero divertenti
come le tue.''
Atsumu vorrebbe
ridere. In realtà, Shouyou potrebbe distrarlo in altri modi.
Tipo con uno spogliarello, tipo leccandogli il collo, tipo infilandogli
le mani nelle mutande. E forse, forse, in quel caso riuscirebbe a
tenere gli occhi aperti nonostante i lampi, riuscirebbe a non sentire i
tuoni.
Di nuovo un boato che
scoppia, il cuore in gola. No, non quella sera. Atsumu vuole baciarlo,
ma non così, non in quella situazione.
''Una storia va
bene,'' soffia allora, e Shouyou inizia a raccontare.
E la tempesta non
finisce. E la tempesta è imperterrita, prosegue per ore, ma
Shouyou rimane, continua ad accarezzargli la schiena e la nuca (e si
sa, le carezze quando si è vulnerabili si sentono di
più).
È
davvero capace di controllare il tempo, pensa Atsumu, o forse glielo
dice ad alta voce. Perché sì, continua a piovere,
fulmini e tuoni scoppiano alla finestra, riecheggiano fra le pareti.
Shouyou però è come un raggio di sole, e Atsumu
ci si aggrappa stretto.
(La notte fa ancora
paura, ma un po’ meno.)
*
Osamu crede
nell’amore. Ci crede perché l’ha
sperimentato in prima persona: l’amore che lui prova per la
cucina, l’amore che Atsumu prova per la pallavolo, quella
passione che si trasforma in ragione di vita e che ti spinge ad
alzarti, a cadere, ad alzarti di nuovo nonostante i fallimenti,
nonostante i lividi, il sangue, la depressione, la sensazione (delle
volte certezza) di non farcela, buio assoluto. Nonostante tutto, si
continua. Si respira, un passo indietro, a volte due, delle volte si
cambia completamente strada, ma non ci si ferma.
Osamu crede
nell’amore pure perché suo fratello gli prova che
esiste ogni giorno. Atsumu è quella parte di lui senza la
quale si dissolverebbe in un soffio. Atsumu è quella parte
di lui con cui può permettersi di essere sincero, nudo.
Atsumu è l’unica parte, di lui e del mondo, di cui si fida completamente.
L’amore, secondo Osamu, è quando puoi permetterti di dire la
verità, sempre.
Sette minuti dopo la
mezzanotte, Osamu serve gli onigiri a Shouyou e a suo fratello e mentre
li osserva pensa: questo
è amore.
Sette minuti dopo la
mezzanotte, Shouyou si porta il boccale di birra alle labbra. Non
è ubriaco, ma si sente piacevolmente leggero, i colori sono
brillanti e le risate dei compagni riecheggiano ovattate. Hanno vinto
la partita contro gli EJP-Raijin e adesso festeggiano. Atsumu, bagnato
dalle luci calde dell’izakaya, risplende. Shouyou non riesce
a smettere di fissarlo. Vorrebbe sbottonargli il colletto della camicia
e affondargli i denti nel collo, lasciargli solchi e graffi sulla
pelle, cucirgli la sua ombra addosso. Vorrebbe fare tante troppe cose,
e l’adrenalina che circola nel sangue non lo aiuta a sopire
quel bisogno famelico di stringerlo (non di stringerlo, quanto di
possederlo, marchiarlo, fargli male e fargli bene, Shouyou vorrebbe
fare qualcosa di folle, vorrebbe fargli perdere completamente il
contatto con il reale, vorrebbe portarlo in un posto dove non ha mai
portato nessuno).
Shouyou si sente
vittima e artefice di un vortice che non riesce più a
controllare. Punta gli occhi su Meian seduto di fronte a lui, concentra
l’attenzione sulle sue parole, tenta di partecipare alla
conversazione ignorando il ginocchio di Atsumu che sfiora il suo da
sotto al tavolo.
Poi delle persone lo
guardano e ammiccano. Shouyou non è geloso, ma qualcosa
nella testa scatta comunque. Senza pensare (perché non
vuole), nasconde la mano sotto al tavolo imbastendo quanta
più naturalezza possibile. Inizia a chiacchierare con Shion
e nel frattempo le sue dita sfiorano il ginocchio di Atsumu, che si
irrigidisce al suo fianco. Shouyou non lo guarda, si complimenta con
Shion per la splendida ricezione del secondo set, e nel frattempo fa
risalire la mano lungo la coscia. Sente il tessuto dei jeans, il tepore
della pelle. La gamba di Atsumu sussulta, a Shouyou scoppiano stelle
filanti davanti agli occhi. Continua a risalire piano, fa scivolare le
dita nella parte interna, gli molla un pizzico, lascia carezze a forma
di cerchietti con il pollice.
''Atsumu, va tutto
bene?''
Meian gli offre la
scusa per voltare il viso. Shouyou scopre i denti in un ghigno quando
vede l’espressione sbarrata di Atsumu.
''Sì, sto
be-''
Shouyou ne approfitta
e gli poggia la mano dritta fra le gambe. È duro come
l’acciaio, e il sorriso diventa ancora più crudele
quando Atsumu boccheggia ed è costretto a interrompersi
lasciando la frase a metà.
''Devi vomitare?''
domanda preoccupato Shion, e Sakusa disgustato allontana la sedia dal
tavolo.
''Non devo vomitare,''
lo rassicura Atsumu, riprendendo a parlare. ''Non adesso, almeno. Ma
non mi sento molto bene, perciò me ne torno a casa.''
''Ti accompagno,''
civetta Shouyou angelico, ''nel caso potrei reggerti la testa.'' Atsumu
gli scocca un’occhiata assassina, poi sbuffa.
''Omi, passami la
giacca.''
''Alzati e prenditela
da solo.''
''Vuoi che ti vomiti
addosso?'' sbotta Atsumu. Sakusa inarca un sopracciglio e non si muove,
quindi Bokuto allunga un braccio e gliela porge. Atsumu, da seduto, si
infila il cappotto leggero, che copre quello che deve coprire al
momento, poi si alza. Shouyou saluta gli altri e lo segue nella notte,
una felicità surreale che scorre al posto del sangue.
Marciapiede semideserto, luci fioche dei lampioni.
''Sei arrabbiato?''
''Sì,''
risponde Atsumu. ''No. Non lo so. Perché l’hai
fatto?'' domanda poi.
Shouyou fa spallucce.
''Mi andava.''
''Anche a me va di
fare un sacco di cose, ma non per questo lo faccio.''
La voce di Shouyou
è un sussurro. ''Forse dovresti.''
Atsumu si blocca.
Shouyou si blocca un passo dopo il suo. Sorride quando le dita di
Atsumu gli circondano a coppa le guance calde, chiude gli occhi quando
avvicina il viso e i loro nasi sfregano. Sente il suo respiro
rimbalzare nel proprio, il pollice lambirgli lo zigomo. Shouyou porta
la mano sopra quella di Atsumu, la stringe, e Atsumu finalmente lo
bacia.
A Shouyou tremano le
ginocchia. Ha la certezza che fra poco si scioglierà come un
biscotto al sole, carta sotto le gocce di pioggia. Atsumu non bacia
affatto come si aspettava. Credeva che la pancia si sarebbe squarciata
per la fame, credeva che sarebbe stato tutto denti e morsi, invece
Atsumu è quella combo perfetta fra tenerezza e decisione,
è l’acqua densa e salata dell’oceano che
però ti fa galleggiare, ti fa priva del peso e ti spinge
verso il sole.
Quando Atsumu
allontana il viso e gli sorride leccandosi le labbra, Shouyou rimane
spiazzato per qualche istante. Poi gli allaccia le braccia intorno al
collo.
''Baci incredibilmente
bene,'' soffia. Lo sai?
Atsumu sorride,
sornione. ''Sì, me lo dicono tutti.''
''Un altro ancora?''
E Atsumu magnanimo lo
accontenta. Adesso però Shouyou sente i denti, percepisce
l’urgenza, perché le dita di entrambi si uncinano
i vestiti, disperati, respiri corti e pesanti. Shouyou vorrebbe essere
scopato lì, in mezzo alla strada, non gli importa che
qualcuno li veda. Si appiattisce contro il muro, apre la bocca per
proporglielo-ordinarglielo-supplicarlo, le mani svelte che trovano i
bottoni dei pantaloni. Atsumu però si stacca dal suo collo e
gli mette la mano sul petto - tentativo di respingerlo, di respingere
se stesso.
''Casa,'' ringhia,
''dobbiamo andare a casa.''
*
Sette minuti dopo la
mezzanotte sono passati da un pezzo. Sono passati da un pezzo, ma
mentre Atsumu si chiude la porta alle spalle la concezione dei secondi,
delle lancette, del tempo che scorre rimane fuori, seduta come un cane
nel corridoio che separa le loro stanze - non può entrare,
niente li può toccare. In quel momento, in quel posto, in
quell’attimo che possono far durare quanto vogliono, ci sono
solo gli occhi di sgranati di Shouyou che brillano. Atsumu lo vede, lo
vede dentro.
Groviglio sul letto,
vestiti che scivolano via, carne bollente, ossa che tremano, saliva.
Atsumu gli prende le
mani, se le porta alla bocca, le morde piano, gli succhia le dita, gli
bacia i polsi come se fossero fatti di cristallo (Shouyou non
è fragile bensì prezioso, e Atsumu ha riguardo).
Mentre affonda i denti
su ogni briciolo di pelle a cui può arrivare, mentre Shouyou
gli lecca il collo fino a salire all’orecchio, Atsumu sente
di avere tutto, e non in senso metaforico. Fra le sue braccia, Shouyou
diventa un’entità pulsante, le radiazioni di una
stella. Ho tutto, pensa, e ci crede davvero.
Lascia che il suo corpo sprofondi in quella luce - che si
squagli,
pensa, va bene
tutto, va bene qualunque cosa.
Stringe
l’anima di Shouyou. Trema come le ali di un passero, come se
fosse sovraccarica, pronta a scoppiare, ma è nuda ed
è sua, in quel momento è sua, la possiede,
può farci quello che vuole.
''Apri le gambe,''
dice.
Shouyou sorride
sghembo e spalanca le cosce. Lascia che Atsumu lo guardi, la fame che
cresce insaziabile, poi gli afferra il viso con forza e lo
costringe a riportare l’attenzione sui suoi occhi. Atsumu
sente i suoi polpastrelli scavargli nelle guance. Shouyou lo guarda
come se volesse mangiarlo, come se volesse essere mangiato.
''Shouyou,'' sussurra
Atsumu dopo, corpi sudati ma stretti, labbra sulla fronte. ''Somigli a
un raggio di sole.''
(La notte non fa
più paura.)
*
Atsumu entra nella
stanza in punta di piedi, Shouyou lo aspetta sdraiato con un sorriso
sghembo. Non l’hanno ancora detto agli altri, anche se
probabilmente Bokuto e Sakusa l’hanno capito (ci provano ad
essere silenziosi, davvero).
Atsumu si infila sotto
le coperte, Shouyou si porta sopra di lui e gli morde
l’orecchio, le mani veloci che scivolano sotto il suo
pigiama, pelle d’oca sotto le dita. Shouyou pensa: voglio che
duri per sempre. Lo farò durare per sempre.
Gonfia
perciò le guance con disappunto quando Atsumu sposta il viso
mentre sta per baciarlo e lo allontana di qualche centimetro.
''Che hai fatto?''
''Niente,'' risponde
subito Atsumu. ''Prima però posso chiederti una cosa?''
''Vuoi giocare a
diciannove domande?''
''Tipo,
però ne ho solo una.''
Shouyou incrocia le
mani sul suo petto e ci poggia il mento sopra, lo guarda dal basso,
vigile, pronto a rispondere come in attesa di una battuta - avambracci
in posizione, leggerezza, tempismo. Sente il battito del suo cuore
rimbalzargli contro il palmo. Shouyou schiaccia la mano più
forte per sentirlo. Vibra contro la pelle, il ritmo si mischia al suo
sangue, è disarmante, meraviglioso. (No, davvero, il cuore batte, Atsumu respira, Atsumu esiste, è un rapporto
causa-effetto struggente). In quel momento afferra
l’assurdità e l’immensità di
essere vivi, si sente così grato che ha voglia di mettersi a
piangere.
Atsumu apre la bocca.
Poi la richiude. Poi la riapre. Poi la richiude. A quel punto, Shouyou
si preoccupa.
''Atsumu-san,
è una cosa brutta?''
''No,'' dice
l’altro. ''È solo imbarazzante.''
Shouyou gli strofina
il muso fra i bottoni delle clavicole, per incoraggiarlo. Atsumu
sospira, poi lo guarda. ''Tra di noi c’è solo
sesso?''
Shouyou ritira tutto,
Atsumu è un idiota. Sgrana gli occhi - ma
davvero, si può essere così scemi?
''Come?''
''Tra di noi
c’è-''
''Ti ho sentito,'' lo
interrompe. ''Era un come incredulo, Atsumu-san. Tipo un: ma che cazzo
stai dicendo?''
''Oh,'' risponde
Atsumu. ''È un no, vero?''
''No cosa?''
''No che non
è solo sesso. Perché per me non lo è.''
''No che non lo
è.''
Atsumu gli soffia
un meno male in fronte. Shouyou ha il
sospetto che si ritroverà a doverlo tranquillizzare spesso
(ma è una cosa tenera, gli piace, va bene).
''Ora mi puoi
baciare?''
Atsumu lo accontenta.
Mentre si aggrappa alla sua schiena, prima di lasciarsi trascinare,
Shouyou si domanda come faccia una persona che bacia così
bene a essere così insicura.
''Aspetta un
momento,'' dice Atsumu, staccandosi di nuovo - e Shouyou, che non
è di indole violenta, adesso ha davvero voglia di mollargli
un pugno. ''Che ore sono?''
''È
importante?'' piagnucola, addentandogli il collo. Le orecchie di Atsumu
arrossiscono.
''Sì, lo
è.''
Shouyou sospira, poi
afferra il telefono sul comodino.
''Sette minuti dopo la
mezzanotte,'' dice, prima di tornare a spalmarsi su di lui.
''Contento?''
Atsumu lo guarda e
Shouyou si sente la cosa più preziosa al mondo, si sente il
mondo di qualcuno, un raggio di sole, una galassia, tutto. ''Non
immagini quanto.''
*riferimento al libro
‘Il viaggio straordinario di Olga di carta’, di
Elisabetta Gnone
Note
di Cora
Si distribuiscono
secchi per vomitare! Gratuitamente, pensate un po'!
No, comunque, mi
dispiace. La cosa divertente è che io ODIO scrivere fluff,
odio scrivere hurt/comfort, odio scrivere storie prive di angst,
perciò prendiamoci un momento per applaudire il clown che
sono.
Che poi, a me piace il
lieto fine, lo adoro, ma deve essere sofferto e sudato. In questa
storia non c'è niente di sofferto e sudato. Io davvero non
so da dove l'abbia cacata, questa cosa.
Detto
ciò! Intanto io ringrazio come sempre time_wings, che mi ispira anche quando
non sa di averlo fatto (la storia sul veggente che per flirtare finge
di indovinare se x sia destrorso o mancino è tutta vera,
gente! Un applauso anche a lei!), e ringrazio voi per essere arrivati
sin qui e per aver letto. ♥ Alla prossima, nella speranza di
tornare con qualcosa di decente.
See ya!
p.s.: il titolo
è preso dal libro 'Sette minuti dopo la mezzanotte', che non
c'entra assolutamente niente con questa storia ma visto che questo
è il mio spazio ne approfitto per CONSIGLIARLO
SPASSIONATAMENTE (!!!!). Ora evaporo sul serio, ciao!
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