Dilemmi morali

di Sofifi
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Dilemmi morali
(esperimento in seconda persona singolare)
 
 
 







La luce che filtra attraverso le tende sgualcite è pallida e fioca.
Sei chiuso in casa da giorni, e da altrettanto tempo non arieggi la stanza.
Quando venerdì sera ti sei lasciato alle spalle la festa, e traballando sei tornato davanti alla tua palazzina, sentivi tutto il corpo prudere dal nervosismo: hai cominciato a stropicciarti i capelli, graffiarti le braccia, strofinare le Oxford sdrucite spasmodicamente sul tappetino d’ingresso. Volevi scacciare quella sensazione che, complice l’alcol, ti aveva pervaso. Volevi che ti si staccasse di dosso e volasse via assieme al vento freddo e allo smog. Non ha funzionato: ti si è aggrappata forte alle caviglie mentre continuavi a scalciare, senza volerne sapere di lasciarti andare, e lentamente è risalita lungo i tuoi arti, facendoti ardere, ingarbugliare lo stomaco, battere forte il cuore nel petto, mandandoti in tilt il cervello e lasciandoti a boccheggiare.
Ti sei sempre considerato un ragazzo forte, ragionevole, logico, eppure per la prima volta non sei riuscito a tenere a bada pensieri né istinti.
Avevi archiviato Andrea in un cassetto nei meandri più reconditi della memoria la prima volta che lo avevi incontrato, insieme a tutte le cose inutili e indegne – compagni ipocriti che giocano ad essere in guerra con il mondo, pubblicità di mille miracolosi antirughe, il nuovo fast-food aperto accanto all’università… Lo evitasti come fai più o meno con tutti, capendo subito che sarebbe stato molto meglio così.
Eppure qualcosa andò storto: Andrea cominciò ad intromettersi nei pensieri più disparati, incurante del posto che gli avevi riservato; i tuoi occhi ribelli cominciarono a cercarlo, a soffermarsi sulla sua figura slanciata, sui suoi sorrisi fugaci… Pian piano quel divieto che ti eri autoimposto cominciò a traballare, a ricoprirsi di “se”.
Quel venerdì sera eri completamente in balìa della sua immagine scarna e agitata. Eri una macchia scura e floscia, accasciato alla parete come vecchia tappezzeria sporca. Le mani affondate nelle tasche scucite respiravano a ritmo, seguendo la danza delle dita: polpastrelli tra i peli e poi unghie, a graffiare i quadricipiti molli ogni qualvolta incrociassi, di nuovo ed ancora, il suo sguardo.
E poi graffi, e poi graffi, per tutta la sera, tanti da abituartici, a quel fastidioso piacere.
I pantaloni abbassati ti lasciano a vista le cosce pallide. Solo nel tuo monolocale, seduto sull’unica sedia, traballante e scrostata, le osservi, e riguardi quei segni – troppi – prova del del tuo peccato – non abbastanza.
Vorresti strapparti la pelle, o tirarti su i pantaloni; andartene una volta per tutte a dormire, o uscire finalmente di casa. E invece stai lì, immobile su quella sedia scassata, come negli ultimi giorni, come a tutte le ore.
Andrea, nel suo ballo agitato, sudato, era a posto, come se il mondo fosse fatto per quelli della sua specie: quelli che se ne infischiano, che la fanno facile. Tu avresti dovuto soltanto stargli alla larga, invece la vista aveva voluto la sua infima parte, le labbra si erano prese la loro infima parte e il cervello… era stato zitto a guardare.
Baciarlo era stato un errore, un errore imperdonabile. L’attrazione che provi da mesi nei suoi confronti, dopotutto, non ha ragione di esistere. Lui è un ipocrita, un nulla. Lui è la morte della morale.
Eppure ci hai lasciato tutti i tuoi fottuti princìpi, sulle sue cazzo di labbra. Ne sei consapevole – ed è proprio questo il problema.
Avevi sperato in uno schiaffo – forse –, in un rifiuto più o meno gentile, e invece Andrea ha ricambiato il tuo bacio tremante con nonchalance, approfondendolo subito. Che coglione, ti conosce a malapena... Che coglione, ma mai quanto te. Te che avresti dovuto pronosticare ogni possibile esito di quell’azione avventata e che invece hai dato per scontato un rifiuto. Te che adesso hai le cosce rattrappite, le mani fredde e lo stomaco vuoto – ma nella testa ancora quelle labbra sottili, fatte su misura per te.
Sarebbe stato più semplice se ti avesse sputato in faccia: forse così ti sarebbe passata quella stupida cotta. E invece no, lui è una persona impulsiva: non pensa, fa cazzate e a volte anche le ricambia – ti fotte. Lui sorride sulle tue labbra mentre riprendi il respiro, ancora confuso – giallo. E poi ti bacia di nuovo – rosso. E quando finalmente riprendi possesso di te, ti volti e fai per scappare, lui chiama il tuo nome – blu. Simone.
Quella sera hai conosciuto i colori. Che fai?
Susanna una volta ti aveva parlato del grigio e delle sue sfumature. Aveva sorriso: Qualcuno dice che siano cinquanta. Tu non l’avevi presa sul serio – ma ora senti il giallo, il rosso e il blu – e a volte sei così confuso da non riuscire a fare a meno di sperare che quella favola sia vera, che il grigio esista e che non sia poi così male.
Hai un arcobaleno sfumato sulle labbra – o forse pensi di averlo?
Beh, che tu abbia le allucinazioni è ormai certo. Il mondo è bianco e nero, dopotutto. Non è così?
Si fottano i colori – e invece fottono te. Te che vorresti illuderti che il grigio non sia semplicemente nero sbiadito dalla misericordiosa luce dell’ipocrisia. Te che hai le tempie che pulsano per un’indecisione che non ti appartiene.
Non ti sei mai ritenuto fluido, perché fluido è chi si adatta. Tu sei rigido, nei movimenti e nel pensiero. Perché, allora, questa indecisione? Gli arti cigolano quando la tua mano torna a stringere il tuo sesso invigorito, così come gli ingranaggi che regolano i pensieri quando speri in lui e te e in altri mille baci in altre mille feste di merda – ma presto le tue cosce sono di nuovo umide.
Forse è domenica pomeriggio, forse è lunedì mattina. Forse è notte e il bagliore che illumina la stanza non è altro che il lampione davanti alla finestra. Forse quel cigolare continuo non sei tu ma le suole di gomma di chi cammina su un pavimento in resina. Forse qualcuno bussa.
Ti volti verso la porta mentre la maniglia comincia a tremare. È una questione di secondi, poi appare Susanna con una tessera in mano. Ti osserva ed arrossisce, poi si volta verso il muro. Tu ti tiri su le braghe ed incroci le braccia.
“Non entrare così in casa mia,” bofonchi seccato.
Lei fa una piroetta e ti si avvicina; ti lascia un bacio sulla guancia e si stringe tra le spalle.
“Ciao, eh!”
“Cia’.”
“Ti ho disturbato?” ghigna, indicando i tuoi pantaloni.
È il tuo turno di arrossire.
“No,” fai imbarazzato, cercando di acciuffarla per il braccio. Ma, un’altra piroetta, e lei è già davanti alla finestra. Apre le tende e poi i vetri e poi guarda giù.
“Sai: cambiare l’aria, ogni tanto, fa bene.”
“...Ma fatti i cazzi tuoi.”
“Se volessi farmi i cazzi miei non sarei qui.”
Tu sbuffi e ti alzi; a passi rigidi ti avvicini al lavandino e cominci a lavarti le mani col detersivo per piatti.
“Allora, perché sei qui?”
Lei osserva la tua schiena storta e decide di sorridere: “Ho saputo che hai baciato Andrea.”
Stritoli lo strofinaccio.
“Hai saputo…”
“Me l’ha detto lui. E mi ha anche detto che sei fuggito poco dopo, come una moderna Cenerentola.”
Lasci cadere a terra lo straccio, gli occhi che diventano sempre più lucidi, e fissi lo sguardo sulla tomaia delle tue scarpe.
“Simone…” Susanna sospira, ti si avvicina, “Andrea è un bravo ragazzo.”
Tu scuoti la testa.
“Io non sono come te. Non ce la faccio…”
“Non è perfetto. È questo il problema, vero?” intuisce la ragazza, “Simone, nessuno è perfetto!”
Non distingui più i tuoi piedi. Piangi. Lei ti stringe in un abbraccio.
Vorresti dirle che non è vero che nessuno è perfetto, perché c’è lei, e ci sei tu, e ci sono sicuramente altre persone come voi due.
Lo dici. O, meglio, lo singhiozzi e lei ti accarezza i capelli unti.
“Simone, io non sono perfetta,” ti contraddice, “e non lo sei nemmeno tu,” ride. “Una volta ho rubato una bici solo perché non avevo voglia di andare a piedi fino al supermercato…”
“Ma poi l’hai riportata.”
“Sì, ma l’ho comunque rubata,” puntualizza, “E poi… a volte ho urlato… contro Laura o contro i miei genitori,” ammette allargando le braccia, “vuoi disconoscermi?”
Tu fai un passo indietro, pensandoci, e lei spalanca la bocca, offesa.
“E io?” chiedi allora cambiando discorso. Che avrei fatto? non riesci ad articolarlo, ma lei capisce lo stesso – come sempre.
“Hai illuso un ragazzo,” fa seria, “non è una bella cosa.”
Ti asciughi le guance con il palmo della mano e alzi gli occhi al cielo. Non è assolutamente comparabile…
Ancora una volta lei sembra intuire: “Forse per te non è importante, ma che ne sai di quanto ci è rimasto male lui?”
“Non scherzare,” bisbigli.
“Non sto scherzando.”
È proprio così. Susanna non sta giocando e te ne accorgi dal suo sguardo severo.
“E quindi secondo te sarei anche io una pessima persona…”
Susanna scuote la testa. No, non è quello che intende. Ti vorrebbe parlare di nuovo di grigio ma tu lo sai che non esiste.
“Vai via,” ordini allora. “Vai via,” ripeti. “Vai via,” strilli.
Lei se ne va davvero; sbatte la porta dietro di sé.
Resti solo. E ancora sei solo quando, disteso sul pavimento freddo su cui ti sei lasciato scivolare poco dopo la dipartita della tua amica, finalmente accetti di essere anche te immerso nell’oscurità. Susanna è la voce della ragione e ora che ha parlato non puoi riavvolgere il nastro del tempo.
Dalla finestra ti tende un agguato la bestia dell’ipocrisia seducente, ma tu la scansi con veemenza. Non hai pietà, alcuna pietà, neppure per te stesso. Lei sarebbe stata una silenziosa e rassicurante compagna ma gli animali domestici – e che addomesticano – non fanno per te. Tu sei rigido, nei movimenti e nel pensiero. Non sei più indeciso.
In un mondo senza grigio chi non è bianco, allora è nero. Chi non è buono, è crudele. Non esiste alcuna scusa.
In un mondo in bianco e nero, chi prova e poi fallisce prima o poi soffoca nella consapevolezza dei suoi sbagli.
Non è un colore ciò che ti avvolge e ti soffoca. È un mostro, che si appiattisce sullo zerbino e scivola nella tua casa.
Non lo vedi: non sai che si lecca le labbra; non puoi comprendere l’infausto presagio. Ma presto cadrai inerte – forse non arriverai all’inverno.
Presto cadrai inerte – la belva t’inghiottirà.
 
 
 
 
 
In un mondo in bianco e nero
non c’è spazio per il grigio,
non c’è spazio per i colori,
non c’è spazio per te.














 

ANGOLO AUTRICE:
Ho cominciato a scrivere questa storia alla fine del 2019. Solo recentemente, però, l'ho ripresa in mano e oggi l'ho finalmente terminata.
Devo dire di non saper bene che pensare di questo racconto, ma è da tanto che volevo scrivere qualcosa con Simone per protagonista e, quindi, ecco... l'ho fatto.
S. sicuramente non è un personaggio facile da comprendere, ma spero che in questa breve storia sia riuscita a farvi provare qualcosa nei suoi confronti, fosse anche solamente irritazione.
Spero che la storia sia sensata e non sembri troppo incasinata e niente, grazie per essere qui ed averla letta!


P.s. La "Laura" che viene solamente nominata é la ragazza di Susanna.




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