Bloody Castle - L'ultima strega

di Nana_13
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Capitolo 15

 

Il prezzo da pagare


“Niente. Qui non c’è un bel niente!” 

Mary imprecò ad alta voce, facendosi sentire forte e chiaro sia da Byron che dai loro accompagnatori. Ancora una volta si maledì per aver dato retta a quell’umano grasso e dall’aria molto poco intelligente che avevano intercettato nel pub diverse sere prima. Vi si erano imbattuti per puro caso, giusto perché a lei era venuto il capriccio di entrare a prendersi uno scotch. Altrimenti non avrebbero mai saputo che, proprio nel periodo in cui si trovavano a Durness, Dean aveva deciso di fare un salto nel suo negozio di pegni per vendergli un cellulare. Un’imprudenza non degna di lui e un bel colpo di fortuna per loro. Confermata la versione riferita al barista, il grassone aveva aggiunto che c’era anche una ragazza, una del posto, niente a che fare con gli umani che Dean si portava dietro da mesi, e Mary aveva pensato fosse una cosa strana. Così si erano fatti gentilmente indicare la direzione da cui erano venuti. Peccato però che stessero setacciando la zona ormai da giorni, senza trovare assolutamente nulla. Tutto ciò che si presentava davanti ai loro occhi era la nuda roccia, qualche macchia sparsa di vegetazione e il mare all’orizzonte, nient’altro. Tantomeno qualche traccia di vita umana. 

“È stato un errore risparmiarlo. Avrei dovuto tagliargli la gola e lasciarlo in quel vicolo sudicio.” disse, trattenendo un fremito di rabbia. Era consapevole che ucciderlo avrebbe significato attirare inutilmente attenzioni indesiderate, ma ne sarebbe valsa la pena solo per il godimento che ne avrebbe tratto. 

Al contrario, Byron sembrava come al solito molto meno preda delle emozioni e la cosa non migliorava certo il suo umore. “Ha detto che la ragazza abita fuori città, ma non sapeva dove di preciso.” rifletté concentrato, fermandosi sul ciglio della strada. “Viene spesso per fare compere e vendere i prodotti della sua fattoria, eppure non ha mai stretto rapporti con nessuno, se non il minimo necessario.” 

“Sì e allora?” Perché continuava a ripetere cose che già sapevano? 

Lui la guardò. “Non è insolito che una perfetta sconosciuta, che in genere se ne va in giro da sola, si sia presentata in città in compagnia del nostro Dean? Dove e come si saranno incontrati? E perché erano insieme quel giorno?”

Tutte quelle domande se l’era poste anche Mary, tuttavia non vedeva proprio come scoprirlo potesse aiutarli a capire dove si fossero rintanati. Sembravano come spariti nel nulla.

“La direzione indicata dall’umano portava lungo questa strada.” Byron riprese a camminare, percorrendo la linea dell’asfalto fino a superare il punto in cui si trovava lei. Il suo sguardo si spostò oltre, verso le colline erbose, soffermandosi a fissare qualcosa di non ben specificato. 

Gli occhi nocciola di Mary seguirono di riflesso la stessa traiettoria. Non capiva cosa stesse guardando, visto che lì c’era solo sterpaglia. Ormai avevano superato da un pezzo il centro abitato e dubitava che qualcuno potesse avere una casa in quel posto così fuori mano. “Senti, abbiamo battuto la zona palmo a palmo più volte e di loro nessuna traccia. È probabile che quell’idiota fosse ubriaco anche il giorno in cui sosteneva di aver visto Dean, ammesso che fosse davvero lui…”

D’improvviso, Byron sollevò il braccio per zittirla. La sua espressione era mutata di punto in bianco, trasformandosi in puro stupore.

“Che diavolo c’è ora?” ribatté irritata. Dapprima non vide niente di diverso, poi però avvertì un forte spostamento d’aria e il terreno sotto i suoi piedi prese a tremare. Durò poco, ma ciò a cui assistette subito dopo la lasciò di stucco. Là in fondo, a ridosso della scogliera, dove prima avrebbe potuto giurare ci fosse il nulla, era comparsa una piccola costruzione di pietre e mattoni. Il fumo usciva dal comignolo, segno che dentro ci fosse un camino acceso e dunque delle persone. 

Byron si riscosse in fretta. “A quanto pare l’idiota ubriaco aveva ragione.” 

 

-o-

 

Quella mattina, dopo aver dedicato gli ultimi giorni all’arte delle pozioni, Margaret aveva deciso di variare un po’ spostando gli allenamenti sulla spiaggia, visto che Rachel era da poco riuscita a generare sfere di fuoco dalle mani e ora doveva imparare a lanciarle controllando il tiro in modo che andassero nella direzione voluta. Sarebbe stata anche un’ottima occasione per affinare una nuova tecnica di difesa, in vista delle battaglie che con ogni probabilità avrebbero dovuto affrontare in futuro. Comunque si trattava di un’operazione decisamente troppo pericolosa da svolgere in un ambiente chiuso e limitato come il laboratorio nella grotta. Per una volta, quindi, anche gli altri poterono assistere, pur rimanendo a distanza di sicurezza. 

Per l’occasione Margaret aveva pensato di rispolverare il suo vecchio bersaglio da tiro con l’arco. “Finalmente sarà di nuovo utile.” aveva commentato allegra, mentre lo sistemava qualche metro di fronte a Rachel. 

Ormai erano un paio d’ore che si allenava a lanciare e la fatica iniziava a farsi sentire, soprattutto perché l’energia da impiegare era doppia, visto che doveva sia generare le sfere sia provare a dar loro una direzione che fosse più regolare possibile con l’aiuto dei suoi poteri d’aria. I lanci non andarono tutti a segno, anzi, gran parte finì sulla sabbia, spegnendosi miseramente, ma nel complesso il risultato poteva dirsi ottimale.

Appoggiato su una roccia in disparte con gli altri, Mark la osservava con un misto di apprensione e disappunto. Non aveva ancora mandato giù la vicenda dello svenimento e da quel giorno non si era più degnato di guardare Margaret in faccia, tantomeno di rivolgerle la parola. La mattina seguente Juliet aveva sentito lui e Rachel discutere dal piano di sotto. I toni erano piuttosto alti e l’argomento della lite decisamente chiaro. Mark avrebbe voluto che smettesse con l’addestramento, o almeno che ci andasse più piano, cosa di cui ovviamente Rachel non voleva sapere. 

“Sei più tranquillo adesso?” sentì chiedergli da Cedric, che gli stava accanto. “Guardala, sta bene. Anzi, se fossi in te starei attento a non farla arrabbiare.” scherzò per tirarlo su. “Ricorda cos’è successo l’ultima volta con…” gli sussurrò poi, indicando Dean con un cenno del capo.

L’amico però non sembrava dell’umore. Infatti, si limitò ad annuire appena.

Anche Cedric se ne accorse e sospirò paziente. “Senti, so che sei preoccupato. Lo sappiamo tutti. Si vedrebbe perfino dalla luna, ma non puoi assillarla così. Fidati, io lo so bene. Peggiorerai solo le cose.” 

Juliet non si espresse, ma era perfettamente d’accordo. 

“Lo so. So che non è una stupida e che sa quello che fa, ma so anche che questa causa le sta molto a cuore. Non si fermerà finché non avrà raggiunto l’eccellenza e ho paura che così possa farsi del male. Pretende troppo da se stessa.” rispose Mark in tono mesto. 

Con una fraterna pacca sulla spalla, Cedric gli fece capire che gli era vicino e la conversazione si interruppe lì, anche perché Rachel aveva appena scagliato una sfera di fuoco con più veemenza del solito, centrando in pieno il bersaglio, che andò in fiamme.

Dopo averlo spento con un rapido gesto della mano, Margaret si complimentò con lei, concedendole poi una pausa. 

Dall’ultima volta che era svenuta, sembrava molto più attenta a non farla stancare troppo e, per certi versi, Rachel le era grata. Per altri, invece, la infastidiva essere trattata con i guanti ed era certa che la colpa fosse di Mark. Juliet le aveva raccontato della sceneggiata che le aveva fatto mentre lei era priva di sensi, per questo avevano litigato di nuovo e adesso non si parlavano. Detestava quelle sue continue intromissioni, ma non c’era verso di farlo smettere. 

Con il respiro affannato raggiunse l’amica, che le porse il thermos con l’acqua fresca. 

“Sei stata grande.” le disse, sforando un gran sorriso di incoraggiamento. 

Lei la ringraziò, prima di prendere un’abbondante sorsata. Nonostante la sua resistenza aumentasse di giorno in giorno, la magia richiedeva comunque un notevole sforzo fisico e mentale. 

“Tutto bene?” le chiese Mark allora.

Lì per lì Rachel rimase sorpresa che le rivolgesse di nuovo la parola. Tuttavia, non aveva ancora smaltito la rabbia dell’ultima discussione, così fece solo cenno di sì con la testa, guardandolo a malapena. 

Lui, invece, non sembrò afferrare che forse al momento non era il caso di insistere. “Se sei stanca dovresti dirglielo. Magari per oggi potreste chiuderla qui…”

“No, voglio andare avanti ancora un po’.” lo contraddisse piccata, quasi parlandogli sopra. Insomma, lo faceva apposta? Provava gusto a farla innervosire. “Non sono così debole e, anche se tu pensi il contrario, conosco i miei limiti.” Di quel commento non ci sarebbe stata necessità, ma lo disse perché si sentiva in vena di ripicche.

Come prevedibile, Mark non la prese bene e, dopo un attimo di spaesamento, le lanciò un’occhiata risentita. “Sai che c’è? Hai ragione, non penso che tu sia in grado di capire quando fermarti, quindi…”

“Quindi hai deciso che debba essere tu a dirmelo?” lo interruppe, alzando la voce. “Dovresti conoscermi ormai. Se c’è una cosa che detesto sono gli uomini che impongono la propria volontà sulle donne!” 

“E si ricomincia…” mormorò Cedric con un sarcasmo venato di stanchezza.

Troppo preso dalla lite per farci caso, Mark alzò gli occhi al cielo. “Addirittura!” esclamò esasperato. “Non ti sto imponendo niente, Ray. Mi sto solo preoccupando per te, lo vuoi capire?”

“Non so più come dirtelo, non mi serve! La situazione è già pesante di per sé, senza che ti ci metta anche tu. Se invece di passare il tempo ad assillarmi stessi dalla mia parte, sarebbe tutto meno difficile!” 

“Io sono dalla tua parte!”

“Non direi proprio, se così fosse non litigheremmo ogni due minuti sempre per le stesse cose!” 

Visibilmente provato, Mark sospirò, cercando di ritrovare la calma. “Bene, visto che parlare con te o con un muro è la stessa cosa, non mi dai altra scelta.”

Rachel lo guardò accigliata. “Che significa questo?”

“Fino a prova contraria, sono ancora il tuo ragazzo e se permetti ho tutta l’intenzione di proteggerti. Anche da te stessa, se serve.” puntualizzò deciso. “Scordati che rimarrò a guardare mentre ti fai del male per dar retta a quella fanatica esaltata. Vado a parlarle io, fine della storia.” Detto questo, si mosse per andare da Margaret, che se ne stava in disparte ad aspettare il ritorno di Rachel. Non era chiaro se avesse afferrato o meno l’argomento della discussione, ma probabilmente le stavano fischiando le orecchie.

“Non ci pensare neanche!” replicò Rachel con le fiamme negli occhi, senza però ottenere risultati. 

Mark, infatti, continuò a darle le spalle, diretto al suo obiettivo. 

Il fatto che si ostinasse a ignorarla le fece salire una rabbia cieca e incontenibile. Il sangue le ribolliva come in una pentola a pressione e tutto il suo corpo venne pervaso da una forte energia. 

La voce allarmata di Margaret che gridava il suo nome le arrivò quasi ovattata e comunque non le prestò attenzione. “Fermati!” urlò dietro a Mark furiosa. A quel punto non fu più in grado di contenersi e tutto il potere, che fino a quel momento premeva per uscire da lei, esplose in una terrificante onda d’urto che travolse sia Mark che gli altri, buttandoli a terra. Il vento fu così sferzante da sollevare un muro di sabbia alto più di un metro. 

Il tutto durò appena qualche secondo, ma bastò a prosciugarle le forze. Con il fiato rotto dalla fatica, cadde in ginocchio. Un sudore freddo le colava dalle tempie e addosso percepiva ancora i fremiti causati dalla magia che man mano andava affievolendosi. Colta dal terrore per quello che aveva provocato, sollevò la testa e si guardò intorno per constatare i danni. Il primo su cui diresse l’attenzione fu Mark, che investito dalla sabbia era rotolato a diversi metri da lei e ora stava cercando di rialzarsi. Tossendo, si voltò e, quando i loro sguardi si incontrarono, Rachel lo vide scioccato e spaventato allo stesso tempo.

Era talmente sconvolta da accorgersi a malapena che intanto Margaret le era corsa accanto per aiutarla. “Stai bene?” domandò. Forse per la prima volta da quando Rachel aveva iniziato a usare i poteri la sua voce era davvero preoccupata. “Questa è stata più forte delle precedenti. Coraggio…” 

Le gambe ancora le tremavano e Rachel dovette aggrapparsi alla sua maestra per riuscire a rimettersi in piedi. Alla fine, Margaret la sollevò praticamente di peso.

Intanto Juliet, tra un attacco di tosse e l’altro, era appena riemersa dall’abbraccio di Dean, che nell’istante in cui aveva sentito la donna gridare, intuito cosa stesse per succedere, con prontezza di riflessi l’aveva afferrata e stretta a sé, usando il suo stesso corpo per proteggerla dall’onda d’urto prima che entrambi venissero sbalzati via. 

Quando aprì di nuovo gli occhi e incontrò i suoi, vi lesse confusione e spavento.

“Tutto bene?” mormorò apprensivo, preoccupandosi per lei prima di ogni altra cosa.

Ancora scossa, Juliet riuscì soltanto ad annuire, a malapena consapevole dell’accaduto. Il tempo di assistere all’ennesimo litigio tra Rachel e Mark e si era ritrovata da tutt’altra parte. Il primo pensiero andò naturalmente all’amica e, una volta in piedi, la cercò con lo sguardo carico d’ansia, trovandola a diversi metri di distanza assistita da Margaret. Stava per raggiungerle, quando un lamento attirò la sua attenzione.

Cedric era seduto per terra, addossato a uno scoglio che emergeva dalla riva, e con una mano si teneva la spalla sinistra dolorante. Quando arrivarono per soccorrerlo, si accorsero anche di un brutto taglio orizzontale sul sopracciglio, segno che avesse anche sbattuto la testa. 

“La spalla…” disse quasi in un sussurro, reprimendo il dolore causato dalle fitte. “Credo di essermela rotta.”

Ignorando l’acqua gelida che gli arrivava oltre le caviglie, Dean gli si avvicinò per studiare la situazione e accertarsi che fosse il caso o meno di spostarlo. “Ce la fai ad alzarti?” gli chiese poco dopo.

Cedric fece cenno di sì e lasciò che lo aiutasse a mettergli il braccio sano intorno al collo, per poi tirarlo su e sostenerlo finché non furono entrambi fuori dall’acqua. 

“Se non ricordo male, l’ultima volta i nostri ruoli erano invertiti. Non lo trovi buffo?” osservò Dean, mentre camminavano. 

“Ma di che parli?”

“Mi riferisco a quando ci siamo conosciuti.” chiarì. “Ho ancora nelle orecchie la tua proposta di lasciarmi agonizzante in quella foresta, in balia dei lupi affamati.”

Afferrato il riferimento, Cedric alzò gli occhi al cielo. “Penso ancora che fosse una buona idea…” L’ennesima fitta lo mise a tacere, ma riuscì comunque a strappare a Dean un leggero ghigno divertito. 

Margaret si stava ancora occupando di Rachel quando glielo portarono, tuttavia, viste le sue condizioni, la lasciò un attimo a riprendersi dallo shock per dedicarsi a lui. Per prima cosa gli disse di spogliarsi, per verificare lo stato della spalla e capire se fosse rotta.

“Per tua fortuna è solo una lussazione. Posso aggiustarla facilmente, ma farà male.” lo avvertì, dopo averlo esaminato; poi si guardò attorno in cerca di qualcosa che facesse al caso loro e poco dopo gli porse un legnetto raccolto vicino alla riva. “Ecco, mordi questo.” 

“Non mi serve, posso resistere.” obiettò Cedric, orgoglioso come sempre.

Margaret allora alzò un sopracciglio scettica. “Fare il duro non ti impedirà di sentire dolore. Avanti, fa come ti ho detto. E tu” si rivolse a Dean. “assicurati che resti fermo.” Detto ciò, prese il braccio di Cedric e si preparò ad agire. “Al mio tre. Uno...”

Con il bastoncino tra i denti lui fece un respiro profondo, aspettandosi che dopo l’uno ci fosse il due, ma così non fu. Margaret, infatti, smise di contare molto prima del previsto e con un movimento secco ma esperto spinse in dentro il braccio, che riacquistò con un sonoro crack la sua posizione originaria. 

Assalito da un dolore lancinante, Cedric serrò i denti nel legno nello scarso tentativo di trattenere le urla e sgranò gli occhi, fissandola sconcertato. In fretta si liberò del bastoncino sputandolo via, per poi esternare tutta la sua indignazione. “Che diamine, non poteva usare una delle sue magie? Mi ha fatto un male cane!”

Margaret, però, vi badò a malapena, impegnata com’era a realizzare una fasciatura di fortuna con la stessa maglietta di Cedric, che annodò in modo tale da sostenere il braccio e far sì che rimanesse ben fermo. Alla fine, soddisfatta si sfregò le mani, mentre attendeva che Juliet e gli altri lo aiutassero a rivestirsi. I suoi abiti in realtà erano ancora mezzi fradici, ma sempre meglio che rischiare il congelamento. 

“E questa è fatta. Ora occupiamoci di quel taglio.” Concentrandosi sulla fronte del ragazzo, la donna sollevò le mani, segno che stavolta intendesse usare i suoi poteri, ma non fece in tempo a pronunciare la prima sillaba dell’incantesimo curativo che la voce di Ayris li colse di sorpresa e subito dopo la videro arrivare di corsa. Non si aspettavano di vederla lì perché era rimasta al cottage, ma ancora meno di sentire ciò che disse in seguito. 

“Ci hanno trovato!” esclamò allarmata, ancora prima di arrivare da loro. Dopo averli raggiunti, cercò subito lo sguardo di Margaret, che ricambiò confusa. “L’incantesimo di protezione…”

Fu allora che la strega sembrò intuire tutto. “Il potere di Rachel deve averlo dissolto.” constatò, infatti, di lì a poco. 

Istintivamente Dean volse lo sguardo nella direzione da cui era appena venuta, sulla sommità della scogliera, e d’un tratto fu come se quell’immenso ammasso di roccia gli stesse cadendo addosso. Un gruppo di figure vestite di scuro stava scendendo rapido dal cottage e non gli ci volle molta immaginazione per capire di chi si trattasse.

Juliet lo vide sbattere le palpebre incredulo e poi sgranare gli occhi come se avesse visto un fantasma, ma non fece in tempo a chiedergli niente perché lo sentì afferrarle la mano e poi si voltò rapido verso Margaret. “Sono qui.”

Ben presto, anche la donna se ne rese conto ed ebbe la sua stessa reazione. 

“Zia!” la chiamò Ayris, riscuotendola. “Che facciamo?”

“Ormai ci hanno visto, dobbiamo metterci al riparo.” replicò Dean sbrigativo. 

Con il panico negli occhi, Margaret annuì concorde. “Al laboratorio, presto!”

 

-o-

 

In testa al gruppo, con Benedict che la seguiva a ruota, Mary scendeva verso la spiaggia con l’agilità e la scaltrezza di uno stambecco. 

Quando lei e Byron si erano visti comparire quella casa davanti agli occhi non avevano perso tempo e, una volta lì, si erano precipitati dentro per controllare che i loro sospetti fossero fondati. Degli abitanti neanche l’ombra, ma tutto lasciava presupporre che fino a un attimo prima ci fosse stato qualcuno; poi il rumore di una porta che sbatteva aveva dirottato la loro attenzione sul retro, che in seguito scoprirono dare direttamente sulla scogliera. A quel punto si era affacciata e li aveva visti. Erano loro, non avrebbe mai potuto sbagliarsi.

Cosa ci facessero radunati su quella spiaggia non ne aveva idea, ma non c’era tempo per le domande. Era abbastanza certa che si fossero accorti della loro presenza e ne ebbe conferma quando li vide scappare. Allora incitò gli altri a sbrigarsi e in poco tempo raggiunsero la spiaggia, lanciandosi all’inseguimento.

Averli notati prima aveva dato loro un po’ di vantaggio e Mary imprecò dentro di sé vedendoli entrare nella grande grotta sulla spiaggia e sparire, inghiottiti dall’oscurità. “Se li perdiamo lì dentro è finita! Dobbiamo fare presto!” gridò, sentendo aumentare l’adrenalina. Dopo anni in cui era rimasto sopito, provava di nuovo il brivido della caccia.

Imboccarono a loro volta l’immensa cavità, ritrovandosi esattamente nell’ambiente che aveva immaginato. Si trattava di una serie di cunicoli scavati nella roccia, alcuni abbastanza ampi da consentire il passaggio di più persone alla volta, altri invece praticamente inaccessibili. 

Fortunatamente, con la loro vista sviluppata furono in grado di inoltrarsi parecchi metri in profondità e continuare a vedere dove mettevano i piedi, ma ben presto il buio li avvolse. Benedict prese dalla borsa le torce che si erano portati in caso di necessità e ne passò una anche al compagno, prima di affiancarsi a lei per farle luce lungo il percorso. 

“Dove diavolo si saranno cacciati?” si domandò a voce alta, tendendo l’orecchio per percepire il minimo rumore. Se si erano infilati lì dentro era probabile che la grotta avesse altri sbocchi verso l’esterno, altrimenti perché mettersi in trappola da soli? D’improvviso, il suo sguardo afferrò un movimento, seguito dal suono concitato dei passi sulla roccia. “Laggiù!” esordì, scattando nella stessa direzione. Mentre correva sentì le loro voci mescolarsi e l’eco rimbalzare sulle pareti della caverna. Sembravano così vicini, eppure non riuscivano mai a raggiungerli. Quando, però, li vide imboccare uno stretto cunicolo pensò che ormai non avessero scampo e spronò gli altri a seguirla nel pertugio. Sicura di aver vinto, che giunta dall’altra parte li avrebbe presi, attraversò il passaggio con foga incurante della roccia che le graffiava braccia e schiena. Solo una volta uscita le sue aspettative vennero disattese. Nello spiazzo in cui si ritrovarono non c’era altro se non un’alta parete di roccia. Erano spariti. Un attimo prima correvano qualche metro davanti a loro e l’attimo dopo si erano volatilizzati. 

Mary e gli altri si guardarono intorno spaesati, ognuno incapace di darsi una spiegazione logica. 

“Erano proprio qui… che fine hanno fatto?” chiese Isaac scioccamente. 

Dopo aver dato una rapida occhiata in giro, Benedict si rivolse a lei. “Che facciamo, Milady?”

“Non possono essersi dileguati nel nulla, saranno nascosti nelle vicinanze. Cercateli qui intorno.” ordinò secca, indicando altri anfratti utilizzabili come vie di fuga. 

I due vampiri obbedirono, allontanandosi insieme per setacciare la zona, mentre lei e Byron rimanevano di guardia davanti alla parete. 

Byron assunse un’aria pensierosa, scuotendo poi leggermente la testa. “C’è qualcosa di anomalo qui.” rifletté, prima di spostare lo sguardo sulla nuda roccia. 

-Altroché- pensò Mary indispettita. Essere costretta a collaborare con lui era già anomalo di per sé. “Cosa intendi dire?” Lo squadrò, incrociando le braccia.

Dopo essersi concesso qualche altro istante per studiare il muro con attenzione, si degnò di risponderle. “Sono piuttosto certo che la verità sia di fronte ai nostri occhi, ma non riusciamo a vederla.” Terminò la sua frase criptica quasi in un sussurro, appoggiandosi alla parete con entrambe le mani e poi avvicinando anche l’orecchio, come se pensasse di sentire qualcosa dall’altra parte. 

Fu allora che Mary si convinse del fatto che fosse completamente andato. “Mi spieghi cosa stai facendo?” 

Lui, però, non diede peso alla sua solita impazienza, anzi, chiuse addirittura gli occhi per riuscire a concentrarsi meglio. “Percepisco dell’energia…” mormorò, lasciandola in sospeso. “La stessa sensazione che ho avvertito poco prima del terremoto sulla scogliera.” D’un tratto, sembrò giungere a una conclusione di cui non si disturbò di informarla e, staccatosi di scatto dalla roccia, si chinò rapido sulla sua borsa da viaggio. 

“E adesso?” fece lei, che non riusciva più a stargli dietro.

“Questa parete è solo un’illusione, in apparenza solida ma in realtà fittizia.” le spiegò finalmente, mentre tirava fuori alcuni dei suoi sassi con le rune incise e li disponeva per terra. “Non so come sia possibile, ma credo che al di là di essa ci sia dell’altro, qualcosa di nascosto.” 

Questo avrebbe spiegato il perché dell’improvvisa sparizione di Dean e dei suoi amichetti, e per una volta Mary si ritrovò addirittura a pensare che le parole di quello squinternato potessero avere un senso. Il ritorno di Benedict e Isaac, però, la distrasse da quelle riflessioni. 

“Sono spiacente, Milady. Non li abbiamo trovati.” la avvertì Benedict, illuminando a giorno l’ambiente intorno a loro con la torcia.

Il volto di Isaac si contrasse in un ghigno sprezzante, poi il vampiro sputò a terra. “Se quel cane codardo pensa di sfuggirmi, si sbagl…” I suoi sproloqui vennero interrotti da un risvolto inaspettato, che dispensò Byron dal dover usare la sua magia. 

L’ipotesi della finta parete si rivelò esatta quando la videro assumere una consistenza liquida, come se fosse fatta d’acqua, e poi dissolversi nel nulla. Quasi nello stesso istante vennero investiti da un forte vento, che lì per lì non permise loro di vedere cosa c’era dall’altra parte. 

Mary, però, conosceva bene quel fenomeno e non ci mise molto a capire. “È un portale!” gridò, riparandosi gli occhi. “Hanno aperto un dannato portale!” Doveva assolutamente fermarli, così non perse altro tempo ed entrò, trovandosi di fronte alla scena di una donna stesa a terra, apparentemente in fin di vita e, poco distante, una delle ragazzine di Greenwood che piangeva disperata, resistendo ai suoi amici che la strattonavano per convincerla a entrare nel vortice.

Accanto a lei Byron fissava la scena con un’espressione sconvolta. “Non è possibile…” lo sentì sussurrare.

Tutto accadde troppo in fretta perché potessero impedirlo. Nel giro di pochi secondi, il passaggio aperto nella roccia inghiottì le loro prede, ma per fortuna non si richiuse subito. Avevano ancora una possibilità. 

“Presto! Sbrighiamoci!” gridò Mary ai suoi, facendo per correre al portale.

Il tempo di fare due passi, però, che una ragazza dai capelli rossi si parò davanti a loro, lanciando a sorpresa due ampolle colme di una strana sostanza, che una volta sparsa sul pavimento iniziò a evaporare. Il fumo che rilasciava aveva un odore penetrante, talmente insopportabile da costringerli a ripararsi il naso per non respirarlo. Inoltre, a contatto con gli occhi provocava una reazione orticante. 

Colta da un violento attacco di tosse, Mary si appoggiò alla parete per non cadere. Non vedeva più niente, ma arrendersi ora avrebbe significato una cosa sola per lei. Sforzandosi di tenere gli occhi aperti individuò davanti a sé la luce del portale, che intanto iniziava ad affievolirsi, e a tastoni cercò di farsi strada in mezzo al fumo. 

“Devi andare con loro.” sentì mormorare a un tratto ai suoi piedi e capì di essere vicina alla donna stesa a terra. “Salvati almeno tu.”

“Non vado da nessuna parte. Il mio posto è accanto a te.”

Mary non vi diede peso. L’essenziale in quel momento era far sì che il portale non li lasciasse fuori, ma la foschia e il bruciore agli occhi le rallentavano i movimenti, tanto che non riuscì a raggiungerlo prima che la luce si contraesse all’improvviso, fino a diventare appena un puntino luminoso e un istante dopo il vento cessò. Il portale era chiuso. Aveva fallito ancora.

“Dannazione!” Furiosa, sferrò un calcio alla cieca che colpì un ripiano pieno zeppo di fiale e ampolle di vetro, mandandole per terra a frantumarsi in mille pezzi.

Nel frattempo, il fumo andava ormai diradandosi e anche l’aria si faceva più respirabile. Mary sbatté più volte le palpebre, riuscendo pian piano a mettere a fuoco ciò che la circondava. Chini in un angolo, Benedict e Isaac tossivano ancora, cercando di riprendersi, mentre Byron sembrava già piuttosto padrone di sé e ora fissava la donna sconosciuta, che ricambiò il suo sguardo con una certa fierezza nonostante fosse ormai con un piede nella fossa.

“Non credo ai miei occhi…” mormorò Byron, visibilmente scosso. “Sei ancora viva.”

Lei mantenne il sangue freddo. “Cugino. Non mi aspettavo di incontrarti dopo tutto questo tempo.” rispose a fatica, la mano stretta in quella della ragazza dai capelli rossi inginocchiata accanto a lei. 

-Cugino?- pensò Mary sgomenta. Che cosa significava? 

“Solo tu potevi riuscire a simulare la tua morte e ingannarci tutti per secoli. Ancora una volta non ti smentisci.” osservò Byron, avanzando lentamente verso di loro senza smettere di fissarla. 

Un flebile ghigno si dipinse sul volto della donna. “Immagino che tu non sia venuto fin qui per perderti in inutili lusinghe...” 

Lui annuì. “Hai ragione, meglio non perdere tempo. Considerando anche che, a quanto vedo, non te ne resta molto.” la schernì. “Dimmi, dove hai mandato gli umani?” 

“Non ne ho la minima idea.” replicò la donna quasi trionfante, prima di venire soffocata da un attacco di tosse.

Convinto che stesse mentendo, Byron le lanciò uno sguardo di puro disprezzo. “Ostinata fino alla fine. Tanti anni non ti hanno cambiata.” constatò in tono fintamente neutro.

“Nemmeno tu, vedo. Sei rimasto lo stesso vile traditore.” Anche in agonia, Margaret non perse occasione per schernirlo. Ad ogni modo, non si sprecò a dedicargli troppo tempo, consapevole di averne poco a disposizione. Così, superato un altro violento attacco di tosse, si rivolse ad Ayris, che continuava a stringerle la mano quasi sperasse in questo modo di riuscire a tenerla in vita. “Dolce Ayris… Sei rimasta al mio fianco per tutti questi anni quando avresti potuto vivere felice altrove…” 

“Lo sono stata.” rispose lei tra le lacrime. 

Con un ultimo immane sforzo Margaret le sorrise, prima di voltarsi di nuovo a guardare l’odiato cugino. “Rimpiango solo… di non essere riuscita a vendicare la mia famiglia di persona. Dì al tuo padrone che avrei tanto voluto essere io a ucciderlo, ma so che qualcun altro lo farà per me.” Detto ciò, le forze la abbandonarono definitivamente e l’ultima discendente diretta dei Danesti lasciò il mondo dei vivi.

La sua mano stretta in quella di Ayris sarebbe caduta a peso morto, ma la ragazza non lo permise. Continuando a tenerla, vi poggiò sopra le labbra, serrando gli occhi nel maldestro tentativo di cacciare indietro le lacrime, che ben presto però le rigarono il viso. 

Il suo lutto, tuttavia, ebbe vita breve, perché Byron, rimasto impassibile di fronte alla morte della cugina, con uno scatto improvviso afferrò Ayris per i capelli e tirò con tanta forza da costringerla a guardarlo dritto negli occhi. “Cosa voleva dire?” sibilò tra i denti. “Chi sarebbe questo qualcun altro? Parla!” 

Nonostante il dolore, lei rimase di ghiaccio. “Non vi dirò niente.” 

Con un altro strattone, lui allora la fece alzare e con una violenta spinta la buttò tra le grinfie di Benedict e Isaac, che prontamente la afferrarono per le braccia, impedendole di muoversi. 

Mary lo osservò mentre si avvicinava alla ragazza con uno sguardo a dir poco inquietante; poi quell’espressione minacciosa lentamente si trasformò, lasciando il posto a uno dei suoi enigmatici sorrisi. 

“Questo lo vedremo.”





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