Bittersweet
Due mesi erano trascorsi da quando
l'ultimo discendente dei Phantomhive aveva fatto ritorno al maniero,
accompagnato da un servitore tanto affascinante quanto misterioso.
Soli tra le imponenti mura della
residenza appena ricostruita, i due spendevano il loro tempo
lavorando alacremente per giungere a rivestire al meglio i rispettivi
ruoli di conte e maggiordomo.
Un pomeriggio di fine inverno, il
giovane Ciel stava passando al vaglio ogni cassetto, ogni nicchia,
ogni angolo dello studio dove suo padre Vincent era solito occuparsi
di tutti gli affari della casata. Sperava di trovare qualche
indicazione che potesse fornirgli almeno un punto di partenza per
sbrogliare quella sordida matassa e mettersi sulle tracce di coloro
che avevano ordito il complotto ai danni della sua famiglia. Studiare
sodo per acquisire l'educazione degna di un adulto dell'alta società
in modo da essere riconosciuto ufficialmente come nuovo Conte
Phantomhive era di certo importante, ma questo non significava che
non potesse dedicare qualche momento al suo proposito di vendetta.
Ciel si era appena inginocchiato sotto
la scrivania per ispezionare uno scomparto segreto quando Sebastian
bussò alla porta. Il ragazzino gli accordò il permesso di entrare,
e il demone fece il suo ingresso nello studio, spingendo un carrello
da portata sul quale erano posati un piattino ospitante una fetta di
torta alla meringa e una tazza da tè fumante.
- Buon pomeriggio, my Lord. Ho
preparato il vostro tè. -
Ciel riemerse da sotto la scrivania e
prese posto sulla sedia imbottita, aiutandosi con un piccolo saltello
(non sarebbe stato male se, insieme alle nuove conoscenze che
assimilava ogni giorno, avesse potuto guadagnare anche qualche
centimetro in altezza). Studiò con occhio critico le preparazioni
che Sebastian gli aveva appena posto di fronte con la consueta
raffinatezza.
- La miscela di quest'oggi è un
darjeeling leggermente aromatizzato alla rosa, accompagnato da una
meringata ai frutti di bosco appena raccolti. - declamò il
maggiordomo. - Mi auguro sia di vostro gradimento. -
Ciel sollevò la tazza e inspirò
l'aroma della bevanda prima di portarsela alla bocca e saggiarne il
sapore.
Si prese qualche secondo, dopodiché
ispezionò la forchettina da dolce per accertarsi che fosse
perfettamente lucidata, tagliò una piccola porzione della torta e
ripeté l'operazione, masticando con estrema calma e compostezza.
Sapeva che Sebastian attendeva di
conoscere il risultato dei suoi sforzi, ma Ciel non aveva alcuna
intenzione di rendergli la vita facile, specialmente considerando
l'inflessibile severità con cui il demone gli impartiva le lezioni
quotidiane. I palmi delle mani gli dolevano ancora a causa della
sonora bacchettata ricevuta quella mattina dopo aver commesso un
errore di traduzione in una versione di latino.
Alla fine, il ragazzino si tamponò le
labbra con il tovagliolo e scoccò un'occhiata divertita al
maggiordomo.
- Suppongo sia passabile. - decretò in
tono imperioso, come un giudice che concede la grazia a un
condannato. - Ma la prossima volta dovrai dosare meglio lo zucchero.
In ogni caso, direi che rispetto alle pietanze immangiabili che mi
servivi qualche tempo fa, in effetti c'è stato qualche progresso. -
Sebastian emise un impercettibile
sospiro di sollievo e rilassò un poco le spalle, incassando la
frecciatina con ammirevole nonchalance.
- Ne sono lieto, signorino, e vi
ringrazio per le vostre lodi. - rispose, prima di lanciare
un'occhiata incuriosita ai cassetti spalancati della scrivania. - Vi
state dedicando al lavoro d'archivio, vedo. -
La mezza battuta irritò lievemente
Ciel, che si interruppe con la forchettina a mezz'aria tra il piatto
e la sua bocca.
- Questo era lo studio di mio padre. -
spiegò in tono pensieroso, riflettendo ad alta voce. - Se esistono
dei documenti segreti che possano in qualche modo essere collegati a
ciò che è successo, devono per forza trovarsi qui. Anche se la
magione è stata rasa al suolo dalle fiamme, il tuo intervento
dovrebbe aver ripristinato ogni cosa esattamente com'era prima
dell'incendio, non ho ragione? -
Sebastian annuì. - È come dite, my
Lord. Mi sono assicurato che tutto venisse ricollocato al proprio
posto, fino al più piccolo dettaglio. -
- Allora non c'è motivo di dubitare
che in questa stanza possa essere nascosto qualche indizio
sull'identità dei colpevoli o sulla motivazione che li ha spinti ad
attaccare così brutalmente la mia famiglia. -
Sebastian si portò una mano al mento
assumendo un'espressione scettica. - E dunque state rovistando in
lungo e in largo alla ricerca di questo fantomatico indizio? -
Ciel gli rivolse uno sguardo duro. -
Hai qualcosa in contrario, forse? -
- Nulla, padroncino. A parte il fatto
che toccherà a me rimettere in ordine una volta che avrete messo
tutto a soqquadro. -
Il ragazzino lo fulminò con
un'occhiataccia indignata. - Come osi?! Un servitore non deve
permettersi di rivolgersi in modo così insolente al suo padrone.
Tienilo bene a mente se ci tieni a diventare un perfetto maggiordomo.
-
Sebastian s'inchinò. - Le mie scuse,
signorino. Temo di aver ancora molto da apprendere in questo campo. -
Ciel sospettava che quella non fosse
altro che una scusa. Si era accorto fin dal primo istante di quanto
al demone piacesse divertirsi alle sue spalle. Tuttavia, almeno per
il momento, aveva deciso di tollerarne l'impudenza in cambio dei suoi
servigi.
Una volta terminata la torta, posò la
forchettina d'argento sul piatto e congedò il maggiordomo. - Ora vai
ad occuparti delle altre faccende. Ho ancora molto lavoro da
sbrigare. -
- Come desiderate, padroncino. -
Mentre Sebastian si accingeva a
riposizionare sul carrello tazza e piattino, Ciel riprese a frugare
febbrilmente in un cassetto. Ne rimosse il doppio fondo e raccolse un
unico foglio dall'aspetto piuttosto vecchio e consumato. Quando capì
di cosa si trattava, si sentì mancare il respiro e il cuore saltò
un battito.
Accortosi della sua reazione, il
maggiordomo gli scoccò uno sguardo perplesso. - Signorino? Vi
sentite bene? Siete impallidito all'improvviso. -
Il ragazzino non rispose, fissando come
ipnotizzato i segni sulla carta.
- Avete trovato qualcosa di importante?
-
Di nuovo, nessuna risposta giunse dal
piccolo Phantomhive, che pareva essersi tramutato in una statua di
ghiaccio.
Incurante dell'etichetta, Sebastian
sfilò il reperto dalle dita del suo padrone per scoprire cosa lo
avesse scosso a tal punto. Ma ciò che vide non fu altro che un
innocuo vecchio pentagramma.
- Uno spartito per pianoforte? - sbatté
le palpebre, genuinamente stupito. - Perdonatemi, signorino, ma cosa
ha a che fare questo con la vostra vendetta? -
Ciel si riscosse e gli strappò il
foglio dalle mani con veemenza. - Non sono affari tuoi. Non è nulla.
-
- Quindi volete dire che non esiste
alcun legame tra quello e i vostri nemici? -
- No, non è niente di rilevante. -
ribadì. - Solo una sciocchezza senza alcuna importanza. - le guance
naturalmente pallide del ragazzo si stavano tingendo di un rosa
intenso. - Inoltre, come ho già detto, non sono cose che ti
riguardano. La discrezione è una delle qualità imprescindibili per
un maggiordomo, quindi adesso smettila con queste domande. Esci da
qui e lasciami lavorare in pace. -
- Agli ordini, my Lord. -
Mentre lasciava lo studio, Sebastian
vide con la coda dell'occhio il suo padrone che piegava con massima
cura il foglio misterioso e lo riponeva nella tasca interna della
giacca, vicino al cuore.
Solo una sciocchezza senza alcuna
importanza. Certo! Come no!
Ciel si girava e rigirava nel letto,
incapace di attirare a sé il sonno.
Non che le sue notti si potessero dire
riposanti. Gli incubi lo tormentavano in continuazione e malgrado la
stanchezza che gli pesava sulle spalle a fine giornata, era molto
raro che al mattino si svegliasse ristorato. Il più delle volte, al
contrario, si alzava più esausto di quanto non fosse al momento di
coricarsi.
Ma quella sera non erano gli orrori del
suo recente passato ad impedirgli di riposare. I suoi occhi
continuavano a fuggire verso il cassetto della madia in cui il
ragazzino aveva riposto il vecchio spartito musicale ritrovato nel
pomeriggio.
Quasi si trattasse di una presenza viva
e pulsante, Ciel ne sentiva l'irresistibile richiamo. Aveva
riconosciuto immediatamente quelle note e il titolo scritto a mano
molti anni prima nella calligrafia elegante di sua nonna Claudia,
autrice del brano.
* Era stata la madre Rachel a
insegnargli a suonare il pianoforte per regalare al minore e più
cagionevole dei suoi due gemelli un diversivo che potesse allietare
le sue giornate di reclusione in casa mentre il fratello correva e
giocava all'aria aperta. Un passatempo di cui, al contrario degli
scacchi, egli avrebbe potuto godere in solitudine, senza bisogno
della presenza di altri. Quel pezzo in particolare era sempre stato
il suo preferito.
Ma il giovane Phantomhive aveva giurato
sulle tombe dei suoi genitori che non si sarebbe mai lasciato vincere
dai ricordi e dal dolore per ciò che aveva perso. Guardare indietro
era proibito!
Avrebbe voluto far correre di nuovo le
proprie dita sui tasti e far tornare alla vita la melodia
imprigionata in quell'intrico di segni neri sulla carta ormai
ingiallita, ma era anche ben cosciente del pericolo che si annidava
in quel desiderio infido. Essere circondato dalle note che un tempo
gli erano così care, avrebbe riportato alla superficie ricordi
pesanti come macigni che avrebbero potuto distoglierlo dai suoi
obiettivi presenti, trascinandolo sul fondo dell'oceano di afflizione
dal quale stava faticosamente tentando di riemergere. Sì, Ciel stava
lottando con tutte le sue forze per andare avanti: cedere anche solo
una volta al dolce veleno della nostalgia poteva essergli fatale e
vanificare tutti i suoi sforzi.
Da quando era tornato al maniero, aveva
fatto del suo meglio per non concedere spazio alcuno alla debolezza.
Aveva iniziato a parlare del padre appellandolo solo come il suo
predecessore a capo della casata e cercato di mettere quanta più
distanza emotiva possibile fra sé e la sua vita prima della
tragedia.
Se ora si fosse permesso di indulgere
in quel capriccio dell'animo chissà in quali conseguenze avrebbe
potuto incorrere. Senza considerare il fatto che il suo irriducibile
orgoglio rifuggiva l'idea di concedersi a quel lusso puerile
equivalente a una coccola materna.
Eppure... eppure...
Eppure la trama di righe e segni
musicali fissata su quel foglio lo chiamava a sé con voce suadente,
allettandolo con la promessa di un paio di minuti di illusione, come
se quel 14 dicembre nulla fosse accaduto; come se tutti i suoi amati
fossero lì, riuniti intorno a lui per sentirlo suonare ancora una
volta.
Sebastian sedeva al tavolino del suo
angusto alloggio, chino su un volume che stava leggendo al tenue lume
di una candela.
Si era sfilato i guanti e la giacca del
frac e scorreva le pagine ad una velocità che sarebbe risultata
impensabile per un essere umano, memorizzando tutto ciò che c'era da
sapere su come si amministra la casa di un nobiluomo inglese.
Era la prima volta, nella sua lunga
vita di demone, che gli capitava di servire un padrone dovendo
soddisfare tali requisiti. E con il caratteraccio del suo giovane
contraente, l'impresa si stava rivelando ardua esattamente quanto
aveva temuto la notte del loro primo incontro, quando il patto tra
loro era stato stipulato. Ma l'anima del padroncino valeva ogni
secondo di quel duro lavoro e anche di più. Sebastian era certo che,
quando tutto fosse finito, sarebbe stato lautamente ripagato dal
banchetto più squisito che un demone avesse mai gustato.
Studiare la teoria non era poi così
difficile. La messa in pratica di quelle nozioni richiedeva però una
notevole attenzione e il signorino era tanto esigente con lui quanto
Sebastian lo era nei suoi confronti in veste di precettore. D'altra
parte, non poteva aspettarsi che il possessore di un'anima tanto
pregiata fosse dotato di una personalità docile e mansueta. I frutti
più deliziosi si trovavano in cima all'albero, mai ai rami più
bassi.
Sebastian si stava concentrando sul
modo corretto per riconoscere e preparare le migliori qualità di tè,
quando il suo udito finissimo captò dei rumori al piano di sopra.
Sollevò il capo e rimase in ascolto.
Non poteva trattarsi di qualche malintenzionato: avvertiva sempre la
presenza di estranei intorno al maniero ed entrava in azione per
fermarli molto prima che questi potessero anche solo avvicinarsi agli
ingressi, figurarsi entrare nella casa!
No, all'interno dell'enorme magione
c'erano solo lui e il padroncino. Riusciva a percepirlo chiaramente.
Altrettanto chiaramente, grazie al legame sovrannaturale che li
vincolava uno all'altro, Sebastian intuiva come il suo giovane
signore fosse tutt'altro che addormentato. Non era una gran novità.
Su ordine del ragazzo, il demone aveva
accettato di impiegare le sue doti sensoriali solo per preservarne la
sicurezza e la salute; ma nella quiete di quella notte silenziosa nel
maniero sperduto in aperta campagna, era assai difficile non fare
caso agli spostamenti del signorino al piano di sopra.
Sebastian aveva appreso che un buon
maggiordomo doveva essere in grado di anticipare necessità e
desideri del proprio padrone e fornirgli ciò di cui aveva bisogno
ancora prima che egli chiedesse (o ordinasse); ma era necessario
altresì comportarsi in modo discreto e non risultare mai invadente.
Sospirò, alle prese con quel dilemma:
agire e rischiare di essere rimbrottato per aver preso l'iniziativa,
o non fare nulla e scadere nella negligenza?
Infine, il demone prese la sua
decisione: se entro cinque minuti non avesse percepito la presenza
del padroncino di nuovo nella sua camera, si sarebbe recato al piano
superiore della tenuta per domandargli se avesse bisogno di qualcosa.
Di minuti ne erano trascorsi appena tre
quando alle orecchie di Sebastian giunsero, del tutto inattese, le
note ovattate di una melodia eseguita al pianoforte.
Sorpreso, sollevò il capo e portò lo
sguardo al soffitto della sua stanza. La sala di musica si trovava su
per le scale, quasi in corrispondenza di quella stessa zona del
maniero. E proprio da quell'ala della casa, Sebastian avvertiva
distintamente l'aura del ragazzino.
Non aveva idea che il suo padrone
sapesse suonare il piano con tanta scioltezza. Come precettore, gli
stava insegnando le basi del violino e aveva notato la famigliarità
del giovane con la musica, ma aveva supposto che quella conoscenza
fosse solo un retaggio dell'educazione impartitagli negli anni
precedenti.
Senza attendere oltre, scostò la
sedia, s'infilò la giacca e i guanti immacolati, prese con sé la
candela e imboccò il corridoio e le scale.
Prima di raggiungere la sala di musica,
entrò nella camera da letto e prese con sé una coperta.
Quando arrivò all'entrata del salone,
sbirciò dalla porta socchiusa: il padroncino gli dava le spalle.
Sedeva allo sgabello in camicia da notte, di fronte a un imponente
pianoforte a coda che pareva troppo grande e austero per la sua esile
corporatura. I suoi piedi scalzi nemmeno riuscivano ad arrivare ai
pedali, eppure lo strumento si lasciava domare dal piccolo
Phantomhive come la più docile delle bestiole, emettendo nell'aria
una sinfonia tanto splendida quanto malinconica che recava un sentore
di ineluttabilità, di rimpianto e di amara consapevolezza.
Le dita nivee del giovane volavano
sicure e leggiadre sui tasti, a malapena sembravano posarsi.
Sebastian riconobbe subito il vecchio spartito ritrovato quel
pomeriggio adagiato sul leggio, davanti agli occhi del ragazzino.
Assisteva rapito e immobile a quello
spettacolo inconsueto: non aveva mai visto il padroncino animato da
tanta passione. Il suo temperamento freddo e distaccato lo rendeva un
abile calcolatore e uno stratega eccezionale per i suoi dieci anni,
ma quella era la prima volta che lo coglieva abbandonarsi
spontaneamente all'emozione. Faceva ondeggiare il capo seguendo il
ritmo turbinante, completamente assorbito dalla musica che cresceva
intorno a lui come una creatura semovente e lo avvolgeva in un
abbraccio protettivo, consolatorio.
Superato il primo istante di sorpresa,
il maggiordomo si ritrovò a sorridere: in fondo, il signorino
rimaneva pur sempre un essere umano. Aggrapparsi ai ricordi e trovare
sollievo nei sensi erano peculiarità statiche di quella razza,
tratti che da secoli rimanevano invariati e accomunavano tutti gli
appartenenti a quella specie.
Così come il sapore del latte caldo
col miele allontanava l'angoscia, ripetere quei gesti appresi in
tempi spensierati e liberare nell'aria le note un po' sbiadite
vergate sullo spartito doveva evidentemente avere un effetto benefico
sul padroncino. Erano dinamiche che uno come lui non avrebbe mai
potuto comprendere, ma ne intuiva a grandi linee il funzionamento.
Ed eccolo lì il retrogusto agrodolce
di quell'anima di rara prelibatezza. Sebastian poteva quasi inalarne
l'aroma: morbido come miele e pungente come aceto. Soave e aspro allo
stesso tempo, esattamente come il perverso piacere che scaturiva dal
crogiolarsi nella riminiscenza di ciò che era stato tanto amato ed
ora era perduto per sempre.
Gli umani erano creature così piene di
contraddizioni. Così interessanti.
A differenza dei suoi simili, non
considerava un fastidioso onere contrattuale quello di servire uno di
loro per poi cibarsi della sua essenza: al contrario, era quasi
sempre un'esperienza molto istruttiva che gli insegnava ogni volta
qualcosa di nuovo su quelle creature così bizzarre che, per crudeltà
e meschinità, rivaleggiavano e superavano di gran lunga i demoni
stessi. Tuttavia, allo stesso tempo, erano capaci di atti che,
personalmente, Sebastian riteneva di suprema stupidità in nome di
ciò che usavano definire amore. Per amore si moriva e per amore si
uccideva. Le loro brevi vite sembravano reggersi costantemente in
precario equilibrio su quel perno immutabile.
Ad ogni modo, di una cosa Sebastian era
del tutto certo: quello con l'orfano Phantomhive era
indiscutibilmente il contratto più intrigante che avesse mai
stipulato.
Il turbinio rallentò e la melodia
iniziò pian piano a sfumare, spegnendosi definitivamente quando il
ragazzino staccò le mani dai tasti, lasciando ricadere le braccia
lungo i fianchi, inerti.
Ora che aveva smesso di suonare, la sua
figura sottile appariva ancora più minuta e fuori posto dinanzi alla
maestosità dello strumento ormai muto.
Le spalle magre e un po' curve si
sollevavano appena, seguendo il moto del suo respiro un poco
accelerato rispetto al normale. Il silenzio notturno aveva acquisito
una densità quasi tangibile dopo l'intermezzo melodico che l'aveva
temporaneamente spezzato. Un peso inconsistente che pareva gravare
tutto su quel fragile corpo.
Proprio in quel momento un raggio di
luna filtrò dalla finestra andando ad accarezzargli una guancia e
Sebastian notò la scia perlacea di una lacrima scintillare alla luce
diaccia dell'astro notturno.
Mosse qualche passo nella sala e
raggiunse il ragazzino deponendogli la coperta sulle spalle. -
Prenderete freddo, padroncino. -
Ciel non si voltò né rispose,
limitandosi a stringersi nella coltre soffice e usando uno dei lembi
per asciugarsi il viso tentando di non farsi vedere dal demone.
Un velo di silenzio imbarazzato calò
su di loro.
- Non mi avete mai detto del vostro
talento come pianista. - buttò lì il demone, incerto se quel
commento fosse appropriato o meno.
- Tu non me l'hai mai chiesto. -
ribatté l'altro, sulla difensiva. - E comunque non è nulla di cui
andar fieri, né mi aiuterà mai a vendicarmi dell'oltraggio subito
dal mio casato. - continuò in tono duro. - Pertanto, si tratta di
un'abilità del tutto inutile. -
- Sarà come dite, my Lord, - replicò
il demone con un inchino. - Ma vi do la mia parola che in tutta la
mia lunga esistenza, rare volte ho udito suonare con tale trasporto.
-
Ciel ruotò il capo, indirizzando al
maggiordomo uno sguardo sospettoso. - Tsk, stai cercando di adularmi,
per caso? -
L'altro sorrise con quel suo fare
sempre in bilico tra la gentilezza e il canzonatorio. - Adularvi? Ma
come, signorino, ve ne siete dimenticato? Io non vi mentirò mai.
Sono obbligato per contratto a dirvi sempre la verità. -
Il ragazzino arricciò le labbra, poco
convinto, ma si astenne dal ribattere.
- Adesso vi prego di tornare a letto,
padroncino. Non vorrete rischiare di ammalarvi, vero? -
Ciel depose le mani in grembo
stringendo forte la camicia da notte e distolse nuovamente lo sguardo
da quello di Sebastian. - Non riesco a dormire. - esalò con un filo
di voce tremante. - Non fanno che fissarmi. Tutti quanti. Ogni notte.
Sono morti eppure mi fissano con quegli occhi vuoti... Io non...
com'è possibile... -
Il bambino digrignò i denti
nell'estremo tentativo di controllarsi e non soccombere al terrore
che l'aveva assalito al pensiero di ciò che era acquattato
nell'ombra della notte, ad attendere solo che si addormentasse per
tornare a seviziarlo.
Sussultò quando avvertì le mani calde
di Sebastian avvolgere le proprie, allentandone la morsa spasmodica.
- Signorino, - cominciò il
maggiordomo, inginocchiandosi per ritrovarsi alla sua altezza. -
quella gente è morta. L'avete visto con i vostri occhi. Siete stato
voi a ordinarmi di ucciderli tutti e io non verrò mai meno a un
vostro ordine, lo sapete. Avete accettato di barattare la vostra
anima in cambio di questa certezza. È finita. Non c'è ragione per
temere i fantasmi. Ormai non possono più farvi del male. -
Ciel rimase sbigottito. Davvero quel
demonio lo stava confortando?
- Cosa... cosa speri di ottenere con
questo atteggiamento? - domandò, dubbioso. - Non ti ho mai chiesto
di consolarmi. -
Sebastian gli sorrise ancora una volta,
portandosi una mano al petto e chinando il capo. - Un maggiordomo che
si rispetti deve sempre precorrere e soddisfare le esigenze del
proprio padrone, my Lord. E io intendo essere nientemeno che un
perfetto maggiordomo per la nobile casata dei Phantomhive. -
Era stupido da parte sua, ne era
consapevole, ma in quell'istante Ciel apprezzò davvero la sincera
determinazione del demone.
- Ora, vi prego, padroncino: tornate a
letto e cercate di dormire. Se non sarete ben riposato, le vostre
prestazioni alle lezioni di domani ne risentiranno drasticamente. -
Il ragazzino storse le labbra in una
smorfia di contrarietà : l'ultima cosa che desiderava era ricevere
altre bacchettate sui palmi.
Balzò giù dallo sgabello e precedette
il maggiordomo fuori dalla sala, in direzione della camera da letto
padronale.
- D'accordo. Credo tu abbia ragione,
Sebastian. - acconsentì, tornando a sfoggiare il solito
atteggiamento altezzoso. - Ma... - aggiunse in un sussurro,
arrestandosi sulla soglia della camera. - resta con me. Finché non
mi addormento. -
Il demone, che in fondo si aspettava
quell'eventualità, annuì con garbo. - Certamente, my Lord. Sarò
sempre con voi. Ovunque andiate, mi troverete al vostro
fianco, fino alla fine. -
* Headcanon partorito dalla head
della sottoscritta. Mi piaceva l'idea.
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