Il
mio venire (alla vita) non ha dato alcun frutto
alla
Ruota celeste
né
la sua bellezza e dignità si è accresciuta per la mia
dipartita.
Da
nessuno ancora, le mie orecchie hanno udito che scopo abbia questa
mia venuta
e
questa mia dipartita.
Rashid
è steso sul letto, lo sguardo fisso sul soffitto.
Tra
le mani, stringe un ritratto della sua famiglia.
Una
terribile strage ha ucciso i suoi genitori, i suoi fratelli e le sue
sorelle.
Lacrime
stillano dalle sue guance, bianche di pena.
I
corpi dei suoi familiari, dilaniati dai proiettili, si sono piantati
nella sua mente.
– Perché
non ero con loro? Perché? – si chiede, angosciato. Il
rimorso strazia il suo cuore.
L’assassino
li ha uccisi quando erano soli.
Se
fosse stato con loro, con le sue abilità, avrebbe potuto
difenderli.
A
cosa è servita la sua forza?
– A
cosa è servita la mia esistenza? – mormora. E’ il
primogenito ed è stato educato nel corpo e nella mente.
Il
suo dovere era proteggere la sua famiglia.
Ha
fallito nel suo scopo.
A
che cosa serve la sua esistenza?
Non
ha compiuto il suo dovere di figlio.
La
porta della stanza si apre ed entra Azam.
L’uomo,
vedendo lo stato di prostrazione di Rashid, scuote la testa e si
siede sul letto.
La
sua grande mano, gentile, sfiora la guancia del giovane.
Rashid,
colto di sorpresa da quel tocco, si gira e i suoi occhi neri, umidi
di lacrime, si fissano in quelli del suo servitore.
– Ho
sbagliato qualcosa? Mi sento così inutile… –
mormora, la voce ridotta ad un sussurro inintelligibile.
Azam,
d’istinto, abbraccia Rashid. Quella domanda è per lui
straziante.
E
lascia che Rashid pianga le sue lacrime sul suo ampio petto.
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