5) “I Conti Bianchi”
La notte ricopriva l’orizzonte col suo
scuro e spesso mantello catturando raggio dopo raggio gli ultimi sprazzi di un
cielo andato a spegnersi. Spessi nuvoloni ch’avevano portato con sé la pioggia
disegnavano plumbei una fitta trama ancora non pronti ad acquietarsi.
Kaori era rientrata una buona mezz’ora
dopo il partner, evitando accuratamente anche il minimo rischio di averci a che
fare. Certo, prendersi un acquazzone in pieno non era proprio un piano perfetto,
pensò. Distesa mirava il soffitto della sua stanza in religioso silenzio. Sul
letto disposto al suo fianco Kyoko dormiva tranquilla da ore. Si girò su un
fianco per osservarla quasi a sincerarsi delle sue condizioni.
Chissà cosa sta sognando.
Provava da giorni nei suoi confronti
un misto di gelosia e compassione: gelosia per il suo ovvio interessamento al
partner, cosa che non le era sfuggita e che anzi aveva confermato quel
pomeriggio; compassione per una vita stravolta in nome di un ideale, di un
amore strappato da un destino infausto e per un passato che non aveva più
dismesso i panni del feroce aguzzino. Per un attimo si mise nei suoi panni
venendo colta da un’immensa tristezza al solo immaginarsi una vita del genere:
convivere col terrore ogni giorno e soprattutto senza la presenza del suo
amato. Trattenne ancora una volta le lacrime e chiuse poi gli occhi sperando di
riposare un po’ prima dell’arrivo di Saeko.
Ryo…
Lo sweeper, invece, era al poligono ad
esercitarsi, o meglio ad esorcizzare quei momenti difficili con la cosa che gli
riusciva meglio. La sua mira era infallibile come sempre e a occhio distante
nessuno avrebbe potuto solo azzardare che a sparare fosse un uomo turbato,
anzi. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. One hole shot.
Merda, cosa mi è preso.
Sì deprecò ancora una volta mentre
riarmava la sua fidata arma. Guardò l’orologio sopra la sua testa, presto
avrebbero avuto ospiti. Mirò e riprese quel ciclo che durava oramai da più di
un’ora, tutto per non pensare o perlomeno per non soffermarsi sulla stupidita
commessa. Quel caso gli era entrato sotto pelle in un niente e lo aveva
intossicato al punto da doversi estraniare da tutto e tutti. Oggi aveva vinto,
ma quella vittoria era stata tutt’altro che un sollievo. Dapprima non era stato
abbastanza rapido, si rimproverò, e inoltre quel sentirsi sotto attacco senza
sapere a chi e a cosa stava andando incontro lo rendeva dannatamente inquieto.
Kaori era troppo importante e proteggerla veniva prima di tutto, anche prima
della sua vita se fosse stato necessario e quella domanda fattagli dalla donna
era stata la proverbiale goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Concedersi
ai suoi sentimenti era un privilegio che non poteva arrogarsi, la sua capacità
di giudizio quando si trattava di lei non era poi così marcata, così netta. Era
l’ignoto, il salto nel vuoto, a spaventarlo. Perdere anche lei dopo Maki? Mai.
Aveva fatto una promessa e tale
promessa nel tempo si era adornata di una nuova consapevolezza, da dei
sentimenti che ancora non domava con piena coscienza. Sarebbe stato semplice
abbandonarsi ad essi, ma che ne sarebbe stato di loro? Troppi interrogativi ai
quali non aveva risposta. Sorrise amaramente ai primi tempi: in particolare ripensò
a lei che sparava come una matta nel bus il giorno del trasloco a casa sua, il
vero inizio della loro collaborazione. “Hai le palle” aveva pronunciato allora
venendo prontamente corretto da un deciso rimprovero. Era una donna lei, una
donna come nessun’altra.
Che cosa devo fare?
Tirò un pesante sospiro prima di prendersi una
pausa. Ne avevano passate tante insieme, dichiararsi avrebbe davvero cambiato
così tanto? Ancora una volta non ebbe il coraggio di formulare una soluzione.
Rincasò poco prima dell’arrivo di
Saeko. Kaori era di nuovo in piedi e stava cucinando come nulla fosse successo.
Nell’appartamento si respirava un profumo davvero invitante, la salutò con un
breve cenno ottenendo un monotono “ciao” come risposta. Kyoko le stava dando
una mano, o perlomeno si era offerta di farlo prima di rinunciarvi dopo esser
stata rassicurata dalla donna con gentilezza: “Non ti preoccupare e poi sei
ospite qui, non devi, davvero” udì Ryo dalla sala.
Proprio da lei.
L’ispettrice Nogami non si fece
attendere a lungo arrivando nel suo lungo impermeabile non molto dopo. In volto
dipinta una espressione non troppo rassicurante. I quattro presero rapidamente
posto a tavola dopo i soliti convenevoli. Mangiarono tutti di gusto senza
accennare al caso o ad altro pur di non rovinare quel piacevole momento. Ryo si
sforzò di non dare molto peso alla distanza che s’era creata tra lui e la
partner, cercando anzi di includerla nelle sue solite battute con poco
successo. Saeko, d’altro canto, intuita l’aria di guerra fredda tra i due, fece
di tutto per evitare le solite avances dello sweeper preferendo concentrarsi
sulla donna a lei sconosciuta. Kaori si animò solo sul finire della cena.
– Grazie di essere passata, Saeko –
disse mentre si apprestava a sparecchiare.
– Di nulla, Kaori, ho fatto il prima
possibile. In centrale sono giorni intensi – rispose l’affascinante donna
guardando negli occhi Ryo.
– Come al solito, siete sempre oberati
di impegni voi se si tratta di lavorare sul serio – commentò l’uomo prendendosi
di tutto punto un calcio negli stinchi dalla detective, inviperita da quel tono
denigratorio.
– Ma sei impazzita?!
– Ops, scusami Ryo, mi è scivolato il
piede.
– Certo, certo. A me scivola la mano
invece – fece allungandosi dove non gli era concesso. Questa volta a colpirlo
fu una padellata di Kaori, tornata per metter via le ultime cose, scatenando
dunque una fragorosa risata generale ai danni del “povero” stallone di Shinjuku.
– Giù le mani, maniaco!
Nonostante la botta subita si sentì
anch’egli più sollevato da quel momento, Kaori per un attimo era tornata in sé
spezzando quell’atonale rappresentazione che aveva messo su da ore. In seguito,
finito il tempo degli scherzi, venne il momento che tutti aspettavano.
– Allora, bando alle ciance – cominciò
Saeko, – ho svolto delle ricerche personali su tutta questa storia… e devo dire
che ce ne sono di punti oscuri.
– Tipo? – domandò Ryo decisamente non
felice di quell’esordio.
– Per quanto riguarda Maki, ricordo
benissimo di come fosse sfiduciato quel periodo. Non ho mai lavorato
personalmente al caso e non saprei dire cosa avesse scoperto esattamente, ma
una cosa so, quel dossier che ti ho consegnato al Cat’s Eye non è completo –
spiegò la detective per lo sbigottimento di tutti i presenti.
– Non è completo?! Allora...
– Lo so, è difficile da credere, Kaori
– si giustificò.
– Qualcuno ha manomesso il dossier, il
lavoro certosino di una talpa, o mi sbaglio? – commentò Ryo perentorio con un
sorriso esterrefatto.
– No, vorrei, ma hai ragione. L’ho
scoperto dopo aver verificato nel registro dove vengono trascritti tutti gli
atti ufficiali. Ho cercato ovunque ma manca un rapporto…
– Merda – biascicò lo sweeper serrando
le mani in due pugni.
– Questo rapporto – disse Kyoko presa
la parola, – è sparito quando? Sapresti dirlo?
– No, potrebbero essere anni o un
giorno, ma non cambia il fatto che qualcuno sia stato molto previdente.
– Maki, Maki, proprio un ficcanaso –
riprese l’uomo ritrovata la calma. A braccia incrociate dietro la testa si
oppose allo sguardo confuso della sua interlocutrice questa con un furbo ghigno,
uno dei suoi soliti.
– Cosa intendi, Ryo?
– Pensateci. Un detective viene ostacolato
nelle indagini, poco dopo lascia le forze dell’ordine e si mette in proprio.
Solo un potere superiore come sappiamo avrebbe potuto dargli così tanta noia, ora dimmi
Saeko. A chi aveva pestato i piedi?
– Giusta osservazione – convenne la
donna inarcandosi sulla poltrona, – se devo dire un nome su due piedi direi
l’ex procuratore capo oramai in pensione, Tomotaka Aoki. Non c’è mai stato
feeling tra quei due.
– Ricordo questo nome! – esclamò ad alta
voce Kaori quasi sobbalzando dal suo posto. – Mio fratello me ne aveva parlato,
ho ricordi vaghi, ma è noto del suo status di procuratore leggendario dalla
fama non proprio limpida.
– Proprio lui, Kaori. Aoki era uno dai
modi diciamo bruschi, uno della vecchia scuola. “C’è sempre un colpevole”,
questo era il suo motto – confermò la detective non troppo fiera del ruolo che
rivestiva in quei momenti.
– E a te Kyoko? Ti dice nulla questo
nome?
– No, mai sentito nominare, ma sono
sicura a questo punto sia stato lui a depistare il detective Makimura. Vi avevo
già accennato della lettera di demerito, no?
– Cosa?! Non ne sapevo nulla...
– Tsk, il solito. Probabilmente lo
avrà fatto per non mettere a rischio te e la tua carriera, Saeko. Era la sua
guerra quella e non voleva ci finissi di mezzo – elaborò Ryo, segretamente
rapito dall’altruismo del defunto amico.
Lo sweeper si alzò dunque come una
molla dal suo posto e stiracchiandosi lanciò poi un lungo sbadiglio poco prima
di riprendere scialbamente la parola, questa volta non con poca fatica: – Mi sa
che dovremo fare visita al nostro procuratore in pensione. Sarà interessante.
****
Tomotaka Aoki era un uomo ordinario,
un giapponese vecchio stampo. Preciso, affine a certi elementi autoritari della
polizia di stato e dannatamente serio nel suo mestiere. Voci narravano di come
non avesse mai preso un giorno di malattia o ferie nella sua lunga carriera
durata la bellezza di quattro decadi, se non per un paio di polmoniti violente
dovute al suo tabagismo incontrollato e per la nascita della prima e unica
figlia, Yumi. Laureatosi col massimo dei voti poco più che ventenne, Aoki sin
da subito si dimostrò un eccellente procuratore dal talento cristallino, noto in
tutto il paese. Aveva ricoperto negli anni ruoli di spicco in varie prefetture
e in ognuna di esse si sprecavano gli elogi e gli encomi a suo nome. Sposatosi
altrettanto giovane con una donna che mai aveva realmente amato, l’uomo aveva
speso tutta la sua vita immerso nel proprio culto della personalità, dedito al
lavoro più per il suo egocentrismo che per senso di giustizia. Il suo
personaggio, austero, quasi crudele nei mezzi, precedeva di gran lunga la sua
morale. Eppure, quella mattina, guardandosi allo specchio all’ex procuratore
parve di non riconoscersi. In quel volto, canuto e segnato da una salute
cagionevole e mai preservata, Tomotaka rivedeva i solchi di un destino
differente. Spesso s’era chiesto dopo la morte della moglie, Hanae, cosa fosse
davvero quell’orgoglio che covava in petto da sempre. Superbia? Cupidigia? O
vuoto?
Scorreva celere la lama sul viso
imbiancato dalla schiuma da barba e con esso mille pensieri. Uno di essi andò
alla figlia, un altro dei suoi peccati nato da una bottiglia di gin, o così le
aveva meschinamente gridato una notte per un motivo sciocco. Yumi lo odiava e
non la biasimava per questo: era stato un padre assente, distante sin dai primi
anni. E quando la coscienza s’era impuntata a farlo tornare sui suoi passi lei
non c’era più ad attenderlo, stanca e affranta dalle tante promesse disattese.
Il tempo aveva vinto su tutto: corpo,
mente e un giorno anche il suo nome sarebbe stato dimenticato. Si sciacquò il
volto una volta terminato prima di applicare con cura quel dopobarba, il solito
da trent’anni da uomo metodico qual era.
Accomodandosi poi in veranda, bevuto
il suo solito caffè amaro, inforcò i vistosi occhiali in oro e prese a leggere
il quotidiano. A sua insaputa una coppia lo stava spiando nascosti nel verde della
vegetazione, uno dei due in particolare da un albero ben distante dalla scena.
– Guarda che lusso, villa in campagna,
sicurezza e domestici. Ho sbagliato tutto nella vita – commentò sarcastico Ryo osservando
il tutto dal suo binocolo.
– Non so tu come faccia a stare sugli
alberi così tanto tempo – si lamentò Kaori rimasta giù dopo vari e vani
tentativi di scalare anch’ella.
– Una skill importante, fondamentale
per… tante cose
– Mh? – cambiò tono la donna, alzando
un sopracciglio.
– Nulla. Nulla. Comunque stasera
avremo la nostra chiacchierata, ora c’è troppa gente.
– Non temi possa andare via?
– Nel caso ci terremo pronti –
concluse prima di discendere al suolo con pochi balzi.
La notte venne presto e con essa City
Hunter. I due furono lesti ad eludere le misure di sorveglianza e a
intrufolarsi nella grande dimora dell’asso decaduto della procura. La presenza
di telecamere interne non li spaventò più di tanto una volta messa fuori combattimento tutta la
sorveglianza. E nei giorni che avevano passato a spiarlo Aoki non s’era
dimostrato molto cauto sotto questo aspetto. Un piano ben riuscito.
Arrivati dinanzi una grossa porta in
ebano, i due entrarono il più silenziosamente possibile nella piena oscurità,
guidati solamente dal passo sicuro di Ryo che pareva aver memorizzato ogni
anfratto di quei luoghi. Lo stesso sweeper non si premurò di esser gentile col
povero malcapitato puntandogli l’arma alla tempia prima di svegliarlo da un
sonno tranquillo.
– Sveglia, sveglia, è arrivato Babbo
Natale!
L’uomo all’udir quella voce trasalì
destandosi di colpo. Non aiutò il contatto con quel gelido attrezzo di morte a
pochi millimetri dal suo viso. Fece per premere il pulsante del telecomando che
portava nella tasca dei pantaloni del pigiama ma nulla avvenne.
– Credo che nessuno verrà ad aiutarti,
che dici passiamo già alla parte dove inizi a parlare o devo romperti le ossa
della mano?
– Chi diavolo sei tu?!
– Te l’ho già detto, vecchio. Ma sei
sordo per caso?!
– Sei tu che non hai idea di chi sono
io, ladruncolo da quattro soldi! – gridò lui mettendosi a sedere impavido.
– Divertente.
Kaori, rimasta nella penombra in
assoluto silenzio sospirò sommessamente al tono di quell’ultima risposta di
Ryo, così gelida, quasi cattiva. Le cose non si sarebbero messe bene per Aoki,
ne era certa. Avrebbe voluto interrompere quell’interrogatorio, ma non lo fece.
Ryo sa cosa fa… devo fidarmi.
– Cosa trovi divertente? Farti
vent’anni di galera? – incalzò Aoki, trovato il coraggio di opporsi
all’intruso.
– No, è divertente perché non sono un
ladro, mi serve solo qualche informazione.
– Informazioni su cosa? Sono in
pensione oramai, arrivi con qualche anno di ritardo.
– Non credo. Parlami di Nova Pharma e
dei Conti Bianchi e fallo in fretta che ho poca pazienza – sibilò Ryo a denti
stretti tracciando dei cerchi immaginari nel vuoto con la sua pistola.
Aoki si sentì morire pronunciati quei
nomi. Fece per alzarsi, cosa che gli venne concessa solo dopo aver mostrato
ambo le mani. Giunto claudicante alla scrivania armeggiò col tabacco posato su
di essa e accese la sua pipa. Illuminato dalle luci provenienti dal giardino e
dal chiaro di luna che baciava dolcemente l’ampia finestra della camera, poteva
ora vedere ben più chiaramente i due piombati lì nella sua dimora.
– Questo caso non la smette di
tormentarmi –
– Perché un uomo di legge come lei
impedì al Detective Makimura di indagare? – domandò Kaori fattasi avanti senza
paura alcuna.
– Makimura si era messo in qualcosa
più grande di lui ricavandone un bel niente. Feci la scelta giusta e
probabilmente fargli togliere il caso fu un atto di grazia. Era un buon
ufficiale, non volevo si sputtanasse la carriera – mentì l’uomo cercando di
essere il più convincente possibile. Per sua sfortuna Ryo non credette a una
sola parola.
– Questa pistola può fare dei buchi
molto grandi e i proiettili che porta sono particolari, non sarebbe un bel modo
di passare la serata ma se continui a mentire… – minacciò puntandogli l’arma al
petto senza molte cerimonie.
– Non moriresti, sta tranquillo, ma i danni
collaterali sarebbero seri.
Aoki deglutì a fatica. Lo sguardo di
quello sconosciuto era così diverso da quello delle bestie che aveva sbattuto
in carcere negli anni. In esso non c’era un cenno di indecisione o umana
decenza, a braccarlo due occhi scuri irrorati da puro istinto omicida. A fatica
riprese a parlare, conscio di non avere via di fuga.
– Hai vinto, abbassa l’arma.
– Prima parla!
– Makimura aveva scoperto del processo
farsa imbastito per Nova Pharma. Inoltre era chiaro dai suoi report che fosse
alla ricerca della base operativa dei veri responsabili della morte del
professor Kokubo e di quei strani casi clinici.
– E lei come ha potuto permettere
tutto questo?! – gridò Kaori disgustata da come la memoria del fratello venisse
infangata dalla codardia dei vivi.
– Non avevo scelta. Avevano mia
figlia. – tagliò corto questa volta con un tono diverso, un tono rassegnato. –
Fui io, dopo strani casi di allucinazione di massa all’università di Tokyo ad aprire
il caso su di loro e ad assicurare alla giustizia il loro presidente, ma
recitai solo una parte.
– A loro andava bene così. Chiudere e
continuare altrove non era un problema, o sbaglio? – domandò Ryo.
– Non sbagli e per rispondere
all’altra domanda posso dirti che i Conti Bianchi sono una fazione dissidente nata
da una costola della Union Teope, una potente organizzazione criminale. I
vecchi gerarchi puntavano al potere con la vendita di droga e manovalanza a
basso costo, i Conti, invece, trovati agganci nell’alta borghesia e in
politica, hanno tentato un altro approccio – spiegò l’ex procuratore ritrovata
la sua flemma professionale.
– Sempre loro, dannati bastardi –
sussurrò Ryo mordendosi le labbra.
– Cosa? Già li conosci?
– Vai avanti, ho detto forse di
fermarti?
– Venni avvicinato una notte da un
uomo mascherato che mi intimò di falsare il processo. Nelle sue mani stringeva
fiero una foto di mia figlia, Yumi, ignara di essere spiata da quei mostri. Mai
nella mia carriera mi sono sentito così impotente.
– Terribile… – aggiunse Kaori
portandosi le mani al petto. Rivolse lo sguardo su Ryo, rimasto impassibile, e
si stupì di come egli fosse sempre così imperturbabile quando si trattava di
certe cose. Lei non ne era capace e probabilmente non lo sarebbe stato mai.
– Dov’è il rapporto di Makimura?
– Bruciato. Non ne esistono copie, il
prezzo da pagare per salvare Yumi.
– Immaginavo. Bene, allora mi dirai
come posso trovare i nostri cari amici.
– Saranno loro a trovare te, come
hanno fatto con me e con chiunque abbia provato a stanarli una volta per tutte.
Vuoi un consiglio? Lascia perdere prima di farti male e ho già parlato troppo –
esalò Aoki in una nuvola di fumo dando loro le spalle.
Un click di un fucile innescato a
distanza fu quanto bastò a Ryo per tuffarsi miracolosamente verso l’interlocutore.
Un proiettile d’alto calibro, sfondata la vetrata mancò quindi il bersaglio
fermando la sua corsa nella grande libreria colma di tomi.
– Kaori sotto il letto, svelta! –
gridò lo sweeper coprendo l’altro con il suo corpo. La donna obbedì senza
fiatare rifugiandosi sotto l’ampio e confortevole giaciglio, ben distante da un
ideale angolo di tiro. Ryo si trascinò dietro una colonna e con sé Aoki, sotto
choc, tremante e pallido in viso.
Sapevo che saresti tornato bastardo!
Bene, round numero due.
Fine Capitolo
Siamo al giro di boa, ebbene sì, a
metà della storia. D’ora in poi le cose prenderanno una piega decisamente più
movimentata, i nostri due amati si sono avventurati troppo in là e ora non c’è
più possibilità di far un passo indietro. Le cose tra i due sono ancora
incerte, complici in una tregua non dichiarata, e con le loro vite in gioco ci
sarà tanto da fare per mettersi al sicuro.
Non posso dire altro, ma sono davvero
soddisfatto sino ad ora di quanto fatto e spero sia sempre interessante per
voi. Ringrazio come sempre chiunque abbia recensito e letto sino ad ora, un
grazie di cuore. Sono sempre più incredulo del seguito ottenuto e apprezzo
veramente tanto i vostri gentili contributi.
Alla prossima!